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Interreg IICRestauro CAGLIARI “LA STORIA DI CAGLIARI” |
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Le origini del nome della città Castello: la fortezza
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CASTELLO: LA FORTEZZA
Se si osserva il quartiere del Castello da est, nonostante le costruzioni più recenti che gli stanno intorno, è possibile focalizzare il suo sky-line, ancor oggi culminante nelle torri pisane di S. Pancrazio e dell’Elefante e nel complesso della Cattedrale, quasi a ricordare il plurisecolare utilizzo della rocca come centro politico e amministrativo non soltanto di Cagliari, ma della Sardegna intera. La cinta muraria di Castello è del resto la caratteristica costante che ritorna, in tutte le più famose «vedute» della città, a dimostrazione della preminenza fisica, oltre che sociale ed economica, di Castello sul resto dell’abitato. Al contrario, nella maggior parte delle «vedute» delle città di impianto medioevale, gli elementi culminanti sono due: la cattedrale e il palazzo comunale, a conferma dell’avvenuta affermazione dei due poteri, ecclesiastico e civico, che caratterizza le città di quel periodo. Nelle «vedute» di Cagliari, invece, compare una sorta di omogeneizzazione degli edifici più importanti, spesso assimilati alle case, tanto che il dato caratteristico di queste iconografie è appunto l’aspetto imponente delle fortificazioni, rimaste, almeno per Castello, pressoché intatte fino ad oggi. L’aria di rinnovamento che verso la metà dell’Ottocento porta buona parte delle città europee, da Parigi a Vienna a Firenze, a perdere la cinta bastionata, non risparmia neppure Cagliari. Cominciata sommessamente con la demolizione della Porta Stampace verso il 1856, l’eliminazione dei bastioni continuò con la soppressione della piazzaforte, e quindi per tutta la seconda metà del secolo XIX, nel quartiere di Marina. Castello non subì demolizioni consistenti, data l’evidente difficoltà di intervento nelle sue mura e l’aspetto più importante fu dunque la trasformazione dei bastioni, posti a sud, in « belvedere » e la liberazione delle torri pisane dalle costruzioni addossate contro le loro strutture. È certo però che già nei primi decenni dell’Ottocento la funzione delle mura era sempre meno legata a scopi militari e di difesa così da renderle praticamente inutili. È ciò che constatava il vice-ammiraglio francese Jurien de la Gravière, venuto in Sardegna nel 1841 allo scopo di rilevare i porti dell’isola per conto della Marina francese. Nel suo La Sardaigne en 1842, edito a Parigi nel 1865, il de la Gravière coglie benissimo lo stato di abbandono delle mura di Cagliari e la tendenza della città a spingersi verso il mare, che giustificano pienamente, secondo la cultura dell’epoca, lo smantellamento che di lì a qualche decennio sarebbe cominciato anche per le mura della Città sarda. È indubbio che l’aspetto più caratterizzante di Castello sia ancor oggi legato alle fortificazioni, in buona parte conservate, unico caso nei quattro quartieri storici di Cagliari, un tempo tutti cinti di mura. La cittadella, oggi destinata ad esposizione museale, può essere assunta a simbolo della vicenda delle fortificazioni, date le plurisecolari trasformazioni da essa subite: avamposto dei Pisani prima e degli Spagnoli poi, diventa con i Piemontesi l’estremo, complesso baluardo con il quale si conclude il Castello (e quindi la città che conta) a nord. La sua funzione di nodo vitale e cruciale di Cagliari trova il suo significato ancor oggi nella sua rifunzionalizzazione a scopo culturale, che ha permesso anche il recupero di una delle pochissime zone a verde del centro storico. La cittadella, con il recente e definitivo intervento compiuto fra il 1966 e il 1976 da P. Gazzola e L. Cecchini, ha visto definirsi il suo carattere di palinsesto di forme, di tecniche costruttive, di usi dovuti agli interventi continui e variati nel tempo che l’hanno condizionata. A partire dalla cisterna romana, inglobata nella sala delle mostre temporanee, il vasto complesso museale riassume la variegata presenza delle diverse dominazioni dell’isola, rintracciabile anche nella cinta muraria oggi superstite di Castello. I poderosi bastioni orientali, ancora visibili in tutta la loro massiccia potenza, attendono un intervento adeguato che li trasformi in una suggestiva « passeggiata architettonica » e che metta in luce il fascino di luoghi ormai indissolubilmente legati alla storia ed alla forma della città. Le mura testimoniano dunque del progressivo mutare dei dominatori, ma soprattutto evidenziano i successivi e progressivi aggiustamenti da esse subiti, in rapporto al mutare delle tecniche di offesa e alla conseguente necessità di difendersi adeguatamente. La cinta muraria dei Pisani, inframezzata dalle torri quadrangolari di S. Pancrazio, dell’Elefante e dell’Aquila, oltre che da altre minori di forma circolare (ne è un esempio quella ancora visibile in via Fiume, all’uscita da Porta Cristina), viene rinforzata da Aragonesi e Spagnoli con i poderosi baluardi a rivellino, che vedranno fra il 1563 e il 1579 un vero e proprio intervento di « disegno » progettuale di Jacopo Palearo Fratino, rimasto in parte inalterato, nonostante i rimaneggiamenti di fine Ottocento. Vi è un momento infatti, nei primi decenni dell’Ottocento, che le fortificazioni cominciano a perdere quel carattere di chiusura e di isolamento nei confronti della città, che porteranno, a cavallo fra il secolo XIX e XX, al recupero definitivo dei bastioni meridionali come passeggiata urbana e che vedono il progressivo rinserrarsi delle funzioni militari nella cittadella-arsenale e, al contrario, « l’abbellimento » degli ingressi al Castello (primo fra tutti la Porta Cristina, sistemata nel 1825). A testimoniare il reiterato e continuo interesse nei confronti delle mura di Castello e soprattutto della cittadella, sono i molti disegni, riguardanti anche progetti poi non realizzati, disseminati negli Archivi di Stato di Cagliari e di Torino e nell’Istituto storico e di Cultura dell’Arma del Genio di Roma oppure i voluminosi carteggi e documenti, raccolti sempre nell’Archivio di Stato cagliaritano, su Artiglierie, Fortificazioni e Fabbriche militari, fra il 1720 e il 1848. L’onnipresenza delle alte gerarchie militari è del resto sottolineata dal legame sempre strettissimo fra la città «civile » e gli ufficiali ingegneri del R. Esercito, se questi, e principalmente Felice De Vincenti, Saverio Belgrano di Famolasco e Augusto de la Vallée nel Settecento e Carlo Boyl di Putifigari e Domenico Barabino nell’Ottocento, sono gli artefici dei più importanti interventi dell’architettura civile cagliaritana. Non è dunque casuale che Gaetano Cima riproponga nel suo « piano regolatore »di Castello (1858) le fortificazioni, lasciando inalterate, anche se « abbellite » scenograficamente in alcuni punti, le porte, non tanto per ragioni culturali (del resto in piena evoluzione in quel momento per i grands travaux parigini di Napoleone III e del barone Haussmann), quanto per l’ineluttabile fatto che Cagliari era ancora considerata una piazzaforte, riproponiamo il testo del piano regolatore relativo ai quartieri Castello e Marina: Il Prof. Gaetano Cima, elaborò e firmò il 9 ottobre 1858 il primo piano regolatore della Città di Cagliari (Castello e Marina), piano che divenne operativo 3 anni più tardi. Osservando il piano del quartiere Castello notiamo che il Cima si proponeva di:
Nel quartiere di Marina il Cima si proponeva di demolire:
Nel piano non era prevista la demolizione di parecchie fortificazioni: dei Bastioni di S. Agostino, del Molo, della Darsena, di S. Vincenzo, di S. Giacomo e di S. Saturnino perché dipendenti dall’amministrazione militare; del Bastione dei Morti e del tratto della Cortina di Porta Gesus svolgentesi dietro il Teatro, perché non impedivano il collegamento della Marina e degli altri quartieri. Il Cima si proponeva diversi obiettivi essenziali: unificare i quartieri separati di Castello, centro politico, militare, giudiziario, religioso e burocratico, e Marina, centro delle attività mercantili; collegare i due quartieri e le appendici di Stampace e Villanova mediante una serie di raccordi, razionalizzare le strutture cittadine esistenti. L’elemento caratterizzante del piano però era la demolizione della cinta muraria della Marina e il disegno dei futuri Largo Carlo Felice e Viale Regina Margherita. Cagliari come piazzaforte sarà soppressa solo più tardi con un regio decreto (1866) e comincerà allora il lento, progressivo abbandono delle mura. Pur fra molte polemiche riguardanti la priorità di altri interventi, questi problemi saranno risolti dalla definitiva sistemazione del bastione di San Remy fra il 1899 e il 1902. Già a partire dai primi decenni dell’Ottocento i bastioni, sia quelli meridionali, sia quelli fuori dalla cittadella a nord-est, cominciano ad essere considerati in chiave funzionale con la destinazione precipua a passeggiata per il « diletto » e il « ristoro » degli abitanti della città. Se l’appena ricordato bastione di San Remy verrà sistemato solo alla fine del secolo, l’abbellimento di Porta Cristina e di Porta Arsenale, entrambe dovute a Carlo Boyl nel 1825, sancisce, attraverso il ricorso a citazioni auliche rispettivamente dalla Porta Angelica e dalla Porta del Popolo di Roma, la volontà di rendere meno netta la separazione fra città ed apparati difensivi. Un ulteriore passo avanti sarà compiuto con la sistemazione della passeggiata del Buon Cammino. La commissione incaricata di fare il sopralluogo, insieme col Cima e col Barabino, il 16 ottobre 1843 « onde conciliare l’interesse civile col Militare proponeva di aprire una Porta nell’esterno della Cittadella invece della cancellata di ferro che la Civica Amministrazione aveva domandato di erigervi per aver accesso alla nuova passeggiata di San Lorenzo e procurare anche in tal modo un abbellimento alla Città ». Per quanto non realizzata in tali termini, questa sistemazione impose lo « spianamento » dei bastioni e l’avvio della sutura di Castello verso la parte nord-occidentale della città con l’abbattimento della Porta Reale e la costruzione della Nuova Caserma di Fanteria. Quasi a sottolineare il legame ormai stretto fra « città militare » e « città civile », la caserma denominata poi Carlo Alberto ebbe una facciata che si rifaceva ai prospetti semplici e decorosi del Nuovo Orfanotrofio delle Zitelle (1831) e dell’edificio delle Siziate (1838), oggi sede della Sovrintendenza archeologica. La costruzione dell’edificio fuori dalla cittadella fu la diretta conseguenza dell’impossibilità di trovare spazi alternativi all’interno di Castello, come pure si era tentato, per edificare un nuovo casamento che permettesse di alloggiare le truppe disseminate anche in alloggi privati, presi in affitto, con evidenti disagi e problemi di tipo anche disciplinare. Il progetto di « ampliazione » della caserma di S. Pancrazio, nella attuale piazza Indipendenza, bocciato nel 1840 dal Consiglio del Genio militare a Torino, e quello di una caserma nel bastione del Balice, difficile a conciliarsi peraltro con i preesistenti edifici dell’Università e del Seminario Tridentino, furono dunque abbandonati, con la creazione di un’« appendice » fuori dalla cittadella. L’edificio fu costruito fra il giugno 1842 e il 1846 grazie anche all’apporto dei forzati e dei galeotti. La redazione dello « stato settimanale dei lavori in corso nella Nuova Caserma di fanteria » (ASC-Segreteria di Stato II-vol. 1090) da parte del Barabino consente di seguire puntualmente il progredire della costruzione ed evidenzia la massiccia partecipazione ai lavori dei condannati e la ridotta percentuale di lavoratori civili. Nella settimana compresa, per esempio, fra il 10 e il 16 marzo 1842 contro le 331 giornate lavorative degli « Zappatori del Genio » e le 224 dei « Lavoranti borghesi » sono registrate le ben 1276 giornate dei « Lavoratori discoli ». È certo comunque che a metà dell’Ottocento anche le antiche torri pisane, vanto dell’architettura militare del Medioevo, avevano cessato completamente la loro funzione originaria: adibite le torri dell’Elefante e di S. Pancrazio a strutture carcerarie, rimaneva parte della torre dell’Aquila, già danneggiata nel Settecento, che venne inglobata dal conte Boyl nella costruzione del suo palazzo nella Iª metà del secolo XIX. Anche l’aspetto delle altre due torri si presentava ben lontano dalle condizioni originarie, come indicano chiaramente le fotografie scattate da Edouard Delessert nel 1854, che mostrano i corpi aggiunti delle costruzioni che si addossano alle torri, nascondendole per una buona parte. L’arciduca Francesco d’Austria Este (il futuro duca di Modena, Francesco IV) scrivendo nel 1812 la sua Descrizione della Sardegna tracciava del resto un quadro disastroso delle fortificazioni cagliaritane: « Il Castello è cinto da un muro, ha alcuni cattivi bastioni, ma ha poi case fabbricate sulle muraglie stesse irregolarmente, e casuppole brutte, parte di legno. Da una parte lo scoglio stesso della montagna un poco reso più perpendicolare dall’arte, ma tagliato irregolarmente forma la difesa, e come da muro del Castello. Il Castello ha una così detta Cittadella dalla parte di terra, ma che non è forte, né regolare, la sua forza unica consiste nell’essere su una collina a scoglio, del resto ha un piccolo fosso asciutto fatto nella rocca, ha dei ravellini, ma tutto senza artillieria, e in uno stato negletto. In nessun modo il Castello di Cagliari è difendibile, se non contro un primo colpo di mano, poichè è dominato anche dalla Collina del forte S.Michele, e dalle Colline di Monte Urpino verso Buon’aria, ove tutt’i forti sono distrutti, e da dove si può benissimo canonare, e bombardare la città, ed il castello, essendo le cofline più alte. Del resto il Castello di Cagliari ha tre torri mezzo diroccate una detta di S. Pangrazio, che è alla porta del castello di detto nome dalla parte che guarda verso Quarto, e dove principia la cittadella: poi la Torre dell’Elefante, che è dalla parte verso terra, verso l’interno del Regno: poi la torre dell’Aquila che dovrebbe difendere il Castello verso la marina. Ma ora queste torri servono di prigioni però sono solide, grandi, ma non tenute in istato per difesa. Poi vi sono cinque bastioni al castello, ove vi sono anche canoni, de quali uno detto bastione di Santa Caterina è piantato con alberi, e serve di passeggio pubblico, che non è lungo che 80 passi ». Questo
lungo brano, anche con la sua immediatezza dovuta a imprecisioni
lessicali e ortografiche, chiarisce molto bene lo stato precario
delle mura
del Castello già all’inizio dell’Ottocento. Il R. Decreto n0 3467
del 31 dicembre 1866 non fece dunque che accelerare
una situazione ormai definita: con la soppressione delle
piazzeforti «
cessano di essere soggetti alle servitù militari dipendenti
da
dette piazze e posti fortificati i terreni adiacenti »
ponendo le premesse per un recupero all’uso collettivo e
pacifico delle aree del
Demanio militare, che seppure protratto complessivamente per circa un
secolo, ha permesso di trasformare radicalmente le estremità
settentrionale e meridionale di Castello, rispettivamente con la
Cittadella dei musei e con il bastione di San Remy. |
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Interreg IIC Restauro - Cagliari 2000 |