Inti Wasi (Casa del sole)

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Cosmogonia andina
 
L'origine dell'universo
di Hernàn Huarache Mamani
sacerdote e curandero andino
(estratto dal libro "I curanderos delle Ande - antichi segreti della medicina incaica" di Hernàn Huarache Mamani, Riza Scienze, 1985)
 

Lo Spirito Supremo è Wiraqocha, il cui nome significa "acque sacre".

L'inizio è lo Spirito Supremo, chiamato Sapan Kamaq, ossia ordinatore dell'universo. Tutto l'universo fu creato da Sapan Kamaq con un soffio.

Questo soffio, Samay, fu l'atto della creazione. Il Samay si ripete simbolicamente ogniqualvolta si fanno offerte allo Spirito della Montagna: l'officiante infatti soffia su tre foglie di coca. Anche il contadino, prima di qualsiasi attività di una certa importanza, soffia sulla sua offerta. Così, simbolicamente, ricorda l'atto sacro della creazione compiuto da Wiraqocha.

Il nome completo dello Spirito Supremo è: Apu K'on Teqsi Wiraqocha, il fondamento del tutto. Analizzando ogni termine, si chiarisce il significato. Apu: dio, spirito. K'on: energia che fluisce, luce energetica. Teqsi: fondamento, base, sostegno. Wiraqocha: il principio delle acque sacre.

Tutto l'universo esiste perché Wiraqocha l'ha creato e l'universo non è altro che Wiraqocha stesso. All'interno di Wiraqocha, ossia nello stesso universo, si trovano una serie di Spiriti.

Quanto al nostro sistema planetario, il Sole è considerato il centro dell'universo. Vi sono poi Mercurio, Venere, la Terra, Marte, Giove e Saturno. La Terra, Pacha, è un'entità viva, respira come un essere umano e segue un proprio ciclo di vita. Il suo spirito tutelare si chiama Pacha Kamaq. Per tutti i pianeti esiste un genio protettore. La Terra ha un satellite, la Luna: essa rende le vibrazioni dell'energia diverse da quelle degli altri pianeti.

Il grado di evoluzione di un pianeta viene espresso dalla sua lontananza dal Sole: maggiore è la distanza dal Sole, maggiore è lo sviluppo spirituale. Quando una persona nasce sul nostro pianeta, ciò indica già il suo grado di evoluzione. Alla morte, una sua parte andrà verso la Luna, ma tutto il resto verso il Sole.

Se qualcuno volesse tornare sulla Terra potrebbe farlo solo se il suo grado di evoluzione glielo permettesse; se invece il suo sviluppo spirituale è progredito rinascerà su un altro pianeta con un grado spirituale più alto.

Quando un essere ha compiuto i suoi cicli su tutti i pianeti che stanno intorno al Sole, si fonde con lui, dopo di che continua ad evolversi su un'altra stella. L'evoluzione prosegue per migliaia di cicli, fino al momento in cui ci si riesce a fondere con lo Spirito Supremo, Apu K'on Teqsi Wiraqocha.

Parlare dell'uomo andino significa parlare di Kay Pacha, la Terra; di Hanan Pacha, il cielo; e di Ukhu Pacha, il submondo. Ognuno di questi mondi è abitato da una quantità di esseri viventi.

I grandi Amautakuna (maestri), Yachapukuna (saggi) e Q'ayapukuna (conoscitori dei segreti della natura) hanno sempre detto che questo mondo l'ha fatto Wiraqocha, il dio creatore e ordinatore dell'universo, detto ora anche Tatitu, Ruwal o Tatanchis.

Creò l'universo e il nostro pianeta con una trilogia perfetta. Anche l'uomo sperimenta questa divisione; è la concezione dei tre piani dell'esistenza:

Hanan Pacha: uomini morti, spirale di sviluppo spirituale

Kay Pacha: uomini nati, spirale di involuzione spirituale

Ukhu Pacha: uomini non ancora nati.

Il germe della vita sta in Ukhu Pacha, nasce dall'ovulo fecondato nella donna come il seme che cade nel solco del campo e poi esce all'esterno. La morte è la strada per un'altra vita: allo stesso modo, quando l'autunno arriva, la pianta inaridisce, il grano si addormenta fino alla prossima esistenza.

Morendo, l'involucro corporale si dissolve, poi si dissolve il nuna (anima) e infine, indistruttibile e incorruttibile, resta il kay (spirito) o aychanaq, che dopo aver espiato le sue colpe va fino al regno del Ruwal. Ma il corpo torna alla Pachamama, alla madre terra.

Secondo i principi religiosi, i buoni andranno in cielo o regno del Padre Sole, il regno della Eterna Luce e dell'Eterno Splendore. Se vi furono colpe, saranno purgate secondo la gravità in Upa Marka (regno del silenzio), in Ukhu Pacha (l'interno della terra, regno delle tenebre o della luna oscura), in Purum Llaqta (regno deserto) e in Rit'i Tiway (sede delle nevi eterne). L'anima resterà in uno di questi luoghi fino a che lo spirito sia pulito, senza macchia.

L'esistenza si svolge su tre piani che si presentano ovunque:

     
Microcosmo
Macrocosmo
Piano simbolico
Spirito
Hanan Pacha (soggiorno celeste)
Sole
Anima
Ukhu Pacha (submondo)
Luna
Corpo
Kay Pacha (mondo terrestre)
Terra
 

Anche dentro noi stessi siamo tre in uno, in una costante interazione. Ogni vita è sempre la continuazione di un'altra che l'ha preceduta. Ognuno nascendo ha un proprio destino segnato, nasce in un giorno stabilito per poi morire in un altro giorno ugualmente stabilito.

Tutto ciò che altera questa legge viene severamente punito. Ogni alterazione deve essere rimediata con il contrappeso di un'altra vita.

Parlando di Hanan Pacha si intende il cielo vicino, immediato, dove abitano gli Apu e gli Auki, gli spiriti eletti chiamati Runa Michiq, che significa "pastori di uomini".

Abitano sulle alture terrestri (colline, montagne, cime). Più alta è la montagna, più alta è l'elevazione spirituale. Infatti sulle vette innevate come il Pariaqaqa, il Salqantay, il Qoropuna, l'Ausangate abitano gli Apu, spiriti molto potenti ai cui ordini stanno altri spiriti domiciliati nelle alture meno elevate, gli Auki, che vivono in forma eterea e a volte possono prendere sembianze umane.

Più lontano, stanno spiriti come la Pachamama, lo spirito della Terra. Pachamama e Qochamama sono spiriti vicini agli uomini, mentre Pachayachachi (o anche Pachakamaq o Ruwal) è uno spirito celeste che abita sul nostro pianeta, ingloba tutti gli spiriti della terra e ne è il capo.

Anche nella Luna vive uno spirito celeste, Pajsi: è uno spirito femminile, ecco perché parlando della Luna si dice Mama Killa.

Nel sole vi sono Pauqar Inti e Tayta Inti (Padre Sole). Simbolicamente il sole è l'alambicco in cui lo spirito si purifica.

Nello spazio, tutti i corpi celesti sono abitati da spiriti, più potenti ed elevati secondo la magnitudine del pianeta stesso. Del resto, anche nel Kay Pacha, ossia l'habitat terrestre, non vive solamente l'uomo o ciò che si vede con gli occhi (piante, animali, minerali), ma anche esseri del sottosuolo com i Chinchilliku, i folletti che proteggono le miniere; gli Enqaychu, esseri elementari; i T'aqsa, i Waqsa, i Waroqllo, spiriti elementari della terra, del fuoco e dell'aria.

Anche le piante e i minerali hanno i propri spiriti guida, i propri geni: si chiamano Mama, madre.

Ogni vegetale o pianta possiede il proprio genio protettore e sono essi a svelare le proprietà delle piante e il modo di usarle per ogni malattia. La Voninsana, per esempio, è una bellissima donna, seducente come una sirena; l'Ajosquiro è un dottore che maneggia farmaci e frequenta ospedali; l'Intisunka è un uomo dai capelli bianchi; il Chachacomo è un vecchio dall'aspetto curvo.

Molto più giù del Kay Pacha, nel mondo sotterraneo, vivono una serie di spiriti elementari che si intrecciano con il Kay Pacha: il Supay, il Saqra e altri che a volte recano molestia ai viventi.

Si dice che nel submondo abitino i Ñaupa, cioè quegli esseri che popolavano la Terra prima degli uomini attuali, una umanità anteriore che fu distrutta dal Ruwal.

Molti di essi allora si nascosero nelle fonti, nelle sorgenti, nelle profondità della terra, nelle fenditure delle rocce. Di tanto in tanto escono, soprattutto nelle notti di luna nuova o luna piena. Per essi il sole è nocivo, quindi appaiono solamente al buio.

I pilastri della spiritualità andina sono costituiti fondamentalmente da tre principi:
1) il principio di amore verso se stessi e verso tutti gli esseri viventi
2) la ricerca della verità e quindi della conoscenza, che era l'elemento fondamentale che permetteva la creazione e la trasformazione
3) e, infine, il rispetto per tutti gli esseri viventi della terra.

 

 

Cosmogonia
di Massimo Frera
(estratto dalla prefazione del libro "Runa simi, racconti e leggende del popolo Inca", Stampa alternativa, 2003)
 

Il mondo del popolo quechua è vivo, pulsante e abitato da molte entità, con le quali l'essere umano può interagire quotidianamente.

L'universo inca è retto da un principio metafisico asessuato, atemporale e aspaziale che prende il nome di Viracocha. Il culto dedicato a tale entità è precedente alla formazione dell'Impero ed è rintracciabile nel "Signore dei Bastoni" raffigurato a Tiahuanaco. Egli, infatti, è colui che regge la dualità e che si situa dietro il mondo delle forme e delle apparenze. In lui tutto si riunifica. Fu Viracocha a creare la Coppia Sacra costituita dal dio maschile Ruwal (lungo la costa era chiamato Con o Pachacamac - "colui che dà energia alla terra" -) e dalla dea Pachamama, la Madre Terra. Essi sono i creatori del mondo abitato dagli uomini. Le loro principali manifestazioni sono il Sole, Inti, e la Luna, Quilla, equiparati alla coppia dei regnanti, l'Inka e la sua compagna, la Coya.

La coppia re e regina era portatrice del lignaggio che risaliva a Manco Capac e Mama Occla, primo uomo e prima donna, creati da Viracocha e, dunque, simboli della continuità esistente tra il mondo divino e quello umano.

Gli onori resi alla coppia di regnanti era un'estensione dell'attitudine incaica di mantenere una relazione costante con il divino, riconoscibile in ogni elemento della realtà. La devozione resa all'Inka e alla Coya non era inferiore a quella dimostrata alle altre emanazioni di Viracocha.

La spiritualità degli Incas portò alcuni dei primi esponenti della Chiesa venuti in contatto con la civiltà andina a definire il modello sociale inca (Tawantinsuyo) come il vero Regno di Cristo. La maggior parte dei primi evangelizzatori cristiani non solo ha taciuto sulla vera natura della religione inca, condannando al rogo i suoi fedeli, ma ha persino presentato il culto andino come una forma di primitivo e barbaro animismo.

La struttura cosmogonica inca è invece un sistema di lettura della realtà che prevede una e più presenze ineffabili intorno all'uomo. La realtà non è sminuita a semplice meccanismo lineare e scontato, ma è un insieme misterioso, e comunque conoscibile quanto necessario allo sviluppo umano.

Il pantheon andino prosegue con Inti-Illapa, il dio del tuono e del fulmine, servitore del Sole, raffigurato nella sua manifestazione animale come un puma o un giaguaro. Le tracce di questo dio si perdono nella notte dei tempi in tutto il centro e sud America. Il dio-giaguaro è un messaggero divino, è colui che crea un ponte con gli altri mondi e per tale motivo gli sciamani sviluppano la capacità di trasformarsi in questi felini.

Il Sole ha un'ancella, anch'essa considerata sua messaggera, Chasca, lo spirito del pianeta Venere. È lei che apre la via al Sole. Pitua, invece, è il nome di Giove, figlio maggiore del Sole. Susumarca sono le Pleiadi, principale costellazione della Via Lattea. Anche Quilla, la luna, ha un aspetto terrestre, Waman Kontex, dio del grano e della fecondità.

Un'importante figura è K'Uichi, l'arcobaleno. In lui si muove il potere del Sole, che crea i colori del mondo. L'unità incarnata dal principio solare, grazie a K'Uichi, diviene espressione dei molteplici aspetti della luce e della vita. Questa divinità era così venerata da essere scelta come bandiera del Tawantinsuyo.

Le divinità finora elencate vivevano nel mondo di sopra, o Hanaq Pacha, ed erano onorate nel tempio principale di Cuzco, il Coricancha, considerato la casa del Sole. L'altare principale era dedicato al principale astro del cielo e in questo spazio trovavano posto anche le mummie dei suoi discendenti in terra ('mallki' in lingua quechua), gli Inka. Alla sua sinistra trovava spazio il culto della Luna, Quilla, e delle mummie delle Coya, le regine inca. Sul lato opposto vi era l'altare a K'Uichi, l'Arcobaleno. Completavano il tempio gli spazi sacri dedicati al Tuono (Inti-Illapa) e a Venere (Chasca), che si fronteggiavano.

Il tempio del Coricancha era il vero centro dell'impero. Gli Incas ritenevano che la terra fosse viva e esprimevano la loro relazione con essa attraverso un sistema di divisione spaziale dove ogni luogo scaro era collegato agli altri e al polo centrale (Cuzco) tramite delle invisibili linee di energia (seqe). Attraverso i seqe fluiva la vita dell'impero che iniziava nel centro, Cuzco, si diffondeva nel paese e tornava al polo centrale nuovamente rigenerata.

Ogni settore definito dai seqe ricadeva sotto l'influenza di una divinità e chi vi abitava era addetto, nel periodo dell'anno predefinito, a onorare l'entità tutelare del suo settore. L'energia vitale era così distribuita in ogni settore della confederazione, secondo il principio morale chiamato ayni, corrispondente a un precetto di 'reciprocità'. La legge dell'ayni, valida sia per gli uomini, sia per le entità divine, prevede che qualsiasi scambio e azione produca un effetto di ritorno.

Non si tratta, però, di un mero baratto, perché la legge dell'ayni non specifica che l'azione di ritorno si rivolga necessariamente al soggetto che per primo ha agito.

Quindi chiunque avesse ricevuto un dono sapeva che era soggetto all'ayni e dunque, prima o poi, avrebbe dovuto a sua volta fare un dono.

Questo concetto spiega il forte spirito comunitario presente ancora oggi sulle Ande. I lavori della comunità sono svolti sotto il nome di "ayni sociale", e può verificarsi, per esempio, che un intero villaggio sia alle prese con la manutenzione o la costruzione di una nuova casa, destinata a ospitare una coppia appena sposata.

Secondo gli Incas l'ayni è perfetto solo nel mondo divino, l'Hanaq Pacha.

La legge della reciprocità è invece solo parziale nel nostro mondo e del tutto assente nel mondo sotteraneo o inferiore. L'universo è diviso in tre grandi zone. L'essere umano vive nel secondo mondo, quello di mezzo (Kay Pacha). Altre divinità di questo mondo, caratterizzato da un ayni non sempre adeguato, sono Coniraya, Signore degli Animali e le Madri delle Piante, figlie di Pachamama: Mama Zara (mais), Mama Quina (quinoa), Mama Coca (coca) e Mama Axo (patata). Altre manifestazioni di Pachamama sono le ñuste, principesse dell'acqua sorgiva, portatrici della saggezza della terra, che si manifestano nei pressi di templi dell'acqua o di luoghi particolari, detti Wiñaq Rumi. Questi sono spuntoni di roccia nuda che paiono sbucare dal terreno e sono considerati come provenienti dal centro della terra.

Il mondo di sotto (Uku Pacha) è anch'esso popolato da esseri ed è riconoscibile per l'assenza di reciprocità. Infatti qui vige solo il baratto, considerato dagli Incas la forma più bassa di scambio, in quanto non prevedeva alcun movimento di energia oltre a quello che si esaurisce nell'istante in cui si effettua lo scambio. Tuttavia l'Uku Pacha non è l'inferno cristiano. Qui vive il dio degli Inferi, Urcañay (o Supe, oppure Supay), raffigurato come un serpente per simbolizzare l'energia viva del sottosuolo. Sempre in questo mondo vivono le divinità portatrici dell'ispirazione artistica e della ricchezza. È qui che si rifugiano, secondo gli sciamani peruviani, le nostre parti malate e spaventate, è qui nel mondo infero che gli sciamani affrontano il loro viaggio estatico al fine di poter recuperare questi "pezzi di anima". Lo sciamano, grazie alle sue capacità, contatta la parte di anima da ricondurre in superficie, intavola una trattativa - un vero e proprio baratto per l'appunto - e una volta convinta l'anima stessa a seguirlo, la riconsegna al proprietario, ricostituendone l'unità primaria e lo stato di salute.

Questa relazione con il divino è continuamente vissuta e rinnovata con offerte (despacho nella lingua Runa Simi) di ringraziamento e richieste aventi come scopo la perpetuazione dell'ayni tra tutti gli esseri viventi e tra tutti i mondi. L'Inka e la Coya erano il simbolo vivente della presenza divina nell'essere umano e tra le feste che scandivano la ciclicità temporale dell'anno è da segnalare l'esposizione in processione delle mummie dei regnanti defunti. Nelle loro ossa scorreva l'energia che riconnetteva l'umanità al tempo mitico, quando l'uomo e la divinità erano una sola cosa.

 

L'anima e il suo viaggio

Il popolo quechua considera il corpo fisico come un'emanazione di un corpo energetico che lo comprende. Quando, con la morte, il corpo si separa definitivamente da quello fisico, ecco che inizia il viaggio dell'anima.

Secondo la concezione andina l'anima può vagare nel mondo di mezzo (Kay Pacha) per una settimana, periodo di tempo nel quale può concludere tutti i rapporti di reciprocità iniziati in vita.

Al termine di questa prima fase si trova a dover attraversare un fiume. Per poter riuscire nell'impresa e accedere così al mondo di sopra (Hanaq Pacha) può farsi aiutare dallo spirito di un cane (o di una foca, secondo le credenze delle popolazioni costiere) che ha accudito in vita. Dopo aver contattato lo spirito del cane amico, nella "città dei cani", l'anima è finalmente in grado di attraversare il fiume e raggiungere un luogo chiamato Pacarina, sede dell'immortalità, spesso identificato come un'isola lontana avvolta nella nebbia o la cima di un monte circondato da nubi.

Il passaggio che l'anima attraversa per raggiungere il mondo superiore si ritiene essere una caverna o una fessura tra le rocce.

Nel caso in cui l'anima non riesca a portare a termine una di queste prove (conclusione dei circoli di reciprocità, attraversamento del fiume) allora è attesa dal regno del mondo di sotto (Uku Pacha) o regno di Supay. Lì potrà apprendere la reciprocità (ayni) in attesa di una nuova incarnazione. L'Uku Pacha non è ritento dalla tradizione andina un regno oscuro o infernale, bensì sfarzoso, ricco e comodo nel quale, però, la legge della reciprocità è assente, e quindi va appresa. Waskarinka, ultimo inka insieme al fratello Atawalpa, è ora relegato in tale mondo inferiore, in quanto non essendo in grado di restituire un impero ancora più grande al proprio successore, anzi perdendolo completamente e consegnandolo agli spagnoli, non ha obbedito alla legge dell'ayni. Il mito vule che Waskarinka abbia ora il compito di insegnare la legge di reciprocità agli esseri dell'Uku Pacha. Quando ci riuscirà permetterà ai tre regni, di sopra, di mezzo e di sotto, di riunirsi in un unico regno, ricreando un'età dell'oro per tutto il genere umano.

Per istruire al meglio l'anima nel suo viaggio il corpo energetico è oggetto di attenzioni anche in vita. Nell'Impero inca una vasta gamma di sacerdoti e sacerdotesse erano preposti a favorire il contatto col divino e a trasmettere le antiche conoscenze per lo sviluppo adeguato del doppio energetico.

Nella gerarchia sacerdotale il posto più autorevole era ovviamente riservato alla coppia regnante (Inka e Coya) considerati l'emanazione in terra del principio metafisico, Viracocha. A loro era affiancato il Gran Sacerdote, o Villa-Umu, a sua volta circondato da nove Villcas o alti sacerdoti.

Ogni tempio era retto da un sacerdote o da una sacerdotessa che custodiva le conoscenze che la divinità lì riverita aveva insegnato agli umani. Nel tempio Inti-Illapa, per esempio, i sacerdoti erano custodi delle scienze chirurgiche, mentre a Pachacamac, sulla costa, aveva sede il più famoso oracolo dell'Impero. Gli esponenti della casta sacerdotale di ogni provincia erano in comunicazione tra loro e con l'Inka, grazie a dei sacerdoti 'ispettori', continuamente in viaggio tra i templi delle province imperiali.

L'influsso divinoera considerato presente ovunque e pertanto vi erano diversi specialisti in grado di connettersi ad esso o di leggerne i messaggi grazie alle sue manifestazioni fisiche. Le pratiche sacre più popolari prevedevano l'aruspicina, la lettura dei grani di mais e l'interpretazione dei sogni. Per facilitare la connessione al trascendente si faceva uso di alcune piante 'maestre', contenenti sostanze psicotrope in grado di modificare la percezione, come la Datura Stramonium, detta 'tonka', o "erba di huaca".

Una delle pratiche più estese per mantenere il "doppio energetico" privo di pesantezze e quindi più libero di viaggiare, è stato descritto dai cronisti spagnoli come 'confessione': i 'peccati' dopo esser stati espressi a un sacerdote, venivano convogliati in uno sputo e abbandonati a un ruscello. Tale pulizia aveva valenze concettuali simili a quelle della confessione cristiana, ma era inserita in un contesto di credenze diverso, secondo cui è possibile, tramite il consapevole atto magico, eliminare le impurità raccolte in vita, trasformandole così in energia purificata e utilizzabile ulteriormente.

 

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