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Spunti di riflessione: terra
 
Esiste un'egemonia della civiltà anglosassone?
di Francesco Alberoni
(Corriere della Sera, 8 marzo 2004)
 
Facciamo fatica ad ammettere che esiste una civiltà anglosassone con lingua, istituzioni, mentalità, modi di pensare e di sentire specifici. Ci ripugna pensare che Inghilterra, Usa, Irlanda, Canada, Australia e Nuova Zelanda e i Paesi anglofoni costituiscano ormai un'entità culturale diversa che domina l'economia, la scienza, le comunicazioni, la letteratura, il cinema, l'arte, la musica. Fra le due guerre la specificità anglosassone era nascosta dal gran numero di studiosi, artisti, intellettuali europei immigrati o fuggiti dal nazismo. Dopo la guerra condotta sotto la stessa bandiera, si è vissuti nell'illusione che esistesse un'unica cultura e la lingua non costituisse una differenza. Anzi la cultura francese, per qualche tempo, sembrò addirittura prevalere. Pensiamo allo straordinario prestigio di Sartre, Simone de Beauvoir, Camus, Lévi Strauss, Aron, Lacan, Foucault. E il cinema italiano era il secondo del mondo all'epoca di registi come Fellini, De Sica, Visconti, Antonioni, Monicelli, Risi, Leone, e di attori come Mastroianni, la Lollobrigida e Sophia Loren. Poi tutto è cambiato con l'avvento di una nuova generazione. Quella di Elvis Presley, dei Beatles, le rivolte studentesche, gli hippies, la rivoluzione sessuale, le minigonne, i jeans, le droghe, il femminismo, i gay. Da quel momento tutte le ondate musicali (rap, dark, punk etc.) sono venute dal mondo anglosassone insieme ai format televisivi, alla video music, ai personal computer, a Internet, ai nuovi linguaggi. L'alluvione del cinema americano, e oggi australiano, neozelandese, ha prodotto un crollo della cinematografia italiana, francese e tedesca. La mondializzazione è anglosassone: assimila scrittori e artisti di tutto il mondo. Non ha bisogno di tradurre, di doppiare. Se vuoi affermare un film devi girarlo in inglese. Il declino del festival di Sanremo esprime la perdita di competitività della musica italiana. E' nelle più importanti riviste scientifiche anglosassoni che si decide ciò che è o non è scienza. Chi vuol essere preso in considerazione, si tratti di un italiano, un tedesco, un russo o un cinese, deve far accettare il suo articolo da loro. L'inglese è diventato anche l'unica lingua con cui puoi girare il mondo, dall' Africa all' Asia, perfino nei Paesi integralisti islamici. E, nonostante tutte le chiacchiere ufficiali, è la lingua franca della Comunità europea. Una lingua, non dimentichiamolo, è il modo di pensare e di sentire di una civiltà. Chi la usa è costretto ad adottarne le categorie, i concetti, le emozioni. La fatica che noi latini facciamo a parlare inglese deriva dalla profonda differenza del nostro modo di sentire e di pensare. Lo stesso per i giapponesi e i cinesi. Il filosofo tedesco Jonas ha dimostrato che il dominio della lingua greca ha soffocato per secoli il pensiero religioso orientale fino al momento in cui questo ha scatenato, come rivolta, i grandi monoteismi ebraico, cristiano e islamico. Lo stesso sta facendo la civiltà anglosassone. Indebolendo le altre lingue spegne nei popoli la capacità di esprimere quanto hanno di più proprio.

 

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