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Spunti di riflessione: terra |
Riinnamorarsi di Milano |
Franco Loi, poeta, intervistato da Gian Guido Vecchi |
(Corriere della Sera, 15 aprile 2004) |
«Tempo fa stavo in bus, l'autista si è accostato a una fermata e ha aperto, mi pareva una manovra perfetta ma avrebbe dovuto vedere quella signora, ha cominciato a urlare furibonda contro l'autista, secondo lei era stato lento. Una reazione sproporzionata, capisce?, bastava che aspettasse un secondo o due...Mah, forse ha inveito per tutte le volte che ha aspettato l'autobus e non è arrivato». Silenzio perplesso. «Mia moglie mi raccontava che l'altro giorno, all'incrocio lì da basso, c' era un vigile che ha fermato un camion perché c'è divieto. Poi il vigile se ne è andato, il camion è passato lo stesso e ha tirato sotto una donna». Franco Loi, settantaquattro anni, tira un sospiro, «ci sono episodi che non entrano nella statistiche, violenze che non compaiono nelle cronache perché non ci scappa il morto, però anche questa è violenza, capisce?, ce n'è molta di più di quanto non si pensi, una violenza tremenda». A volte non si capisce più e allora si chiede la parola di un poeta, in fondo la letteratura è uno specchio nel quale ci riconosciamo. E Loi - mamma emiliana di Colorno, papà sardo - è «milanes püssé d' un milanes», milanese più di un milanese, lui che del dopoguerra è forse il poeta che più ha rappresentato lo spirito di Milano e la bellezza del suo dialetto. Se gli si chiede come la città sia cambiata, se sia la stessa cosa raccontarla oggi in una poesia, lui sorride appena e si lascia sfuggire una frase che dice tutto: «Vede, il racconto non cambia. La differenza è che anch'io, adesso, le sto parlando mentre guardo l'incrocio da una finestra». La «città condivisa» si è frantumata in un pulviscolo di insoddisfazioni e rabbie covate dietro le finestre. «C'è un problema generale che ha a che fare con l'atteggiamento che abbiamo verso l'uomo, la vita di un uomo, e non riguarda certo solo Milano: è cambiato il nostro vivere, il modo di pensare, per una cosa da niente si spara. Qui c'è sproporzione tra la rapina e il gesto. Ma non basta. Chissà quante volte a questo gioielliere sono capitate situazioni che lo hanno precipitato nel panico, cose che non sappiamo. Così in quel momento il gioielliere non pensa che sono disarmati, no: esce e spara. E la gente, il quartiere si riconosce in lui. Perché magari credeva fossero armati. Magari aveva paura, come tutti». Ecco l'essenziale: la paura. «Guardo dalla finestra e vedo solo tetti di macchine. Può sembrare banale, ma anche questo ha cambiato il nostro rapporto con gli altri: pure io, che non ho la macchina, quando mi capita di salire guardo gli altri in modo diverso, ostile, l'altro non è più un uomo ma un oggetto, qualcosa che mi sorpassa o mi taglia la strada. E poi c'è il ritmo della città, la frenesia, i consumi indotti: la gente corre come matta per raggiungere ciò che non può che lasciarla scontenta. È come nelle carceri, costruite sulla violenza: gli ordini non si sentono, ma ci sono». Paura, insoddisfazione. Anche l'immigrazione degli ultimi anni ha stravolto i quartieri, «intendiamoci: Milano ha mantenuto quel senso di accoglienza che la distingueva da altre città, qui non ci sono mai stati cartelli del tipo "non si affitta ai meridionali". Però sono arrivati questi ragazzi, che magari dalla televisione hanno immaginato di raggiungere il Bengodi e vogliono, anche loro, le stesse cose, "anch'io ho il diritto di avere qualcosa..."». L'aveva già scritto. «Sèm sensa culpa e quasi sensa storia (...) Slöja la cultura, merda la vita / la veritâ cunsciada de busía, / i macchin che ghe magna temp e gioia....». «Siamo senza colpa e quasi senza storia, noia la cultura, merda la vita, la verità acconciata a bugia, le macchine che ci mangiano tempo e gioia...». Il poeta sorride: «Se esci con la tua fidanzata e sei innamorato, tutto ti sembra meraviglioso. Ci sono momenti che cammino per Milano e c'è un bel sole, i tramonti che qui sono così belli, i tram che luccicano, i panni stesi. Forse bisognerebbe esserne innamorati, di questa città. Capisce?». |
Figura 1: Abside del Duomo di Milano |
LETTERA D'AMORE Mia cara, |
Figura 2: Il cenacolo di Leonardo Da Vinci |
La mia primavera On spaventapasser vestii de strasc in mezz a on camp de forment l'è content anca lù, el dà a traa al vent el donda i brasc I rondin, matt de felicitaa, sgoratten in del ciel de chì e de là Che bella primavera! Torna on'illusion de giovinezza, on brivid d'amor, de poesia, ona dolcezza che la me slarga el coeur e a mì me par de corr, de corr insemma al vent, de rid e de cantà de brascià sù la gent, de basà chi el me voeur ben. Mi son nassuu col sô de Marz, Soo nò come ma el vent de primavera el m'ha menaa bon, el m'ha scorlii, per vess vesin con l'anima sincera ai creatur men fortunaa de mì. El ricòrd tegnuu viv, ricev on soris, ona parola bonna, incontrà ogni tant ona cara personna l'è quell che ognun el spera, la compagnia e l'amor, on'amicizia vera l'è el regall pussee bell che fa piasè ottegnì in on dì de primavera. Nino Pizzoccheri da: SCIROEU de MILAN |
Figura 3: La Madonnina sul Duomo |
Profumm Saraa in d’ona conchiglia Profumm d’altar Incens che se consuma Come l’amor duraa ‘na vita intera Profumm de quij silenzi Che vosaven al vent I tò torment sopii Profumm de fior...de tì ròsa de maggio infogada de sô de primavera, ingorda de respir e de rosada profumm d’erba tajada... E teved de lugher in fond al coeur A la lus de quij oeugg de quell soris Che me carezzen denter ‘na cornis. |
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da "Il marzo 1848" quasi incredulo che i 34 anni di oppressione ...Sicché, l’è vera o hin ball? uno sparo da lontano...dà.inizio alla rivolta! ...L’è staa de quel moment e le donne? ...I donn han faa miracolde forza, de virtù, de intelligenza: pù né lacrim, né ciacol, eren el balsem de la providenza: lor colà piomb, lor medegà ferid, lor mett coracc a tucc e fa, col coeur strasciaa, bocchin de rid. Lor fa bind e filaper, e fina trattà ‘l s’ciopp compagn di gucc e mandà al babbi on rebellott de Slaper. |
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