Inti Wasi (Casa del Sole)

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Spunti di riflessione: terra
 
In Nepal si celebra il 50° anniversario dell'ascesa al Monte Everest
 

Mt.Nupste(25,850 ft.), Mt. Lhoste (27,890ft) e Mt.Everest(29,028ft) dal Nepal

Figura 1: Mt.Nupste(25,850 ft.), Mt. Lhoste (27,890ft) e Mt.Everest (8.846 m), visti dall’alta valle del Khumbu, dal Nepal

 

Figura 2: Tramonto sull’Everest, dal belvedere del Kala Pattar, m. 5450, versante nepalese

 

Figura 3: La vetta dell’Everest, salendo dalla cresta Nord

 

Figura 4: Il monastero di Rongbuck, a 5000 metri, sul versante tibetano. Poco più in alto è il Campo Base delle spedizioni al versante Nord dell’Everest

 

Figura 5: Il ghiacciaio di Rongbuck, salendo al Campo base avanzato, m.5500

 

Figura 6: Le spettacolari formazioni di ghiaccio, a forma di vela, formate dal disgelo sul ghiacciaio superiore di Rongbuck

 

Figura 7: L’altissima parete Nord dell’Everest, come appare dal versante tibetano

 

Figura 8: L’Everest al tramonto. In primo piano, il Chang-tse

 

Everest dal Nepal

Figura 9: Everest dal Nepal

 

In occasione del 50° anniversario della conquista della vetta piu’ alta del mondo, nel 2003 si moltiplicano le inziative per celebrare l’avvenimento.

L’Everest, nella catena dell’Himalaya al confine tra il Nepal e il Tibet, rappresenta una delle piu’ impegnative e significative scalate del mondo.  
Il nome occidentale della montagna, Chomo Lunga in tibetano e Sagarmatha in Nepal, e’ stato ereditato da George Everest, un ufficiale inglese che nel 1823 si dedico’ alla sviluppo della cartografia dell’India.
La prima esplorazione alpinistica risale al 1921, e, dopo diversi tentativi, il 29 maggio 1953, Tenzing Norgay Sherpa e Edmund Hillary furono i primi uomini a raggiungere la vetta della montagna, a quota 8.846 metri.

Hillary e Tenzing in vetta

Figura 10: Hillary e Tenzing in vetta

 

Per commemorare l’impresa, il 29 maggio 2003 si svolgerà a Kathmandu una celebrazione per onorare Sir Edmund Hillary, i membri della spedizione inglese del 1953 e la famiglia di Tenzing Norgay.

 Da quello storico giorno oltre 1300 persone sono salite sul tetto del mondo e diverse spedizioni sono previste per ricordare l’avvenimento.

Man mano che gli anni passavano, Hillary si è interessato del benessere del popolo del Nepal. Durante gli anni 60, è ritornato in quel paese per dare un aiuto allo sviluppo di quella società, alla costruzione di ospedali e d’istituzioni scolastiche.
Nel 1975, Hillary, risale in barca il Gange dalla sua foce fino ai torrenti himalaiani da cui nasce. Quella che è stata vissuta da Hillary come un’avventura, è stata vissuta dagli Indiani come un pellegrinaggi.
Negli anni 90, Hillary ha continuato a lavorare per organizzazioni come l’UNICEF e il World Wildlife Fund. Ha ugualmente portato il suo aiuto al popolo Nepalese al quale è eternamente riconoscente di avergli permesso di calcare l’Everest.

Cresta finaleCima Everest

Figure 11 e 12: Cresta finale e cima Everest

 

 

Jamling Tenzing Norgay, Lo sherpa, Edizioni Piemme

Copertina del libro di Jamling Tenzing Norgay

Figura 13: Copertina del libro di Jamling Tenzing Norgay

Figlio del grande Tenzing Norgay, il mitico sherpa che, nel 1953, conquistò con Ed Hillary la cima dell'Everest, Jamling Tenzing Norgay era destinato a una vita tranquilla da uomo d'affari. Studi esclusivi, dieci anni in America nel piatto New Jersey, "niente di più lontano dalle montagne del Tibet", come dice Krakauer nella sua introduzione. Poi la morte del padre lo richiama in patria, e a questo punto Jamling Tenzing Norgay è libero di dare ascolto a un altro richiamo, quello dell'Everest. Allenatosi per mesi, diventa il capo scalata della spedizione Imax, guidata da David Breashears. La spedizione del 1996 sarà una tragedia prima di diventare un successo. Una tempesta di neve miete al campo base cinque vittime, ma le divinazioni di un Lama buddista e la sua propria ostinazione convincono Jamling a riprendere l'ascesa. Intrecciando la storia della sua scalata all'avventura paterna, Jamling Norgay ci dà un libro diverso da tutti quelli che l'hanno preceduto, "il migliore del gruppo", per citare Krakauer: un libro che unisce sogno e avventura, spiritualità e coraggio, una visione dall'interno nel mondo degli sherpa, raccontata dal punto di vista di chi è cresciuto ai piedi di quelle vette, e sa che devono essere affrontate con "umiltà e amore e non aggredite con la forza, come in battaglia".

 

Salite per la vetta dell'Everest (da NASA Visible Earth)

Figura 14: Salite per la vetta dell'Everest (da NASA Visible Earth)

 

Salite per la vetta dell'Everest

Figura 15: Salite per la vetta dell'Everest

 

Pareti del Monte Everest (da NASA Visible Earth)

Figura 16: Pareti del Monte Everest (da NASA Visible Earth)

 

Monte Everest (Chomolungma, Goddess Mother of the World) (da NASA Visible Earth)

Figura 17: Monte Everest (Chomolungma, Goddess Mother of the World) (da NASA Visible Earth)

 

 

Miyo Longzunma

tratto da

Logo del Dharmapala Thangka Centre (School of Thangka Painting

 

Miyo Longzunma [Immutable Fair Lady of Heaven or Immovable Noble Mind]

Figura 18: Miyo Longzunma [Immutable Fair Lady of Heaven or Immovable Noble Mind]

Miyo Longzunma [Immutable Fair Lady of Heaven or Immovable Noble Mind], yellow in colour, offering savory foods with the right hand and holding a gold bowl filled with auspicious symbols the left - riding on a large young tiger.

Very often she is depicted together with her four sisters:

Blue colored Tingeyalzunma [Fair Lady of the Blue Face] riding a wild ass and offering a mirror and a banner.

White colored Tseringma [Auspicious Lady of Long Life] riding a blue-eyed lion with red and gold mane and tail.

Red colored Jeuben Drinzunma [Crowned Lady of Good Voice] riding a mule and offering a sack and a Baming jewel

Gren colored Degar Drozunma [Fair Lady of Virtue and Action] riding a dragon and holding a snake and a bundle of shrubs, possibly as the offering for increasing livestock.

As Tibetan mountain spirits living on the Tibet-Nepal border the Five Long-life Sisters belong to the 'sman' class of worldly deities. Subjugated by Guru Padmasambhava in the 8th century they became avowed protectors for Buddhism.

Each of these beneficent goddesses, who inhabit mountain peaks above glacial lakes along the southern border of Tibet, controls a special boon, but together they are supposed to protect Buddhism.

Miyo herself gives the blessing of food; her sister Tashi Tseringma's special gift is long life; Tekar Dosangma grants whongdup, or good luck; Chopen Dinsangma grants wealth; Thingri Shelsangma gives telepathic powers.

The five sisters belongs with the group of Dakinis [sky walkers]. They symbolizes the five main peaks of the Himalayan Range, all of which stand towering at the south-west border of Tibet in defense of the happy paradise.

A manifestation of Guru Padmasambhava is depicted at the top.

Miyo Longzunma [Immutable Fair Lady of Heaven or Immovable Noble Mind]

Figura 19: Miyo Longzunma [Immutable Fair Lady of Heaven or Immovable Noble Mind]

 

Guru Padmasambhava

Figura 20: Guru Padmasambhava

 

Viso di Miyo Longzunma

Figura 21: Viso di Miyo Longzunma

 

Testa della tigre

Figura 22: Testa della tigre

 

 

Tempesta sull' Everest, 3 morti e decine di dispersi
di Cappon Massimo
(Corriere della Sera, 21 maggio 2004)
 
La spedizione italiana riesce a salvare un gruppo di alpiniste catalane.

La trappola è scattata nella notte, dopo tre giorni di bel tempo che avevano scatenato una vera e propria corsa verso l' alto. Il bilancio è ancora provvisorio, ma ci sono già tre vittime accertate e decine di alpinisti dispersi, molti sorpresi sulla via del ritorno dalla vetta più alta del mondo. Ancora una volta è stata un' ondata di maltempo improvviso e di neve a far scattare una trappola mortale tra i 7 e gli 8.000 metri. La convergenza simultanea di due depressioni, una sul Tibet, una sull' India, si è saldata sull' Himalaya e chi si era fermato nei campi alti è rimasto bloccato da una violentissima bufera. La giornata al Campo Base Avanzato sul versante nord, a 6.500 metri di quota, il quartier generale della spedizione italiana Everest-K2-2004, è iniziata con un brusco risveglio. «Qui in alto è tormenta» comunicava via radio dal Campo 2, a 7.700 metri, il vicecapospedizione, Soro Dorotei. La sua squadra, di 6 alpinisti, era partita il giorno prima per riprendere le operazioni del complesso progetto alpinistico-scientifico di misurazione dell'Everest. Ma subito si è avuta la sensazione di una tragedia incombente. Le vittime accertate sono due sudcoreani, rimasti assiderati sulla vetta, e una sessantatreenne giapponese - che inseguiva il record della donna più anziana mai salita sull' Everest - morta durante la discesa. Daniele Nardi, un ragazzo di Sezze aggregato a una spedizione catalana di sole donne di ritorno dalla cima dell' Everest, aveva lanciato già mercoledì sera l' allarme per la sorte delle due ragazze che erano con lui, Nuria Balaguè e Mayte Hernandez, entrambe di Barcellona, fermatesi al Campo 3, a 8.300 metri. Una terza ragazza, Silvia Ferrandis, medico del piccolo team catalano, si è presentata sconvolta al campo italiano ieri mattina, raccontando che le sue amiche avevano ossigeno soltanto fino a mezzanotte ed erano esauste. Nuria e Mayte si sono messe in contatto radio intorno alle 8, mentre con molto coraggio tentavano una disperata discesa nella tormenta puntando verso le tende del Campo 2. E' cominciata così una giornata drammatica, seguita in diretta, minuto per minuto, dal Campo Base Avanzato italiano. Le loro frasi apparivano sempre più spaventate e incoerenti. Mayte, in particolare, era al limite dell'incoscienza. Dopo diverse ore, finalmente, incoraggiate a seguire la linea delle corde fisse e a non cedere alla tentazione di fermarsi, Nuria e Mayte hanno raggiunto le prime tende del Campo 2. Un centinaio di metri più in basso c' erano gli alpinisti italiani. Incontro alle due ragazze, guidati da incerte descrizioni sulla posizione e la forma della tenda («a rombi grigi e arancione»), sono immediatamente saliti Silvio «Gnaro» Mondinelli, Giulio Maggioni e Michele Compagnoni, con due bombole di ossigeno e un thermos caldo. In meno di mezz' ora le hanno raggiunte e la tensione si è finalmente allentata nel sollievo generale. Le due ragazze erano sfinite ma non lamentavano congelamenti e si sono rianimate con una bevanda calda e con l'ossigeno. Più tardi sono state in grado di scendere, accompagnate anche da Marco Forcatura e Marco Confortola, fino al Campo 1 del Colle Nord, a 7.000 metri. Da lì sono state calate sulle corde fisse di un muro ghiacciato alto 500 metri fino al Campo Base Avanzato. L' operazione di soccorso si è dunque conclusa con pieno successo, ma restano le preoccupazioni legate alle condizioni del tempo, che di fatto rendono impossibile prevedere quanti altri alpinisti dispersi (tra questi, sembra, anche due italiani di una spedizione triestina bloccati al campo 3) potranno sopravvivere alla furia improvvisa del gigante dell' Himalaya.

20 maggio 2004 - campo base avanzato

Risveglio sotto la neve al campo base avanzato dell'Everest. Ai campi alti è bufera, comunica Soro Dorotei da campo II. La convergenza di due depressioni, una sul Tibet, una sull'India, grava in questo momento sull'Himalaya ed è diventata una trappola per chi nei giorni scorsi è salito in alto sulla montagna.

La prima vittima è probabilmente un sudcoreano, rimasto assiderato presso la vetta. Ma già da ieri sera, al campo base italiano, è scattato l'allarme per la sorte di due ragazze catalane, Nuria e Mayte, fermatesi a campo III, a metri 8300, sulla via del ritorno dalla cima dell'Everest.

Una terza ragazza, Silvia, medico del piccolo team catalano, si è presentata questa mattina da noi molto preoccupata, raccontando che le sue due amiche avevano ossigeno soltanto fino a mezzanotte e già ieri sera apparivano molto stanche. Vergognosamente, erano state abbandonate dagli sherpa al loro destino appena le condizioni del tempo erano cominciate a peggiorare.

Nuria e Mayte si sono messe in contatto radio intorno alle 8, mentre con molto coraggio tentavano una disperata discesa nella tormenta puntando verso le tende di campo II. E' cominciata così una giornata drammatica, seguita in diretta, minuto per minuto, dal campo base avanzato. Le loro frasi apparivano sempre più spaventate e incoerenti. Una delle due, in particolare, appariva al limite dell'incoscienza. Dopo diverse ore, finalmente, incoraggiate a seguire la linea delle corde fisse e a non cedere alla tentazione di fermarsi, Nuria e Mayte hanno raggiunto le prime tende di campo II.

Un centinaio di metri più in basso c'era la prima squadra di alpinisti italiani, saliti ieri per riprendere le operazioni di salita. Incontro alle due ragazze, guidati da incerte descrizioni sulla posizione e la forma della tenda ("a rombi grigi e arancione"), sono immediatamente saliti Silvio "Gnaro" Mondinelli, Giulio Maggioni e Michele Compagnoni, con due bombole di ossigeno e un thermos caldo. In meno di mezz'ora le hanno raggiunte e la tensione si è finalmente allentata nel sollievo generale.

Le due ragazze erano sfinite ma non lamentavano congelamenti e si sono subito rianimate con una bevanda calda e con l'ossigeno. Più tardi sono state in grado di scendere, accompagnate dai loro soccorritori italiani fino a campo I. Da lì al campo base avanzato potevano intervenire anche gli sherpa della spedizione Everest-K2-2004 guidati da Zangbu, che in teoria avrebbero dovuto salire oggi al Campo 3.

L'operazione di soccorso si è dunque conclusa con soddisfazione di tutti, ma restano naturalmente le preoccupazioni legate alle condizioni del tempo sulla montagna. Sono previsti almeno tre giorni di cattivo tempo prima di una nuova speranza di poter puntare alla vetta e di portare avanti il complesso progetto scientifico di misurazione con il Georadar-GPS.

Figura 23: Il soccorso alle due ragazze catalane, accompagnate con l’ossigeno al campo italiano a 6500 metri

Figura 24: Mayte Hernandez, Silvia Ferrandis e Nuria Balaguè, ormai fuori pericolo dopo l’avventura a lieto fine

 

21 maggio 2004 – 19.30 ora campo base (15.30 ora italiana) di Massimo Cappon

L’Everest rimane invisibile, avvolto in una cortina di nuvole, mentre la neve continua a cadere sulle tende del Campo Base Avanzato, dove sono  riuniti tutti gli alpinisti della spedizione Everest-K2-2004. Poco più in basso, tra le tende di oltre 20 spedizioni, è difficile anche sapere chi manca ancora all’appello.

I morti accertati sono per il momento sempre 4, tre sudcoreani e una giapponese caduta sul Second  Step. Si temeva per la sorte di due italiani, Giuseppe Pompili di Bologna e Adriano Dal Cin, di Conegliano, che da giorni non  davano più notizie. Pompili è sceso questa mattina, dopo tre giorni passati oltre gli 8000 metri. Ha raccontato di avere raggiunto la cima dell’Everest il giorno 19 e di essere rientrato al campo III. Il giorno 20 ha cercato invano di convincere il suo compagno a scendere con lui al campo II.

Dal Cin è invece partito per tentare da solo la vetta, una decisione abbastanza assurda viste le condizioni. Da allora, di lui non si hanno più notizie. Giuseppe Pompili era il capogruppo di una minispedizione all’Everest organizzata dalla agenzia “Avventure nel Mondo”.

“In questi giorni ne abbiamo viste di tutti i colori - sbotta severo Soro Dorotei, vice capo spedizione di K2 2004 – Noi ci siamo preparati fin dai primi mesi del 2003. Ci siamo coordinati con la postazione logistica del campo base avanzato e la sede di Bergamo per avere ogni giorno le informazioni indispensabili per non far correre rischi inutili ai nostri alpinisti.  Qui attorno invece c’è gente che non è mai stata in montagna e non sa nemmeno allacciarsi i ramponi e pretende di arrivare in cima all’Everest! Non c’è alcun rispetto per queste montagne. Ma poi, basta un piccolo errore e si paga carissimo”.

Due belle immagini testimoniano le condizioni della montagna prima e dopo labufera:

Figura 25

Figura 26: nelle foto 25 e 26 l'Everest prima e dopo la bufera

 

 

La via tibetana, dove gli inglesi si avventurarono per primi nel 1921
di Franco Brevini
(Corriere della Sera, 25 maggio 2004)
 
Sarebbe piaciuta a Mummery la vittoria dei nostri ragazzi all' Everest. Lo scalatore inglese, scomparso nel tentativo di raggiungere proprio una vetta himalayana in anni in cui quasi nessuno pensava agli ottomila, aveva teorizzato per l'alpinismo l'etica dei fair means, dei «mezzi puliti e onesti». E i quattro italiani agli 8.848 metri del tetto del mondo sono arrivati così, senza barare, rinunciando all' ossigeno, che usa invece il 95% dei salitori dell' Everest. Come Messner alcuni anni fa, hanno scelto la strada della sfida sportiva e del confronto leale. E lassù, su quei pochi metri di neve posti alla stessa quota in cui volano i jet commerciali, hanno lavorato per tre ore, azionando il georadar, predisponendo il Gps, montando la mira. Chi abbia ascoltato le conversazioni con il campo base avanzato, è stato colpito dalla lucidità di quelle parole pronunciate da uomini che avrebbero dovuto essere confusi dall' ipossia. I nostri alpinisti sono saliti lungo la via del versante tibetano, divenuta una delle due «normali» dell' Everest. L'altra è la via che sale dal versante nepalese, lungo l'Ice Fall e il colle Sud, superata da Hillary e Tenzing durante la prima vittoriosa ascensione del 1953. Ma quella del Tibet è stata la direttiva lungo la quale si accanirono gli inglesi per un ventennio, a partire dal 1921, quando Mallory, nel corso di una spedizione ricognitiva, fu fra i primi occidentali ad avvistare l' Everest dal versante nord. Dove le nostre squadre hanno steso le corde fisse gli inglesi pagarono di persona ogni conoscenza acquisita sul mondo dell' alta quota. Gli inglesi si accanirono su questo versante per due decenni, spendendo decine di migliaia di sterline e versando un pesante tributo in termini di vite umane. Le più celebri vittime dell' Everest furono Mallory e Irvine, che l' 8 giugno 1924 furono scorti a 8.450 metri poco sotto la vetta. Poi la nebbia li avvolse e neppure il ritrovamento del corpo dello scalatore inglese qualche anno fa ha chiarito il più celebre giallo dell' Everest: furono loro o furono Hillary e Tenzing i primi salitori? Negli anni Trenta alla guida delle spedizioni britanniche troviamo Eric Shipton. Le squadre si avvicendarono nel 1933, nel 1935 e, sotto la guida di Bill Tilman, nel 1937, ma nessuna eguagliò la quota di Mallory e Irvine. Shipton si ripresentò nel 1951, ma solo per cogliere l' ennesimo insuccesso. Intanto lo scenario internazionale andava mutando. Dopo la guerra l' apertura del Nepal agli occidentali rese accessibile la via del Khumbu, lungo cui si sarebbe svolta l' ascensione vittoriosa del 1953. Quanto alla storica via tibetana, occorre attendere il 25 maggio 1960 perché una spedizione cinese raggiunga la cima lungo le creste nord e nord-est. La mancanza di foto della vetta contribuì a scatenare le polemiche soprattutto fra gli alpinisti occidentali. Nell'ultimo tratto i cinesi e il tibetano che era con loro avanzarono in ginocchio per la stanchezza. Avevano camminato tutta la notte ed erano arrivati in vetta all' alba. Nello zaino portavano un busto di Mao che nascosero sotto un cumulo di pietre. In discesa ritrovarono un compagno che aveva trascorso un terribile bivacco nella zona della morte, ma aveva rinunciato a servirsi dell' ossigeno per offrirlo a loro. Proprio questo dell' ossigeno sta diventando la pietra del paragone dell' alpinismo himalayano. Nei giorni scorsi le cronache si sono occupate del nepalese che ha salito l'Everest in nove ore dal campo base. Una performance straordinaria, resa possibile però dall' impiego costante dell' ossigeno. Chi abbia sperimentato anche a quote più basse la differenza tra salire con l' ossigeno e senza, può rendersi conto del diverso significato che un' impresa assume grazie a questa variabile. Prima o poi occorrerà riscrivere le classifiche dei conquistatori degli ottomila, distinguendo tra chi ha respirato con la maschera e chi si è accontentato del magro 20% di ossigeno disponibile a 8.000 metri. Scalare l'Everest vuol dire sperimentare il disagio dell' altissima quota. Se lo si riduce attraverso le bombole, la montagna che si sale non è più l' Everest, ma un' altra che sta 3-4.000 metri più in basso. Una quindicina di giorni fa alcuni scalatori italiani erano giunti a 8.600 metri. Ma decisero di rinunciare perché volevano salire senza ossigeno. Durante la discesa si trovarono a soccorrere gli alpinisti che si dirigevano verso la vetta con le bombole. Ora la nostra spedizione ce l' ha fatta e la sua è la vittoria della serietà e dell' impegno, ottenuta senza scorciatoie: ecco il significato del nostro Everest. Un risultato sportivo e scientifico, il modo migliore per inaugurare i festeggiamenti dei cinquant'anni della prima ascensione italiana al K2.
 

Figura 27: Un momento dell'ascesa del gruppo italiano

Figura 28: Gli alpinisti poco prima di raggiungere la vetta

Figura 29: Gli utlimi passi prima del traguardo

Figura 30: Gli alpinisti vicini alla loro meta

Figura 31: i campi base sull'Everest

 

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