L'unica alternativa
di Edward Said



dal Al-Ahram Weekly 1-7 Marzo 2001


Visitai il Sud Africa per la prima volta nel maggio del 1991: in un periodo buio, piovoso e ventoso, mentre ancora l' Apartheid regnava, sebbene l'ANC e Nelson Mandela fossero stati liberati.
Sono tornato dieci anni dopo, questa volta in estate, in un paese democratico in cui l' Apartheid è stato sconfitto, l'ANC in forza, e una civile società contenziosa sta cercando di portare avanti gli obiettivi necessari per ottenere uguaglianza e giustizia sociale in questo paese ancora diviso e pieno di problemi economici. Ma nonostante, con la fine dell' Apartheid il 27 aprile 1994 è stato istituito il primo governo democraticamente eletto, rimane uno dei più grandi successi mai registrati nell'arco della storia. Nonostante le attuali problematiche, il Sud Africa è decisamente un paese che ispira fortemente una visita, in parte per gli Arabi, ma soprattutto perch&ueacute; ha molto da insegnare in fatto di lotta, originalità e perseveranza.

Questa volta sono venuto come partecipante in una conferenza sui valori dell'educazione, organizzato dal Ministero dell'Educazione. Qader Asmal, il ministro dell'educazione, è un vecchio e stimato amico che ho incontrato molti anni fa mentre era in esilio in Irlanda.
Parlerò più approfonditamente di lui nel mio prossimo articolo. Come membro di gabinetto, attivista da lungo tempo dell'ANC, uomo di legge e accademico di successo, fu in grado di persuadere Nelson Mandela (oggi 83enne, di salute cagionevole e ufficialmente ritirato dalla vita pubblica) ad indirizzare la conferenza nel primo pomeriggio. Ciò che disse Mandela mi impressionò molto, soprattutto grazie alla prestigiosa figura che rappresenta, nonch&ueacute; il suo profondo carisma e le abili parole pronunciate. Inoltre un avvocato come allenamento, fa di Mandela un uomo di ammirabile eloquenza e malgrado i migliaia di discorsi ed occasioni di rito, sembra abbia sempre qualcosa di avvincente da dire.

Fondamentalmente, sono state due le frasi che mi hanno colpito in un fine discorso sull' educazione, un discorso che attirò l'attenzione sull'attuale stato di depressione della maggioranza del paese, "languendo in abiette condizioni di materiale e sociale privazione" . Dunque ha ricordato agli ascoltatori, "il nostro sforzo non è finito," nonostante che - ecco qui la prima frase - la campagna contro l' Apartheid "sia stato uno dei più grandi sforzi morali" che "hanno catturato l'immaginazione mondiale." La seconda frase riguardava il suo descrivere la campagna anti-Apartheid non semplicemente come movimento per abortire ogni discriminazione razziale, ma come mezzo "per tutti noi al fine di asserire la nostra comune umanità." Incluse nelle parole "tutti noi" tutte le razze del Sud Africa, i bianchi del pre- Apartheid, che furono previsti come partecipanti nello sforzo il cui scopo finale era una pacifica coesistenza, tolleranza e "realizzazione di tutti i valori umani".

La prima frase mi ha incuriosito in modo cruento: perch&ueacute; la lotta Palestinese non cattura (ancora) l'immaginazione mondiale e perch&ueacute; non appare come un grande sforzo morale, come ha detto Mandela riguardo l'esperienza in Sud Africa, che ha ricevuto "quasi un supporto universale. virtualmente da tutte le persuasioni e parti politiche?"

A seguito dell'avvento di un genuino movimento di liberazione Palestinese, alla fine degli anni '60, in passato si colonizzarono paesi come l'Asia, l'Africa e l'America Latina adottando la lotta Palestinese, ma fondamentalmente, il bilancio strategico si risolse largamente a favore degli israeliani; sostenuto incondizionatamente dagli Stati Uniti (5 bilioni di dollari di supporto economico). E in occidente, quasi la totalità dei governi ha appoggiato Israele. Per ragioni fin troppo note, l'ambiente arabo ufficiale fu palesemente ostile o perlomeno tiepido nella sua dimostrazione di supporto sia verbale che finanziario.

Per via del fatto che i movimentati obiettivi strategici dell'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) furono sempre offuscati da inutili atti terroristici, mai stati ben indirizzati o eloquentemente articolati, e data la preponderanza di un discorso culturale in occidente mai ben conosciuto e comunque mal compreso dai politicanti ed intellettuali Palestinesi, non siamo mai stati effettivamente in grado di sostenere una profonda causa morale. L'informazione israeliana potrebbe sempre appellarsi (e sfruttare) sia l'olocausto che inopportuni atti terroristici palestinesi, e quindi neutralizzare o oscurare il nostro messaggio. Non ci siamo mai concentrati come popolo di lotta culturale in occidente (tra l'altro l'ANC ha poi ben presto realizzato essere la chiave per insidiare l'Apertheid) e dunque semplicemente non abbiamo evidenziato in modo umano, le modalità consistenti in incommensurabili offese e discriminazioni dirette a noi da Israele. La maggior parte di coloro che guarda la televisione oggi non ha la bench&ueacute; minima idea della brutale politica razzista vivente in Israele, o le continue distruzioni, torture o sistematiche privazioni a cui sono soggetti i palestinesi solo per il fatto di non essere ebrei. Come scrisse un giornalista sud africano di colore, su uno dei giornali locali, mentre era in visita a Gaza, l'Apartheid non è mai stato così vizioso e disumano come il sionismo: pulizia etnica, quotidiane umiliazioni, punizioni collettive su vasta scala, appropriazioni indebite di terre ecc.

Ma, anche questi eventi, meglio conosciuti come un'arma in una battaglia oltre valori tra Sionismo e i Palestinesi, non sarebbero stati abbastanza. Ciò su cui non è stato posta sufficiente attenzione è il fatto che per annullare gli effetti di un sionismo esclusionista, si doveva fornire una soluzione al conflitto che, nella seconda frase di Mandela, dovrebbe asserire la nostra comune umanità sia come ebrei che come arabi. La maggior parte di noi non riesce ancora ad accettare il fatto che gli ebrei israeliani siano qui per rimanerci, che dunque non se ne andranno, e che anzi saranno i palestinesi a doversene andare. Tutto ciò è comprensibilmente molto difficile per i palestinesi da accettare, dato che sono ancora in pieno processo di operazioni politiche dirette a sottrar loro la propria terra ed essere perseguitati quotidianamente. Ma, con il nostro irresponsabile ed insensato suggerimento in ciò che abbiamo detto, essi saranno costretti a partire (come Crociati); non abbiamo focalizzato abbastanza la fine dell'occupazione militare come obbligo morale, o più semplicemente fornendo una forma per la loro sicurezza e auto-determinazione che non abrogasse le nostre. Questa, e non l'assurda speranza che un volatile presidente americano voglia darci uno stato, sarebbe dovuta essere la base di una massiccia campagna ovunque. Due popoli in una sola terra. O, uguaglianza per tutti. O, una persona un voto. O, una comune umanità asserita in uno stato binazionale.

So che siamo le vittime di una conquista terribile, una violenta occupazione militare, una lobby sionista che ha costantemente mentito con lo scopo di raggirarci e ridurci ad esseri disumani o terroristi - ma qual'è la reale alternativa a ciò che sto suggerendo? Una campagna militare? Un sogno. Altri negoziati ad Oslo? Ovviamente no. Ulteriori morti dei nostri giovani valorosi, i cui capi non offrono loro alcun supporto o corretta direzione? Un peccato, ma no. E quanta fiducia negli altri stati Arabi che hanno rinnegato persino la loro promessa di offrire urgente assistenza? Forza, siamo seri.

Gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi sono bloccati in una sorta di visione infernale alla Sartre, cioè "tutt'altra gente". Non c'è via di fuga. Una separazione non potrà mai funzionare in un paese così piccolo, perlomeno non più di quanto abbia provocato l'Apartheid. Le milizie israeliane ed il potere economico gli isolano completamente da una corretta visione della realtà. Ed è proprio questo il significato dell'elezione di Sharon, un'antiquata guerra criminale tirata fuori chissà da quale foschia temporale e per fare cosa: mettere gli arabi i quel luogo? Senza speranza. Quindi, sta a noi fornire quella risposta che il potere e la paranoia certo non sono in grado di offrire. Non è sufficiente parlare genericamente di pace. E' necessario apporre delle ragioni concrete, ed esse possono essere riscontrate solo attraverso una visione morale, n&ueacute; dal "pragmatismo" n&ueacute; tanto meno dalla "praticità". Se siamo qui tutti per vivere - questo è il nostro imperativo - dobbiamo catturare l'immaginazione non solo della nostra gente, ma anche quella dei nostri oppressori. E dobbiamo continuare a sostenere come umani, valori democratici.
Sta ascoltando l'attuale leadership palestinese? Può suggerire qualcosa di meglio, dato il suo enorme curriculum in un "processo di pace" che ha portato ai presenti orrori?

(traduzione di Aine Cavallini)

torna indietro