Beit Jala: tranquilla cittadina tra frontiere e barriere


Ore 7.00. Da quando abbiamo trovato una barriera di massi che sbarrava la strada dove si trova la nostra casa, le lancette della sveglia si sono spostate all'indietro: ci serve più tempo per trovare una via d'uscita da Beit Jala al mattino per raggiungere il nostro ufficio.
Beit Jala e' un' antica cittadina che si trova a ovest di Betlemme e a sud di Gerusalemme, una delle tante zone cerniera tra le aree A, B e C in cui gli accordi di Oslo hanno diviso il territorio della Palestina (confini del 1967). La popolazione di 12.000 persone e' di confessione cristiana (greca ortodossa e cattolica, complessivamente circa il 70%) e musulmana (30%).
Storicamente il luogo era rifugio dei crociati che dalla opposta collina di Gilo difendevano Gerusalemme. Quella collina, chiamata allora "la croce", ha visto sorgere solo nel 1972 l'omonimo insediamento israeliano di Gilo, 35.000 persone, piu' volte erroneamente definito dalla stampa, nell'ultimo periodo, "un quartiere di Gerusalemme Ovest". La sua posizione ne fa una zona strategicamente importante in quanto e' molto vicina al filo principale della ragnatela di strade che Israele ha costruito per collegare Gerusalemme e i numerosi insediamenti israeliani nel sud della Cisgiordania, che dividono fisicamente la Palestina in frammenti di territorio. Quella stessa strada cerchiamo di raggiungere anche noi ogni giorno. Facendo percorsi alternativi attraverso i vari check-point, palestinesi prima e israeliani poi, ci troviamo di fronte all'ultimo ostacolo che nelle vesti di un giovane soldato israeliano ci intima di tornare indietro, ci dice che gli dispiace, vede che siamo stranieri, ma che quella e' la "punizione per gli arabi e per chi vive in mezzo a loro". Allora seguiamo i palestinesi e il tragitto si allunga notevolmente per grovigli di strade sterrate e spesso interrotte, per le quali la vita continua. Dall'altro lato delle barriere i taxi palestinesi organizzano la spola tra i vari segmenti della Palestina. A volte discutendo con i militari noi passiamo i check point, molti palestinesi invece tornano indietro e sono costretti a riorganizzare la propria giornata.
Spesso i poliziotti palestinesi dei check point, che sono proliferati dappertutto, ci guardano con attenzione: potremmo anche essere gli stessi coloni che nelle ultime notti hanno seminato il panico qui e in tanti altri villaggi e città palestinesi, sparando alle case e a volte alle persone.
Ore 15.30: e' tempo di affrettarsi a rincasare, alle 17.00 da molti giorni ormai, scatta la chiusura alla zona dell'Irtibat (la sede dell'amministrazione congiunta civile palestinese e militare israeliana), l'unico ingresso di Beit Jala transitabile con la macchina, e alle entrate di Betlemme e di Beit Sahour, le uniche strade per raggiungere casa da quando Israele ha rioccupato le zone B.
Al tramonto a Beit Jala i negozi chiudono presto, le merci cominciano a scarseggiare e i commercianti deplorano l'abilita' di Israele nel soffocare la fragile e controllata economia palestinese, dato che si e' impossessato di tutti i confini e delle dogane, bloccando cosi le merci destinate ai territori palestinesi per "motivi di sicurezza". Le sere, come in molte citta' e villaggi della Palestina, da un mese sono scandite dagli spari e dal ronzio degli elicotteri che a Beit Jala dal 22 ottobre hanno anche aperto il fuoco con i razzi colpendo le case, ma "solo" per 3 volte, diversamente dai carri armati che assediano tutta la zona e che nell'ultima settimana hanno centrato almeno 6 case. Anche questa e' una punizione per i palestinesi, per i colpi sparati verso Gilo e per i sassi tirati contro le camionette militari che strettamente vigilano la chiusura dei territori. Sproporzionata da parte di Israele, una maniera per tenere sotto tiro e a bada l'intera popolazione civile palestinese, per rinchiuderla sempre più in quel 22% di territorio pattuito dopo innumerevoli incontri tra le parti, forse per incrementare sempre piu' la tensione e la stanchezza fino a costringerla ad accettare la "separazione". La "separazione" minacciata da tempo da Israele, ipotesi piu' concreta se si formasse il governo di unita' nazionale per l'emergenza verso cui vanno il partito liberale di Barak e il Likud di Sharon, consisterebbe in una divisione fisica del territorio israeliano (compreso quello occupato in Cisgiordania) secondo un piano studiato ad hoc e la cui esistenza e' stata anche dichiarata dalle autorità israeliane al Times. Questo piano, in cui rientra anche la collina di Beit Jala, prevede l'interruzione delle forniture idriche, elettriche e di comunicazione e la divisione, anche attraverso muri, delle zone controllate dall'ANP da quelle controllate da Israele. La sua attuazione mostrerebbe quale interesse abbia realmente Israele alla soluzione pacifica del conflitto mediante il rispetto del diritto internazionale e delle risoluzioni dell'ONU. Come un po' dappertutto anche a Beit Jala si avvertono tensione, paura e incertezza per quello che accadra' domani, stemperate da una quotidianita' scandita non solo dalle visite dei vicini alle case colpite, dall'ultimo saluto ai martiri, dall'organizzazione della solidarieta', ma anche dalla formazione di comitati e da manifestazioni oltre che dalla vita di tutti i giorni. La stessa tensione e determinazione abbiamo ritrovato nei disegni dei bambini. Ma la tensione e' stata anche alimentata ad arte. Il 25 ottobre il generale Giora Eiland in una notizia diffusa dall'ufficio stampa del governo israeliano, ha accusato i Tanzim (il braccio armato di al-Fatah) di utilizzare edifici vicini alle chiese in Beit Jala come copertura per attaccare Gerusalemme (intendendo l'insediamento di Gilo come parte della citta') al fine di attirare il fuoco sui luoghi santi per i cristiani di Beit Jala, con la speranza di coinvolgerli nel conflitto contro Israele, mentre essi, sempre secondo la stessa fonte, non sarebbero interessati a questo conflitto. A seguito e' stata diffusa la notizia che i cristiani di Beit Jala stessero abbandonando la citta' per le intimidazioni dei musulmani. La notizia e' stata smentita da tutta la popolazione e in maniera ufficiale dal patriarca Michel Sabbah (in al-Quds del 27 ottobre).
La storia si ripete e il tentativo di dare ad un conflitto principalmente basato su istanze nazionalistiche e territoriali la connotazione formale di conflitto religioso, cercando allo stesso tempo di creare spaccature all'interno delle comunita' originarie di questa terra che si definiscono palestinesi, risponde ad una tecnica che abbiamo gia' visto dare i suoi tremendi frutti in Libano. A conferma di cio' le autorita' militari israeliane hanno recentemente dichiarato alla BBC che se i palestinesi intendono trasformare Gilo in una seconda Beirut, Beit Jala e Beit Sahour lo diventerebbero molto piu' velocemente. Cala la notte, oggi non si sono sentiti spari ed anche se non indicativo di un miglioramento della situazione, probabilmente concedera' un sonno più tranquillo.

di Carla Pagano e Gianluca De Luigi
28 ottobre 2000

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