Dall'associazione delle Donne in Nero.

10 Dicembre


11 Dicembre
Cosa abbiamo fatto.
Osservazioni

12 Dicembre
Visita alla sede di WATC.
Incontro con Isslah Jad

13 Dicembre
GAZA Attraversiamo la frontiera di Herez

14 Dicembre
Incontriamo Zahira Kamal.
Universitta' di Tel Aviv

15 Dicembre
Incontro con le donne di Bat Shalom a Casa di Judith Blank

Secondo Gruppo, 10 Dicembre 2000



Partenza dal Jerusalem Hotel in un pullman organizzato. Durante il percorso abbiamo visto le case bombardate di Beit Jala, l'insediamento di Gilo, altri insediamenti in espansione, e un gruppo di containers. In genere questo tipo di agglomerati danno poi luogo a nuovi insediamenti. Non abbiamo potuto seguire la strada prevista, dato che era stata chiusa e abbiamo dovuto seguire la by-pass road. Arrivate ad Hebron incontriamo un gruppo di cooperanti italiani e poi tutto il gruppo si sposta allÕappuntamento con altri manifestanti. Il gruppo è composto di stranieri residenti in Palestina che lavorano con varie ONG e su progetti di solidarietaÕ di vario tipo. Prima della manifestazione vistiamo una scuola di bambine e ragazze palestinesi che ci accolgono recitando una poesia, e poi la loro insegnante ci riferisce sulle difficoltaÕ nella frequenza scolastica: questo eÕ solo il terzo giorno di frequenza piena dal 28 settembre scorso. La scuola stessa eÕ rimasta chiusa a causa del coprifuoco e per lo stesso motivo molti bambini hanno diffcoltaÕ a raggiungerla (eÕ circondata da posti di blocco dei soldati e la strada eÕ chiusa da blocchi di cemento). Le bambine ci accolgono con calore e curiositaÕ, una ci mostra un suo disegno che rappresenta lÕuccisione di Muhammad, il bambino morto a Ramallah. Attraversando il mercato raggiungiamo le case di alcune famiglie palestinesi sui cui tetti da mesi si trovano postazioni di soldati israeliani. Le case sono praticamente trasformate in gabbie per proteggere gli abitanti dagli oggetti che vengono lanciati dai coloni. Le famiglie palestinesi residenti nella zona centrale di Hebron ricordano il passato di vicinanza e convivenza pacifica con gli ebrei fino alla fine degli anni venti. Una giovane donna abitante di una delle case ci accoglie insieme alla madre ed a un gruppo di bambini e racconta con tono molto pacato le provocazioni subite quotidianamente per tanti anni dalla sua famiglia che, dice non le impediscono di continuare il proprio lavoro di infermiera e di affermare la sua convinzione di dovere e potere continuare a vivere nella casa della sua famiglia. Contemporaneamente incontriamo un gruppo di bambini. Ci seguiranno per quasi tutto il resto della giornata. Uno di loro eÕ stato ferito da un proiettile di gomma poche settimane fa, un altro racconta che la notte si sentono gli spari e gli altri piuÕ piccoli si svegliano per la paura. Tornati al mercato poco prima del coprifuoco un uomo anziano ci avvisa che stanno arrivando i coloni (inzialmente un gruppo di tre donne) come tutti i giorni a questÕora. Inoltre vengono chiuse le strade, aumenta il numero dei soldati e cÕeÕ un clima di forte tensione. Una delle donne ci insulta in inglese e poi urla in modo esagitato piuÕ volte di seguito "Am Israel Hai" (che viva Israele). LÕimpressione che danno le donne eÕ quella di un furore cieco. Uno degli insulti a noi eÕ di essere nazisti. Gli uomini che le raggiungeranno hanno un aspetto meno aggressivo. Siamo rimaste ad osservare ed a filmare diverbi tra coloni e soldati, ogni tanto il gruppo delle donne si lancia contro fotografi e soldati tirandogli dellÕacqua con delle bottiglie di plastica. Ci viene detto, da chi da tre mesi fa attivitaÕ di interposizione (canadesi della Christian Peace Organization) che la nostra presenza ha notevolmente influito sul comportamento dei soldati che altre volte eÕ stato piuÕ aggressivo e provocatorio. Facciamo uina manifestazione seguendo le strade principali, con i cartelli con le scritte "basta con gli insedimenti", "la migliore sicurezza per i coloni eÕ il ritiro", e altri. Ci rechiamo in corteo allÕospedale dove ci accoglie un medico che da spiegazioni sulla situazione sanitaria. Nonostante il disagio siamo bene accolte e accolti: alcuni si fermano a parlarci e molti ci ringraziano. Rientriamo verso il pullman seguiti dai soldati che ci riprendono con la videocamera.

11 Dicembre 2000



Cosa abbiamo fatto
Incontro al Ministry of Planning and International Cooperation della Palestinian National Authority a Ramallah con Zahira Kemal (Gender Planning), Dr. Ahmed Soboh (Director General Assistent to the Minister for the International Cooperation) ,Samia Y. Bamieh (Director of UN and International Organizations Department) . All Ôincontro partecipava anche Abeer (una giovane donna palestinese per la quale le donne in nero si erano mobilitate quando era in carcere.) Ci viene fatto un resoconto approfondito della storia dei negoziati , profondamente critico della politica di Barak e del fatto che qualsiasi proposta di riduzione quantitativa della presenza israeliana sul territorio della West Bank (15% contro lÕ85% lasciato ai palestinesi) nasconde il dato qualitativo di questa presenza che viene usata in funzione di controllo della vita dei palestinesi, sul modello in atto ad Hebron. Si rileva la debolezza del processo negoziale totalmente affidato ai capi di governo anzicheÕ a negoziatori che potrebbero riferirsi ai leaders politici in caso di stallo del negoziato. Zahira ci accompagna al Abu Raya Rehabilitation Center dove la Patients Friends Society di Ramallah gestisce un ospedale modello di riabilitazione . Nato dopo la prima Intifada, il centro si era specializzato nella riabilitazione dei casi di spina bifida (particolarmente diffusa sul territorio) diventando un punto di riferimento per tutto il medio oriente. Ora cura nuovamente i feriti dellÕIntifada, per lo piuÕ giovani, e affronta anche, sul territorio, i gravi problemi di mobilitaÕ di pazienti e personale. Si prosegue con la visita alle case bombardate di Beit Jalla e allÕostello che accoglie 17 famiglie rimaste senza tetto. Zahira ci lascia percheÕ viene convocata per incontrare la missione "Mitchell" a Gaza. Raccogliamo testimonianze drammatiche e indignate per essere fatti oggetto, inermi, di un devastante tiro al bersaglio da parte dei militari israeliani. Un uomo,. proprietario di una delle case colpite, costruita con 14 anni di lavoro allÕestero, rimane a discutere a lungo con noi . Rimpiange di essere tornato a casa dopo un lungo periodo di emigrazione in Sud America , ma si dice determinato a restare. Alla domanda "Che cosa vedi per il futuro?" , risponde che una coesistenza eÕ possibile. "Non pensi che i sentimenti di vendetta la renderanno impossibile?" "No, risponde, la vendetta non spetta a me. I morti sono cura di Dio, se vado al cimitero ringrazio i morti che rendono possibile la liberazioneÉÉ" Infine incontriamo un rappresentante dellÕorganizzazione Re approachment Between People a Beit Sahour che ci racconta la lunga storia di incontri, dapprima segreti, tra palestinesi e israeliani, compresi alcuni coloni "sempre irriducibili, anche se con argomentazioni e sfumature diverse" Incontriamo anche una giovane architetta di Beit Sahour laureatasi a Venezia con una tesi sulla "urbanistica dellÕintolleranza a Gerusalemme" . Fissiamo con lei un incontro per il prossimo sabato.

Osservazioni
Centro di Riabilitazione/ Grande attenzione alla cura del luogo nonostante lÕemergenza.Consapevolezza delle difficoltaÕ di reinserimento in mancanza di welfare e servizi domiciliari e conseguente aggravio del lavoro di cura nelle case. Lavorare su una nuova percezione della disabilitaÕ nella societaÕ palestinese. Beit Jalla . La sproporzione tra i bersagli umani e le loro case e la potenza delle armi impiegate in una strategia di intimidazione e controllo che appare insensata alla popolazione . Una giovane donna che vive in una delle case piuÕ volte colpite dice con fierezza che cioÕ che rivendicano eÕ il diritto di vivere. Qualcosa che non si puoÕ piuÕ negoziare. Gli sopostamenti sono stati molto difficili percheÕ, come sempre, I blocchi sono stati molti ed imprevedibili percheÕ arbitrari.

12 Dicembre 2000



Ore 9.30 Visita alla sede di WATC . Ci vengono illustrate le attivitaÕ dellÕassociazione: documentazione, stampa di un giornale distribuito come inserto di un diffuso quotidiano locale in 17.000 copie ogni due giovediÕ, produzione di una serie di 48 brevi video su temi che riguardano la condizione delle donne nella societaÕ palestinese, lÕassistenza alle donne delle zone rurali, le battaglie legali, la disseminazione sul territorio dei servizi centrali. Al termine della visita alla sede di WATC ci raggiunge Isslah Jad, del comitato direttivo di WATC, intellettuale, militante , docente di politiche dello sviluppo presso lÕUniversitaÕ di Birzeit, che ci dedica quattro ore di accesa discussione, rispondendo alle nostre domande, ricordando episodi della sua vita pubblica e privata, lÕamicizia e i confronti con le prime donne italiane che sono venute in Palestina dodici anni fa (tra le altre Raffaella Lamberti e Elisabetta Donini) . Riportiamo qui una sintesi necessariamente molto ridotta della conversazione che abbiamo registrato.

Incontro con Isslah Jad

D.Quali sono gli effetti sulla vita delle donne di questa nuova emergenza?
Ci sono delle grandi differenze tra la prima e la seconda intifada anche da questo punto di vista. Le donne , alcune donne, prendevano parte attiva alla prima insurrezione : in questo modo erano diventate improvvisamente visibili . Erano spesso eroine e a volte anche martiri. La cosa aveva cominciato a produrre una trasformazione negli atteggiamenti verso le rivendicazioni dei diritti delle donne. Ora le cose sono diverse. Da una parte il numero dei morti e, soprattutto, quello dei feriti eÕ superiore (anche percheÕ le armi impiegate dagli israeliani sono piuÕ micidiali ), dallÕaltra I ragazzi che prendono parte a questa insurrezione sono giovani delle zone piuÕ povere che cercano un qualche riscatto in azioni che sono quasi suicide. La popolazione daÕ sostegno, ma non quella partecipazione diretta che cÕera stata nella prima intifada. Le donne ora sono piuÕ invisibili anche se, in un certo senso, si richiede loro un impegno piuÕ grave , quello della cura dei feriti, delle famiglie colpite, del carico di tensione interna alle famiglie che si produce alla fine di una giornata di umiliazioni in cui ogni gesto, dal recarsi al lavoro allÕandare dal medico o a fare la spesa eÕ diventato piuÕ difficile.
D.Come rendere visibile questo impegno delle donne, come fare in modo che non si trarsformi in una intensificazione della tensione nella loro vita e basta? Si cerca, dove si puo,Õ di organizzare la cura collettivamente anche offrendo rifugi: per questo le organizzazioni di donne ora visitano gli ospedali . Si scrive e si interviene su tutto anche per rispondere a chi ci chiede dove sono ora le donne che nella prima intifada sono anche state martiri
D.Ecco, su questa questione del martirio, vorremmo capire meglio come vedi le cose Questo eÕ un pilastro della propaganda israeliana: "cÕeÕ qualcosa di sbagliato nella vostra cultura, ci dicono, voi che mandate al martirio i vostri figliÉ." Ma questa eÕ una manifestazione di razzismo, un modo di inferiorizzare lÕaltro sminuendolo nella sua umanitaÕ, una espressione di tribalismo da parte israeliana. Nessuno di noi ama veder uccidere I propri figli: quando si eÕ minacciati e colpiti da un potere smisurato rispetto alle tue forze (per usare unÕimmagine vera: 28 razzi contro quattro pallottole) allora si attinge a cioÕ che, nella propria cultura di puoÕ dare forza. Qui cÕeÕ anche un problema di linguaggio: violenza per loro cioÕ che eÕ resistenza per noi, concessione eÕ per loro cioÕ che eÕ restitutzione di parte di cioÕ che ci eÕ stato tolto con la forza.
D.Anche in questo ci sono differenze con la prima intifada?
SiÕ in un certo senso, percheÕ oggi la sproporzione tra le forze eÕ infinitamente maggiore e si viene colpiti da lontano , ma con mezzi piuÕ distruttivi. Oggi siamo nelle nostre case, su quello che dovrebbe essere in nostro territorio, non ci entrano piuÕ in casa, ma la disparitaÕ eÕ maggiore: per questo dicevo che vedo questi giovani quasi come suicidi. Oggi non sono I soldati che entrando nelle nostre case provocano una reazione diretta. Le divisioni del territorio in zone A, B e C determinano i luoghi e i soggetti dello scontro e desertificano le zone di maggiore attrito.
D.Ma il sostegno popolare eÕ altrettanto compatto?
SiÕ, al cento per cento. Questa eÕ una peculiaritaÕ della situazione palestinese se la si confronta con altre storie di colonizzazione. Qui il colonizzatore non eÕ riuscito a penetrare nella cultura del colonizzato. La cultura egemone israeliana non ha conquistato lÕadesione neppure di un minimo strato della popolazione. Io sono di origine egiziana e so che lÕaristocrazia egiziana parlava francese o inglese, aveva adottato costumi e valori dei colonizzatori. Qui questo non eÕ successo forse percheÕ gli israeliani non vogliono conquistarci o sottometterci, ma eliminarci.

D.Ma quali sono , secondo te, i simboli della cultura egemone israeliana?
EÕ vero che anche allÕinterno di Israele eÕ difficile individuare una cultura egemone. Ci sono tanti gruppi, ci sono addirittura cittadini israeliani che si scoprono ora non ebrei . Il discorso sarebbe lungo e non spetta a me. Quello che voglio dire eÕ che quando si vuole spostare il conflitto su piano dello scontro fra culture, fra religioni, fra tradizioni diverse si sbaglia clamorosamente, cosiÕ come si sbaglia quando si crede di poterlo risolvere sul piano psicologico curando la "malattia psichica" dellÕodio che affliggerebbe le due popolazioni

D.Quindi non ti convincono le proposte di gruppi di incontro per la risoluzione dei conflitti?
Assolutamente no. Ne ho fatti di questi gruppi: sono splendidi, ti senti bene e stai fra amici . Ma questo mi succede da sempre anche nella mia vita quotidiana, con i miei amici israeliani o ebrei di altre parti del mondo. Non si vuole capire che non si tratta di problemi personali, ma di violazioni di diritti. Faccio una domanda a voi come europee: percheÕ nella storia del Sud Africa non vi eÕ passato per la testa di mettere bianchi e neri in una stanza per favorire la loro "reciproca comprensione" , ma invece avete usato altri mezzi: sanzioni, sostegno allÕANC, ecc.? PercheÕ con noi siete ossessionati dalla risoluzione dei conflitti e dai gruppi di incontro?

D.Forse percheÕ eÕ un modo per mantenere una neutralitaÕ rispetto allÕambivalenza ebrei- vittime, israeliani -aggressori . SiÕ eÕ cosiÕ e lo stesso si fa quando si vuole liquidare questa che eÕ una storia di sopruso e di colonizzazione come conflitto tra religioni. Oppure quando si predica un rifiuto generalizzarto della violenza (magari come femministe) producendo una rappresentazione indifferenziata delle due parti, rinunciando anche alla veritaÕ storica.
D.La veritaÕ storica peroÕ eÕ proprio un luogo di conflitto
SiÕ , i nuovi storici israeliani ora scrivono quello ogni palestinese aveva sempre saputo e questo eÕ importante, come eÕ importante che gli ebrei fuori di israele manifestino il proprio dissenso dalla politica dello stato ebraico.

D.Riportare il conflitto alle sue radici eÕ importante anche per donne?
Enormemente. Ho scritto un articolo di critica alla televisione palestinese quando aveva mostrato le preghiere del venerdiÕ a Gaza in cui si invocava vendetta e martirio: voglio sempre riportare il conflitto alla sua radice di lotta nazionale. Noi donne sapevamo, anche se non lo dicevamo troppo ad alta voce, che cÕera un legame profondo tra la lotta nazionale e quella per la libertaÕ delle donne, cosiÕ come sappiamo che se il conflitto viene rappresentato come lotta religiosa, le donne perdono e anche il popolo palestinese.
CÕeÕ anche unÕaltra cosa: fin dalla prima intifada, quando si lanciava la parola dÕordine dellÕautosufficienza economica e del boicottaggio dei prodotti israeliani facendo appello alle donne per realizzare questo obiettivo, abbiamo sempre detto che questo doveva essere un compito per tutta la nazione.

D.Quale legame allora si puoÕ trovare tra noi e voi?
La nostra eÕ una lotta contro una grave ingiustizia eÕ una lotta di libertaÕÉci sono infinite trappole per voi, che a volte possono impedirvi di vederla per quello che eÕ: ne abbiamo giaÕ nominate alcune, ma dobbiamo aggiungere quella delle accuse di antisemitismo a cui si espone chi ci sostiene e chi critica il governo di Israele.

Le donne degli insediamenti per insultarvi vi hanno gridato "naziste", non eÕ vero?


13 Dicembre 2000 - Gaza





Attraversiamo la frontiera di Herez tra le otto e mezzo e le nove di mattina. Notiamo che siamo le uniche persone a passare in un luogo in cui , tre mesi fa , una continua corrente umana usciva da Gaza verso Israele per recarsi al lavoro. Incontriamo Nayla Ayesh che ci accompagna al WomenÕs Affairs Center. Subito ci dice delle condizioni di vita insostenibili, del blocco della frontiera che ha alzato enormemente il numero dei disoccupati e aggiunto cosiÕ alla tensione prodotta dai bombardamenti , dalle morti e dalle distruzioni di questi tre mesi anche un grave peggioramento delle condizioni economiche. Ci viene mostrato un video, immagini con commenti asciutti e sobri della seconda intifada, dalla visita di Sharon alla spianata delle moschee ai successivi scontri. Le immagini sono eloquenti. In apparenza simili a quelle che sono circolate sulle nostre televisioni, ma cÕeÕ in ciascuna qualcosa in piuÕ (parole di feriti, commenti di medici, volti) che rende il significato di tutto molto piuÕ intenso . Soprattutto si annuncia qui e nella breve discussione successiva il motivo dominante di tutta la giornata: "Chiediamo di essere creduti, chiediamo che si venga a vedere, che chi viene qui con missioni di pace anche ad alto livello vada a vedere e non si limiti a chiudersi in un ufficio tra quattro mura".

Nayla racconta quel che fanno le associazioni di donne in questa seconda Intifada: visite agli ospedali, prima assistenza, visite alle famiglie degli uccisi e, anche, incontri e seminari con le donne per aiutarle a rispondere alle domande dei bambini, alle ansie paure e incubi. Ecco un'altra differenza dalla prima Intifada: allora non cÕera tanta televisione. Oggi le immagini entrano in tutte le case . Allora entravano i soldati nelle case e lo scontro era immediato, diretto, una reazione faccia a faccia; ora entrano piuÕ immagini e sono immagini di bombe e missili nelle case, mentre fuori, nelle strade sono i cortei dei funerali e le foto degli uccisi.

Jamal Zakout - membro del comitato politico del partito democratico (FIDA) Gamal ci raggiunge al Centro e ci parla per unÕora. DaÕ un quadro politico generale lucidamente pessimista. Espone le vere ragioni di cioÕ che sta accadendo. Molte di noi lo hanno giaÕ ascoltato e letto in Italia. Ma, di nuovo, la possibilitaÕ di discutere in un gruppo piccolo ci fa scoprire sempre nuovi aspetti. Riprende il tema dellÕingannno di Barak, del suo governare con un occhio piuÕ attento a Sharon che non al proprio elettorato, del suo tentativo ricattatorio di mettere i palestinesi di fronte ad un "prendere o lasciare" che copre il dato clamoroso degli avanzamenti continui dei coloni sui territori. La polarizzazione del conflitto Israele/Palestina corrisponde ad una polarizzazione interna, una "trasformazione della chimica interna della societaÕ palestinese". LÕindebolimento dellÕAutoritaÕ Palestinese, la perdita di fiducia , lÕincapacitaÕdi rispondere ai bisogni reali della gente, lÕisolamento e il venir meno degli aiuti esterni proprio nel momento peggiore .I soldi degli aiuti dei paesi arabi sono depositati alla Islamic Development Bank. Una manifestazione aperta di sfiducia nellÕA.P. Lo stesso fanno altri "donatori": aspettano la pace, ma quale, a quali condizioni? Ci pongono di fronte ad un ricatto insostenibile. Intanto la situazione economica si aggrava : non solo la disoccupazione sale al 55%, ma anche i dipendenti del pubblico impiego rimangono senza stipendio. Si salvano quelli che lavorano nelle ONG. Almeno economicamente e per ora, ma pagano questo privilegio con una perdita di credibilitaÕ dovuta al loro disimpegno sul terreno della attivitaÕ politica concreta (magari dopo anni di produzione di analisi e ricerche sul processo di democratizzazione della societaÕ palestinese). Si era avviata una relazione tra partiti politici, ong e alcune "figure oneste" che avrebbe potuto cambiare le cose: ora tutto eÕ retrocesso: le prioritaÕ sono cambiate, di nuovo la prioritaÕ eÕ la sopravvivenza. "La nostra posizione sui negoziati eÕ chiara, si riassume in tre punti:
1) non solo USA ( ma anche europei e altri)
2) la risoluzione 242 non eÕ negoziabile
3) garanzie per i rifugiati.
Ma chi puoÕ fare tutto questo? Forse lÕIntifada? Certo che no. Oltre a tutto, in questi giorni vediamo che si sta indebolendo anche se ci sono segni importanti di una riorganizzazione dellÕAutoritaÕ Palestinese. Ma quale alternativa concreta abbiamo?"

Khan Yunis e Rafiah (zona meridionale della striscia di Gaza)

Avevamo avuto notizia che durante la notte, a Khan Yunis erano stati uccisi quattro soldati palestinesi e feriti cinquanta civili per mano dellÕesercito israeliano. Arrivate sul posto, accompagnate dalle donne del Centro, seguiamo il flusso che si avviava verso una strada bloccata da una barriera di sabbia dove, ci dicono, si dovevano svolgere i funerali delle vittime.CÕera una enorme ressa e una delle donne che ci accompagnano ci invita a ritirarci, ma decidiamo di proseguire anche per poter documentare qualcosa in piuÕcon la videocamera. Pochi passi piuÕ avanti sentiamo degli spari e in un attimo tutti ci abbassiamo e cominciamo a correre. In realtaÕ, questo che puoÕ sembrare un bollettino di guerra, e chiaramente lo eÕ, lascia perplessi percheÕ ci permette di capire che non eÕ paura quello che si prova ma incredulitaÕ. Sapevamo tutti che non saremmo stati colpiti ma veniamo inconsciamente portati a svolgere il ruolo che qualcunÕaltro ci aveva assegnato. Partecipiamo, come burattini, a questo gioco perverso tra guardie e ladri dove sono le guardie a stabilire le regole del gioco volta per volta. Proseguiamo per Raphia e durante il percorso vediamo lo scempio che si sta compiendo sul territorio. Si alternano zone verdi, tanti ulivi, frutteti e palme, con altre completamente desertificate: alberi sradicati, solchi sul terreno lasciati dal passaggio dei carri armati, strade di attraversamento ad uso esclusivo dei coloni, coloni puntualmente protetti da carri armati per ogni spostamento. I coloni presenti nella striscia di Gaza sono solo poche migliaia e occupano circa il 40% del territorio! Andiamo a trovare dei contadini, che ci mostrano le loro case distrutte e le tende dove ora si riparano; le serre, ottenute con fondi agricoli, completamente distrutte e quindi debiti che mai piuÕ si potranno saldare. Le vedove con numerosi figli e il raccolto eÕ stato completamente distrutto, i canali dÕirrigazione tagliati e il terreno colpito a morte dai carri armati . La loro colpa eÕ quella di trovarsi a ridosso della striscia di confine con lÕEgitto, sotto il controllo israeliano, e di costituire quindi una "minaccia" per lo Stato di Israele. In paese, le case sono in parte distrutte dai razzi e le mura ferite dalle mitragliatrici. Ci accompagnano a casa di una delle tante famiglie in lutto, e come tutte le altre, anche questa aveva appeso sulla facciata un grande lenzuolo con la foto della vittima e con il nome e le condoglianze. Ci hanno accolto con emozione e la gratitudine. Ci hanno permesso di filmarli e si sono radunati come per una foto di famiglia. La vedova raccontava in arabo la sua tragedia, e il linguaggio dei suoi occhi e delle sue mani era universale. In quella occasione nessuna di noi ha sentito il bisogno di una traduzione.

14 Dicembre 2000





Incontriamo Zahira Kamal nel suo ufficio del ministero della pianificazione e della cooperazione internazionale. Una lunga conversazione nella quale Zahira racconta la sua storia mostrando come si intreccia profondamente con la storia politica della Palestina. Registriamo la conversazione e ne diamo qui, una sintesi molto ridotta e riduttiva.

Zahira eÕ nata in quella che è oggi Gerusalemme Est. La maggiore di 8 tra fratelli e sorelle. Ci racconta immagini della sua infanzia alle quali collega la formazione della sua passione politica. Il trasferimento in Cisgiordania sui carretti, una manifestazione, una bandiera bruciata , una ragazza della sua scuola uccisa dai soldati; e anche la straordinaria fiducia che il padre, le accorda concedendole di andare a studiare all'Universita' del Cairo, cedendo alla sua determinazione Alla morte del padre, dopo il primo anno di universita', decide di continuare gli studi. Al Cairo è rappresentante politica degli studenti e militante della lega araba. Poi, la difficile decisione di tornare nel 68, 24 ore sul ponte del Giordano e la scoperta brutale di quello che sarebbe stato il futuro di umiliazioni e di lotte. Dopo un periodo del lavoro all' UNRWA comincia ad insegnare, dal suo lavoro, per altro, dipende la famiglia. Da un lato l'insegnamento le offre la possibilita' di capire da vicino la vita delle ragazze, dall'altro, la gestione della vita famigliare la costringe a trovare un metodo "democratico" di individuazione dei bisogni, di fissazione delle priorita' e di distribuzione delle risorse. Impara molto anche nei periodi di prigione: ascoltando e difendendo i prigionieri comuni, le loro storie che, per altro, riflettono le fragilita' della societa' israeliana. Quando è trasferita con i politici legge per sei mesi e discute con le altre. Anni '70. I Comitati di Volontari, le prime forme fragili di organizzazione politica. Fanno servizi pubblici (dalla pulizia delle strade al teatro, alla discussione di libri) . La costituzione della Federazione delle donne Palestinesi (poi Federazione per l'Azione delle Donne) del Fronte Democratico. L'impegno è sul fronte delle lotte nazionali e sociali. "Quelle tecniche di partecipazione che ora vengono insegnate nei corsi di "political o leadership skills" noi allora le applicavamo senza saperlo" L'impegno sociale si amplia alla alfabetizzazione, educazione degli adulti, difesa dei diritti. Nel '90, con la prima Intifada, le donne partecipano appieno. Non solo nel lancio di pietre, ma nei programmi di educazione, nella gestione di scuole alternative (quelle pubbliche erano chiuse). è stata , la prima , l'Intifada dei prigionieri e delle deportazioni (40.000) questa è quella delle uccisioni. Allora le donne si sono trovate ad occupare posti di potere politico. è stata una svolta, ma non si è consolidata. Per questo le donne del FEDA hanno preso l'iniziativa e hanno ottenuto di aumentare la presenza delle donne nei posti direttivi. è stato allora che ci siamo date una nuova organizzazione. Si è creato un centro di Women's Studie e un altro per la consulenza legale. Sono diventati luoghi autonomi Dopo Madrid si sono costituiti I Comitati tecnici sopratutto per formare I negoziatori. "Allora c'erano solo 6 donne sul 300 . Siamo riuscite a portare questo numero a 66. " In tutto questo periodo Zahira rimane convinta che l'attivita' politica deve essere "azione e passione", ma non mestiere . Dopo le elezioni (alle quali si era presentata ottenendo molti voti, ma senza venire eletta a causa del sistema delle quote che richiede due cristiani ) Zahira si mette a disposizione dell'Autorita' Palestinese. Sceglie il posto al Planning e International Cooperation e ora fa " Mainstreaming of Gender policies" . Si apre poi la discussione. Antonella:
Trovo che anche qui il problema centrale per costruire una politica delle donne sia quello del come trasformare una energia domestica in energia politica. Come mostrare che il modo di individuare i bisogni, fissare le priorita' e distribuire le risorse utilizzate possono dare indicazioni generali, mostrando, tra l'altro il fatto che le donne si fanno carico della debolezza degli uomini che loro non affrontano in modo politico. Zahira
Discutiamo I bisogni delle donne attraverso I rapporti con le ong. Il primo passo del ministero del planning è questo lavoro di inchiesta . Poi ci sono le attivita' di sostegno, cercare di includere le donne nel welfare, di rendere visibile la loro presenza nel settore informale, di dare loro informazioni. Avviamo piccoli progetti di credito e di sostegno psicosociale. Ma a volte siamo costrette ad arretrare rispetto alle priorita' che ci siamo date: per esempio scopriamo in questa seconda Intifada un aumento della violenza domestica in un momento in cui non se ne puo' parlare. Gabriella;
Non pensi che qualcosa si sia perso nel passaggio da quella politica che tu hai chiamato di "azione e passione" a questa del "mainstreaming of gender?" Si forse questo è vero. Penso che si potrebbe creare un collegamento fra I diversi ministeri su alcuni temi per riprendere vitalita'. Vorrei continuare questa discussione anche con le altre donne italiane che verranno . Riprendetela voi in Italia e poi cerchiamo di andare avanti insieme.


Universitta' di Tel Aviv: "Testimony" riunione dedicata alla controinformazione

La riunione si apre con la lettura di una poesia dedicata agli alberi di ulivo che viene letta sia in arabo che in ebraico. Tra i primi interviene un esponente di Peace Now, che pur esprimendo una forte critica rispetto alla situazione attuale fa distinzioni tra insedimenti "legali" ed "illegali" ed attribuisce diversi livelli di priorita' ai singoli insedimenti. Inoltre le cifre di coloni da lui fornite non includono quelli presenti a Gerusalemme est. Tutti gli interventi che seguono esprimono critiche forti alle sue posizioni. Ci colpiscono in particolare alcune testimonianze. Una ragazza attiva nel settore dell'assistenza medica che elenca una serie di esempi di partorienti rimaste bloccate ai check points, alcune di loro sono morte di parto, altre hanno perso i loro bambini. La giornalista dell'agenzia di stampa delle Nazioni Unite, che avevamo gia' incontrato ad Hebron, inizia l'intervento sbattendo sul tavolo della presidenza una serie di grossi bossoli e proiettili; anche una cartuccia di lacrimogeni che, usati dentro le case, hanno provocato la morte per soffocamento di alcuni bambini. Dedica una parte del suo intervento alle case sui cui tetti si trovano le postazioni dei soldati ed alle vessazioni cui sono sottoposte le famiglie ed elenca una serie di esempi agghiaccianti di come sono avvenute le uccisioni di alcuni abitanti, tra cui ci sono anche diversi bambini. Ricorda che la a causa di 400 coloni l'intera popolazione della citta' pari a 40.000 persone è sottoposta a coprifuoco ed è assediata da 10.000 soldati ÉRacconta anche che, alla periferia della citta', una casa nei pressi dell'insediamento di coloni, è stata ripetutamente attaccata dai coloni che lo scorso fine settimana la hanno occupata e sgomerata impedendo per alcuni giorni il ritorno degli abitanti. Ora sono rientrati nella casa, ma restano esposti alle angherie ed alle minacce dei coloni. Viene proiettato un filmato degli scontri di Khan Yunis che ci fanno rivivere la giornata durissima trascorsa a Gaza. Sia il filmato che il tono degli interventi che riusciamo a seguire sono molto pesanti ed hanno lo scopo di informare e sensibilizzare i partecipanti, tra cui moltissimi studenti. Tra i presenti ci sono alcuni giovani che per aver usato lo slogan "Barak assassino di bambini" durante una manifestazione, avvenuta pochi giorni fa, sono stati convocati dalla polizia per essere interrogati. Prendono la parola anche una ragazza che segue la situazione del villaggio di Harres e Neta Golan sengnala la nostra presenza. Ci viene data la possibilita' di fare due brevissimi interventi. Molti si congratulano con noi ed apprezzano l'iniziativa, l'impressione è quella di un fortissimo isolamento della sinistra non ufficiale, della necessita' di darle sia visibilita' che sostegno attraverso una presenza internazionale. Concludiamo la serata incontrando uno dei genitori che fanno lo sciopero della fame e che hanno innalzato una tenda, in piazza Rabin, in cui si tengono dibattiti e incontri pubblici e installato un monumento con sagome di cartone dei morti. Ci racconta delle loro attivita' a sostegno del processo di pace, degli incontri con i genitori palestinesi nella loro stessa situazione. Ci colpisce molto per la sua pacatezza ed il suo equilibrio.

Alcuni dati sull'acqua ottenuti da un idrogeologo conosciuto alla manifestazione di Hebron.

Le fonti di acqua rinnovabili nell'intero territorio sono pari a 2 miliardi di m3, di questi circa 250 milioni di m3 vanno ai palestinesi. Il consumo medio giornaliero di acqua pro capite in Europa è pari a circa 130 litri, in Israele a circa 200 litri. I coloni invece hanno un consumo medio di circa 600 litri al giorno, nella West Bank e a Gaza a circa 60 litri. In base all'attuale ripartizione dei pozzi, l'88% dell' acqua fornita dalle fonti rinnovabili disponibile in Palestina ed il 75% di quelle presenti nella West Bank e a Gaza vengono usate da Israele. In vista del fatto che la popolazione attuale è di circa 3.000.000 di palestinesi e di circa 6.000.000 di israeliani, ogni israeliano consuma tanta acqua quanta ne consumano quattro palestinesi. Detto in parole povere nelle zone intorno agli insedimenti dei coloni si possono verificare situazioni estreme dove a fronte della mancanza d'acque nelle case dei palestinesi si ha un insediamento con le piscine condominiali. In particolare nei periodi estivi l'approvigionamento è difficile e la quantita' disponibile puo' ridursi anche a 15 litri al giorno pro capite (lo scarico di un WC richiede circa 12 litri), dove l'indicazione di un valore medio puo' anche significare che l'acqua non arriva per un mese intero. Nelle zone rurali la situazione a volte è anche peggiore e non sono escluse nè scuole nè ospedali, in particolare in alcune zone rurali dove interi villaggi non sono collegati alla rete idrica. A questo si aggiunge che le famiglie palestinesi in genere sono numerose e che quindi i valori medi qui riportati sono più che indicativi É Si tenta di compensare il disagio con serbatoi situati sui tetti delle case o con cisterne che raccolgono l'acqua piovana. Non a caso i serbatoi sui tetti delle case sono uno dei bersagli dei proiettili che vengono sparati contro le case. Oltre a quelli che abbiamo visto a Beit Jala, ad esempio nel solo campo di rifugiati di Al-Aroub nella zona di Hebron ne sono stati danneggiati circa 200, nella citta' le cisterne sui tetti delle case dove si trovano le postazioni dei cecchini sono state sporcate dai soldati per renderle inutilizzabili. Sempre ad Hebron è possibile rilevare che gli allacci alle fonti d'acqua che riforniscono i palestinesi sono situati più in alto di quelli che rifornisono i coloni, in modo che questi ultimi risentano di meno della periodica scarsita' dei rifornimenti. Molti villaggi soffrono di mancanza d'acqua a causa dei blocchi, date le difficolta' che le autocisterne incontrano per raggiungere i luoghi di rifornimento i prezzi dell'acqua aumentano e non sempre il rifornimento è possibile, le pompe di molti pozzi non sono in funzione a causa della scarsita' di carburante, l'accesso a stazioni di pompaggio e pozzi adiancenti agli insediamenti dei coloni è impossibile. Una serie di esempi di situazioni di questo genere nei villaggi palestinesi è stata documentata da ONG attive nel settore. Il rifornimento avviene tramite tre fonti: l'ente israeliano, quello palestinese, fonti e cisterne adiacenti ai singoli villaggi. Dove avviene tramite l'ente israeliano il costo varia dai 10 ai 13 NIS al m3 a fronte di 1 Ð 2 NIS per gli utenti israeliani, avviene attingendo a fonti che si trovano all'interno della linea verde. Infine va detto che le concessioni per nuovi pozzi vanno richieste alle autorita' israeliane e il tempo necessario per ottenerle puo' arrivare a diversi anni. Inoltre tali concessioni possono essere richieste solo nell'area orientale della WB con falde meno ricche e più difficili da raggiungere. Per quanto riguarda Gaza la situazione è diversa, le falde sono in parte inquinate da acque di scarico urbane ed agricole e lo sfruttamento delle falde sta rovinando l'equilibrio naturale tra acqua marina e acqua dolce provocando un inquinamento delle falde. Le cifre per la ripartizione della acqua che in base agli accordi di Oslo andavano raggiunte entro cinque anni, a tutt'oggi non sono state raggiunte neanche lontanamente. Se da un lato la questione dell'acqua ed in particolare quella della "titolarita'" delle falde assume quindi un valore politico vitale, senza precedneti nel diritto internazionale, dall'altro è prevedibile che se i blocchi non dovessero cessare prima della fine delle piogge, questa situazione, gia' di per sè drammatica, diventera' insostenibile.

15 Dicembre 2000





Incontro con le donne di Bat Shalom a Casa di Judith Blank

Judith racconta la storia delle Donne in Nero e poi di Bat Shalom . Della formazione dei primi gruppi femministi in Israele e dell'associarsi di alcune donne dirigenti politiche. Passiamo poi alla situazione presente. RuthÉ..è appena tornata da una visita al ragazzo tredicenne ferito ad Hebron dai coloni. Le chiediamo come vengono accolte loro quando visitano le famiglie palestinesi colpite. " Dapprima con freddezza, sospetto e diffidenza,risponde, poi si costruisce una relazione e anche fiducia anche perchè siamo presentate da qualcuno che loro conoscono". Sul piano delle posizioni politiche di Bat Shalom rispetto alla seconda Intifada, dopo lunghe e tese discussioni, il consiglio direttivo ha approvato la sera precedente un documento che adotta il conenuto del testo prodotto dagli intellettuali palestinesi . I tre punti principali del testo sono:
1) il riconoscimento di responsabilita' / culpability/ da parte israeliana.
2) La ricerca di una soluzione per I rifugiati in accordo " con le risoluzioni internazionali rilevanti" (senza menzionare la risluzione 194)
3) La richiesta di intervento di forze internazionali

è in atto in Bat Shalom una riflessione sul lavoro degli ultimi otto anni. La pratica del dialogo, degli incontri "People to people" coltivata dal Jerusalem Link sembra oggi una esperienza conclusa e superata. A questa pratica si sono opposte molte donne politiche palestinesi che la consideravano una forma di "normalizzazione" dello status quo. Oggi anche le donne di Bat Shalom ritengono che sia prioritario fare chiarezza sugli obiettivi politici ( a partire da una chiarificazione all'interno dalla propria parte). Chiediamo se sia davvero inevitabile mettere in contrapposizione il dialogo con la chiarificazione dei temi politici. Ovvero: il dialogo avviene sempre ( o almeno dovrebbe potrebbe avvenire )su temi politici, quindi quando si dice che è una pratica superata, si vuol dire, in fondo, che ora non si vede il terreno per una discussione comune?
Judith risponde che le contraddizioni tra israeliane e palestinesi riemergeranno sempre , che Pango ( la rete delle ong palestinesi) ha scelto ora una sospensione dei rapporti. Anche loro, le donne di Bat Shalom, hanno deciso di non progettare più attivita' comuni che potrebbero nascondere differenze e divergenze di fondo. Detto questo, il dialogo degli anni passati è stato utile ad entrambe le societa' . Ha contribuito a cambiare l'immagine dei palestinesi nella societa' israeliana, ad intaccare la demonizzazione degli arabi,; I palestinesi hanno forse utilizzato di più il dialogo per raggiungere una conoscenza migliore della societa' israeliana. Ma il processo di Oslo non ha lavorato su questo piano e ora l'esperienza è "finita per sempre". "Per il futuro pensiamo che non ci possa essere dialogo senza riconoscimento dei diritti. Solo cosi si potranno riprendere relazioni paritarie." "La pratica del "people to people" non permette nessuna soluzione politica. Il sostegno internazionale che chiediamo ora è sostegno sulle nostre posizioni politiche"

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