Senza indipendenza nessuna pace


Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Guerre&Pace

"Questa è la guerra d'indipendenza palestinese", scrivono sul loro sito internet i pacifisti israeliani di Gush Shalom (Blocco della pace): una guerra dovuta "all'insistenza di Israele di tenere con la forza i territori conquistati nel 1967 anche se ciò comporta l'oppressione di due milioni di palestinesi"; e che può finire solo con "il ritiro di Israele dai Territori occupati e la creazione di uno Stato indipendente di Palestina con Gerusalemme est come capitale".
Sono parole semplici e conclusive, le uniche adeguate ad esprimere quanto accade in queste settimane: la lotta di un popolo per riavere quei Territori che la stessa comunità internazionale ha ripetutamente e vanamente intimato a Israele di abbandonare; per ottenere quello Stato che la comunità internazionale a parole gli riconosce, salvo continuare a negarglielo per interposti Usa.
Non c'è nessun "processo di pace" da portare avanti e non c'è nessuna "pace" da fare fra israeliani e palestinesi.
Se Israele torna dentro i suoi confini e riconosce lo stato palestinese con la capitale che gli spetta la "pace" c'è già. Se non lo fa, gli appelli a continuare il processo di pace serviranno solo, come sono serviti finora, a mantenere e occultare l'odiosa realtà dell'occupazione.
Una lotta di liberazione lunga mezzo secolo Non bastano a nascondere questa elementare verità le pilatesche condanne delle "opposte violenze": sette-otto morti israliani, fra cui due soldati barbaramente trucidati a Ramallah, da una parte; dall'altra quasi centoquaranta uomini donne bambini palestinesi assassinati, quattromila feriti, interi villaggi distrutti - in aggiunta alle decine di migliaia di morti, alle centinaia di migliaia di profughi vittime della pulizia etnica israeliana, alle stragi e alle rappresaglie condannate come crimini di guerra dalle convenzioni internazionali, alle sistematiche violazioni delle risoluzioni dell'Onu. In piena era della globalizzazione questa lotta lunga mezzo secolo conserva il senso antico di quella per l'indipendenza algerina, della resistenza europea contro l'occupazione nazista, del risorgimento - per fare solo gli esempi più universalmente condivisi.
Tutte conobbero crimini anche da parte degli oppressi ma nessuno, salvo i pieds noirs francesi e i postfascisti italiani, l'aristocrazia nera o i ciellini, sostiene che la contabilità dei crimini commessi "da una parte e dall'altra" (certamente sempre condannabili e certamente non confrontabili per sistematicità e ampiezza), o anche i discutibili governi usciti da quelle lotte, potessero esimere dallo schierarsi con italiani, europei, algerini contro le truppe austriache e papaline, naziste, francesi.
Una "strana" equidistanza I maätres a penser dell'informazione-spazzatura predicano, ciò nonostante, "l'equidistanza fra le due parti". Sono gli stessi che sei mesi dopo l'occupazione irachena del Kuwait sostenevano la necessità di bombardare Baghdad perché non c'era più margine per la trattativa e che hanno invocato le bombe su Belgrado il giorno dopo il fallimento di Rambouillet. Che altro fare contro le violazioni di Milosevic e di Saddam?, chiedevano con virtuosa indignazione.
La risposta se la stanno dando da soli in questi giorni: restare "equidistanti", dopo cinquant'anni di occupazione, oppressione, violazioni, stragi. Anzi trattare con Israele alle sue condizioni e accettando l'arbitro di comodo da lui scelto.
Chi sono i razzisti
Schierarsi con i palestinesi, ci dicono, sarebbe indice di "antisemitismo" o servirebbe ad alimentarlo. é una menzogna risibile. é la proiezione della cattiva coscienza europea, sfruttata cinicamente da Barak come dai suoi predecessori.
I palestinesi e chi ne sostiene la lotta non propugnano discriminazioni a danno degli ebrei, non negano i loro diritti politici, civili, linguistici e culturali, religiosi. Sono contro l'occupazione posta in atto dallo stato di Israele, che conculca i diritti degli arabi, cioè di un altro popolo semita, e discrimina perfino i cittadini arabi abitanti dentro i suoi confini. L'accusa di razzismo va respinta al mittente.
L'unico razzismo antiebraico oggi esistente e per niente da sottovalutare, ma che nulla ha da vedere con la Palestina e con i palestinesi, è quello diffuso e confuso in Europa con l'ordinario razzismo contro lo "straniero": neri, gialli, islamici. Quello testimoniato dalle male esternazioni di Biffi e dalle sguaiataggini di Bossi, coperte di fatto da tutta la destra e rigettate solo a parole dal governo ulivista, che le alimenta con le sue politiche anti-immigrati.
Gli interessi Usa Non è il rifiuto dell'antisemitismo la vera ragione della infinita pazienza occidentale, cioè della sua complicità con Israele, come non è stato il razzismo antiserbo, pure diffuso a piene mani in Occidente, la vera ragione dell'impazienza verso Milosevic e delle bombe sulla Jugoslavia. Questo comportamento platealmente asimmetrico ha la sua spiegazione nell'interesse statunitense, già dichiarato nel 1991 da Bush, a imporre il proprio controllo in tutte le aree strategiche del pianeta: in Medio Oriente attraverso l'asse con Ankara-Tel Aviv e con uno pseudo "processo di pace" mirante a porre un eventuale stato palestinese sotto tutela israelo-statunitense; nei Balcani con l'insediamento di protettorati, basi militari e governi amici; dovunque, usando la guerra come strumento di governo.
L'impunità garantita a Israele si spiega poi anche con la potenza delle lobby filosioniste di cui i vari candidati mendicano il voto in campagna elettorale. L'Europa subalterna e complice A questa arrogante strategia imperiale si sottomette l'Europa, confermandosi soggetto subalterno o inesistente, specie nell'area medio-orientale. Lo si è visto in questi anni con la partecipazione al criminale embargo contro l'Iraq, da cui ha cercato di prendere le distanze solo la Francia; o in queste settimane, quando Germania, Gran Bretagna, Italia si sono astenute, dividendo l'Europa, perfino sulla cauta condanna di Israele approvata dall'Assemblea dell'Onu.
Il che non impedisce a questa Europa di essere al tempo stesso complice e di sfogare nei Balcani i suoi appetiti imperialisti, come mostrano l'indecente ingerenza nelle elezioni jugoslave e la precipitosa corsa per assicurarsi, dopo aver semidistrutto quel paese, gli appalti della ricostruzione. Chi destabilizza il Medio Oriente E tuttavia la rivolta che divampa in Palestina, anche se dovesse essere momentaneamente soffocata per la disparità delle forze in campo, per i cedimenti di Arafat o per il sostegno soltanto verbale dei governi arabi, è destinata a riesplodere. L'instabilità continuerà a regnare in Medio Oriente finché non cesserà l'occupazione israeliana e non sarà riconosciuta ai palestinesi una reale indipendenza, cioè il contrario di quanto Israele e gli Usa hanno offerto da Oslo in poi. Anche per questo la lotta dei palestinesi è quella degli iracheni e dei kurdi. E la nostra.
é una lotta in cui le aggressioni occidentali non possono cercare di legittimarsi invocando l'invasione del Kuwait, o la repressione e la negazione del diritto di autodeterminazione del Kosovo. In Palestina, Israele e Stati Uniti sono "nudi" più delle mani con cui li affrontano i palestinesi: violazioni e torti sono tutti dalla loro parte.
Mobilitarsi per la Palestina indipendente Ci siamo mobilitati contro le aggressioni al popolo iracheno e jugoslavo, pur condannando le politiche dei loro governi. Non chiederemo di bombardare Tel Aviv e di metterlo sotto embargo totale, anche se le violazioni, le invasioni, le annessioni, i crimini di Israele sono ben maggiori, se non altro perché si susseguono nella più totale impunità da oltre cinquant'anni. Non occorre né serve una "guerra dell'Onu" per garantire ai palestinesi i loro diritti e tutelare un popolo quotidianamente esposto alla repressione, e oggi al massacro, come non sarebbe occorsa ai padrini di Giakarta, scrisse a suo tempo Chomsky, per impedire le stragi di Timor Est.
Occorre, al di là della rivolta di questi giorni e quali ne siano gli esiti immediati, isolare Israele sul piano politico-diplomatico ed escluderlo dall'associazione all'Ue finché non si sarà ritirato da tutti i territori arabi occupati. Occorre riconoscere subito lo stato di Palestina con Gerusalemme est come capitale, sostenendolo economicamente e garantendo protezione internazionale ai suoi abitanti. A tale impegno deve essere costretto anche il governo italiano, che ha dato nuova miserabile prova di sé in questi giorni ripetendo servilmente, tramite il ministro degli Esteri, l'ipocrita giaculatoria statunitense sulle "opposte violenze".
I movimenti pacifisti e alternativi, l'opposizione di sinistra non possono limitarsi a manifestare la loro solidarietà. Devono mettere in campo iniziative parlamentari, rivendicazioni e mobilitazioni che siano all'altezza della posta in gioco, come fu contro la guerra del Golfo o della Nato.

Walter Peruzzi - Piero Maestri

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