Ancora dolore, fino a quando?

Testo di Luisa Morgantini - parlamentare europea

Mohammed morto senza che suo padre potesse difenderlo, è uno dei tanti bimbi uccisi dai proiettili sparati dai soldati dell'esercito israeliano, che dopo otto anni dalla firma degli accordi di pace firmati tra Rabin e Arafat, continuano ad occupare militarmente più dell'80 dei territori occupati nel 1967, costringendo i palestinesi a vivere in Bantustan. Quando nel pieno dell'Intifada a Ramallah ho visto soldati israeliani abbattere le porte delle case, distruggere le provviste, picchiare donne, uomini, bambini senza nessuna pietà, come se di fronte a loro vi fossero mostri e non esseri umani, la mia mente mi restituiva l'immagine e i rumori dei passi dei soldati tedeschi che nel mio paese a Villadossola, verso la fine del 1943, salivano le scale di casa mia per prendere mio padre, partigiano nella resistenza contro il fascismo. Ma non sono solo i soldati israeliani a sparare nei territori occupati, vi sono anche i coloni, che occupano contro qualsiasi norma internazionale e senza che le Nazioni Unite ne impongano il rispetto, il territorio palestinese, sottraendo acqua, terra libertà ai palestinesi.
Una bambina di due anni è stata uccisa domenica sera, il suo cervello spappolato da colpi di fucile sparati da fondamentalisti ebrei che credono che quella terra sia loro per diritto divino. La bimba era del villaggio di Qusra, aveva la febbre, sua padre aveva deciso di portarla al vicino ospedale di Nablus, lo accompagnava la nipote di 8 anni. Nei pressi dell'insediamento israeliano che taglia Qusra da Nablus, la macchina è stata fermata da qualcosa messo di traverso sulla strada, dal ciglio coloni, incapucciati e armati hanno sparato. La bimba è arrivata morta all'ospedale e la piccola nipote con una ferita all'addome. Che dire di questi nuovi massacri perpretrati dai soldati e coloni israeliani e di questa esplosione di ribellione palestinese alla quale ancora una volta partecipano le nuove generazioni? Ancora i ragazzi delle pietre? Non solo, questa volta alla ribellione partecipano le forze di sicurezza palestinesi che hanno iniziato a sparare, ma che nulla possono contro un esercito come quello israeliano, che usa contri i civili carri armati, spara dagli elicotteri sulle manifestazioni, bombarda per 25 minuti la zona di Rafah.
Da tempo, molti di noi che seguono da vicino le vicende israelo-palestinesi, sostenevamo che la situazione sarebbe esplosa, che non era più possibile per i palestinesi reggere le continue provocazioni israeliane: vedersi ogni giorno confiscare terra e acqua per consegnarla ai coloni, sradicare alberi di ulivo per far posto alle strade per i coloni, vedersi le case demolite dai buldozzer con la giustificazione di essere state costruite senza licenza, mentre le licenze sopratutto a Gerusalemme est non vengono loro concesse, vedere i prigionieri politici in carcere già fin da prima dell'accordo di Oslo tenuti come ostaggi nelle prigioni israeliane. Difficile credere alla pace e attendere fiduciosamente mentre gli insediamenti nei territori occupati palestinesi dal 93 ad oggi hanno visto crescere la popolazione dei coloni da 141.000 a ormai più di 200.000, difficile credere alla pace quando ogni giorno i militari israeliani nelle aree ancora sotto controllo decidono se puoi passare o non passare se puoi andare a lavorare oppure no.
Difficile resistere quando non hai lavoro o devi lavorare per poter dare da mangiare ai figli, come fa il mio amico Talal, nella costruzione degli insediamenti, magari sulla terra che era della tua famiglia. L'esplosione è avvenuta per la provocazione di Ariel Sharon, falco e assassino vista la sua responsabilità nel massacro di Sabra e Chatila durante l'invasione del Libano. Sharon si è recato nella spianata della moschea, luogo sacro per i musulmani e tragico per i palestinesi che in quel luogo hanno subito massacri e umiliazioni da parte israeliana, protetto da più di mille tra soldati e polizia per affermare la sovranità israeliana sul Gerusalemme.
Ma responsabile non è solo Sharon, ma anche il governo Barak che invece di impedire a Sharon di recarsi alla spianata ha mandato i soldati e polizia per difenderlo. Non si puo' dire che non si sapesse che i palestinesi avrebbero reagito. Il Ministro per l'informazione palestinese e leader nei negoziati , Yasser A. Rabbo, il giorno 27 settembre ha diffuso un comunicato nel quale chiedeva al governo israeliano di non permettere che questa visita provocatoria avesse luogo, pena la reazione palestinese, lo stesso aveva fatto Feisal Hussein leader storico a Gerusalemme. Ma il governo Barak è anche responsabile dei massacri e di aver provocato una escalation della violenza. Perchè dare ordine ai soldati di sparare proiettili veri su una folla di manifestanti, l'uso delle pietre cosi' come è stato nei primi giorni non chiamano fucilate ad altezza d' uomo. Si sparava per uccidere, lo ha detto anche Padre Battistella del Patriarcato Latino a Gerusalemme. Ora bisogna fermare il massacro. I soldati israeliani devono ritirarsi. Si faccia un inchiesta internazionale, si protegga la popolazione palestinese.
L'Onu, dovrebbe non solo auspicare la pace ma praticare il diritto delle sue risoluzioni.
Non si puo' come sta facendo la propaganda israeliana responsabilizzare Arafat di aver organizzato la violenza, e non si puo neppure, come fanno molti paesi e la comunità internazionale nel suo insieme mettere sullo stesso piano la violenza israeliana e la violenza palestinese. Da una parte c'è uno Stato ed un esercito che occupano un territorio contro ogni diritto internazionale, dall'altra c'è un popolo che è stanco di umiliazioni e sofferenza. Questa volta non si tratta dell'estremismo di Hamas o di azioni kamikaze. C'è la rivolta comprensibile di un popolo stanco di essere oppresso e occupato, insoddisfatto anche dei suoi dirigenti e che riprende a voler decidere. E c'è anche la rivolta dei palestinesi cittadini israeliani che manifestano non solo in solidarietà con i loro fratelli della Cisqgiordania e di Gaza, ma perchè in Israele sono cittadini discriminati e con pochi diritti.
Mi diceva al telefono un amico israeliano, che sta cercando di organizzare la protesta di quel che resta del movimento pacifista israeliano che in questi giorni i palestinesi con i quali parla pur essendo spaventati dal futuro hanno ripreso a sperare nella possibilità della libertà o perlomeno a voler combattere per poterla ottenere. Al parlamento europeo abbiamo convenuto con molta fatica una risoluzione che vede la firma del maggior numero di gruppi politici e che verrà votata domani, che usa ancora un linguaggio diplomatico e che non osa dire la verità.
Riflettevo in questi giorni mentre mi chiedevo disperatamente che cosa possiamo fare oltre le manifestazioni, che basterebbe, anche senza sanzioni, che i vari governi, l'Unione Europea, l'Onu, dovrebbero semplicemente cominciare a dire come stanno le cose: che i palestinesi hanno il diritto di vivere sulal loro terra, che gli siraeliani dovrebbe ritirarsi dai territori occupati ,che le risoluzioni internazionali a partire dalla 338 alla 242 alla 194 per il ritorno dei rifugiati dovrebbero essere applicate. Già questo sarebbe di una forza dirompente e potrebbe cambiare la posizione israeliana che è convinta e finora a ragione di poter impunemente opprimere, rapinare occupare un altro popolo e un altra terra.
Il diritto all'esistenza e alla sicurezza dello Stato di Israele, ci sta a cuore e non è in discussione, ma altrettanto ci stanno a cuyore il diritto e la sicurezza del popolo palestinese che possa finalmente vivere in pace e con giustizia nel proprio stato e con Gerusalemme capitalre condivisa dai due popoli e due stati. La pace si costruisce con il dialogo, ma nel rispetto e nell'affermazione della giustizia e del diritto.


LUISA MORGANTINI PARLAMENTARE EUROPEA
Presidente delegazione PE per le relazioni con Consiglio Legislativo Palestinese



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