CHIEDIAMO
LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE PER IL POPOLO PALESTINESE
13 Maggio 2001
in questa lettera:
rapporto della giornata di mobilitazione dell'11 maggio a Deir Ishtya
Un dramma senza fine: una durissima settimana a Gaza
A proposito di liberta': lettera dal carcere di Regina Coeli
Pubblichiamo questo rapporto del Movimento di Solidarieta' Internazionale in
quanto delucidativo della maniera normale con cui l'esercito israeliano ha
sempre trattato le manifestazioni in sostegno della causa palestinese, che
trova generalmente uno spazio piu' nullo che esiguo nei nostri (ma non solo)
notiziari.
MOVIMENTO DI SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE
Centinaia di persone si sono riunite per protestare contro la costruzione
degli insediamenti.
Israeliani e internazionali si uniscono ai palestinesi per chiedere la fine
dell'occupazione.
Deir Ishtya, venerdi' 11 maggio: decine di Israelian@ e internazionali si
sono unite a piu' di 200 abitanti della citta' di Deir Ishtya in
Cisgiordania in una marcia non-violenta per protestare contro la continua
confisca delle terre per la costruzione di insediamenti illegali. Le
roulottes degli insediamenti sono state recentemente portate sul posto e
piazzate su proprieta' appartenenti a cittadini/e di Deir Ishtya,
circondando ulteriormente la citta' palestinese e impedendo la libera
circolazione dei palestinesi. Deir Ishtya e' circondata da ogni lato dagli
insediamenti di Yakir, Emanuel, Nofim e Barqan. l'allevamento e
l'agricoltura sono i principali sistemi di sussistenza per i/le residenti,
ma la presenza di questi insediamenti impedisce ai/alle cittadini/e di
accedere alla propria terra e di coltivarla.
I/le residenti si sono raggruppati/e nella piazza della citta' e da li'
hanno iniziato la marcia di 3 km verso il luogo in cui sono posizionate le
roulottes. Il sindaco di Deir Ishtya, Nafez Mansour, ha portato due messaggi
che i/le dimostranti hanno pensato di consegnare all'Esercito Israeliano e
ai coloni: "Non c'e' pace con gli insediamenti" e "Uguaglianza e giustizia
per tutti". A circa due km di marcia i/le dimostranti si sono trovati/e
davanti ad uno sbarramento di gas lacrimogeno dell'esercito israeliano, che
ha impedito loro di procedere verso il sito delle roulottes. Malgrado le
dichiarazioni de/lle dimostranti di essere disarmati/e e di venire in pace,
l'esercito israeliano ha scelto di bombardarli con gas lacrimogeno. Le
richieste dei/lle dimostranti in inglese e in ebraico per il dialogo hanno
ricevuto in cambio ripetuti colpi di lacrimogeni che hanno causato molti
fuochi nell'area circostante. Anche bombe suono e proiettili di gomma sono
stati usati dai militari israeliani. Un giornalista colpito al piede, ha
riportato leggere ferite. Questo modo di trattare i dimostranti e' in netto
contrasto con il modo in cui l'esercito israeliano si occupa delle
dimostrazioni di coloni. I coloni israeliani attaccano frequentemente i
villaggi palestinesi, terrrorizzando i/le residenti e sapendo di essere
protetti dai militari israeliani. E' superfluo dire che loro non sono mai
stati colpiti da gas lacrimogeno. Per quanto riguarda i/le residenti di Deir
Ishtya, la manifestazione e' stata del tutto non violenta. Quando e' stato
evidente che i soldati rifiutavano ogni tipo di dialogo, i/le cittadini/e
hanno fatto la loro preghiera del venerdi' sul luogo dove la manifestazione
e' stata fermata, prima di ritornare al loro villaggio.
Gli insediamenti costituiscono una diretta violazione del diritto
internazionale e sono contraddittori allo spirito di pacifica coesistenza
tra Israeliani e palestinesi. Secondo la 4^ Convenzione di Ginevra e'
illegale per le forze occupanti trasferire qualsiasi porzione della propria
popolazione in aree sotto ocupazione. Il movimmento di solidarieta'
Internazionale chiede ad Israele di aderire alla legge internazionale e alle
risoluzioni dell'ONU e alla comunita' internazionale di intraprendere azioni
che portino al rispetto di queste leggi da parte di Israele.
Un dramma senza fine
Un'altra settimana e' passata, e' il caso di dirlo, sul suolo palestinese
di Gaza, lasciandosi ancora dietro distruzione e morte. Gli attacchi
israeliani sono stati come al solito violentissimi. La loro dinamica e'
sempre molto contorta e lascia ora spazio a leciti dubbi. Con la
dichiarazione del ministro della difesa israeliano, Benyamin Ben Eliezer,
della scorsa settimana, di aver dato il via libera agli attacchi in
territorio palestinese a tutti i suoi ufficiali che fossero pronti a farlo,
si e' aperta un'altra fase del conflitto, assoggettata completamente al
libero arbitrio dell'esercito israeliano ai danni della popolazione
palestinese. Non sara' sfuggito ai/lle piu' attenti/e come sia stata
trattata la notizia del presunto attentato ad una base militare in
territorio occupato a Gaza che ha causato la morte di due persone. Scontata,
per la maggior parte dei media, la responsabilita' palestinese
dell'attentato, ma cio' che ci ha colpite/i e' stata la dinamica
dell'accaduto. Le due vittime erano infatti due immigrati rumeni, non
militari, che pare siano stati mandati a controllare e sistemare una
recinzione di filo spinato, sotto cui pero' hanno trovato una bomba.
Trattandosi di immigrati e non militari avrete poi notato che non hanno
ricevuto dai media tutta l'attenzione che invece hanno avuto le vittime
israeliane del conflitto, coloni, militari e riservisti, sono stati
trattati alla pari delle centinaia di morti/e palestinesi: i primi
meritavano foto e lunghi servizi (e citiamo come esempio quello della BBC
nel settimanale di ieri), i secondi no. Non ci appelliamo a nessuna par
condicio in questo senso: siamo coscienti che la spettacolarizzazione della
morte e della sofferenza sono in molti casi assolutamente strumentali alle
lobby politiche che inevitabilmente e tristemente controllano e influenzano
certa informazione.
Fatto sta che missili terra terra israeliani sono stati lanciati ancora in
pieno centro abitato a Gaza, sparati dal valico di Karni (a est), ed hanno
quasi distrutto una postazione della sicurezza palestinese (tra l'altro gia'
colpita e riparata solo un mese fa) e un base dell'intelligence. Si sa che
Israele detiene un altro triste primato: quello che ne fa uno degli stati
produttori di tecnologia di guerra piu' avanzati al mondo, eppure speriamo
sempre che non si sbaglino, come qualche volta e' successo, con i loro aerei
guida telecomandati, o che avvertano, come spesso non accade (vedi la
maggior parte degli attacchi ai campi profughi di Khan Yunis e Rafah), prima
di colpire per non fare ulteriori vittime sicure. Sulla stessa scia attacchi
di vario genere si sono registrati negli ultimi due giorni lungo tutta la
striscia di Gaza. Ieri notte sono state colpite Beit Lahiya e Beit Hanoun
al nord e Rafah e Khan Yunis a sud. Gli scontri con la popolazione
continuano a fare morti. Mentre scriviamo un altro giovane e' stato ucciso e
ci sono una decina di feriti a Deir al-Balah, dove venerdi alle prime luci
dell'alba i carriarmati israeliani sono penetrati per circa un km in area A
palestinese all'altezza di Deir al-Balah/al-Qarara, hanno circondato un
gruppo di 6 case e una postazione della polizia palestinese (impegnata negli
ultimi mesi soprattutto a dirigere l'intensissimo traffico in quella zona
per la quale le macchine devono passare una per volta e di cui si e' gia'
parlato), e le hanno completamente rase al suolo. Ritirandosi e per finire
la loro opera hanno danneggiato parecchi metri di strada, che ora diventa
ancora piu' impraticabile. Quando siamo arrivati sul posto la mattina,
c'erano ancora i segni dei carriarmati che sono passati nei campi. La gente
si aggirava tra le macerie e si cominciavano a montare le tende.
7 famiglie, 27 persone (di cui 19 sono bambini) hanno visto distruggersi in
pochi minuti tutto cio' che avevano. Il motivo?? Non c'e', rientra nel piano
di punizione collettiva, pulizia etnica e distruzione di massa in cui lo
Stato di Israele si e' sempre impegnato. Non c'e' stato nessun ferito, la
gente era stata fatta uscire di casa a suon di colpi di mitragliatrice,
prima di procedere alla distruzione con cannonate bulldozer. Le famiglie
colpite non erano profughe, ma residenti dell'area da tempo immemorabile,
avevano i loro 3000 m2 di terra, resti delle confische subite, coltivata a
mais, grano e verdure. I carriarmati israeliani hanno distrutto anche
quelli. Molte erano gia' disoccupate, tra queste perone. Un uomo seduto
sulle macerie della sua casa ci ha detto: "Ho lavorato per 10 anni in
Israele, in una fabbrica di patatine fritte. Ero riuscito a farmi una casa,
ma non l'avevo ancora finita. Ora me l'hanno distrutta. Israele ci da' la
vita cosi' come ci da' la morte". Piu' in la' un giovane ha cominciato a
cantare :"Uccideteci tutti,israeliani, uccideteci tutti europei, uccideteci
tutti americani, uccideteci tutti arabi e Nazioni Unite" ed aveva un
beffardo sorriso sulle labbra e occhi di rabbia, al punto che non si capiva
se scherzasse o se la disperazione si stesse impadronendo di lui. Un altro
ragazzo ha cominciato a fargli eco, e poi un altro ancora...
Nel silenzio istituzionale internazionale, dietro le cortine di ferro e i
muri di gomma, mentre la popolazione chiede invano aiuto e protezione, cio'
che accade in Palestina sta tratteggiando in maniera sempre piu' definita le
sue tremende conseguenze psicologiche sulla popolazione locale.
A proposito di liberta' e di diritti umani...in Palestina come ovunque nel
mondo, anche nella nostra bella e "sviluppata" terra, pubblichiamo la
lettera di un prigioniero politico dello Stato Italiano
29/04/2001 ........DAL CARCERE
12 mq di cui 7 occupati dai letti 2 dal tavolino e l'armadietto con le cose
da mangiare, sei persone x 3 mq, 3 passi per muoversi, anzi non muoversi, la
cucina è nel bagno usato anche per stendere i panni, un'ora d'aria ... 23
ore
di ansia di attesa passate a confortarsi a leggere e rileggere a scrivere e
riscrivere istanze.
La quotidianità è stare sdraiati sul letto alienati dalla televisione dalle
7,30 fino a che gli psicofarmaci non ci fanno dormire ... le poche ore di
libertà ... o quasi.
Ogni volta che un secondino apre la porta della cella i rumori dei nostri
cuori diventano un frenetico rullare di tamburi, si spera nelle lettere
degli amici, dei familiari un'istanza andata a buon fine, a volte sono
sorrisi ... ma soprattutto lacrime.
L'eliminazione sistematica delle coscienze, del libero pensiero vorrebbero
tanti automi privi di bisogni, affetti, sogni di libertà.
La maggior parte di noi aspetta da mesi il processo, consumandosi poco a
poco, il rischio di lasciarsi andare è forte, ma ancora più forte è la
solidarietà che nasce tra uomini (e donne) che ci permette di alzare
barricate contro questo sistema carcerario medioevale.
Ma c'è chi soffre ancora di più, parlo dei tossicodipendenti e dei malati
di HIV costretti a questa lercia vita come se il loro fardello non fosse
sufficiente, ed alle loro richieste di aiuto la risposta è ... prendetevi 30
gocce in più di Tavor o non so quali altri farmaci trasformandoli in
fantasmi vaganti persi nelle loro angosce così come i detenuti con problemi
psicologici o psichiatrici alle domande seguono le solite risposte:
aumentate le dosi di tranquillanti.
Così giorno dopo giorno ci trasformano nei lebbrosi del 2000, reietti della
società che vanno lobotomizzati in modo che non rompano i coglioni al
personale penitenziario.
La notte gli urli di chi sta male squarciano il silenzio assordante del
braccio, aspettarsi una risposta dai secondini o dal personale medico
(sempre assente la notte e spesso anche di giorno) è un miraggio nel
deserto della nostra solitudine.
Il giorno che sono entrato un detenuto ha tentato di impiccarsi ... la
risposta degli agenti è stata rapida ... botte su botte con gli asciugamani
bagnati per non lasciare i segni!
C'è ancora molto da raccontare e lo farò ... ma ora scusatemi le lacrime di
rabbia e dolore mi impediscono di continuare ...
Un saluto a pugno chiuso
Un fratello prigioniero
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