CHIEDIAMO
LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE PER IL POPOLO PALESTINESE
Gli israeliani spostano la linea verde
Gia' da diverse settimane il posto di blocco israeliano che delimitava la "linea verde",
il
confine del 1948, posto a sud di Qalquilia, sulla strada dell'insediamento di Ariel, era
stato spostato di qualche chilometro verso l'interno, spostando di fatto il confine dello
Stato. Da qualche settimana anche la linea verde nella zona di Modin, sulla strada che
porta a Ramallah e Gerusalemme, e' avanzata di un chilometro. Altra terra sequestrata di
fatto , perche' cosi' Israele sposta i suoi confini.
Questa e' una delle tante storie che fanno parte della vita quotidiana dei palestinesi e
di cui siamo stati testimoni diretti. Per fortuna questa volta, a differenza di tante
altre, si e' conclusa bene. Ringraziamo Stefania per la traduzione.
Invitato in Italia
di Ghassan Andoni
direttore del Palestinian Centre for Rapprochement Between People di Beit Sahour
Dopo aver incontrato molti simpatici amici italiani, soprattutto donne, sono stato
invitato a visitare Milano. Dati i molteplici scompigli(NdR:per le chiusure militari)
nella vita accademica, (NdR:Andoni insegna all'universita' di Betlemme) il semestre di
docenza è stato allungato per ben due volte. E quindi, per due volte ho dovuto rimandare
il viaggio. I miei ospiti sono stati così gentili da esprimermi la massima comprensione
per tali problemi. Finalmente è stato possibile progettare il mio viaggio in Italia dall'
11 al 17 marzo. La prima cosa di cui, come palestinese in procinto di partire per un
viaggio, devi preoccuparti, è ottenere il permesso per lasciare il paese. (NdR: i
palestinesi di Cisgiordania e Gaza devono avere da Israele uno speciale permesso solo per
recarsi all'aeroporto, anche se gia' hanno il visto del paese di destinazione). Secondo la
procedura, anch'io quindi ho dovuto noleggiare un taxi per andare fino all'insediamento di
It Zion, colonia israeliana sulla strada per Hebron, dove ha sede l'Ufficio israeliano per
il Coordinamento Distrettuale (DCO), dal quale dipende il rilascio dei permessi. Una volta
in macchina, e in marcia lungo la strada Betlemme-Hebron, mi son trovato a domandarmi: ma
perché mai un ufficio incaricato di sbrigare pratiche civili per la popolazione
palestinese deve aver sede in una colonia israeliana? Queste riflessioni sono state presto
interrotte da un improvviso arresto del mio taxi. Soldati israeliani stavano bloccando la
strada, impedendo a chiunque di avvicinarsi a Hebron. L'autista suggerì che avremmo potuto
provare la strada che passa per Beit Jala. Perché no? risposi io. Così facemmo inversione
a U e tornammo in direzione di Betlemme. Mentre ci arrampicavamo sulla collina di Beit
Jala, sono stato distratto dalla vista delle case bombardate. Una in particolare attrasse
il mio sguardo e i miei pensieri: un palazzo antico, recentemente ristrutturato e già
praticamente distrutto. La gloria del passato e la miseria del presente vi si potevano
osservare mescolate insieme. Salire la ripida collina che conduce alla Associazione araba
di Riabilitazione non è un'impresa da nulla. E subito dopo la sede della associazione
abbiamo visto le brutte montagne di terra e di detriti che bloccavano la strada che
conduce alla provinciale per Hebron. Cosa vuole che faccia? mi chiese il conducente del
taxi. Torniamo a casa, gli ho risposto senza pensarci sopra. Lungo la strada abbiamo
raccolto alcuni hebroniti che avevano percorso a piedi parecchi chilometri per raggiungere
Beit Jala. Una volta tornati a Betlemme, l'autista ha suggerito che avremmo potuto
chiedere ai taxisti della stazione di taxi se erano al corrente di qualche altra strada
che conducesse a Hebron e che non fosse stata chiusa, e così facemmo. I taxisti ci dissero
che probabilmente la strada passante per Herodion e per la colonia di Tequa' poteva essere
ancora aperta. In quel momento ci trovavamo nella parte nordovest dell'area di Betlemme, a
15 minuti d'auto da It Zion, e per raggiungere quella strada avremmo dovuto dirigerci
invece a sudest. Decidemmo di provare. Attraversammo Betlemme e Beit Sahour, costeggiando
molti villaggi beduini nel deserto della Giudea, finché un check point permanente degli
israeliani non ci fermò. Mi stupisce sempre la lentezza con cui i soldati israeliani si
muovono ai check point. Aspettammo mezz'ora che i soldati si decidessero ad occuparsi di
noi, poi uno di loro si avvicinò all'auto e ci disse che potevamo proseguire. Quel
percorso, che di solito si compie in venti minuti al massimo, richiese più di tre ore del
mio tempo e del mio sistema nervoso. Far la fila è diventato un impiego a tempo pieno per
molti palestinesi. E in quel momento io ero uno dei tanti. Avanzando lentamente verso lo
sportello dell'ufficio, riuscii finalmente a consegnare la richiesta, e l'impiegata mi
chiese di lasciarle un numero di telefono in modo che potessero chiamarmi per la risposta.
Che bellezza, la prossima volta verrò solo se chiamato. Il viaggio di ritorno fu
altrettanto lungo, ma perlomeno la meta era casa. Appena arrivato ho subito chiamato il
mio amico italiano, Lino, per informarlo che avevo depositato la richiesta. E mi misi ad
aspettare: attesi di giorno in giorno la telefonata, che non arrivò mai. La data prevista
per la partenza si avvicinava, e io ero sempre più sicuro che non mi avrebbero lasciato
andare. Due giorni prima del giorno fatidico il mio amico Lino mi ha chiamato per
informarmi che il Consolato italiano di Gerusalemme se ne stava occupando. Wow, come mi
sono sentito importante. Verso mezzogiorno ho ricevuto una telefonata da parte del
Consolato italiano che mi invitava a recarmi a ritirare il mio permesso. Il Ministero
degli esteri israeliano aveva informato loro, non me, che il permesso era stato accordato.
Ma io volevo esserne proprio sicuro. Così, prima di mettermi in viaggio per It Zion ho
telefonato e ho parlato con un'impiegata di nome Jasmine. La quale mi chiese di attendere
un paio di minuti, controllò e mi disse che effettivamente il mio visto era pronto e che
io potevo passare a ritirarlo quando volevo. Mi assicurò anche che gli uffici rimanevano
aperti fino alla sera tardi, e che era sufficiente che chiedessi alla guardia che
controlla il cancello di chiamarla e lei mi avrebbe subito mandato qualcuno con il visto.
Tornare ancora una volta all'insediamento di It Zion fu un incubo, ma bisogna fare quel
che c'è da fare. Semplicemente ripetemmo la stessa gita della volta precedente. Finalmente
al cancello, chiesi fiducioso alla guardia di chiamare Jasmine e di informarla che ero lì.
Pioveva a dirotto. Mentre io aspettavo sotto al pioggia, loro ci misero mezz'ora a mandare
qualcuno al cancello per parlare con me. Questa persona mi chiese la carta d'identità, e
mentre si allontanava di nuovo mi disse "vado un attimo a controllare e torno subito".
Aspettai un'altra mezz'ora sotto al temporale, quindi l'uomo tornò indietro e disse "mi
dispiace, il suo permesso non c'è. Io ero talmente sotto shock che non osai nemmeno
protestare. Decisi semplicemente di tornarmene a casa e di scordarmi il viaggio in Italia.
Mentre tornavo indietro chiamai il mio ufficio, gli raccontai cosa mi era successo e dissi
che avevo deciso di tornare a casa. Mi chiesero di aspettare solo qualche minuto. Indeciso
fra l'esasperazione e il desiderio di non deludere gli italiani, che mi avevano invitato e
avevano preparato per me un così bel programma, decisi di fermare l'auto e di aspettare
ancora solo dieci minuti. Nel frattempo, il Consolato italiano faceva del suo meglio per
mettersi in comunicazione con gli israeliani. Dieci minuti dopo mi richiamarono per
informarmi che avrebbero avuto una risposta nel giro di una manciata di minuti, e mi
chiesero gentilmente di essere paziente.
Alla fine presi il telefono e richiamai quella Jasmine. La udii gridare a qualcuno che la
questione era importante, e di andare immediatamente a controllare. Poi mi disse "il suo
permesso è pronto, torni pure indietro a prenderlo." Dovevo crederle, questa volta? Mi
separavano dall'ufficio solo cinque minuti di strada, quindi decisi di riprovarci. Al
cancello un soldato mi stava aspettando, e aveva in mano il mio visto. Me lo consegnò
dicendomi che la prima volta mi ero presentato troppo presto, e il mio visto non era
ancora pronto. Io lo guardai fisso, girai sui tacchi e me ne andai. Domani andrò all'
aeroporto. Non mi sorprenderebbe se di là mi rimandassero a casa. È dura essere un
palestinese, non è così?
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