Questa bella fiaba ci arriva da una ragazza di Roma, Chiara. Insieme ad un suo amico che scrive favole, ne ha raccolte un po' e le ha chiamate "Favole per non dormire". Noi la pubblichiamo molto volentieri e diamo anche il suo indirizzo e-mail, per chi volesse mettersi in contatto con lei...futura scrittrice famosa?
f.viglione1@virgilio.it
chiara_abramo@hotmail.com
C’era una volta (finalmente iniziamo come una vera favola!) Alessandro, un ragazzo di quindici anni magro e dai rossi capelli ricci. che amava molto stare da solo e per questo tutti pensavano che fosse triste. La maggior parte delle persone non ama la solitudine; stiamo bene da soli quando siamo tranquilli; e siamo tranquilli quando non abbiamo fatto soffrire nessuno, anche senza volerlo, quando non abbiamo rimpianti per qualcosa di bello o di importante che potevamo realizzare e non abbiamo realizzato, quando non abbiamo tradito un amico. Se sentiamo delle voci dentro di noi, quando i nostri ospiti tornano a casa, quando a casa ci torniamo noi, quando spegniamo il televisore o la musica, la casa galleggia nel silenzio e noi rimaniamo soli, queste voci ci fanno sentire male, perché ci ricordano il rimorso di un’azione sbagliata ed alla fine ci ritroviamo tristi, e così pensiamo che siano tutti quelli che sono nella nostra stessa condizione. Alessandro, contrariamente a quanto credevano tutti, stava sì meravigliosamente bene con amici e familiari, ma amava anche starsene tutto solo in camera sua, sul letto, a pancia in su, con le mani incrociate sotto la testa, sulla spiaggia all’alba o al tramonto, seduto su di un muretto ad ammirare le montagne nelle giornate di vento, affacciato alla finestra a spiare la gente che passava in strada, o (e questa gli piaceva più di tutte le altre situazioni) nelle notti d’estate. Il suo segreto era semplicissimo: faceva sempre ciò che desiderava. Intendiamoci: sapeva benissimo che non poteva disturbare le atre persone o fare del male agli animali, ma rifletteva sempre sulle decisioni da prendere e poi, quando era convinto, metteva in pratica i suoi pensieri. Così non si pentiva mai delle sue azioni, non diceva mai “Ah, se avessi fatto come pensavo io…”. A volte si sbagliava, come capita a tutti, ma cercava di imparare dai suoi errori  e quindi, di non commetterli altre volte.
La scuola, anche quell’ anno, era finita, l’estate era iniziata da poco e le notti erano piacevolmente tiepide, non ancora afose, un venticello leggero portava i profumi dei campi, dei prati fioriti e delle terre lontane. Alessandro si stava godendo tutto questo paradiso, passeggiando lungo una strada di campagna, con le mani in tasca, felice della compagnia dei suoi pensieri. Giunse alla riva dello stagno dove era solito fermarsi un po’ a riflettere, prima di andare a letto. La luna, nel cielo spazzato dal vento, era enorme, splendente e meravigliosa, e si specchiava nell’acqua immobile. Il ragazzo guardava ora l’originale, ora l’immagine riflessa, e si divertiva a confonderle. Nonostante fosse perso in questo gioco, sentì distintamente un lieve tonfo nell’acqua, che si increspò in cerchi che si allargavano sullo specchio della superficie. Pensò ad una rana, ma il rumore si risentì poco dopo, e poi di nuovo. Più che rane, che si tuffano con eleganza ed entrano in acqua quasi senza “plop”, sembravano sassi lasciati cadere nello stagno. Quando però sentì anche il classico suono di quello che tira su dal naso, alzò gli occhi verso la fonte di quel rumore e restò lui, come un sasso. Già, perché una grossa lacrima stava uscendo dalla luna piena, e dopo un attimo era caduta nell’acqua davanti ai suoi piedi, provocando un altro piccolo tonfo. Istintivamente, come se parlasse alla sua migliore amica, chiese: “Perché piangi?”, dandosi subito dopo dello scemo per quanto fosse assurda la domanda.  O lui non era così scemo, o la domanda era quella giusta, o stava succedendo qualcosa che accade solo nelle favole, fatto sta che la Luna, tra un singhiozzo e l’altro, rispose con la voce più soave e melodiosa che gli fosse mai capitato di ascoltare. Riempiva tutto il cielo e sembrava provenire da tutte le direzioni contemporaneamente:
“Sono triste. Sono triste e sola in questo cielo immenso e buio, legata da un filo invisibile alla terra e costretta da sempre e per sempre a girarle intorno. Sono piena di buche e polvere, non una foglia, un fiore, il canto di un uccellino, ed inoltre…(qui tirò su col naso) non so luccicare come una stella. Se non ci fosse il sole ad illuminarmi, sarei solo una palla grigia quasi invisibile. E’ lui che mi fa risplendere e mi dona tutta la mia bellezza, io non ho proprio niente di attraente” (e giù un’altra lacrima).
Alessandro, superato il primo stupore, iniziò a rincuorarla: “Ma non è affatto vero! Sei incantevole e piena di fascino, e la luce del sole riflessa sulla tua superficie acquista una tonalità particolare che dona un che di misterioso  a tutte le cose, pensa a quanto è bella l’ombra di luna…”
“Ma non è tutto qui – continuò l’astro come se il suo interlocutore non avesse nemmeno aperto bocca – oltre a questa situazione non proprio allegra, considera che da quando l’uomo ha scoperto l’uso intelligente della parola, a me si rivolge un esercito di depressi ed infelici: sento tutti i lamenti degli innamorati delusi, dei pretendenti respinti, i sospiri dell’amore impossibile di Romeo e Giulietta, gli ululati dei lupi che vagano nella steppa sconfinata dell’Asia; sento le vane promesse dei giocatori che tornano a casa dopo avere perso tutto, i canti dei marinai sul ponte delle navi, lontani mesi e mesi da casa, gli sguardi smarriti delle sentinelle notturne, quelli aspri dei nomadi seduti accanto ai fuochi nel deserto, quelli rassegnati dei vagabondi che mi intravedono tra i rami, dalle panchine dei parchi; la vita li ha traditi. Sento tutte le preghiere di chi desidera il ritorno della persona amata, di chi vuole comprendere la cattiveria degli uomini, o la crudeltà del destino, lo sconforto di chi ha visto la fortuna passargli vicino e non è riuscito ad afferrarla, la disperazione di chi la fortuna non l’ha mai vista neppure da lontano, il rancore di chi ha subito un torto, un’ingiustizia, il lamento di chi ha provato a realizzare un sogno, ma si è dovuto arrendere alle difficoltà  della vita. Ecco, tutte queste tristezze salgono fin quassù, ed io le assorbo come una spugna, non ho nessuno a cui raccontarle…”
“Ma cosa stai dicendo? – protestò il giovane – le hai appena raccontate a me, io ti ho ascoltato e…”
Troppo tardi. Nel frattempo tutta la notte era trascorsa, la luna era tramontata dietro alle montagne ed una luce azzurrina da oriente, stava invadendo tutto il cielo facendo sbiadire le stelle e regalando i primi colori al mondo. Tra poco le cime delle montagne sarebbero state baciate dal sole che le avrebbe rese di quel colore che fa venire la pelle d’oca solo a pensarlo.
“Tutta la notte sveglio!” Alessandro non ci poteva credere, era la prima volta, e poi gli era accaduta quella cosa straordinaria: aveva parlato con la luna!
Tornando a casa, si rendeva conto di non avere per niente sonno: l’eccitazione di quell’incontro gli aveva sbriciolato la stanchezza ed ora non vedeva l’ora di raccontare tutto a qualcuno. Già, ma a chi? I suoi genitori di sicuro lo adoravano, riponevano molta fiducia in lui, non avevano mai dubitato di una sola sua parola, ma… una storia del genere… No. Non l’avrebbero capita. I grandi sono sempre tutti presi dai loro problemi: casa, lavoro, soldi, bollette da pagare, sembra che la parte dei cervello dove abitano i sogni e la fantasia, se la siano mangiata impanata in qualche pranzo di Pasqua. Lo Zio Luciano, forse… Era ancora abbastanza giovane e parlava volentieri con lui… ma forse pensava troppo alle macchine sportive ed alle ragazze. Tutti i suoi amici lo avrebbero sicuramente preso in giro fino all’anno dopo e non gli avrebbero neppure fatto terminare il racconto.
Aveva rallentato il passo, la testa ciondolava a destra e a sinistra, aveva rimesso le mani in tasca e prendeva a calci le pietre. E gli stava tornando il sonno. Il suo entusiasmo sbiadiva come aveva visto fare alle stelle, vinte dal chiarore dell’aurora: a cosa serviva un’esperienza del genere, se non poteva raccontarla a nessuno?
Tornò a casa. Andò a letto e si addormentò subito. L’estate passò lenta come una barca sul fiume ed il suo ricordo ormai, sembrava una vecchia pubblicità scolorita di un aperitivo.

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Luisella aveva le trecce bionde, gli occhi del colore delle lagune tropicali ed un sorriso che puoi avere solo a quindici anni. Quando sorrideva, tutta la famiglia tirava fuori gli occhiali da sole ed i canarini iniziavano a cantare. Alessandro la incontrò alla festa di fine estate, all’inizio di Settembre, quando per tutto il paese si piazzavano banchetti di dolci, formaggi, giocattoli, maglioni che provenivano dal Perù, oggetti orientali, mentre sulla piazza principale c’erano i giochi ed i tornei, gli acrobati, maghi e indovini, e persino i Carabinieri a cavallo. Era sempre stata carina, ma adesso era proprio uno splendore. Alessandro la guardava da lontano e sentiva che con lei sarebbe riuscito a parlare di qualsiasi cosa, e poi, col suo visino rotondo, gli ricordava qualcuno con cui aveva fatto un lungo discorso una notte di qualche mese prima e che lui, nonostante ci avesse provato, non riusciva a dimenticare, anzi, adesso, guardando Luisella, gli tornava tutto in mente in modo chiaro e nitido. Stava pensando a tutto questo, quando lei si voltò, lo vide e lo salutò con la mano e con uno dei suoi sorrisi. Il ragazzo saltò giù dal muretto dove era seduto e le si avvicinò. Iniziarono subito a parlare con la voglia di dirsi tutto nel più breve tempo possibile. In quei momenti non diamo il tempo all’altro di finire un discorso, che già ne iniziamo un altro, sempre più meravigliati di quanto ci siano argomenti in comune con questa persona meravigliosa. Esaurito il primo momento di frenesia, i due ragazzi presero a passeggiare per le vie del paese, guardando la merce sui banchi, senza smettere mai di parlare,
“Come mi sta?” Luisella si era infilata un maglione peruviano dal fondo grigio, ma dai ricami sgargianti: Quanto era bella, coi capelli color del sole e l’arcobaleno addosso… Alessandro, per un attimo, restò senza parole ed alzò soltanto le sopracciglia in senso di approvazione. Poi lei posò l’articolo sul banco e scappò via, salutando l’Indio impassibile con la mano.
“Grazie del formaggio, signora. Mmmmh, è davvero speciale! Manderò mia madre a comprarne un pezzo”…E via tutti e due, con la mano sulla bocca per soffocare le risate: una piccola bugia, ma per quell’assaggio, ne valeva la pena.
Stettero una mezz’ora a guardare le cassette dei loro cantanti preferiti, annusarono tutti i tipi di incenso, si misero da bravi in coda per la distribuzione di carne alla griglia, e quando ebbero i loro piatti, andarono a gustarsi salsicce e costolette sotto un grande albero, succhiandosi anche le dita, alla fine.
Al pomeriggio iniziarono le gare: il tiro alla fune fu un disastro, perché finirono a gambe all’aria, trascinati dalla squadra dei taglialegna; il tiro con l’arco andò meglio, ed Alessandro arrivò secondo, vincendo un ciondolo pellerossa di cuoio, piume e turchesi, che regalò subito a Luisella, con la scusa che era del colore dei suoi occhi. Lei vinse la gara di arrampicata, salendo come un gatto sugli appigli colorati che avevano montato su di una parete in legno appoggiata al Municipio. E poi freccette, pallavolo, altri giochi ed altre golosità fino a sera. Col buio, uscirono dal paese, per vedere meglio i fuochi artificiali. Si presero per mano, come fosse la cosa più naturale del mondo. Sicuramente lo era, dopo quella giornata. Guardarono gli sfavillanti fiori di luce nel cielo notturno, seduti sull’erba, vicini, in silenzio. Alla fine dello spettacolo ripresero a camminare, ed arrivarono allo stagno, luogo di ritiro di Alessandro. Su quella riva, lui le raccontò tutta la storia della luna triste, senza vergogna, anche perché vedeva che lei lo seguiva con interesse, senza il minimo sospetto che il racconto fosse inventato. Alla fine Luisella stava in silenzio: rifletteva su quanto aveva appena ascoltato e sulla situazione di chi assorbe tutti i dolori degli altri senza mai avere un po’ di conforto. Decise che anche queste figure, che fossero persone o qualsiasi altra cosa, avevano bisogno di un po’ di allegria, di quell’allegria che aveva assaporato lei in quella giornata speciale. Allora si sdraiò sul prato, incrociò le mani dietro la testa e si rivolse alla falce luminosa, appesa nel cielo sopra di loro, della luna a metà del primo quarto:
“Oggi ho vissuto una giornata speciale – iniziò – ho ritrovato un amico dell’asilo con cui non parlavo da tanto tempo, ed è stata una sorpresa incredibile; mi ha fatto ridere tutto il tempo, abbiamo parlato, giocato insieme…”. Alessandro si sistemò accanto a lei e cominciò anche lui a raccontare con gli occhi che brillavano di contentezza: “Abbiamo mangiato cose prelibate, ci siamo presi in giro, abbiamo scherzato…”. Insomma, continuarono per un bel pezzo a descrivere cosa avevano fatto e le loro sensazioni di gioia per le ore trascorse in mezzo a gente allegra, ma soprattutto, in compagnia l’uno dell’altro. Sembrava che i motivi di felicità non dovessero mai finire, ed i due ragazzi, senza mai smettere di sorridere, non dimenticarono nemmeno il più piccolo particolare. Era quasi l’alba, e, nonostante in quel giorno di festa i genitori lasciassero rientrare i figli a qualsiasi ora, decisero di tornare a casa. La notte era stata tiepida e asciutta. Si alzarono e si incamminarono verso il paese. Si voltarono ancora una volta a guardare la luna: una linea curva, bianca e brillante. Uguale ad un sorriso.

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