Sulle tracce di Gesù di Nazareth
di Carsten Peter Thiede

Chi oggi si occupa da storico, da studioso di cose storiche, delle tracce del Gesù storico, è fortunato: mai come oggi - da quando esiste una seria ricerca su Gesù - le tesi della ricerca hanno potuto fondarsi su di una simile dovizia di scoperte. Quasi tutto ciò che oggi ci aiuta a comprendere l'epoca e l'ambiente contemporaneo a Gesù è venuto alla luce dopo la seconda guerra mondiale.

Ed alcune cose, che devono ancora essere valutate a fondo, sono così "fresche" che molta gente non ne sa alcunché. Quando un anno fa realizzai per la Prima Rete della televisione tedesca un documentario in due parti sul Gesù storico - due parti di 45 minuti - quasi tutto quel che venne mostrato in quei 90 minuti non era mai stato ripreso da una telecamera.

Il Sepolcro

Tra i percorsi di ricerca più interessanti c'è, ad esempio, quello di Martin Biddle, professore dell'Università di Oxford, archeologo e storico dell'architettura. Egli sta cercando di ricostruire, attraverso la combinazione di testimonianze archeologiche e documentarie, la storia della costruzione del Sepolcro vuoto di Cristo nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Chi ha avuto occasione di visitarla ricorderà quelle lunghe file di turisti che premono, chinate all'apertura della Aedicula, per gettare uno sguardo, tra le candele e le lampade a incenso, alla lastra di marmo sotto la quale dovrebbe trovarsi il resto della pietra sepolcrale. Se si gira intorno all'Aedicula, dalla parte opposta un sacerdote copto mostra un altro resto della pietra. Non c'è molto da vedere, anzi, si potrebbe dire che in pratica non c'è nulla, poiché quasi tutto ciò che era rimasto intatto per secoli del Sepolcro di Cristo fu distrutto nell'XI secolo dal califfo Hakim. La costruzione che oggi si visita all'interno della chiesa del Santo Sepolcro risale al XVI secolo e viene faticosamente tenuta in piedi da supporti d'acciaio con cui i britannici nel 1935, durante il loro mandato, vollero assicurarle un po' di stabilità. Nessuna meraviglia che molti scettici abbiano dubitato e dubitino di vedere qui veramente il Sepolcro vuoto di Cristo. Eppure tutti gli storici più seri sono sempre stati dell'opinione che proprio quello è il luogo preciso della deposizione di Gesù. Infatti quel luogo, e il cocuzzolo del Golgota che dista non più di cinquanta metri e si trova anch'esso all'interno dell'odierna chiesa del Sepolcro, corrisponde a tutti gli indizi che si ricavano dalle fonti. Da molto tempo è assolutamente certo ad esempio che le mura di Gerusalemme al tempo di Gesù correvano nelle immediate vicinanze, ma in modo tale che entrambi i luoghi erano situati esternamente, il che coincide con la descrizione del Vangelo di Giovanni (19, 20): "Il luogo dove venne crocifisso Gesù si trovava vicino alla città". Che aggiunge: "Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto" (19, 41).

In altre parole: entrambi i luoghi, la roccia del Golgota e il Sepolcro, si trovavano appena fuori delle mura cittadine ed erano vicini l'uno all'altro. I reperti odierni non potrebbero corrispondere meglio a questa descrizione. E con ciò è contemporaneamente confutata anche la teoria "rivale", sorta nel secolo scorso, del "Giardino sepolcrale" presso la Nablus Road. Sicuramente questo giardino è un posto estremamente suggestivo, che ciascun visitatore di Gerusalemme dovrebbe vedere. Ma quel Giardino non solo è troppo lontano dalle antiche mura cittadine: lì non c'è alcun "sepolcro nuovo". I resti che vi si possono osservare risalgono infatti al VI secolo avanti Cristo.

All'interno della chiesa del Santo Sepolcro c'è però anche una costruzione sepolcrale più grande, nella cosiddetta Cappella Siriana. Nelle guide turistiche essa viene denominata spesso come "Sepolcro di Giuseppe di Arimatea". È distante più di venti metri dal Sepolcro di Gesù, ed anche questo gioca a favore dell'autenticità dell'antica tradizione; poiché la tomba di Gesù non si trovava in mezzo ad altre tombe anche se, com'era allora del tutto normale, il terreno fu poi utilizzato per altri sepolcri. Partendo da questo quadro, il professor Biddle e il suo collega londinese Michael Cooper hanno compiuto notevoli passi in avanti nella ricerca.

Con l'aiuto della fotogrammetria essi hanno ricostruito l'intera storia della edificazione del Sepolcro vuoto, procedendo all'indietro, dallo stato attuale fino all'antico. La tecnica della fotogrammetria o "misurazione delle immagini" rende possibile la ricomposizione geometrica o strutturale di fotogrammi di territori e oggetti. In questo modo, ad esempio, possono essere ricostruite graficamente o isometricamente costruzioni che non si sono conservate o non sono accessibili interamente. Si adotta per questo soprattutto lo stereorilevamento: due figure vengono poste sotto due microscopi oppure due strumenti di misurazione, e vengono fuse in un'unica immagine. Biddle e Cooper hanno realizzato migliaia di foto del Sepolcro con questo procedimento ed ora sono in grado di avere un'immagine precisa al millimetro della Aedicula attraverso i secoli. Naturalmente loro non utilizzano solo le proprie fotografie, bensì analizzano anche disegni, incisioni in rame, monete e altro, risalenti a varie fasi della costruzione, fino al IV secolo. Alla fine si otterrà una minuziosa storia dello sviluppo del luogo dal I al XX secolo, ed ogni pietra potrà essere esaminata da qualsiasi angolo visuale.

Tra i molti risultati finora ottenuti ce n'è uno che appare sorprendente anche a prima vista: non è stata scoperta alcuna antica epigrafe di pellegrini. Ma proprio questa apparente lacuna è a sua volta un indizio a favore dell'autenticità dell'antichissima tradizione del luogo. Nei primi decenni del cristianesimo primitivo, quando ancora vivevano le generazioni dei testimoni oculari, non c'era alcun interesse alla venerazione particolare di determinati luoghi. Il Sepolcro vuoto di Cristo era appunto vuoto, il Signore era risorto. Ciò era noto e così ovvio, che neanche una volta Paolo sottolinea questo fatto. Nelle sue Lettere ciò viene semplicemente presupposto. Nella prima Lettera ai Corinti egli esorta i suoi interlocutori ad interrogare i testimoni oculari del Risorto, nel caso che ancora avessero qualche dubbio; ma in nessun passo c'è un invito a recarsi a Gerusalemme e a visitare il Sepolcro vuoto.

Aelia Capitolina

Questa situazione mutò quando il cristianesimo si espanse sempre più per tutto l'Impero romano e i Vangeli giunsero ovunque, singolarmente o in Codici. Ciò avvenne nei primi trent'anni del II secolo: ormai non viveva più alcun testimone oculare, e la curiosità dei cristiani lontani crebbe. Ma appena pochi anni dopo l'inizio dei viaggi in Israele da parte dei cristiani, avvenne una catastrofe: scoppiò la cosiddetta rivolta di Bar-Kochba e i romani, sotto l'imperatore Adriano, la stroncarono con brutale violenza. Gerusalemme venne distrutta per la seconda volta e nel 135 Adriano trasformò la città in una colonia militare romana, che chiamò Aelia Capitolina. Per impedire ai pellegrini di raggiungere i luoghi del Sepolcro vuoto e della roccia del Golgota, l'imperatore vi fece costruire sopra dei templi pagani. In quell'occasione venne naturalmente distrutta gran parte delle costruzioni preesistenti; e se lì ci fossero state epigrafi di pellegrini, esse sarebbero state senza dubbio eliminate. Ma, per quanto ciò possa suonare strano, proprio questi atti dell'imperatore Adriano confermano una volta di più l'autenticità della tradizione del luogo. L'imperatore, coprendo l'area del Golgota con templi pagani, da un lato confermò che si trattava effettivamente del luogo della crocifissione e della deposizione di Gesù, dall'altro mise il sito involontariamente al sicuro dall'azione del tempo. Solo nel 326 la madre dell'imperatore Costantino, Elena, poté far abbattere quei templi e far tornare alla luce i luoghi autentici che vi giacevano sotto.

Ma restiamo ancora nella chiesa del Sepolcro e spostiamoci per un po' di metri, verso la roccia del Golgota.

La roccia del Golgota

Perché anche qui, negli ultimi anni, si sono registrate delle novità. La scoperta più originale e forse anche più sorprendente riguarda proprio ciò che invece manca presso il Sepolcro: una epigrafe di pellegrini. Naturalmente non la si è rinvenuta nella parte centrale della roccia - perché questa era stata parzialmente asportata da Adriano e ricoperta da un tempio. Ma la roccia del Golgota è una vasta area. Alcune parti di essa si trovano ancora oggi ad esempio sotto la chiesa protestante del Redentore, nel quartiere Muristan. E in uno dei versanti all'interno dell'area dell'odierna chiesa del Sepolcro, nella cosiddetta cappella di san Vartan, degli archeologi armeni hanno scoperto l'epigrafe in latino di un pellegrino cristiano: il disegno inciso nella pietra di una nave con l'albero rovesciato e la scritta sottostante "Domine ivimus", "Signore, siamo arrivati"; un riferimento al Salmo 121, 1: "In domum Domini ibimus", "Andiamo alla casa del Signore". Qui dunque erano giunti dei pellegrini, ma non poterono raggiungere la parte centrale della roccia, poiché su di essa c'era il tempio di Adriano. Così essi realizzarono disegno e iscrizione un po' più in là, ma pur sempre nell'area della roccia del Golgota. E questo deve essere successo tra il 135 ed il 326, cioè negli anni in cui il vero luogo della crocifissione era inaccessibile. Ed anche questo conferma a sua volta quanto la tradizione del luogo sia stata conservata con tenacia e con precisione attraverso i decenni e i secoli.

La croce di Cristo

Ma la scoperta più sensazionale sul Golgota è recentissima e non è ancora stata valutata in modo definitivo: si tratta del dissotterramento dell'intera parte superiore della roccia nella cappella greco-ortodossa del Golgota da parte dei due archeologi ed architetti greci, George Lavas e Saki Mitropoulos, iniziato alla fine del 1991. Durante la pulizia della roccia i due constatarono che sotto le lastre di marmo della cappella greco-ortodossa del Golgota si trovava uno strato di malta di calce rotondo, dello spessore di 50 centimetri, rimasto evidentemente intatto da secoli. Cautamente essi lo asportarono e vi scoprirono nel mezzo una cavità rotonda, nella quale si trovava un anello di pietra di quasi 11 centimetri di diametro. Non c'era alcun dubbio che l'anello serviva al fissaggio di una croce. Si infilava la croce nell'incavo, attraverso l'anello fino ad incastrarvela, per poterla poi innalzare. Era questo l'anello della croce di Cristo?

Lavas e Mitropoulos si sono astenuti da speculazioni. Secondo quest'ultimo, del ritrovamento si possono dare due interpretazioni.

Poteva trattarsi di un anello sistemato nell'anno 326. In quell'anno Elena, madre dell'imperatore Costantino, preservò il luogo della crocifissione e quello della sepoltura e suo figlio fece costruire lì la chiesa del Sepolcro. Dunque si tratterebbe di un anello costruito in memoria della crocifissione. E già se fosse "solo" questo, quell'anello ci fornirebbe preziose indicazioni. Poiché la pratica del fissaggio della croce attraverso un anello, allora ancora sconosciuta da parte dell'archeologia, doveva basarsi su ben precise conoscenze, su salde informazioni tramandate. Chi altrimenti si sarebbe inventato un anello di 11 centimetri di diametro? Perché quel diametro significa che la croce non poteva essere più alta di 2,40 metri. E questa invero modesta altezza contraddice le nostre aspettative, contraddice anche tutto ciò che fino ad oggi - ad esempio nelle arti figurative - si è rappresentato al di sotto del Signore innalzato sulla croce. I Vangeli, dal canto loro non dicono nulla sull'altezza della croce. In questo la scienza archeologica è affidata solo a se stessa.

Ma c'è anche l'altra possibilità, e cioè che questo anello appartenesse veramente alla croce di Gesù e che sia rimasto conservato fino ad oggi. A ciò si potrebbe obiettare subito che, come abbiamo detto dianzi, l'imperatore Adriano nel 135 fece distruggere Gerusalemme per la seconda volta e fece edificare sopra i luoghi del Golgota e del Sepolcro vuoto dei templi, per impedire l'accesso ai pellegrini, ai cristiani giunti lì. Proprio questo atto di Adriano potrebbe però aver contribuito alla conservazione della cavità e dell'anello. Poiché l'imperatore asportò ampie parti della roccia e lasciò stare solo la parte centrale, che spianò. E infatti è stata ritrovata solo una cavità e non anche le due degli altri che furono crocifissi con Gesù; e poi per il compimento di tale azione non era necessario distruggere l'interno della cavità di centro. Bastava riempirla e spianarla in modo da potervi costruire sopra. Proprio questo accadde, come indicano chiaramente i reperti archeologici. La cavità e l'anello possono dunque essere autentici, protetti - per quanto possa suonare strano - grazie alle disposizioni di Adriano. Al momento l'anello e la malta di calce vengono accuratamente analizzati a Salonicco. Si spera che in tempo ragionevole sia possibile attribuire loro una datazione il più possibile esatta.

"Le rocce si spezzarono"

Nel corso dei lavori dei due archeologi greci si è pervenuti ad un'ulteriore conferma dell'autenticità di questa roccia del Golgota. Sotto la malta di calce ora rimossa è emersa per tutta la roccia fin sotto alla Cappella di Adamo una frattura. Gli scettici, sulla base della parte inferiore della roccia, l'unica prima visibile, avevano finora creduto che si trattasse di un difetto naturale della roccia. Ora invece è sicuro che la frattura è stata causata da un evento naturale di particolare impatto. Georg Lavas e Saki Mitropoulos sono sicuri che si tratti della conseguenza del terremoto menzionato nel Vangelo di Matteo. Lì è scritto (27, 52), nel racconto di ciò che seguì immediatamente alla morte in croce di Gesù: "La terra si scosse, le rocce si spezzarono".

Chi in questi giorni va a Gerusalemme può vedere chiaramente la parte anteriore della frattura. La cavità dell'anello della croce si trova dietro l'altare sotto una pesante lastra di vetro blindato e non è normalmente accessibile.

La tomba di Caifa

Un'altra eccezionale scoperta ci porta ad una migliore comprensione dell'ambiente religioso di Gesù. Questo non era costituito solo dagli esseni, che attualmente attraverso i bestseller scandalistici Dossier segreto: Gesù di Michael Baigent e Richard Leigh, oppure L'uomo Gesù di Barbara Thiering, vengono presentati come i veri cristiani. Perlomeno di pari importanza furono i sadducei, classe sacerdotale da cui provenivano le migliaia di preti del Tempio, e naturalmente anche i farisei, dai quali vennero maestri di rilievo come Gamaliele e il suo discepolo Saulo - più tardi divenuto Paolo. Riguardo al confronto che Gesù ebbe con tali gruppi ci riferiscono i Vangeli. Particolarmente aspro ed ultimamente mortale fu il conflitto di Gesù con la famiglia dei sommi sacerdoti, soprattutto con Caifa ed Anna. Gesù bolla questi e i loro seguaci come "ipocriti" più di una volta. Egli mette a nudo la loro insincera condotta di vita ed il loro menzognero pensare e parlare. Quanto Gesù avesse davvero ragione è ora diventato ancor più evidente grazie ad una scoperta archeologica. L'archeologo Zvi Greenhut ha trovato la tomba di famiglia della tribù di Caifa. Si trova su di una collinetta a Talpiot est, un sobborgo sud-orientale di Gerusalemme. Da lì si ha una veduta impressionante della città vecchia e del monte del Tempio. Chi oggi cerca la tomba nel frattempo ricoperta, la riconosce per uno strano tubo azzurro chiaro, ripiegato alla sommità, che sale quasi ad altezza d'uomo dal terreno. Gli ebrei ortodossi lo hanno piazzato lì di recente affinché le "impurità" della tomba possano fuoriuscire. Solo così è loro permesso di percorrere il terreno al di sopra della tomba e di utilizzare la strada che passa di lì.

Ma è di decisiva importanza quel che si è trovato nella tomba: non solo un ossario splendidamente adornato che, secondo l'epigrafe: "Joseph Bar Kaiaphas", appartiene evidentemente a quel Caifa menzionato dal Nuovo Testamento e dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, bensì anche un contenitore più piccolo, in cui si trovano i resti di un altro membro della famiglia, Miriam, come rivela l'iscrizione. E qui è stato trovato perfino l'intero teschio. E nel teschio, sul palato, una moneta ben conservata del re Erode Agrippa I, che regnò dal 41 al 44 dopo Cristo. La moneta in bocca non è altro che l'uso pagano, tratto dalla mitologia greca, di pagare al conducente dei morti il prezzo della traversata nel regno degli inferi. Nel bel mezzo della famiglia del sommo sacerdote dunque, al tempo di Gesù e della comunità primitiva, in evidente ed eclatante contraddizione con la legge ebraica, con la fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, veniva praticata una superstizione pagana. Quando dunque da questo ambiente veniva l'intimazione di giustiziare Gesù come traditore della fede dei padri, si trattava in effetti di una forma di ipocrisia, difficilmente immaginabile più clamorosa di così.

Gli "anni nascosti" di Gesù

In conclusione vorrei soffermarmi sugli scavi, ancora in corso, nella città di Sepphoris, in Galilea.

Si parla spesso degli "anni nascosti" di Gesù, del periodo di Nazareth, tra l'ultima apparizione pubblica del dodicenne Gesù al Tempio e i primi atti dell'uomo maturo a Cana e al lago di Genezareth. Dai Vangeli non pare sia deducibile altro se non che egli svolse lo stesso mestiere di Giuseppe: entrambi facevano il mestiere di tekton, che viene tradotto con "carpentiere". Già da tempo numerosi studiosi, tra cui il professore svizzero Walter Bühlmann e il professore tedesco Benedikt Schwank, hanno corretto l'errore di questa traduzione. Tekton significa "costruttore". Le ricerche archeologiche compiute a Nazareth e dintorni hanno mostrato che lì non c'era quasi per nulla legno e che soprattutto anche le case degli allora duecento abitanti erano fatte piuttosto di pietra oppure erano grotte; sicché già solo per questi tre motivi è evidente che la famiglia di Giuseppe non poteva guadagnarsi da vivere a Nazareth nel modo in cui noi normalmente pensiamo.

Ora però è stato appurato che, proprio negli anni giovanili di Gesù, ad appena sei chilometri da Nazareth, c'era uno dei maggiori cantieri di Galilea. Sepphoris, la città distrutta dai romani con un'azione punitiva, era stata ricostruita e Erode Antipa l'aveva prescelta come capitale del suo dominio. Antipa era un amico dei romani; la città ricevette così il volto tipico di ogni capitale culturale dell'Impero romano. Epigrafi mostrano che gli ebrei colà residenti come anche i pagani, parlavano greco e che i tipici bagni purificatori degli ebrei credenti sorgevano direttamente sulle strade costruite secondo le regole architettoniche greco-romane, con file di botteghe, edifici amministrativi, negozi, banche. Vertice del programma di costruzioni era però il teatro, che disponeva di seimila posti, dunque inusualmente capiente e che perciò faceva da magnete culturale per l'intera zona. Ed era l'internazionalità il presupposto del luogo, poiché in questa parte dell'Impero romano si faceva teatro solo in lingua greca.

Il professor Walter Bühlmann sostiene che Giuseppe e Gesù potrebbero aver partecipato alle costruzioni di Sepphoris. A favore di questa tesi sta non solo il fatto che essa era l'unico grande cantiere a quel tempo, in cui c'era sufficiente lavoro a lunga scadenza, ad una distanza percorribile a piedi da Nazareth. C'è anche il fatto che il giovane Gesù negli anni successivi del suo insegnamento fa riferimento ad ambienti e tipi umani di cui avrebbe potuto fare esperienza solo qui. I grandi proprietari terrieri, i banchieri, i commercianti, sono figure che appartenevano a Sepphoris e ai suoi dintorni.

La lingua di Gesù

Inoltre a Sepphoris Gesù potrebbe avere imparato anche il greco. La città era abitata in maggioranza da parlanti greco, retta da un sovrano che promuoveva efficacemente la cultura greco-romana. Che Gesù parlasse correntemente il greco oggi non è più messo in dubbio. Tra gli esempi più evidenti nel Nuovo Testamento c'è l'incontro con la donna siro-fenicia nella zona di Tiro. Marco (7, 26) la descrive espressamente come di lingua greca. Anche il dialogo con il centurione di Cafarnao e l'interrogatorio davanti a Pilato - entrambi senza interprete - possono essere avvenuti solo in lingua greca (o magari in latino).

Rispetto al teatro di Sepphoris si può procedere di un ulteriore passo. Il professor Benedikt Schwank qualche tempo fa, sulla scorta di dettagliate analisi linguistiche, ha dimostrato che Gesù nella discussione sulle tasse imperiali parlò greco. Nel mezzo di Gerusalemme egli parla ai farisei ed alle persone circostanti in greco, ed il passo del suo discorso, quella famosa battuta "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" poteva essere detta in quel modo solo in greco, non in ebraico o aramaico; essa non può neanche essere ritradotta nelle due lingue. Monete con iscrizioni ebraiche a quel tempo non c'erano; la moneta d'argento che Gesù teneva in mano, doveva avere una iscrizione greca, forse latina, in ogni caso non ebraica né aramaica. Così, presupposto di questo dettaglio è che tutti i presenti a quel discorso potevano cogliere con padronanza giochi di parole e battute in lingua greca.

Che Gesù sapesse parlare greco lo si può evincere dunque da alcuni particolari contenuti nei Vangeli. Che egli fosse "costruttore", non "carpentiere", è un fatto filologicamente incontestabile. E comunque, se si prende sul serio il Nuovo Testamento come fonte storica, allora bisogna anche approfondire la questione di dove Gesù, negli anni precedenti la sua comparsa in pubblico, abbia potuto acquisire quelle conoscenze. Che ciò sia accaduto davanti alla sua porta di casa, a Sepphoris, può essere un'ipotesi che aiuta a comprendere il quadro storico dei Vangeli.

Così Gesù - che secondo la professione di fede atanasiana è "vero uomo e vero Dio", dunque appunto anche vero uomo - diventa nel suo ambiente più comprensibile come uomo del suo tempo, che è stato inviato da Dio in un determinato punto della terra ad una determinata data, che in tale occasione si è servito degli strumenti che quel suo ambiente gli metteva a disposizione.