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Io, woody allen e lolita a tehran L’ultima email: «Cara Azi, mi vergogno dei miei desideri». La risposta: «Non vergognarti, Manna. Sono questi desideri che faranno cadere il regime». Azi è il diminuitivo di Azar Nafisi. Insegnava letteratura inglese alla Libera Università Islamica. Nel ‘97 Azi è scappata in America. Insegna alla Johns Hopkins di Washington. E’ appena uscito presso Random House un suo libro di ricordi: "Leggere Lolita a Teheran". Anche Manna ci andava, a leggere Lolita di nascosto a casa di Azi. Manna è il soprannome con cui l’insegnante chiama una delle sue ex studentesse in Iran. Una delle sette ragazze che si ritrovavano ogni settimana da lei. Per parlare in santa pace. Di libri, di film censurati, di chador, di uomini. Un salotto segreto. Dal ‘95 al ‘97. Quando arrivavano alla porta, si mettevano il rossetto, proibito in pubblico. Prima di uscire, se lo toglievano. Succede cosi, ne l’Iran capovolto degli ayatollah. Pubblico e privato, passato e presente. Scrive Azi nel libro: «Sotto lo Scià, mia nonna fu costretta togliere il velo. Gli ayatollah mi hanno costretta a metterlo». Il salotto aveva un nome: lo scrittor Vladimir Nabokov. «Le ragazze identificavano nella sua storia di esule». «Adattando i suoi libri alla realtà iraniana. «Discutevamo di Lolita —scrive Azi — come della storia di una identità confiscata». L’eroe preferito era quello di «Invito a una decapitazione», emarginato in un mondo «dove l’uniformità non è solo la norma ma la legge». Sei anni dopo, la legge in Iran è la stessa. E il salotto di Azi ha riaperto. Grazie alla posta elettronica. Il mese scorso, quando è scoppiata la protesta degli studenti, il Washington Post ha chiesto a Nafisi di raccontare l’estate iraniana attraverso uno scambio di email con Teheran. Azi ha scritto a Manna. Che ha risposto. Le due donne sanno che la censura degli ayatollah può controllare i messaggi. Azi non usa il vero nome dell’amica. La ragazza non usa mai la parola ayatollah. Si riferisce al presidente «riforimista» Khatami chiamandolo «Superman». scrive: «Superman non è più popolare qui. La gente lo odia più dei conservatori. In America parlano ancora dei “riformiisti” iraniani? Qui sono i più odiati».
Manna parla delle
proteste in modo indiretto. «Oggi ero in coda per vedere ‘Notte e nebbia
di Resnais. Ho sentito dei ragazzi parlare di un amico scomparso. L’hanno
arrestato, non si sa più nulla. Il film parlava dei lager nazisti.
Guardavo i prigionieri e pensavo a quel ragazzo. Hanno proiettato anche un
documentario sull’Africa. Su una danza di donne, lo schermo è diventato
nero. Non era il film, ma il contributo del direttore della nostra piccola
Auschwitz». La censura. «Ho chiuso gli occhi e ho rivisto il giorno di
vent’anni fa, quando la radio disse che il velo era obbligatorio. Per
protesta, misi un delicato pizzo che mi copriva solo un po’. Per strada,
un barbuto in moto mi sgridò: “Dove pensi di essere?
Agli
Champs Elysées?
Copriti, puttana”.
Resnais mostra le bambole fatte dai prigionieri di Auschwitz. Oh, Azi mi vergogno di cose che voglio. Ho bisogno di cose che tanto i riformisti che gli altri considerano sciocchezze. O che magari temono. Un musical, una mostra con le ballerine di Degas, un libro senza i buchi neri della censura, scegliere se mettere il velo o no. Decidere dei miei capelli, capisci? Piccole cose "tagliate" dalla mia vita. Una volta ho letto una cosa detta da Woody Allen sul montaggio di “Prendi i soldi e scappa” “Continuavo a tagliare scene, buttare via. Alla fine non c’era più il film”. Ecco, io ce l’ho una vita? O è tutta tagliata? Faccio par te dell’Asse del male come dicono lì in America? Sono una senza Dio come dicono qui? Una che cerca «la democrazia americana» o «una versione islamica della democrazia» come dicono in America? Quello che voglio è la sovranità sul mio corpo e sulla mia mente. Ricordi il saggio d Stuart Mill sulla libertà?». Risponde Azi: «Cara Manna, in Occidente più facile parlare di conservatori e moderati, dei Khatami e dei Khamenei, piuttosto che delle donne iraniane che vogliano sentire il vento sulla pelle. Eppure sono desideri come questi che disegneranno il nostro futuro». Michele Farina ( Corriere della Sera 5 luglio 2003, P 15) Torna all'inizio della pagina!
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