Unu ponte chi unit sos sardos de s'isula a sos sardos de su continente


LA LAVORAZIONE DEL PANE ANTICAMENTE



Intervista fatta a Maria Canu

(mamma di Giovanni Canu)



Anticamente il pane si faceva soprattutto in casa e questa era una vera tradizione popolare.

La sua preparazione era sempre uguale a meno che non ci fossero giorni di festa come Natale e Pasqua. Di solito i familiari e le persone del vicinato si riunivano insieme, perché c’era tanto da lavorare, e aiutandosi le une con le altre facevano prima. Anche allora c’erano vari tipi di pane: il più comune era il cola cola o la focaccia.

La sua preparazione era la seguente: si divideva la farina più sottile - con cui si faceva il pane detto  poddine o spianata - da quella un po’ più grossa con cui si faceva la focaccia; con quella ancora più grossa o la “crusca” si faceva il pane chivarzu (pane integrale). Dalla farina sottile non si ottiene solo il pane poddine ma anche lo sa lottura e su pane russeddu che era un altro tipo di lottura . Torniamo al pane cola-cola: dopo aver setacciato la farina si impastava con acqua, sale e lievito naturale (cioè fatto con un pezzo di pasta già lievitata messa bagnomaria). L’impasto veniva poi lasciato riposare per qualche ora e poi si cuoceva nel forno a legna come oggi con la pizza. La spianata o pane poddine in sardo invece si faceva con dei pezzi di pasta molle lavorati con il matterello per dargli una forma circolare; dopo aver fatto riposare qualche ora si cuoceva. Con il granoturco invece si faceva una specie di focaccia dalla pasta gialla ma lavorata allo stesso modo. Ma le focacce si facevano anche con la crusca.
Invece nella Settimana Santa si faceva un tipo di pane speciale che adesso è diventato comune: sa lottura. Aveva la stessa preparazione della spianata ma essendo più grosso veniva chiamato anche pane russeddu. Di questo tipo di pane si facevano varie forme ed ai bambini per Pasqua anziché le uova di cioccolato si davano vere uova dentro forme di cestini o di animali fatti appunto con la pasta del pane. Il pane ovviamente esiste ancora oggi ma un tempo lo si faceva tutti insieme, e lo facevano tutti, mentre oggi chi lo fa lo fa da solo.



MARIA PORCU

 LE USANZE DEL PANE AD ITTIRI

Intervista fatta ai genitori

Quando fu scoperta la fermentazione o lievitazione dei cereali (3000 a.C.) il pane divenne l’alimento base dell’uomo. Già allora i panificatori davano alla pasta, prima di cuocerla, le forme più diverse: trecce, pesci, uccelli e persone. Le forme simboliche erano portate in processione, offerte sull’altare alle divinità o mangiate con gli ospiti in occasione di feste popolari. Resti archeologici e testi antichi consentono di asserire che il pane era mangiato dagli Egiziani, Greci e Romani.

Anche ad Ittiri la lavorazione del pane veniva fatta sin dall’antichità.

Solitamente il pane si preparava ogni 15 giorni; si iniziava all’alba, verso le 4-5 del mattino. Le donne si riunivano in 3 o 4; alcune lo facevano come lavoro altre per scambio. La materia prima veniva coltivata e macinata in paese con vecchie macine di pietra.

La farina veniva ottenuta da chicchi di frumento, mentre il prodotto ottenuto dai chicchi di grano duro veniva chiamata semola. Si dava molta importanza al pane che si doveva preparare nella Settimana Santa; si selezionava la farina più bianca e più fine per ottenere pane bianco cui si dava varie forme: circolare o lunga (chiamata cavazza o cola-cola cioè  focaccia), pane russeddu (o pasta dura) e il pane poddine.

Si conservava la cosiddetta madrighe (una sorta di lievito) dalla precedente volta in cui si era fatto il pane. Successivamente si impastava la farina con acqua e sale. Dopodiché seguiva un lungo processo di lavorazione manuale che durava diverse ore.

In occasione della festività pasquale le mamme preparavano ai bambini su cozzulu ‘e s’ou che era il pane lavorato a treccia con roselline o uccellini intorno e al centro un uovo che rappresentava il simbolo della Pasqua.

Durante tutto l’anno  nelle famiglie  povere per fare il pane veniva utilizzato lo scarto della farina scura con crusca o semola (pane chivazzu o pane nero) oppure un impasto di farina mista per il pane triguindia (pane di farina di mais).

In questo periodo veniva apprezzato ogni tipo di pane. Da questo apprezzamento nacque il detto è bonu che su pane (“è buono come il pane”) usato per indicare una brava persona.


FRANCESCA TALA

LE USANZE DEL PANE DURANTE LA SETTIMANA SANTA

Ad Ittiri il pane della Settimana Santa si prepara così: per i bambini si cuoceva del pane chiamato pasta dura con dei disegni sempre fatti di pasta ed al centro un uovo decorato; questo era l’uovo di pasqua di mia nonna.

Si faceva anche del pane che aveva una forma lunga nel quale si disegnava la forma di una faccia con gli occhi; quindi si passava sopra un panno umido che rendeva lucida la pasta e poi si cuoceva in forno.

Altri tipi di pane sono: sa lottura (sempre del tipo pasta dura) detto anche pane russu (pane un po’ duro), il pane fino o spianata che può avere varie forme (tonde sia grandi che piccole o quadrate) ed è sottile e morbido, bianco con macchie scure bruciate; la focaccia chiamata anche pane cola -cola di forma ovale con un buco al centro.

I DOLCI

Per la Pasqua ad Ittiri vengono fatti vari tipi di dolci. I più conosciuti sono i papassini, dolci di varie forme (tondi, a rombo, ovali) fatti con la pasta, le uova  e le mandorle. I piricchitti hanno forma di mezzaluna e sono ricoperti con chiara d’uovo montata con zucchero detta la cappa.

Le tiricche di pasta bianca farcite con  sa saba (impasto di mosto d’uva cotto miele e aromi) e le formagelle di forma tonda con i bordi ondulati, fatte con il formaggio oppure la ricotta.

In altri luoghi si facevano anche le torte di forma tonda con la farina, il latte, l’amido e la buccia di limone.

Le focacce fatte con farina e strutto potevano essere dolci o salate. Con la ricotta poi si facevano anche i ravioli dolci da friggere e cospargere di zucchero.


IL PANE.

INTERVISTA FATTA A  MARIA LUCIA PISANU

DA GIULIA PINNA

Il pane nella Settimana Santa si faceva così.

Raccoglievano il grano dai loro campi e lo lavoravano nel paiolo poi lo mettevano nella corvula ad asciugare al sole. Successivamente lo portavano al mulino per la macina e riportavano a casa la farina. La farina veniva quindi setacciata con su sedattu ottenendo tre tipi di farina. La prima era la crusca che veniva data come mangime agli animali; la seconda era la semola che serviva per fare il pane grosso mentre la terza era quella più fine usata per fare le spianate.

Dopo questi procedimenti la farina veniva impastata con acqua, sale e lievito. Il lievito non era ottenuto come oggi ma da un pezzo di pasta che veniva fatta “macerare” dalla settimana prima. Il tutto veniva lavorato con le mani e poi cotto.

Fatto riscaldare il forno a legna e infornato con una pala di legno quando era cotto veniva tolto.

Il occasione della Settimana Santa facevano su pane piccadu decorato a mano con le forme di legno.

Esempi di timbri per la decorazione del pane: in alto pintaderas in terracotta di età nuragica

Da Villanovaforru (CA);  in basso timbri  in legno del XX secolo

Si faceva anche su cozzulu ‘e s’ou che era l’uovo di Pasqua per i bambini e veniva fatto con la pasta disegnandoci sopra una bambola o colombe e mettendo un  uovo sodo al centro.


FRANCESCA DIEZ

INTERVISTA FATTA A MIA NONNA

Oggi durante  la Settimana Santa il pane si fa come negli altri giorni ma anticamente si faceva in casa e allora per i bambini si faceva con la forma di bambole o cavalli; al posto dell’uovo di Pasqua si metteva un uovo di gallina; questo pane veniva chiamato su cozzulu ‘e s’ou.

INGREDIENTI E PROCEDIMENTO

Per fare il pane si usano la farina, il sale ed il lievito di birra; questi sono gli ingredienti principali perché in realtà il pane può essere fatto in tanti modi: con il burro con il latte, con le cipolle, con l’uva passa.

Il procedimento è questo: si stende della farina che viene mescolata con acqua, sale e lievito di birra e malto oppure strutto per fare la pasta più morbida. Infine si mette in forno e si cuoce.


MARIA PAOLA CAMPUS

LA PANIFICAZIONE (INTERVISTA RILASCIATA DA ZIA LUCIA)

La sera precedente alla panificazione si preparava il lievito (madrighe o frementazu) ammorbidendo in una ciotola la pasta lievitata conservata dalla panificazione precedente quindi si impastava con un po’ di farina.

Dopo aver fatto sopra l’impasto il segno della croce si lasciava riposare per tutta la notte.

Alla panificazione partecipava la padrona di casa, le sorelle, le figlie e talvolta le vicine di casa: essendo un’operazione molto lunga e faticosa si offriva la propria disponibilità che veniva successivamente ricambiata.

La preparazione costituiva quasi un rituale ed il pane assumeva una certa sacralità: veniva spezzato secondo metodi ben precisi (una perra de pane russu);  i pezzi di pane, benché di piccole dimensioni, non dovevano mai essere buttati; si diceva buttare il pane è peccato: infatti non era raro vedere una madre pestare le mani al figlioletto che aveva lasciato cadere il pane. A tavola il pane non doveva mai essere capovolto; un detto antico diceva il pane capovolto è come dare le spalle al Signore.

COME SI INIZIAVA A FARE IL PANE

Le donne alle 3 o 4 del mattino si mettevano il fazzoletto in testa, il grembiule (su pannellu) e dopo aver fatto il segno della croce iniziavano la panificazione: la farina misurata con sa meazza veniva colata con un setaccio (sedattu) e versata in sa casciola dove avviene la trasformazione della farina in impasto. Si unisce il lievito e si continua a lavorare. Quindi il composto prende consistenza e viene trasferito in sa mesa (apposito tavolo rettangolare per il pane e i dolci) e lavorato a lungo con le mani aggiungendo acqua tiepida ogni tanto. Poiché si lavorano tanti  tipi di pane si divide in diverse parti l’impasto che viene chiamato pane coccoroi per le focacce, pane russu per la pasta dura. La farina è distinta in  bianca per su poddine e scura su chivasu.

Il pane ammorbidito viene messo in sa casciola per lievitare; si riconosce quando è lievitato perché la croce sull’impasto si solleva dalla pasta stessa.

Sa meazza (sessola)

 

 su sedattu (il setaccio)

PREPARAZIONE DEL FORNO

Mentre il pane lievita si prepara il forno. La cottura è affidata sempre alla persona più anziana in quanto più esperta e capace di riconoscere la temperatura richiesta per ogni tipo di pane (connoschere su furru dai s’anta ossia riconoscere la temperatura interna dalla striscia bianca). Quando la legna si trasformava in brace con una scopa (s’iscopile) si puliva il piano del forno e si infornava Fino agli anni cinquanta quasi tutte le famiglie avevano il forno che veniva costruito in un vano separato dall’ abitazione (domo de su furru).

 


Quando nel primo dopoguerra apparve il panificio soltanto le famiglie benestanti potevano permettersi l’acquisto del pane mentre molte famiglie continuavano a usare il forno a legna. Nacque così la distinzione tra pane de domo e pane comporadu che ancora oggi si mantiene nel linguaggio comune.

Con il miglioramento delle condizioni economiche negli anni cinquanta e sessanta il panificio sostituì quasi completamente la panificazione tradizionale in quanto sollevava le donne da tanta fatica. Attualmente anche madri giovani in occasioni festive seguono la tradizione, utilizzando però le macchine elettriche, de faghere su pane de domo (fare il pane fatto in casa).

 


IL PANE

INTERVISTA A ZIA ANTONIA

MARIA PAOLA CAMPUS

Il pane per la Settimana Santa si faceva in questo modo.

Si lavorava il grano due settimane prima poi si metteva ad asciugare e quando era ben asciutto lo si portava al mulino per macinarlo e fare la farina.

La farina veniva suddivisa in due o tre canestri perché si setacciasse in modo diverso.

Si lavorava con la farina più fine per il pane tipo spianata mentre con la farina tipo semola si facevano le focacce e la pasta dura; sempre per la Santa Pasqua si preparava un tipo di pane detto su cozzulu ‘e s’ou. Questo veniva fatto in modi diversi come, per esempio, una forma di bambino con al centro un uovo covato nello stesso giorno oppure delle stelle o dei soli sempre

Pane ischeddàu

con al centro un uovo. Ecco le usanze delle nostre nonne. Certo le uova di Pasqua e le colombe di oggi sostituiscono tutto questo in modo più sofisticato e non genuino come allora.


Federico Zara

IL PANE

Nel passato fare il pane significava lavorare duramente per diversi giorni. La molitura era l’unica operazione svolta dal mulino. Il grano doveva essere liberato da tutte le impurità con diverse operazioni: prima veniva lavato per eliminare i corpi estranei, poi veniva messo nei canestri per farlo asciugare al sole o nel camino.

Infine veniva portato al mulino  che lo triturava in un unico composto. Per ottenere la farina adatta a fare il pane era necessario separare i diversi tipi di farina; si poteva ottenere così pane di tre o quattro qualità.

Grano duro

Quello fatto con la farina fine e bianca detto pane poddine o spianata; con la semola si preparava la cavazza, su pane canu, o pane finu, su cola cola; vi era poi su chivalzu nieddu o pane nero preparato con farina mista a crusca. Questo pane veniva bagnato prima della cottura per renderlo lucido. Poiché risultava come un pane grossolano per indurre a mangiarlo si lusingavano le ragazze con frasi come: mangiatelo che vi rende i capelli lisci come l’oro!

Un altro pane diffuso soprattutto nella famiglie più povere era su pane ‘e trigu ‘e india (il pane di grano turco) fatto con la farina di grano e di mais usato nei periodi di carestia.

Il pane veniva conservato in grandi canestri e doveva durare una settimana. Prima veniva mangiato il pane che induriva prima fino ad arrivare al pane bianco.

Per fare il pane si lavorava una volta alla settimana fino dalle primissime ore del mattino. Vediamo ora come si procede alla preparazione. La farina viene posta in una terrina (su lebréri), aggiungendovi il lievito, l’acqua ed il sale e passando alla prima lavorazione in sa mesa (cioè impastando sul tavolo operazione detta su ighere) fino a far diventare la pasta bianca e morbida. Sull’impasto si traccia una croce in segno d’augurio e per controllare la lievitazione.

Poi la pasta viene stesa con il matterello fino a rendere una forma ovale e si decora (pane canu). Le sfoglie vengono messe in un grande canestro per la lievitazione. Oggi si usa il lievito di birra mentre prima si usava su frumentalzu, un piccolo panetto di pasta che veniva usato per far lievitare il pane la volta successiva (sa madrighe).

Per la preparazione del pane cola-cola l’impasto deve essere ammorbidito con acqua fino a renderlo cremoso ed a questo punto si fa lievitare.

Per la preparazione delle singole focacce viene posta la semola su un canestro (canisteddu), vi si pone una piccola palla di impasto che dopo essere stata rotolata nella farina viene lavorata a mano fino ad assumere la forma prescelta.

Anticamente il forno mancava solo ai più poveri che chiedevano ai vicini di lasciargli cuocere il pane in cambio di alcuni pani preparati. L’interno è fatto di mattoni che diventano bianchi quando si raggiunge la temperatura giusta per la cottura. A questo punto la brace viene tirata via con su trazzu braya (letteralmente “trascina brace”). 

Quando il pane ha raggiunto la massima lievitazione il forno viene pulito con un panno bagnato e si infornano i pani con una pala di legno (pala; pala manna); questi verranno poi sfornati con una pala più piccola (palitta; palighedda), ripuliti per togliere i residui di cenere e deposti nel canestro.

Forno a cupoletta                      Forno domestico ancora in uso a Ittiri