Introduzione alle Principali
FILOSOFIE DELL'INDIA



 


 
Il Jainismo



1) la nascita del Jainismo
  In accordo alla versione dei Purana, il sistema jaina nasce con il re Rishabha, figlio di Nabhi e Merudevi. I calcoli che riguardano l'epoca della sua permanenza in questo mondo ci conducono a tempi antichissime. Secondo il Bhagavata Purana, egli era una delle numerose incarnazioni di Vishnu.

  Il momento culminante della sua vita fu quando conferì il perfetto insegnamento ai suoi figli, durante il quale li mise in guardia contro le illusioni della materia. Rishabha affermò che non si deve sprecare la propria preziosa vita umana dietro le cose di questo mondo, ma che ci si dovrebbe totalmente estraniare da esse. Per dare il buon esempio, alla fine della vita egli divenne un avadhuta (una persona socialmente morta) e lasciò le sue spoglie mortali nell'incendio della foresta nella quale trascorreva gli ultimi anni della sua vita.

  Gli insegnamenti di Rishabha vennero praticati e insegnati ad altri dal figlio Bharata, il quale divenne così famoso e rispettato che dai suoi giorni quella che noi oggi conosciamo come India venne chiamata Bharata-varsha (ancora oggi l'appellativo favorito degli indiani per la loro nazione è Bharata). La dottrina di Rishabha e Bharata non si discostava affatto dai fondamentali precetti vedici, ma sottolineava in modo particolare l'importanza dell'austerità e della non-violenza.

  In seguito il sacro insegnamento venne ripreso e modificato da un certo re Arhat, il quale visse ai tempi di Rishabha e che lo aveva conosciuto personalmente. In seguito questo monarca cadde vittima dell'illusione materialistica e modificò la dottrina in quel sistema ateo e comunque contrario ai Veda che oggi conosciamo come jainismo. Nel Vishnu Purana c'è la storia di come nacque il movimento eretico jaina.

  Secondo invece la versione degli adepti moderni, la dottrina jaina ricevette forma definitiva dal tirthankara (preparatore del guado) Vardhamana, più conosciuto come Mahavira. Certamente il Mahavira storico non poteva essere né Rishabha, né l'ateo Arhat, in quanto le epoche sono decisamente lontane.

  Comunque Mahavira nacque vicino Videha, presumibilmente attorno al 450 a.C. e si dice fosse imparentato con Bimbisira, il re di Magadha, che era stato uno dei più importanti patroni del Buddha.

  Condusse vita normale fino a 30 anni. Poi, alla morte dei genitori, abbandonò ogni cosa e iniziò a viaggiare per tutta l'India. Presto divenne famoso come Mahavira (o Jina, il vittorioso). I suoi genitori erano stati seguaci di Parshva, che era stato il predecessore di Mahavira, il quale fin da piccolo venne educato agli ideali jaina. Ma egli non si accontentò di osservare le regole insegnategli dai genitori, ma riprese e modificò un po’ tutta l'ideologia.

  Certamente all'inizio il jainismo si sviluppò, come il contemporaneo buddhismo, come forma di protestantesimo, una fiera opposizione nei confronti dei Veda. Vista la particolare degenerazione della classe brahmanica del tempo, non ebbe particolari difficoltà ad affermare le sue idee.

  C'è chi dice che egli incontrò il Buddha, altri dicono che i due non si videro mai. Comunque stiano le cose, Mahavira predicò tra i Magadha e i Videha e fu in perenne contrasto col fatalista Goshala, quest'ultimo dotato di una dialettica forse più brillante e di una personalità più attraente. Con tutta probabilità morì nel 468 a.C. a Pawa, presso Garibhaja.
 

2) la dottrina
  Mahavira non ha scritto nulla. Le idee che gli vengono attribuite sono contenute in un canone scritto in lingua prakrita. Si ritiene che, nei secoli successivi, vi siano state indebitamente aggiunte parecchie teorie nuove. Fino a quel momento gli insegnamenti jaina erano state tramandate oralmente. La lingua usata in parte era prakrita, ma anche il sanscrito venne largamente utilizzato.

  Nell'80 d.C. avvenne un importante scisma tra le file jainista, i quali si divisero in svetambara (lett. coloro che si vestono di bianco) e i digambara (lett. coloro che si vestono di cielo, cioè che fanno voto di nudità). In accordo alla storiografia moderna, tutto ciò avviene durante l'epoca del Candragupta della dinastia Gupta.

  Il canone attuale jaina viene riconosciuto solo dagli svetambara, mentre gli altri affermano che il canone originale sia andato perduto. Ma è rilevante dire che le due confessioni divergono solo su punti minori. Uno dei pochi scritti su cui tutti si ritrovano d'accordo è il Tattavarthadigama-sutra (Guida all'Intendimento della Vera Relazione tra le Cose) di Umasvati (forse quarto o quinto secolo dell'era cristiana).

  Ma vediamo i punti fondamentali della dottrina.

  Secondo i jaina esistono sette elementi fondamentali, che sono:

  1. jiva, l'anima spirituale,
  2. ajiva, l'inanimato, cioè la materia,
  3. asrava, gli influssi che gravano sulla jiva,
  4. bandha, i legami che la legano all'illusione,
  5. samvara, la difesa dalle influenze negative
  6. nirjara, l'estirpazione del male e
  7. moksha, la liberazione.

  Le prime due sono le sostanze che concorrono al divenire della vita, mentre le altre cinque sono differenti situazioni con le quali la jiva deve confrontarsi.

  Cos'è una jiva e quali sono le sue caratteristiche?

  Mahavira non riesce a discostarsi dai Veda quanto il Buddha e afferma che essa è eterna e individuale, intelligente e attiva. Tutte le anime fanno parte della stessa natura spirituale. Idee dunque prettamente vediche.

  Invece per quanto riguarda l'ajiva, l'inanimato, la sostanza di materia, essa è formata da tre specie di etere, che è lo spazio (akasha), il movimento (dharma) e l'inerzia (adharma); e oltre a queste ce ne sono altre due aggiuntive che sono il tempo (kala) e la materia grossolana (pudgala). Quest'ultima è formata da atomi sottilissimi che permettono la manifestazione di tutti i generi di forme esistenti.

  Ora, un'idea originale promossa dal Jina fu che la materia e lo spirito potevano compenetrarsi in modo totale. E' da questo contatto che segue una contaminazione che comporta il totale o parziale velarsi delle proprietà naturali dell'anima e il formarsi di un essere, cioè quello che noi siamo al presente. Dunque l'uomo sarebbe una specie di miscuglio di anima e corpo.

  Affetto dai corpi materiali che assume, vaga senza meta per il samsara, alla ricerca di felicità. Le anime passano in diversi tipi di corpi, quali possono essere quegli degli dei, dei demoni, degli uomini, degli animali e delle piante. Ma nella logica di questa compenetrazione non esiste materia inerte in assoluto e anche gli oggetti materiali come le zolle di terra e le pietre possiedono anime e sono perciò viventi.

  In seguito al movimento di attrazione fra le due energie, la materia viene attirata dentro l'anima e lì diviene karma. Ma come avviene questo processo di graduale contaminazione? E' qualcosa di simile a una scala con otto gradini, composta da:

     la materia
     velando
1) la conoscenza e 
2) la vista (cioè la coscienza di ciò che è vero) dell'anima;
     producendo
3) il senso del piacere e del dolore; 
     e turbando
4) la vera fede e la retta condotta; 
     conferendo
5) un'esistenza limitata nelle varie specie viventi;
     rivestendo
6) l'essere vivente empirico di determinate proprietà fisiche e psichiche;
     determinando
7) la situazione che spetta ad ognuno alla nascita (secondo il rispettivo karma);
     e ostacolando
8) l'energia che è propria della jiva per sua natura.

  Questo meccanismo ad otto momenti vengono descritti e classificati dai filosofi jaina in modo tale che ne scaturiscano centoquarantotto sottospecie. Dunque qui la concezione vedica secondo cui un'azione procura reazioni funeste trova una formulazione decisamente scientifica.

  Anche se la materia entra nell'essere stesso della jiva spirituale, la verità ultima rimane sempre di natura superiore. L'energia spirituale rimane sempre la verità e la materia il suo opposto. E' la qualità dell'azione che origina l'afflusso di un karma positivo o negativo, attraverso il quale l'anima si lega (bandha) a una situazione falsa. Dunque il saggio deve impedire al karma di penetrare dentro di sé e nel contempo allontanare quello che si è già insediato nel proprio intimo. Per evitare nuovi danni, viene raccomandata la pratica di una vita virtuosa attraverso l'adempimento di doveri morali. Tutto ciò serve alla difesa (samvara). Invece le pratiche ascetiche sono utili all'estirpazione (nirjara) del karma già presente.

  I jaina osservano quattro voti di ordine morale, che sono: 1) non danneggiare la vita (e neanche gli oggetti, in quanto anche questi ultimi hanno un'anima), 2) dire sempre la verità, 3) non rubare, 4) non accumulare ricchezze.

Per gli asceti ci sono altri due voti aggiuntivi che sono: 5) la castità e 6) la nudità. Importantissima è la non-violenza e il rispetto verso la vita. I jaina dovrebbero essere infatti strettamente vegetariani.

  Ma per l'ascesi sono necessarie anche delle austerità, che vengono categorizzate in due tipologie: interne ed esterne. Le prime consistono nel digiuno, nello yoga, nella meditazione e nelle asana; il tutto in un luogo nascosto. Le seconde sono costituite dalla contemplazione intensiva. Con questi mezzi il karma è annientato e l'anima si libera.

  I jaina adorano quelli che vengono chiamati i Tre Gioielli, che sono: la retta fede, la retta azione e la retta morale.

  Chi ha saputo eliminare le cause della schiavitù col mondo (che sono la fede in qualcosa di errato, la dissolutezza e la passione) e chi è stato in grado di purificarsi da ogni forma di karma, conquista in questa stessa vita la santità e la liberazione.

  Tale essere perfetto, sebbene sia ancora dentro un corpo fatto di elementi materiali, è chiamato sayogi kevalin, un onnisciente dotato ancora di attività terrene. Se al momento della morte ha saputo eliminare totalmente ogni karma, egli sale al vertice del mondo e si ritrova nel luogo dove sono gli esseri privi di difetti, spiriti senza corpo. Lì si ottiene la completa beatitudine della quiete.

  Tutto ciò è così perché questo è l'insegnamento dei santi realizzati.
 

3) alcuni commenti
  Per difendersi dagli attacchi dei loro detrattori, che li accusavano di eccessiva dogmaticità, fin dall'antichità i jaina dovettero occuparsi anche di problemi di logica e di dialettica. Celebre è infatti la teoria della relatività nota come syad-vada, che dice che il reale ha un numero infinito di attributi e che perciò può essere vera sia una cosa che il suo esatto opposto. Questa syadvada era un'arma tanto tagliente che poteva benissimo ritorcersi contro chi la usava.

  Come per molti fra i più importanti sistemi indiani, il jainismo fa fatica a distaccarsi completamente dalla sua origine vedica, che risulta abbastanza evidente. La cosa che più di tutte colpisce è l'assenza quasi totale di una menzione dell'elemento divino, cioè di un Dio. Per questa ragione i vedantisti li giudicano, al pari dei sankhya e dei buddhisti, atei e macchiati di forti tinte mayavadi.

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