Introduzione alle Principali
FILOSOFIE DELL'INDIA



 


 
I Darshana
Il Mimamsa



1) prime considerazioni
  Per millenni gli appartenenti alla classe brahmanica hanno studiato, insegnato e applicato le sacre leggi contenute nei Veda.

  Sappiamo che precedentemente alla nostra epoca, il Kali-yuga, questi testi (i quattro Veda originali, il Rig, il Sama, l'Atharva e lo Yajur) vengono trasmessi oralmente e che solo in seguito sono stati messi per iscritto. Guidata dalla classe dei religiosi e degli intellettuali, la società, suddivisa in quattro varna (brahmana, kshatriya, vaishya e shudra) e quattro ashrama (brahmacari, grihastha, vanaprastha e sannyasi), aderisce agli insegnamenti divini con ardore e fedeltà, ognuno secondo la propria posizione sociale e i momenti della propria evoluzione spiritua-le. Per questa ragione tutto procede in modo assai ordinato e proficuo sotto tutti i punti di vista.
 

2) le origini del Mimamsa
  La versione maggiormente accreditata negli ambienti accademici è che al sorgere delle prime grandi contestazioni al sistema antico, provocato da gravi degenerazioni e malcostumi della classe sacerdotale, i brahmana sentono la necessità di organizzare quella vasta letteratura in un sistema preciso e organizzato, soprattutto per quanto concerne le regole delle esecuzioni dei sacrifici. Nasce così un sistema normativo che cerca di inquadrare scientificamente e di armonizzare fra di loro differenti tipi di cerimonie ritualistiche e concezioni filosofiche, spesso apparentemente contrastanti tra di loro. Si intende fornire regole generali che valessero per tutti. 

  Dalla raccolta di queste regole nasce "La Guida della Spiegazione", cioè il Mimamsa-sutra; autore ne è Jaimini. Secondo gli studiosi occidentali questo famoso saggio potrebbe essere vissuto intorno al 200 o al massimo al 300 a.C., ma non ci sono dubbi che Jaimini fosse vissuto molto prima. Infatti è un contemporaneo di Vyasa: i Purana, infatti, lo menzionano diverse volte anche in sua compagnia. Nel Bhagavata Purana è detto che studia il Sama-Veda direttamente dal suo ordinatore, Krishna Dvaipayana Vyasa.
 

3) la dottrina
  Il Mimamsa è dunque essenzialmente la scienza del rituale vedico. Secondo i mimamsaka (i sostenitori delle teorie Mimamsa) i Veda contengono cinque tipi di istruzioni, che possono essere classificate in questo modo:

  a) vidhi (prescrizioni), ciò che deve essere fatto,
  b) nisheda (divieti), ciò che non deve essere fatto,
  c) mantra (formule), necessarie allo svolgimento di qualsiasi cerimonia,
  d) namadheya (nomi), di un particolare oggetto
  e) arthavada, spiegazione di tutti gli altri quattro.

  I mimamsaka dell'epoca cercano di studiare i Veda in modo razionale, scientifico e architettano un modello che poi sarebbe stato utilizzato dai loro successori. La veridicità di ogni conclusione deve essere verificata passando attraverso un metodo dialetticamente molto preciso, diviso in cinque livelli:

  1. vishaya, tesi, o oggetto dell'affermazione, momento nel quale viene dichiarato ciò di cui si vuole trattare,
  2. samshaya, dubbio, nel quale si esprimono delle perplessità sulla dichiarazione in questione,
  3. purvapaksha, opinione contraria, nella quale si e-spongono tutti gli argomenti contrari alla proposizione originale,
  4. siddhanta, opinione definitiva, per la quale, dopo aver considerato e soppesato tutti i pro e i contro, si giunge alla definizione della tesi definita corretta,
  5. sangati, relazione con altri passi del testo, nel quale si verifica che il siddhanta non sia contrario a ciò che è stato concluso nello stesso libro o negli altri testi accettati come rivelazione perfetta.

  Facciamo un esempio: Dio esiste (vishaya, affermazione). Ma perché esiste? Ci sono tante ragioni per la sua esistenza, come per la sua non-esistenza (samshaya, dubbio). No, secondo noi non esiste perché non lo vediamo e per tante altre ragioni (purva-paksha, opinione contraria). In realtà Dio esiste perché la creazione è logica e perché senza un Dio personale nulla avrebbe dovuto avere senso (siddhanta, opinione definitiva). E ciò è sostenuto dalle scritture rivelate, dai saggi autentici e da numerose altre fonti di rivelazione degna di fede (sangati, relazione con altri testi).

  Ai mimamsa viene perciò attribuito il merito di aver progettato un sistema di indagine filosofica e di insegnamento così valido da essere usato come base per i più disparati tipi di ricerca scientifica. Ma, per essere esatti, tutto questo non può essere attribuito al Mimamsa, inteso come movimento messo in moto da Jaimini, quanto ai Veda stessi, che già da tempo prevedono un simile sistema di indagine.

  Lo scopo del Mimamsa-sutra non è di promuovere alcun modello dottrinale. Nella logica dei vari Darshana ha una funzione precisa, che è quella di determinare i doveri religiosi (dharma) delle varie classi sociali.

  Ma appena il Mimamsa si organizza come un vero e proprio movimento di pensiero, e soprattutto quando autori come Prabhakara e Kumarila mettono le mani sul Mimamsa-sutra e scrivono i loro commentari, inizia un processo di allontanamento dal vedanta (cioè dalle corrette conclusioni dei Veda). E cominciano ad occuparsi anche di questioni filosofiche, religiose e linguistiche.

  Ma cosa dicono i mimamsa? I Veda sono eterni e la loro autorità nel campo del sapere è massima e indiscutibile. Questa conoscenza non ha origini umane: infatti non esiste un autore che l'abbia progettata. Vyasa non ha inventato i Veda, ma li ha organizzati e suddivisi in modo tale da renderli comprensibili a tutti. Ma la scienza vedica preesisteva; in realtà ha organizzato una saggezza che non ha inizi nel tempo. L'autore vero è un imprecisato Essere Divino e quindi nessuno tanto quanto i Veda è in grado di conferire un sapere privo di difetti o limitazioni di ogni genere.

  Gli altri strumenti di conoscenza sono la percezione sensoriale (difettosa per limiti umani), la deduzione (che subisce le stesse limitazioni con la maggiorazione della convinzioni personali che si frappongono fra lo studente e la sorgente di conoscenza), l’argomentazione analogica (cioè il sistema di accertare una conclusione grazie alle analogie), le ipotesi assiomatiche (cioè il voler giungere a qualcosa partendo da una convinzione di partenza) e le osservazioni negative (vale a dire giungere a un sapere positivo passando attraverso l'analisi di ciò che non è reale). Tutti questi hanno valore solo se giungono alle stesse conclusioni insegnate nei Veda.

  La teoria dell'eternità dei Veda si fonda su tre principi:

     1. La parola, anzi ogni suono, è eterno; sempre latente, quando è pronunciata non viene creata dal nulla ma semplicemente trasferita da uno stato potenziale a uno di piena manifestazione.

     2. Fra le parole e ciò che esse indicano esiste un legame privo di origini, che non è creato da nessun uomo.
     3. Le parole non designano nulla di particolare, ma vogliono riferirsi a una specie. E' dunque qualcosa di trascendentale che sta accanto alle cose e che si manifesta in esse.

  Per i mimamsaka questo mondo è popolato da anime individuali, le quali agiscono in modo diversificato. Nel caso che non osservino i dettami vedici, queste si caricano di karma negativo, che consiste di un meccanismo automatico, senza che ci sia la necessità dell'opera di un Dio personale. Per questa ragione, in fondo, non c'è bisogno di pregare o di adorare nessuno. Ciò che risulta necessario è agire nel giusto modo. Chi si perfeziona nei propri doveri (che variano secondo la propria posizione sociale e secondo il momento della propria vita religiosa) ottiene le gioie dei pianeti celestiali. Dunque il karma è la legge eterna e suprema. Il mondo va avanti anche senza l'intervento di un Dio.

  Si prende poi in esame il problema della completa liberazione dal samsara, cioè del rifiuto totale dell'esistenza materiale. Per ottenere questo stadio di perfezione si devono evitare le pratishiddha (azione vietata perché peccaminose) e le kamya-karma (le azioni tese al proprio esclusivo interesse personale). Certamente al giusto modo di agire insegnato nei Veda si dava ancora la massima importanza. Per il peso che davano agli atti virtuosi, i mimamsaka vennero anche conosciuti come Karma-mimamsi.

  Ma in cosa consiste questa liberazione? La risposta è ancora alquanto astratta e poco chiara. Viene intesa come uno stato di spiritualità in cui i fruitori sono privi di personalità, immersi in una dimensione dove non esiste la dualità del piacere e del dolore.

  E' difficile dire quanto di tutto questo possa essere attribuito a Jaimini, quanto ai propri diretti discepoli o quanto invece sia stata opera dei pensatori mimamsaka successivi, come appunto Kumarila e Prabhakara. E' certo comunque che un distinguo va fatto. Le comunità vedantiste ancora oggi considerano il Mimamsa originale come una scienza necessaria a regolare le ritualità e i doveri sociali, tutte cose importanti per la pace sociale e la purificazione della mente e dell'anima. Coloro che non sono pronti a percorrere immediatamente il sentiero della spiritualità e dell'amore divino (la bhakti) possono così purificarsi con gradualità. Ma essi dicono anche che le Upanishad (Uttara-mimamsa) sono superiori al Mimamsa originale, in quanto affrontano direttamente il tema della liberazione ultima. Questi sostengono che è necessario com-prendere la differenza di valori assoluti che passa tra l'Uttara- mimamsa e il Purva-mimamsa.

  Le conclusioni filosofiche del Karma-mimamsa più moderno, invece, sono sempre state avversate e fatte oggetto di aspre critiche che si protraggono fino ai giorni nostri.

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