Ramayana
La Storia dell'Avatara Sri Rama
di Valmiki Muni

 

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prima parte


ARANYA KANDA
30
Nella foresta di Dandaka - Viradha
Quella foresta infestata da terribili Rakshasa si chiamava Dandaka. Durante il cammino incontrarono le capanne di tranquilli asceti sempre sereni, sorridenti, in possesso di una profonda conoscenza delle cose spirituali. Erano sempre disponibili al dialogo e rispondevano a ogni domanda. Le loro glorie erano le austerità e lo studio dei sacri Veda, ed era grazie alla loro vita santa che esisteva pace sul pianeta. A quei tempi godevano di un grande rispetto da parte dei monarchi. Rama offrì ad ognuno di loro rispettosi omaggi e si informò sul loro benessere. Trovò che le risposte erano abbastanza simili tra di loro.

“Tutto procede bene nella pratica delle nostre austerità, ma purtroppo siamo sempre disturbati dai Rakshasa che infestano questa foresta. Per favore, proteggici da questi esseri malvagi. Eliminandoli faciliterai le nostre discipline.”

Rama promise a tutti la protezione. I principe e i suoi cari si addentrarono ancora di più nella terribile foresta alla ricerca dei Rakshasa.

Un giorno ne incontrarono uno. Era un mostro orribile, grande come una montagna e con una voce paurosa. Aveva delle braccia lunghissime ed era coperto di peli rossastri Appena li vide attaccò immediatamente, allungando a dismisura le braccia. Rapido come la folgore, afferrò Sita e la rapì. Ma Rama lo seguì e dopo un breve combattimento lo colpì a morte. Mentre stava per esalare l'ultimo respiro, tra lo stupore dei principi il Rakshasa parlò.

“Io sono chiamato Viradha. Ora mi vedete come un mostro spaventoso, ma nella mia vita precedente ero un Gandharva di nome Tumvuru. Sono stato condannato a stare in questa forma disgraziata per una maledizione. Un giorno  dovevo compiere un importante servizio per Kuvera, quando vidi l'Apsara Rambha. Attratto dalla sua bellezza la seguii, trascurando il mio dovere. Fu per quella ragione che Kuvera mi maledisse, e diventai così un terribile Rakshasa. Ma prima mi disse che avrei riguadagnato il mio stato originale quando sarei stato ucciso dal figlio di Dasaratha di nome Rama. Grazie a te ora ritornerà a Svarga-loka.”

Così Viradha abbandonò il suo corpo.
 


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Il Rishi Sarabhanga

Dopo aver ucciso Viradha, Rama volle andare a visitare l'eremo del saggio Sarabhanga. Quando arrivò nelle vicinanze vide Indra che parlava con il saggio.

Indra lo vide arrivare e si nascose, pensando di non essere stato visto. Rama e i suoi compagni offrirono umili rispetti a Sarabhanga e parlarono a lungo; poi Rama, curioso di sapere cosa facesse lì il re degli esseri celesti e fingendo di non averlo riconosciuto, chiese:

“Grande saggio, chi era quel nobile personaggio che ho visto mentre arrivavo?”

“Era Indra, il re dei pianeti celesti,” rispose, “venuto per convincermi a lasciare questo mondo e andare a Brahma-loka. Da molto tempo, grazie alle mie austerità, ho guadagnato l'accesso a quei pianeti celestiali, però sapevo che tu saresti arrivato qua e ho sempre rifiutato di lasciare questo mondo senza averti visto. Volevo prima parlare con te. Ora il mio desiderio è soddisfatto. Posso andare tranquillamente sul pianeta di Brahma.”

Così detto il saggio preparò una catasta di legna e vi appiccò fuoco. Dopodiché entrò nelle fiamme. La scintilla spirituale che abbandonò il corpo fu visibile ad occhio nudo e Rama gli offrì rispettosi omaggi. Sarabhanga aveva raggiunto la perfezione delle sue austerità.


32
L'incontro con Agastya

Durante il loro peregrinare Rama, sempre accompagnato da Sita e Lakshmana, incontrò altri eremiti. Anche loro gli chiesero protezione contro i Rakshasa che infestavano Dandaka. A tutti Rama diede la stessa risposta:

“Non preoccupatevi più. Io distruggerò quegli esseri malefici. Il mondo deve essere liberato da tutti coloro che commettono atti empi.”

I tre decisero di andare a trovare Agastya, uno dei saggi più potenti che la storia ricordi. Quando lo videro capirono come aveva potuto compiere tante imprese prodigiose. Lo ammirarono seduto nella posizione yoga detta del loto, ricoperto di cenere, che brillava di un'intensa energia spirituale. Dopo avergli offerto gli omaggi di dovere, Rama volle intrattenersi a parlare con lui, godere della sua compagnia e assimilare la sua profonda coscienza spirituale, Alla fine del colloquio, Agastya gli donò varie armi celestiali e lo iniziò al loro uso.
 


33
Verso Panchavati

Stavano viaggiando da troppo tempo. Rama pensò che fosse meglio fermarsi in qualche luogo bello come lo era stato Citrakuta. Sita, poi, era stanca e aveva bisogno di un periodo di riposo. Pensò di chiedere ad Agastya qualche consiglio.

“Sto pensando,” disse il principe, “di fermarmi da qualche parte. Mia moglie è stanca e una donna non è adatta a un continuo peregrinare. Dove potremmo trovare un luogo bello e pacifico per passare felicemente un periodo del nostro esilio?”

“Non lontano da qui,” rispose il saggio, “c'è un luogo chiamato Panchavati. E’ un luogo stupendo. La natura è generosa lì, e sarete al sicuro da qualsiasi pericolo. Sì, andate a Panchavati e sono sicuro che vi troverete bene. Vi piacerà.”

Seguendo il consiglio di Agastya, Rama, Lakshmana e Sita andarono a Panchavati. Mentre si dirigevano verso la loro meta, incontrarono un gigantesco avvoltoio che li guardava minacciosamente. Era così grosso che Sita si mise a tremare dalla paura. Ma Rama fermò il fratello che stava per afferrare la spada e si rivolse all'enorme animale.

“Chi sei tu? Sei forse un Rakshasa? Io sono il principe Rama e sono nato per la distruzione di tutti i demoni. Se sei dunque uno di quegli esseri malvagi, preparati a morire.”

L'animale, sentendo il nome di Rama, sembrò cambiare espressione e riempirsi di felicità.

“Rama! Tu sei Rama? Oh, il figlio di Dasaratha. Il mio nome è Jatayu e vostro padre era un mio vecchio amico.”

Lakshmana si tranquillizzò e staccò la mano nervosa dall'impugnatura della spada.

“Mio padre è Aruna,” proseguì Jatayu, “il fratello di Garuda, e mia madre è Syeni. Ho anche un fratello, Sampati. Sto vagando in questa foresta alla ricerca di un luogo tranquillo dove vivere e non l'ho ancora trovato. Se voi siete i figli di Dasaratha, vorrei costruire la mia casa vicino alla vostra capanna. Vi sarò utile. Quando voi sarete lontani io proteggerò la vostra donna da ogni pericolo.”

Rama sorrise e accettò. Così Jatayu andò a Panchavati insieme a loro.
Panchavati era veramente bella come Agastya l'aveva descritta e Rama visse lì felicemente per lungo tempo, godendo della compagnia di Sita e di Lakshmana, in una capanna abilmente costruita dal fratello.
 


34
L'inizio del conflitto: Surpanakha

Un giorno, lungo il sentiero che costeggiava la capanna di Rama, passò per caso Surpanakha, la sorella di Ravana, il re dei Rakshasa. Surpanakha era un essere mostruoso e malvagio, degna sorella di Ravana. Le sue sembianze erano orrende ed era fisicamente gigantesca. Le accadde di vedere Rama seduto in meditazione. Più bello di un Deva, il suo corpo radiava luce come un secondo sole. La Rakshasi si fermò a guardarlo, rapita, quasi stupita che potesse esistere un uomo così bello, e provò una forte attrazione per lui. Il suo cuore si riempì di lussuria. Pensando di poterlo avere come marito si presentò di fronte a Rama e gli rivolse la parola.

“Meraviglioso giovane, io sono Surpanakha, la sorella dei potenti Rakshasa Ravana e Kumbhakarna. Anche Khara e Dussana, famosi in tutto il mondo, sono miei fratelli. Chi sei tu? Come ti chiami? E da dove vieni? Tu sei l'uomo più attraente che io abbia mai conosciuto, e sono curiosa di sapere il tuo nome e la tua provenienza.”

Rama guardò la mostruosa donna e intuì subito le sue intenzioni. In un certo senso era abbastanza divertito dalla situazione.

“Il mio nome è Rama,” rispose con tono scherzoso, “e questo giovane è mio fratello Lakshmana. Questa donna è mia moglie Sita. Ci troviamo fuori dal nostro regno perché siamo stati esiliati a causa di un complotto. Il nostro regno è Koshala, che un tempo fu protetto dal celebre re Dasaratha, nostro padre. Ma dimmi, in cosa posso esserti utile?”

La gigantesca Surpanakha aveva il corpo orrendamente deforme, ma era così colpita dalla bellezza di Rama che non se ne rendeva più conto.

“Io desidero solo averti come marito. Da quando ti ho visto ho sentito subito una forte attrazione per te. Ti prego, non rifiutarmi, accetta la mia proposta.”

La situazione era alquanto buffa e imbarazzante. Rama la prese sullo scherzo.

“La tua bellezza è tale che mi riesce difficile rifiutarti,” rispose. “Ma io sono già sposato e ho fatto voto di avere una sola donna in tutta la vita. Però qui c'è mio fratello Lakshmana, che è bello come me, è altrettanto valoroso e saggio. Inoltre non ha fatto voto di castità come me. Rivolgiti a lui, e vedrai che ti accetterà di sicuro.”

Surpanakha prese quelle parole sul serio e non si accorse che Rama si stava prendendo gioco di lei. Così si rivolse a Lakshmana, guardandolo con tenerezza e desiderio.

“Lakshmana, mio bellissimo eroe. Rama non può sposarmi per un voto fatto a sua moglie, ma tu non hai pronunciato alcun voto e sei libero di sposarmi e di godere della vita insieme a me.”

Lakshmana continuò lo scherzo cominciato dal fratello.

“E’ vero che tu sei una ragazza così bella che è difficile resistenti,” ribatté, “e vorrei accettarti come moglie, ma sappi che io sono solo lo schiavo di Rama. E non vorrai metterti con uno schiavo! Insisti con lui e vedrai che abbandonerà la sua brutta moglie per fuggire con te.”

Ma il gioco era andato troppo oltre. Quanto Rama in seguito si sarebbe pentito di aver scherzato troppo con Surpanakha! E la natura irascibile e aggressiva della Rakshasi divampò all’improvviso, violenta, incontrollabile. Pensando che fosse veramente Sita l'ostacolo che si frapponeva fra lei e la soddisfazione dei suoi desideri, decise di ucciderla e divorarla. Con un grido spaventoso Surpanakha si gettò contro Sita, che urlò di terrore. Lakshmana, velocissimo, si rese conto immediatamente del grave pericolo e fece appena in tempo a sfoderare la spada e a porsi fra il mostro e Sita. Con tre precisi colpi di spada le tagliò il naso e le orecchie. Gravemente ferita, Surpanakha corse via, urlando di dolore e di rabbia.
 


35
La battaglia

Sanguinando e urlando come un'ossessa, Surpanakha corse nella foresta di Janasthana, non lontana da Panchavati, e lì trovò il fratello Khara. Appena la vide arrivare in quello stato, Khara spalancò gli occhi in preda a una violenta ira.

“Che ti è successo? Chi ti ha ridotta così?” gridò.

Con voce affannosa e rotta dai singhiozzi, Surpanakha raccontò ciò che era accaduto. Khara cacciò un urlo simile a un ruggito e immediatamente chiamò quattordici valorosi Rakshasa, ordinando loro di uccidere quegli uomini. Surpanakha condusse i quattordici demoni a Panchavati e mostrò loro la capanna dove vivevano i due fratelli. Troppo fiduciosi della loro forza, i guerrieri affrontarono apertamente Rama e Lakshmana. Ma dopo un breve combattimento Rama li uccise tutti.

Surpanakha, che stava osservando di nascosto, tornò da Khara e gli narrò l'incredibile fatto accaduto. Il potente Rakshasa non riusciva a credere che quattordici dei suoi migliori combattenti fossero caduti per mano di un uomo e decise di scendere personalmente in campo con tutto l'esercito per vendicare l'onore della famiglia. Khara aveva un esercito poderoso, composto di ben quattordicimila possenti Rakshasa. Anche il fratello Dussana volle partecipare al combattimento. Il rumore degli zoccoli dei cavalli assordò tutti coloro che vivevano nelle foreste circostanti.

Rama e Lakshmana sentirono il sordo boato e capirono che un serio pericolo si stava avvicinando. Rama ordinò a Lakshmana di portare Sita in un posto sicuro e si preparò al confronto. Presto le frecce, le lance, le asce, e tanti altri tipi di armi volarono pericolosamente verso Rama, ma dall'arco del principe scaturirono migliaia di potenti frecce che spezzarono tutte quelle armi. E ben presto i Rakshasa cominciarono a cadere, a decine e a centinaia. In poco tempo tutti, compreso Khara e Dussana, giacquero inerti sul terreno. A Panchavati tornò il silenzio. La battaglia era vinta.
 


36
Fuga a Lanka

Un solo Rakshasa riuscì a fuggire. Il suo nome era Akampana e possedeva poteri mistici grazie ai quali poteva viaggiare nell'aria a grande velocità. Fuggì a Lanka, la città di Ravana.

Akampana narrò al re tutto l'accaduto e gli descrisse la sorprendente potenza di Rama e la divina bellezza di Sita.

“Quell'uomo combatte in modo inconcepibile,” disse affannato. “Da solo ha saputo sterminare quattordicimila di noi dalla forza e capacità che tu ben conosci. Era così veloce nel combattimento che si vedevano solo le frecce nell'aria e i corpi dei nostri guerrieri mutilati in più parti. Siamo stati colti di sorpresa, non ci aspettavamo un simile guerriero, né pensavamo che esistesse fra i mortali.”

Akampana si fermò un attimo per riprendere fiato.

“Mentre combattevo,” riprese poi, “vidi nascosta nelle pendici della collina lì vicina una donna dalla bellezza indescrivibile. Capii che era sua moglie: Surpanakha ce l'aveva descritta. Francamente ti dico che in tutto il creato non esiste una donna tanto bella. Mentre fuggivo non potevo smettere di pensare a quella bellezza paradisiaca. E pensavo che sarebbe la compagna degna di te e della tua grandezza! Quando la vedrai comprenderai il significato della bellezza. E quando Rama si vedrà privato della sua amata moglie, noi potremo facilmente ucciderlo e vendicare l'affronto che ci ha fatto. Grande re Ravana, rapisci Sita e distruggi Rama.”
 


37
Il consiglio di Maricha

Ravana rifletté a lungo su quanto era accaduto, e decise di recarsi da Maricha per chiedere consiglio. Si fidava molto di Maricha e quando c'erano situazioni di emergenza si recava sempre da lui. Maricha era il figlio di Tadaka, quello stesso che aveva disturbato i sacrifici di Visvamitra, e si ricorderà che nel corso del combattimento era stato scaraventato a molte miglia di distanza da un'arma di Rama. Da quel giorno il Rakshasa si era convertito a una vita più virtuosa ed era diventato un asceta nella foresta.

Ravana gli raccontò tutta la storia e poi gli chiese cosa ne pensasse dell'idea di rapire Sita. Maricha non sembrò per niente entusiasta del progetto.

“Io ho già avuto l'occasione di incontrare Rama in combattimento,” disse Maricha, “e il consiglio che ti posso dare è questo: non importunarlo per nessuna ragione, perché quando è adirato può distruggere il mondo intero con tutte le creature che vi abitano. Lascialo tranquillo, e anche la moglie e il fratello. Tu hai tutto ciò che si possa desiderare dalla vita. Non rovinare tutto per orgoglio. Torna pacificamente a Lanka e goditi la vita in compagnia delle tue regine e dei tuoi fedeli amici. Te lo ripeto: non importunare Rama.”

Maricha aveva un forte ascendente su Ravana, che si convinse che quella era la cosa migliore da farsi, e tornò a Lanka.
 


38
I cattivi consiglieri

Tornato a palazzo, Ravana trovò Surpanakha che lo aspettava. Quando la vide ferita e piangente sentì il petto gonfiarsi di rabbia e di odio verso colui che aveva ferito la sorella. Surpanakha, che non desiderava altro che la vendetta, piangeva e gridava tra i singhiozzi.

“Tutti sanno che non esiste nessuno più valoroso di te in tutti i mondi, ma sembra che tu non voglia aiutare tua sorella, che è stata umiliata e ferita da due insignificanti esseri umani. Come puoi sperare che la gente continui a rispettarti se non vendichi la morte dei tuoi fratelli Khara e Dussana? Tutti penseranno che hai avuto paura di Rama e nessuno terrà più conto dei tuoi ordini. Se farai così in breve tempo perderai la posizione che hai guadagnato con tanta fatica.”

Vedendo l'indecisione del fratello, Surpanakha pensò di far leva su altri sentimenti.

“E poi ti assicuro che dopo aver visto Sita,” continuò, “capirai che cosa sia veramente la bellezza. Credimi. Rapiscila, falla tua, e vendica l'onore ferito della tua razza.”

Il carattere violento e vendicativo prevalse sulla ragione e Ravana gridò ai suoi assistenti di preparare il carro di battaglia. Con quello tornò da Maricha. Vedendolo arrivare, Maricha capì che un fosco avvenire di tragedie si apriva per la razza nella quale era nato. Stavolta Ravana non era venuto per un consiglio.

“Ho preso la mia decisione,” disse con voce imperiosa. “Io rapirò Sita e distruggerò Rama. Non sono un vigliacco: io sono il monarca della razza più potente del mondo. Niente mi spaventa. Perché dovrei temere un uomo qualsiasi, per quanto valoroso, come è questo Rama?”

Maricha fece l'ultimo tentativo per salvare la situazione. Grazie ai poteri che con le sue austerità aveva ottenuto, poteva vedere la morte e la distruzione che sarebbero state causate dalla stupidità e dalla vanità di Ravana.

“Chi ti ha dato consigli così poco saggi? Un re con cattivi consiglieri, per quanto potente, è destinato alla rovina. Credimi. Toccare Rama è come toccare inavvertitamente un serpente velenoso: la conseguenza di un simile errore è la morte. Non cedere all'orgoglio. Torna alla tua città e goditi la vita.”

Ma Ravana era deciso.

“Maricha, questa volta non sono venuto a chiederti un consiglio, ma per darti un ordine. Tu devi aiutarmi. E sappi che se non lo farai ti ucciderò io stesso. Pensaci bene, quindi, prima di rifiutare.”

Maricha capì che tutto era inutile e che Ravana non poteva essere salvato. Ma ora vedeva che la sua vita era in pericolo comunque, e non aveva scampo. Pensò che era meglio essere uccisi da Rama piuttosto che da Ravana.

“Sono convinto che tu stia commettendo un grave errore, e presto te ne pentirai amaramente. Ma ti aiuterò. Dimmi cosa devo fare.”

Ravana era molto affezionato a Maricha e non gli sarebbe piaciuta l'idea di ucciderlo. Così, soddisfatto della decisione presa dall'amico, sorrise crudelmente.

“Noi andremo da questa gente oggi stesso. Devi trasformanti in un meraviglioso cervo dorato, bello come mai se ne sono visti in questo mondo, e sotto queste sembianze devi farti vedere da Sita, che chiederà a Rama di inseguirti e catturarti. Tu fuggirai facendoti rincorrere per molto tempo. Quando sarai abbastanza lontano devi gridare aiuto, imitando la voce di Rama. Sicuramente Sita si spaventerà e manderà Lakshmana in suo aiuto. Quando sarà rimasta sola io la rapirò e la porterò a Lanka. Maricha, fa questo per me. Non desidero altro, ora, che vedere Sita in mio potere e vendicarmi dell'affronto fatto a mia sorella e ai miei parenti e amici di Janasthana.”

A malincuore Maricha accettò, ma si sentiva come un agnello che entrava nella tana di un lupo.

 continua...