Ramayana
La Storia dell'Avatara Sri Rama
di Valmiki Muni

 

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seconda parte


AYODHYA KANDA
39
Il cervo dorato - Il rapimento di Sita
Presto arrivarono nei pressi della capanna dove vivevano coloro che Ravana considerava le sue ignare e indifese vittime. Era una bella giornata: il sole era alto in cielo e la foresta era piena di fiori e di profumi deliziosi. Questo scenario di bellezza naturale vide Ravana, l'essere che con la sua perfidia terrorizzava il mondo, mettere in atto il suo vile piano. Grazie ai poteri mistici di cui disponeva, Maricha prese le sembianze di un fiabesco cervo dorato, dalla bellezza così incantevole che avrebbe potuto attrarre la fantasia di chiunque lo guardasse. Con lo scopo di farsi notare da Sita, cominciò a correre qua e là nei dintorni della capanna e poi a fermarsi, e poi ancora a correre, mettendo bene in vista le sue forme perfette. Sita lo vide, e non credeva ai propri occhi. Come poteva esistere un animale tanto bello? Chiamò il marito.

“Rama, corri, guarda là quel cervo, che bellezza. Non è meraviglioso?”

Rama e Lakshmana accorsero e ammirarono lo stupendo animale, ma erano visibilmente diffidenti. Sita non aveva nessun sospetto.

“Rama, ti prego, catturalo per me. Lo terremo qui con noi, per far-ci compagnia.”

Lakshmana era il più diffidente.

“Rama, non andare. Quel cervo ha una bellezza irreale, è troppo bello per essere vero. Sono sicuro che è un trucco dei Rakshasa per dividerci e tentare di colpirci.”

Rama non sembrava eccessivamente preoccupato, anzi abbozzò un sorriso.

“Voglio scoprire se quella creatura è veramente un trucco dei Rakshasa. Se lo è lo ucciderò, chiunque sia, ma se è un vero cervo devo catturarlo per Sita. Io vado, ma tu promettimi di non lasciare Sita da sola neanche per un momento e per nessun motivo. Finché tu sei qui lei non corre pericoli, ma se tu la lasciassi sola potrebbe accadere un disastro.”

Rassicurato da Lakshmana, Rama corse verso la preda. Vedendolo arrivare, Maricha fuggì: aveva raggiunto il suo scopo. Corse via con grande agilità tra la fitta boscaglia. Maricha correva con una velocità straordinaria e, cercando di sfuggire a Rama per salvarsi la vita, usò i suoi poteri sovrannaturali. Talvolta si rese invisibile, altre volte ricompariva, tutto con una rapidità sorprendente, troppa per non destare sospetti. Rama pensò che il cervo si comportava in maniera troppo strana per essere ciò che sembrava, ma voleva essere sicuro, e gli corse dietro per molto tempo. Quando fu certo che si trattava di un trucco, decise di ucciderlo. Una freccia dura come la pietra partì dal suo arco e colpì il bersaglio. Colpito a morte, Maricha non poté mantenere la sua forma illusoria e riprese la forma originale, possente, gigantesca, che incuteva timore a chiunque la guardasse. Con le ultime energie rimaste, gridò, imitando la voce di Rama:

“Aiuto! Sita, Lakshmana! Aiuto! Aiuto!”

Quelle grida erano così alte che arrivarono fino alle orecchie di Sita. Sentendo la voce disperata del marito, non poté controllare le sue emozioni e divenne terribilmente ansiosa.

“Lakshmana, ascolta, questa è la voce di Rama. Chiede aiuto! È in pericolo. Corri immediatamente da lui.”

Ma Lakshmana non cadde nella trappola neanche quella volta. Così come per il cervo, sospettò di una manovra dei Rakshasa.

“Sita, non devi preoccupanti,” le disse con voce rassicurante. “In questo mondo nessuno può sopraffare Rama in combattimento. Rama è invincibile. Non esiste essere che possa anche solo dargli preoccupazione. Queste grida, così come l'apparizione del cervo, sono un trucco dei Rakshasa che vogliono separarci. Stai tranquilla. Rama tornerà presto.”

Ma Sita era terrorizzata che potesse accadere qualcosa al suo amato, e sentendo altre grida disperate insistette:

“Ma questa è la voce di Rama. E’ in pericolo. Cosa aspetti a correre in suo aiuto? Come fai a non precipitarti per salvargli la vita?”

“Non posso lasciarti sola in questa foresta piena di pericoli,” ribatté Lakshmana tranquillamente, sicuro dell'invincibilità del fratello. “Non agitarti. Tranquillizzati. Rama mi ha ordinato di non lasciarti sola per nessun motivo. Sii serena. Presto lo vedremo tornare sano e salvo.”

Ma la tensione era già andata oltre la sua possibilità di sopportazione, e lei non riuscì più a tollerarla. Ripetutamente chiese, ordinò, supplicò Lakshmana di correre in aiuto di Rama, ma lui aveva capito il trucco e rifiutò decisamente. Una sorda rabbia invase il cuore spaventato di Sita.

“E così speri che Rama muoia, vero? Per questo sei venuto nella foresta con noi. Ora ho capito il tuo piano. Aspettavi un momento come questo. Tu non vuoi altro che Rama muoia per prendermi come moglie. Ma sappi che se dovesse accadergli qualcosa io mi ucciderò e tu sarai responsabile delle nostre morti.”

Sita non pensava davvero quello che stava dicendo. Disse quelle ingiuste e crudeli parole solo per spingere Lakshmana a correre in aiuto di Rama. Ed ebbero l'effetto desiderato. Profondamente colpito in ciò che era il più alto valore della sua vita, l’amore e la lealtà nei confronti del fratello, Lakshmana si sentì ferito.

“Io non so come tu abbia potuto dire parole così crudeli e false,” disse rabbiosamente. “Non sai quanto tu mi abbia ferito. Ma non ti rendi conto del pericolo che corri se ti lasciassi sola qui?”

Ma Sita incalzò e lo accusò ancora con durezza. Pieno di dolore e di rabbia, Lakshmana decise che doveva andare.

“E sia. Io andrò a cercare mio fratello nella foresta. Disobbedirò ai suoi ordini, e sappi che stai correndo un grave pericolo. Ma ascoltami. Io creerò tutt'intorno a te un cerchio magico, attraverso il quale nessuno potrà passare. Questo ti proteggerà. Promettimi che non lascerai passare nessuno né oltrepasserai questo cerchio per nessun motivo.”

Sita, in preda all'ansietà, gli dette tutte le assicurazioni che chiedeva. Dopo aver tracciato il cerchio magico, Lakshmana partì alla ricerca di Rama. Era il momento che Ravana stava aspettando.

Senza perdere tempo, prese le sembianze di un asceta e cantando mantra in lode a Shiva si diresse verso la capanna dove era Sita. Sita lo vide arrivare, ma non si insospettì. Un vecchio asceta che cantava preghiere a Shiva era un incontro comune nella foresta. Mentre si avvicinava, Ravana rimase folgorato dalla bellezza di Sita e la sua lussuria si accese. Ma ad un certo punto, inspiegabilmente, vide che non riusciva ad andare avanti. Il cerchio magico creato da Lakshmana gli impediva di fare altri passi. Per quanto spingesse con tutte le sue forze non riuscì ad avanzare. Una violenta rabbia si accese nel suo cuore, ma la controllò. Sita vide il vecchio asceta visibilmente stanco ed affamato: non poteva sospettare chi fosse veramente. Mossa dalla pietà decise di portargli cibo e acqua. E oltrepassò il cerchio magico. Ravana ammirò più da vicino la sua bellezza senza difetti, e mentre aspettava il cibo e l'acqua che gli porgeva le rivolse la parola.

“Chi sei tu? E cosa fai qui da sola in questa foresta infestata da demoni cannibali? Non sai quale pericolo corri.”

“Sant'uomo,” rispose Sita con dolcezza. “Io non sono nata nella foresta, né sono figlia di qualche asceta. E non sono sola. Mio marito è andato a caccia di un meraviglioso cervo e presto sarà di ritorno con suo fratello. Io sono la figlia di un re, così come lo è il mio sposo. Siamo stati esiliati nella foresta per quattordici anni. Per questo sono qui ora sola in questa foresta pericolosa.”

“La tua bellezza è senza paragoni,” riprese Ravana, “e nemmeno i migliori poeti potrebbero descriverla. Una donna come te non dovrebbe vivere neanche un istante in un luogo così miserevole.”

Sita pensò che parole del genere erano alquanto strane nella bocca di un asceta e cominciò a sentirsi a disagio. Quel vecchio emanava un'atmosfera di estrema asprezza e negatività. Rispose che era il dovere di ogni moglie casta di seguire il marito qualunque sia il suo destino. Ora l'asceta quasi sghignazzava.

“Quando il marito cade in disgrazia, come il tuo Rama, bisogna abbandonarlo. La vita è fatta per provare le sue delizie. Che felicità può offrirti ora quel povero principe? Tu meriti molto di più: meriti di essere la regina del più grande re della terra.”

“Cosa dici?” replicò Sita sdegnata. “La più alta perfezione per una donna casta e onesta è quella di rimanere fedele al proprio marito in ogni circostanza: quando tutto va bene ma anche e forse soprattutto quando le cose vanno male. Io non tradirei mai Rama per niente e per nessuno al mondo.”

Ma ormai aveva capito di essere caduta in una trappola. Mentalmente chiese perdono a Lakshmana e aiuto a Rama. Ravana guardava Sita con severità.

“Io non sono un povero vecchio asceta: io sono Ravana, il re della razza più potente dell'universo. Io voglio che tu diventi la mia regina, e che tu voglia o no lo diventerai.”

Così dicendo il Rakshasa riprese le sue vere sembianze. Sita, vedendolo così maestoso e possente, rabbrividì. Oramai aveva capito tutto l'inganno. Prese a gridare e a correre, ma Ravana la afferrò e la gettò sul suo carro, nascosto nelle vicinanze. Sita gridava, piangeva, cercava di convincere il malvagio re a lasciarla, a non portarla via: ma inutilmente. Nessuno poteva più aiutarla. Il carro si alzò in cielo e partì con grande velocità. La povera Sita era affranta e terrorizzata. Cosa le sarebbe successo?
 


40
La morte di Jatayu – La ricerca di Sita

Il vecchio avvoltoio Jatayu, il loro caro amico, vide tutta la scena e, appena il carro fu in cielo, attaccò. Ma sapeva che stava tentando un'impresa disperata. In un generoso quanto inutile tentativo di liberare Sita, Jatayu attaccò l'invincibile Rakshasa. E combatté con grande valore, uccidendo l'auriga e i muli magici che trainavano il carro, e distruggendo il carro stesso. Riuscì persino a ferire Ravana. Ma la furia di Ravana divampò come il fuoco della dissoluzione universale. Afferrò con furore la sua spada e con colpi vigorosi tagliò le zampe e le ali al povero Jatayu il quale, mortalmente ferito, precipitò al suolo. Oramai nessuno poteva più contrastarlo. Il carro distrutto, Ravana portò via Sita in volo. Disperata, Sita piangeva e si lamentava per la morte di Jatayu e per il suo crudele destino.

Poco dopo, mentre viaggiava in cielo, Sita vide alcune figure che da terra guardavano la curiosa scena del gigantesco Rakshasa che portava via una giovane donna piangente. Pensando di lasciare qualche traccia, lasciò cadere delle stoffe e dei bracciali. Potevano essere un segnale per Rama quando l'avrebbe cercata.

Cosa faceva Rama? Oramai aveva ben compreso il vile inganno e si preoccupò che il fratello potesse farsi ingannare dalle false grida di Maricha, lasciando imprudentemente Sita da sola. Mentre tornava rapidamente sui suoi passi, scorse tutt'intorno dei cattivi segni che lasciavano presagire una tragedia. E quando sulla strada incontrò il fratello che correva altrettanto affannosamente, le paure divennero angosciose realtà.

“Lakshmana, che fai qui!” gli gridò. “Ti avevo detto di non lasciare Sita da sola!”

Lakshmana riprese fiato e gli raccontò cosa era successo quando Sita aveva sentito le urla, e lo tranquillizzò che l'aveva lasciata protetta dentro un cerchio magico. Ma voleva solo rassicurarlo per un po’: anche lui sapeva cosa sarebbe accaduto se Sita fosse stata ingannata e indotta a uscire dal cerchio. Ambedue disperati, corsero con quanta forza avevano nelle gambe. Arrivati alla capanna la trovarono desolatamente vuota: tutt'intorno chiari segni di lotta. Oramai le loro più nere paure si erano tramutate in disperata realtà: Sita era stata rapita, o forse anche uccisa.

I due fratelli cercarono affannosamente ovunque: al ruscello, nel bosco, nelle radure, nei luoghi preferiti dove Sita andava spesso. Ma molto presto le ultime illusioni caddero: Sita era stata rapita dai Rakshasa. Rama era sconvolto, non riusciva a tenere più la mente sotto controllo, i suoi occhi vagavano fulmineamente ovunque, nella speranza vana di scorgere l'amata.

“La mia cara Sita,” gemette. “Dove sarà ora? Chissà quale essere malvagio l'avrà rapita. E chissà se sarà ancora viva.”

Tutti i sentimenti di sofferenza per la separazione dalla compagna si scatenarono nel suo cuore.

“Come farò ora senza il suo sorriso che, come la luce, rischiara anche le più terribili tenebre di un destino avverso? E chi mi parlerà con la stessa voce limpida, dicendomi parole affettuose, piene di profondo amore? Io sono il colpevole di tutto ciò: non dovevo permetterle di seguirmi, qui, in questa dura foresta priva di ogni comodità e piena solo di Rakshasa e animali feroci. Solo per un mio egoismo le ho permesso di seguirmi.”

Anche Lakshmana era affranto, e più vedeva il fratello che piangeva e si lamentava e più si sentiva colpevole. Tentò di consolarlo.

“La troveremo. Vedrai che la troveremo. Continuiamo a cercare. Non scoraggiarti. Vedrai che la troveremo.”

Nella loro disperata ricerca arrivarono nel luogo del combattimento fra Jatayu e Ravana. Lì videro i resti del carro e i corpi dei muli e dell'auriga, mutilati in molte parti. Più in là il morente Jatayu. Avendo intuito che aveva tentato inutilmente di difendere Sita, Rama e Lakshmana si chinarono tristemente sul loro caro amico. Rama lo chiamò con voce amorevole.

“Jatayu, amico mio, chi ti ha fatto questo? E’ lo stesso che ha rapito la mia Sita, vero? Dimmi, è ancora viva?”

Jatayu era moribondo. Parlava con un filo di voce.

“E’ stato Ravana...” disse con le ultime forze che gli rimanevano, “il re dei Rakshasa... in persona. Voi vi eravate allontanati... e ha rapito Sita... Ho cercato di difenderla, ma sono troppo vecchio.”

Rama gli sorrise teneramente e lo accarezzò.

“Amico mio, non potrò mai ripagare il servizio che mi hai reso. Hai visto dove si dirigeva e se è ancora viva?”

“Sita è viva...” disse Jatayu, “non preoccuparti... non l'ucciderà. Sono andati a sud... a sud...”

Si fermò un attimo per riprendere fiato.

“Sita piangeva... e ti chiamava... ma non disperarti... presto la ritroverai... benedicimi... che in quest'ultimo istante della mia vita io possa ottenere lo scopo ultimo, la perfezione dell'esistenza... Rama.”

Pronunciando il nome santo di Rama, Jatayu spirò. Addolorati per la morte del caro amico, i due fratelli celebrarono il funerale secondo le tradizioni vediche. Poi si incamminarono verso il sud, alla ricerca di Sita.
 


41
Le indicazioni di Kabandha

Entrarono nella foresta di Krauncha, piena di pericoli di ogni genere. Quel giorno stesso si imbatterono in Ayomukhi, una orribile Rakshasi la quale, vedendo Lakshmana così bello, se ne innamorò e tentò di costringerlo a sposarla. Ma Lakshmana aveva perso la voglia di scherzare con le donne, afferrò la spada e le tagliò il naso, le orecchie e i seni. Ayomukhi fuggì gridando furiosamente.

Camminando celermente nella tenebrosa foresta, Rama e il suo fratello più giovane si imbatterono in un altro terribile Rakshasa. Costui era alto come una montagna e la sua voce sembrava provenire dalle profondità di una caverna. Era senza testa, e la grande bocca era nel mezzo del suo gigantesco petto, sopra del quale un unico grande occhio brillava come un tizzone ardente. Quando arrivarono, il mostro stava mangiando leoni, orsi e vari tipi di uccelli. Aveva le braccia lunghissime e incuteva terrore solo a guardarlo. Kabandha - così si chiamava il Rakshasa - vide i due fratelli e allungò fulmineamente le braccia per afferrarli. Colti di sorpresa i due non poterono difendersi e si videro trascinati fino quasi a finire nella bocca del mostro. Velocissimi, riuscirono a sfoderare le spade e con pochi poderosi fendenti gli tagliarono le braccia.

Ormai incapace di nuocere o di difendersi, Kabandha guardò i due fratelli e, con voce bassa e oramai rantolante, si rivolse a loro.

“Rama, ascolta. Voglio raccontarti del motivo per cui sono caduto in questa orrenda condizione di vita. Ascoltami con attenzione.

“Tempo fa, grazie a rigorose austerità, soddisfai Brahma, che mi benedisse con una lunga vita. Per questa benedizione che mi rendeva invincibile io sfidai Indra. Durante il combattimento egli distrusse la mia testa, le mie braccia e le mie gambe, ma non poté uccidermi. Così mi dette queste braccia che voi oggi mi avete tagliato, e mi pose quest'occhio e questa bocca nel petto. E mi disse:

“Quando Rama e Lakshmana taglieranno queste braccia e ti uccideranno, riprenderai il tuo aspetto originale.”

“Così in questo corpo orribile io vagavo per le foreste e mi divertivo a spaventare i saggi. Ma un giorno il Rishi Sthulashira si arrabbiò e mi maledisse:

“Tu manterrai questa orribile forma per sempre.”

“Io divenni terrorizzato e chiesi il suo perdono. Alché disse:
“Riprenderai la tua bella forma corporea quando Rama e Lakshmana bruceranno il tuo corpo.”

“E ora sii misericordioso verso le mie sofferenze e dammi l'opportunità di tornare gloriosamente nei pianeti celesti da dove provengo. Brucia questo corpo e io vi darò indicazioni per ritrovare la vostra Sita.”

Sorpresi che il Rakshasa sapesse di Sita, Rama e Lakshmana fecero come aveva detto loro di fare. Appena il corpo fu incenerito, Kabandha apparve nella sua originale forma celeste. E, pieno di gratitudine per coloro che gli avevano ridato la gioia di vivere, Kabandha parlò ancora.
“Io so quanto state soffrendo per il rapimento di Sita,” disse. “Se volete ritrovarla dovrete allearvi con il re degli uomini-scimmia, i Vanara, e sicuramente la ritroverete. Seguite le mie indicazioni e troverete la collina di Rishyamukha. Lì vive il loro capo, che si chiama Sugriva.”

Dopo aver pronunciato quelle parole, Kabandha scomparve. I due fratelli s'incamminarono verso la collina Rishyamukha.

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