Ramayana
La Storia dell'Avatara Sri Rama
di Valmiki Muni

 

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seconda parte


KISKINDHA KANDA
47
La furia di Lakshmana – 
Gli eserciti si preparano
E anche la stagione delle piogge finì. Arrivò l'autunno e la natura, saziata dalla vivificante acqua, sbocciò in tutta la sua bellezza. Vivendo fra quelle bellezze, Rama sentì ancora di più il dolore dell'assenza dell’amata.

Sugriva non si era più fatto sentire. Intossicato dal potere e dalle gioie dei sensi, sembrava che si fosse dimenticato delle promesse fatte e del voto di gratitudine verso colui che gli aveva dato quelle opulenze. Rama cominciò a diventare inquieto e irritato.

“Lakshmana, Sugriva non si è fatto più vedere. Non vorrei che si fosse dimenticato della promessa fatta. Io gli ho ridato il regno e la vita, uccidendo Vali e non pretendendo niente per me, e ora lui sta godendo della vita, senza preoccuparsi della mia sofferenza. Vai a ricordargli chi deve ringraziare per tutto ciò che ha. Digli che non riesco più a sopportare il dolore della separazione da Sita.”

Ben più arrabbiato del fratello per il comportamento di Sugriva, Lakshmana si affrettò a raggiungere la vicina Kiskindha. Il suo viso non prometteva niente di buono per i Vanara: aveva l'aspetto di uno che volesse distruggere il mondo intero. Vedendolo in quell'atteggiamento, i Vanara che lo incontrarono tremarono di paura e temettero per la vita del loro re e per il bene del regno. Qualcuno lo precedette, annunciando a Sugriva che Lakshmana stava arrivando con un cipiglio furibondo. Nel momento in cui i messaggeri arrivarono, egli era ebbro e giaceva nel letto con sua moglie. Ma quando venne a sapere dell'arrivo dell'infuriato Lakshmana, saltò dal letto impaurito e gli corse incontro per riceverlo. Quando lo vide arrossì violentemente.

“Vedo che sei molto in collera. Ma io non ho dimenticato la promessa fatta a Rama. Come potrei? Tutto ciò che possiedo lo devo a lui. Ho mandato il mio generale Nila a raccogliere i nostri eserciti. Presto arriveranno e troveremo Sita. Non pensare male di me. Non sono un ingrato.”

E moltissimi Vanara da ogni parte del mondo cominciarono presto ad arrivare. Erano cosi tanti che sembravano le onde del mare o tanti fiumi in piena. Tutti erano valorosissimi guerrieri e fedeli alla missione del loro re. Era impossibile contarli, né avere un'idea del loro numero. Quindi Sugriva andò da Rama e chiese perdono per il ritardo. E persino mentre i due discorrevano, innumerevoli Vanara continuarono ad arrivare.
 


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La partenza

Ora si doveva cercare il regno di Ravana, dove era prigioniera Sita. Sugriva riunì i suoi combattenti. Divise l'esercito in quattro parti e mandò il primo contingente, guidato da Vinata, al nord. Verso est mandò un secondo contingente guidato da Sushena. Verso ovest un grande esercito guidato da Shatabali. Verso il sud invece un battaglione guidato da Hanuman, Nila e Angada. A tutti Sugriva raccomandò di tornare entro un mese. Chiunque non fosse tornato in tempo sarebbe stato severamente punito.

Prima della partenza, Rama incontrò i capi della missione. Voleva parlare con loro, incoraggiarli, raccomandare di fare presto, di mettercela tutta.

“La mia felicità e il mio futuro,” disse loro, “sono nelle vostre mani. Che la fortuna vi assista.”

Rama guardò Hanuman, per il quale nutriva un affetto speciale. Poi gli raccontò diverse storie, quella della nascita di Sita, della sua vita e molte altre.

“In te ripongo la mia speciale fiducia,” gli disse. “Prendi questo anello e quando troverai Sita mostraglielo. Da questo segno lei capirà che tu sei veramente un mio inviato. Narrale le storie che ti ho raccontato. Lei avrà fiducia in te e le infonderai coraggio. Andate, presto, partite ora, e tornate con buone notizie.”

Hanuman porse rispettosi omaggi ai piedi di Rama. Con grande clamore gli eserciti partirono.

Quando aveva istruito i suoi Vanara sui luoghi dove avrebbero dovuto andare, Rama si era accorto che Sugriva aveva dimostrato una perfetta conoscenza geografica di tutto il pianeta. Era curioso di sapere come l'aveva acquisita.

“Quando Vali mi cacciò dal regno,” rispose Sugriva, “fuggii per paura di essere ucciso e lui mi inseguì per tutto il globo. Fu allora che, per forza di cose, imparai a conoscere questo mondo.”

Cominciarono con l'attesa impaziente del ritorno degli eserciti, sperando di avere buone notizie.
 


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Viaggio verso il sud

Dopo un mese Vinata tornò dal nord senza aver trovato alcuna traccia di Sita. Poi tornarono Sushena e Shatabali, con lo stesso risultato. Ma seguiamo il gruppo di Hanuman e Angada nel loro viaggio verso il sud.

I Vanara procedettero velocemente, attraversando montagne e vallate, incontrando eremi e imbattendosi in molte avventure. Un giorno Angada uccise un demone credendo che fosse Ravana.

Il mese stava per terminare e cominciarono ad avere timore per la punizione che Sugriva aveva minacciato di infliggere loro se fossero arrivati in ritardo. Il tempo stava per finire inesorabilmente, ma non volevano arrendersi, volevano trovare Sita. Cercarono ovunque, strenuamente, senza un momento di riposo, senza mangiare, senza concedersi tregua. Un giorno in una caverna incontrarono un asceta di nome Swayamprabha. E in quei giorni il mese terminò. Si trovavano sulle pendici di una montagna rocciosa e sotto di loro si stendeva l'ennesima vallata. Angada guardò i suoi compagni: era sfiduciato.

“Amici miei,” disse, “il mese è finito e voi sapete quanto sia crudele Sugriva. Ci punirà severamente per il ritardo. Non ci lascerà vivere dopo avergli disobbedito. Ricordate con quanta malvagità e con quale slealtà ha fatto uccidere mio padre? Non riusciremo a trovare Sita. E piuttosto che essere punito e ucciso da lui, preferisco digiunare fino alla morte. Non riusciremo a trovare Sita. Per noi non c'è più speranza. Io preferisco morire qui.”

Hanuman incitò i Vanara a continuare la ricerca, a non disperare ma, stanchi e sfiduciati, i Vanara non lo ascoltarono. Angada ed altri cominciarono il digiuno.
 


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La speranza ritorna

Sulla cima del monte viveva un gigantesco avvoltoio. Guardando i Vanara che si apprestavano a digiunare fino alla morte, ringraziò la provvidenza di avergli mandato così tanto cibo senza nessuno sforzo. Sampati - così si chiamava - uscì dalla sua caverna e si mise a osservare i Vanara che digiunavano, aspettando la loro morte. Ricordate? Sampati era il fratello maggiore di Jatayu, che era morto nel tentativo di proteggere Sita. Angada vide il grosso avvoltoio e cominciò a lamentarsi.

“Amici, guardate quell'avvoltoio. Presto si ciberà delle nostre carni. Ma dobbiamo essere pronti anche ad abbandonare la nostra vita per servire Rama. Ricordate Jatayu a Panchavati? Ha sacrificato la sua vita per servire Rama. Coraggio, dunque: affrontate la morte da eroi.”

Sampati sentì il nome del fratello e solo allora apprese della sua morte.

“Principe, il mio nome è Sampati,” gridò ad Angada. “Quel Jatayu che prima hai nominato era il mio fratello minore. Ho sentito che è morto. Raccontami come è accaduto. Raccontami chi è quella persona per la quale ha sacrificato la sua vita e come l'ha incontrato.”

Sampati non aveva più le ali e si muoveva con difficoltà. Angada e gli altri erano diffidenti. Era veramente, quel grosso avvoltoio, il fratello di Jatayu?

“Aiutatemi a scendere giù da voi,” disse cercando di scendere. “Le mie ali sono state bruciate dai raggi del sole e da quel giorno non mi è stato più facile muovermi.”

I Vanara furono presi dal sospetto che stesse mentendo per mangiarli prima che fossero morti, ma decisero ugualmente di aiutarlo a scendere. Sceso tra di loro, Sampati non mostrò cattive intenzioni e i Vanara si rincuorarono. Angada gli raccontò la storia di Rama, il rapimento di Sita, lo scontro di Jatayu con Ravana e la sua morte. Poi raccontò anche la storia dell'alleanza di Rama con Sugriva, la morte di Vali e la drammatica ricerca di Sita. Quando Angada ebbe finita la sto-ria, Sampati sembrava triste.

“Jatayu era la persona più cara che avevo. E’ per lui che ho sacrificato le mie ali. Sapete, un giorno, molto tempo fa, stavamo tornando dai pianeti celesti e vidi che lui soffriva per il caldo eccessivo. Vedendolo così sofferente lo coprii con le mie ali, ma quel giorno i raggi del sole erano così forti che mi bruciarono e caddi su questa montagna chiamata Vindhya, dove ci troviamo ora. Da quel giorno non ho saputo più niente di Jatayu.”

Angada pensò che forse Sampati, che viveva sulle cime di quelle montagne, poteva aver saputo o visto qualcosa che poteva aiutarli nella ricerca. Non ci sperava molto, ma si sa, la speranza è l'ultima a morire.

“Forse tu puoi aiutarci,” gli chiese. “Sai qualcosa di Sita? Hai visto niente di strano? Aiutaci, se puoi.”

Sampati rifletté un momento.

“Si,” rispose lui, “ora che ci penso ricordo di aver sentito parlare di una bellissima donna che veniva portata via da un grande Rakshasa. Lei gridava: Rama! Rama! aiuto!, e cercava di districarsi dalla presa. Dal vostro racconto penso di poter mettere in relazione il rapimento di Sita con quella storia.

“Sapete perché vi dico tutto questo? Ve lo dico perché voglio vendicare la morte di mio fratello, e vi dirò anche dove si trova il regno di quel demone. Sicuramente troverete Sita lì. Quel Rakshasa era Ravana e il suo regno è l'isola di Lanka.”

A quella notizia tutti i Vanara sgranarono gli occhi dalla gioia: non speravano più di trovare anche la minima traccia di Sita, che sembrava svanita nel nulla. Tutti cominciarono a saltare dalla gioia e si abbracciarono.

“Amico nostro carissimo,” disse il saggio Jambavan a Sampati. “Non puoi neanche immaginare quanto conforto e felicità ci abbia dato questa notizia. Ma come sei venuto a sapere di questo fatto?”

“Io ho un figlio che si chiama Suparsva,” rispose. “Da quando le mie ali sono state bruciate dal sole è lui a procurarmi il cibo e ogni giorno viene nella caverna dove abito. Un giorno arrivò in ritardo e gliene chiesi le ragioni. Ero molto affamato e mi accorsi in modo particolare del ritardo. Mi raccontò che aveva visto un gigantesco Rakshasa che volava e che portava con sé una donna giovane e bella che si dimenava e urlava: Rama! Rama! Si incuriosì su chi potesse essere quel Rakshasa così maestoso e lo chiese ai saggi della montagna: loro gli dissero che era Ravana e che quella donna era Sita. Ora sapete perché ero al corrente del passaggio di Ravana.”
 


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Sampati riacquista le ali

“Ora voglio raccontarvi alcuni dettagli della mia storia che ancora non sapete.

“Quando caddi sulla montagna con le ali bruciate e completamente inutilizzabili, scesi faticosamente dal picco di questa montagna e lì vicino incontrai un saggio di nome Nishakara. Lui mi vide e mi chiese:

“Cosa ti è successo? Perché le tue ali sono bruciate?”

“E io gli dissi: cercando di proteggere la vita di mio fratello mi sono avvicinato troppo al sole e così mi sono bruciato. In questa condizione la mia vita non ha senso e quindi desidero morire saltando giù dal picco della montagna.”

“No, non farlo,” disse il misericordioso saggio. “Non ti preoccupare per questa tua infermità perché riavrai presto le tue ali. Un giorno incontrerai i fedeli Vanara amici di Rama, alla ricerca della sua cara moglie. Se tu darai loro le indicazioni necessarie per ritrovarla riacquisterai le tue ali.”

E proprio mentre Sampati parlava con i Vanara, un paio di meravigliose ali spuntarono dal suo corpo. Colmo di gioia, Sampati spiccò il volo e cominciò a volteggiare in cielo.

“Non preoccupatevi, presto ritroverete Sita. Andate più a sud, oltre l'oceano. Sita è lì,” gridò dall'alto.

E scomparve in cielo. Rincuorati da Sampati, i Vanara si diressero più a sud.
 


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Chi può saltare l'oceano?

Dopo molti altri chilometri, il gruppo arrivò sulle rive dell'oceano. Secondo le indicazioni di Sampati, a molti chilometri di distanza c'era Lanka, e a Lanka c'era Sita, l'oggetto della loro ricerca.
I Vanara guardarono il grande oceano e la distanza che li separava dall’isola. Si guardarono in volto l'un l'altro: e come avrebbero potuto superare un oceano così grande? Furono presi di nuovo dallo scoraggiamento. Vedendo le facce attonite dei suoi migliori guerrieri, Angada volle incoraggiarli, dare loro la speranza.

“Nessuno di voi,” tuonò, “i migliori guerrieri che ci siano, è in grado di saltare la distanza che ci separa da Lanka? Come è possibile?”

Nessuno osò parlare.

“Quanto pensate di essere in grado di saltare?” chiese ancora. “Perché non rispondete?”

Ancora una volta nessuno rispose. Angada, il figlio di Vali, non si perse d'animo.

“Non potremo mai tornare orgogliosamente nelle nostre case, dalle nostre famiglie, senza aver ritrovato Sita. Riprendete coraggio, dunque, e ditemi quanto ognuno di voi pensa di poter saltare.”

Ogni Vanara dichiarò le proprie capacità, ma nessuno si sentì in grado di saltare le ottocento miglia di oceano. Allorché Jambavan intervenne.

“Io sono in grado di saltare ottocento miglia,” disse, “ma non so se poi sarei in grado di tornare.”

“Anch'io so di poter saltare ottocento miglia,” dichiarò poi Angada stesso, “ma non sono sicuro di essere in grado di tornare.”

A questo punto un silenzio agghiacciante scese tra gli eroici Vanara: tutti avevano parlato e nessuno si riteneva capace di una simile impresa. Solo Hanuman non si era ancora pronunciato. Stava seduto in disparte e non partecipava alla discussione. Tutti lo guardavano, ora. Jambavan si avvicinò a lui.

“Hanuman, tu sei capace di saltare ottocento miglia,” gli disse. “Io lo so.”

Hanuman lo guardò, sinceramente stupito.

“Io non ne sono capace. Cosa dici? Come potrei fare una cosa simile?”

“Tu non ricordi chi sei e i poteri che possiedi,” incalzò Jambavan. “Ascoltami pazientemente e ti narrerò la storia della tua gioventù e di come tu l'abbia dimenticata.”

Jambavan gli raccontò tutta la storia  e Hanuman ricordò di avere straordinari poteri che gli potevano permettere fantastiche imprese. Così decise di andare a Lanka saltando oltre l'oceano. Salì sul monte Mahendra e si concentrò. Poi fletté le gambe contro il terreno per darsi la spinta e l'enorme montagna gridò di dolore. Dentro di sé Hanuman pensava solo a Lanka.

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