Ramayana
La Storia dell'Avatara Sri Rama
di Valmiki Muni

 

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prima parte


SUNDARA KANDA
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Il salto sovrumano
Nel cuore devoto di Hanuman non c'era altro che il prepotente desiderio di raggiungere Lanka e di ritrovare Sita. Pressando con forza sovrumana la montagna Mahendra, spiccò il salto. I Vanara lo videro saettare nell'aria, sollevando un vento impetuoso. Al suo passaggio l'oceano si agitò e si alzarono onde gigantesche.
Ravana aveva causato grandi sofferenze a tutti, e quindi chi vide Hanuman dirigersi verso Lanka per porre fine a quella sciagurata carriera provò una forte gioia. Anche la divinità che predomina sull'oceano sentì questa felicità e pensò di aiutare il possente Vanara nell’impresa. Nelle profondità delle acque giaceva una grande montagna di nome Mainaka. Raggiungendola, Varuna le chiese di sorgere dalle profondità del mare per offrire a Hanuman un posto dove riposarsi.

Si racconta che un tempo, milioni di anni fa, le montagne avessero le ali e volassero in cielo con grande velocità. I Deva e i Rishi, impauriti dal continuo pericolo di queste grandi masse volanti, chiesero a Indra di intervenire e di tagliare quelle ali. E mentre il re dei Deva procedeva a lanciare contro di loro la sua arma preferita, il possente fulmine, Mainaka, aiutata da Vayu, scappò. Nascondendosi nelle profondità dell'oceano sfuggì alle ire di Indra. Da quel tempo Mainaka era rimasta lì, bloccando la via di accesso per Patala. Mainaka era riconoscente a Vayu per averla aiutata e pensò di rendere il favore aiutando Hanuman . Mainaka sorse dall'oceano e offrì le sue pendici al Vanara per riposarsi. Ma Hanuman lo ritenne una perdita di tempo per la sua missione e spostò la montagna con una manata, liberandosi il passaggio. Mainaka ammirò la sua forza e la sua determinazione: perciò lo benedì e lo lasciò passare. Hanuman continuò il viaggio.
 


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Gli ostacoli

Mentre Hanuman procedeva a grande velocità verso la sua destinazione, Surasa, madre dei Naga, pensò di mettere alla prova le capacità di Hanuman. Così assunse la forma di una gigantesca Rakshasi ed emerse dalle acque proprio mentre Hanuman stava passando. Lo guardò con ferocia e gli parlò, assumendo un aspetto ostile.

“Io ho fame,” disse Surasa, “e voglio che tu oggi sia il mio cibo. Ma ammiro anche le qualità dei valorosi, la sagacia e la forza. Tu sembri molto forte e voglio lasciarti una possibilità. Ti lascerò vivere se riuscirai ad entrare nella mia bocca e poi ad uscirne. Se sarai cosi abile ti lascerò andare.”

Toccato nell'orgoglio, Hanuman volle mostrare a Surasa le sue capacità ed espanse il corpo fino a dimensioni gigantesche. Ma altrettanto fece lei. E Hanuman si espanse ancora, ma Surasa lo imitò. I due continuarono a ingigantirsi, finché Hanuman ridusse fulmineamente il suo corpo ed entrò nella bocca di Surasa. Incapace di ridursi altrettanto velocemente, Surasa non fece in tempo a chiudere l'enormi fauci e Hanuman poté venirne fuori. Soddisfatta di questa prova di intelligenza, Surasa lo benedisse e lo lasciò continuare. Hanuman riprese il viaggio.

Mentre si stava avvicinando a Lanka, il nostro eroe incontrò una vera Rakshasi di nome Simhika, posta da Ravana a guardia di Lanka. Con grande rapidità Simhika lo ingoiò, ma Hanuman squarciò il suo ventre e ne uscì mentre la Rakshasi moriva. Poi vide la terraferma, Lanka, il regno di Ravana. Quanta gioia nel suo cuore!
 


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Arrivo a Lanka

Discese su un picco che si ergeva proprio vicino alla spiaggia. Hanuman toccò rumorosamente terra, e si guardò attorno per vedere se era stato avvistato. Nessuno, grazie al cielo! Contrasse la sua forma maestosa in quella di una piccola scimmia e si diresse verso le mura della città. E la vide, quella città di cui aveva già sentito parlare come di una fortezza favolosa. La mura erano enormi, indistruttibili, e bastioni e cancelli erano costantemente vigilati da centinaia di soldati armati fino ai denti. Sembrava inespugnabile. Attese la notte e poi, con grande cautela, si diresse verso le mura della città. Così piccolo, gli fu facile passare inosservato. Ma appena fu entrato la divinità di Lanka in persona, una potente Rakshasi, lo fermò con voce tagliente.

“Dove vai tu? Io sento che tu sei un nemico dei Rakshasa. Non entrerai in questa città: io te lo impedirò.”

Armata di tridente Lanka si lanciò contro il suo antagonista, tentando di trafiggerlo. Hanuman schivò il colpo e la colpì con uno schiaffo. Nel suo cuore sentì il dispiacere di aver colpito quella che era una divinità e una donna, ma sentiva di non averne potuto fare a meno. Nonostante fosse stata colpita in maniera non violenta, la potenza di quel colpo scaraventò in terra Lanka. Hanuman passò oltre, senza curarsi più di lei. Lanka, pensierosa, guardò Hanuman addentrarsi nella città.

“Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato,” pensò. “Non può essere altri che lui. Un giorno Brahma mi disse che la distruzione della mia città sarebbe stata imminente quando sarei stata sconfitta da una scimmia. Oggi sono stata sconfitta: quel momento, quello della distruzione della mia città, è arrivato.”
 


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In cerca di Sita

Hanuman si addentrò nella città, vagando per le sue strade. Che luogo fantastico, pensò. Quante bellezze artistiche e architettoniche. Che peccato che simili bellezze debbano essere usate da un essere così empio. Girò per diverso tempo, finché arrivò in un palazzo straordinario per maestosità e per sfarzo. Dedusse che quello non poteva essere altro che il palazzo di Ravana. Aveva cercato minuziosamente lungo ogni strada, in ogni casa, in ogni recesso della città, e Sita non era da nessuna parte. Pensò che forse potesse essere nel palazzo reale. Entrò.

Il palazzo di Ravana era il massimo che un materialista potesse desiderare. La mura erano fatte di marmo pregiato, costellato da milioni di pietre preziose che davano luce a differenti ore del giorno, e oro, argento, e tanti altri metalli di grande valore. E fiori e piante meravigliose ovunque. Tutt'intorno in bellissimi letti giacevano stupende fanciulle addormentate ed ebbre. Bottiglie di vino erano sparse ovunque, e carni e cibi accuratamente cucinati. Quel palazzo conteneva tutto il meglio: era il sogno di ogni materialista. Ogni tipo di gratificazione dei sensi era all'eccesso, nel palazzo di Ravana, quella gioia sensoriale che lì sembrava essere la sola ragione di vita. Hanuman non guardò neanche in quei letti, sicuro che Sita mai si sarebbe concessa a quelle depravazioni.

Cercò dovunque, ma Sita non si trovava. Alla fine, in una stanza da letto piena di inenarrabili opulenze come mai ne aveva viste in precedenza, gigantesco e splendente come il sole, vide Ravana in persona, il re dei Rakshasa. Osservò il suo corpo possente e fu ben contento che stesse dormendo. No, Sita non poteva trovarsi lì. La più casta delle donne avrebbe preferito morire piuttosto che giacere con uno che non fosse suo marito. Continuò a cercare, guardando in ogni angolo del vasto palazzo. In un incantevole giardino vide il carro Pushpaka, che era stato di Kuvera, e si inchinò per rendergli rispettosi omaggi. Trovò l'harem, e in una stanza bellissima vide Mandodari, la moglie di Ravana. Hanuman fu abbagliato da tanto splendore. Era così bella che pensò fosse Sita. Fu preso da una grande gioia, ma poi ci ripensò.

“No, Sita non si sarebbe mai abbassata ad entrare nell'harem di Ravana. Quella donna non può essere Sita. Non può essere lei.”

Ma non riusciva a trovarla. Si sentiva sconfortato. Che l'avesse uccisa perché si era rifiutata di sottomettersi ai suoi voleri? Pensò che se Sita fosse morta avrebbe ucciso Ravana e digiunato fino a morire. Una rabbia immensa invase il suo cuore.
 


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Sita nel giardino Ashoka

Dalla finestra di un palazzo vide un giardino nel quale non aveva ancora guardato e volle andare a controllare. Mentalmente e con grande devozione chiese a Dio la misericordia di ritrovarla, di dargli successo nella sua missione. Entrò in quei giardini, detti Ashoka, e cercò attentamente nell'interno.

All'improvviso, in una radura circondata da alberi e cespugli, vide una donna così meravigliosa come nessuna poesia potrà mai descrivere appropriatamente. Ogni bellezza materiale svaniva e diventava nulla di fronte a quella bellezza trascendentale. La materia, così imperfetta, caduca, illusoria, nascondeva il suo volto di fronte a quel corpo spirituale. Non poteva essere altri che Sita, Hanuman non aveva dubbi. Il suo cuore gli diceva che non poteva essere altri che Sita. Ricordando la descrizione che Rama aveva fatto, della sua età, delle sue fattezze fisiche, Hanuman riconobbe in lei la tanto agognata Sita.

La guardò con profonda devozione e amore spirituale, senza traccia di lussuria materiale, e riconobbe in lei la dea che aveva tanto adorato e servito. La guardò e la riguardò ancora. Una luce di profonda purezza emanava dal suo viso e i suoi pensieri erano persi in un mondo dove la materia non aveva accesso. Abbeverandosi alla sua figura spirituale, guardandola come un assetato guarda un'oasi dopo tanto vagare per un deserto di sabbie roventi, sentì estasi, una profonda felicità trascendentale. La bellezza celestiale di Sita era indescrivibile. Come poteva una donna così nobile e pura aver dovuto subire un fato così disgraziato? Questa domanda ossessionava la sua mente. Gli occhi del devoto Hanuman si riempirono di lacrime e mentalmente offrì i suoi omaggi ai piedi di loto di Rama e Lakshmana.
 


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La premonizione della maga

Mentre era assorto in quella meditazione, Hanuman vide in lontananza Ravana che si dirigeva verso di loro. Attorniato dai suoi ministri più fidati, Ravana camminava con passo fiero e deciso. Hanuman si nascose dietro un cespuglio, non molto lontano, in modo da poter ascoltare.

Quando Sita vide Ravana avvicinarsi, il suo tenero viso si rabbuiò ancora di più. Era chiaro che il Rakshasa veniva spesso a trovarla, sicuramente per tentare di convincerla ad abbandonarsi a lui. Ravana, visibilmente irato, la guardò severamente.

“E’ passato quasi un anno,” disse, “e hai vissuto tutto il tempo in questo giardino senza conoscere nessuna delle gioie alle quali hai diritto. Convinciti: Rama non arriverà mai. Diventa la mia regina. Non puoi neanche immaginare ciò che potrei darti.”

Sita non rispondeva. Non lo guardava neanche. Ravana sapeva che quando Sita si comportava così era inutile anche tentare di parlarle. Irritato, dette alcune istruzioni alle guardiane e si allontanò, guardandola con profondo desiderio. Appena Ravana si fu allontanato, esse cercarono in tutte le maniere di convincerla ad accettare il possente re come marito, ma Sita piangeva, si lamentava, chiamava il nome di Rama e non rispondeva. Insensibili al disperato pianto, le Rakshasi la tormentavano sempre di più, minacciando di torturarla fino alla morte se non avesse cambiato idea. Sita continuava a piangere, disperatamente.

Improvvisamente una voce le fermò. Era Trijata, una Rakshasi rispettata come una maga dai grandi poteri divinatori.

“Basta. Smettetela,” intimò a voce alta. “Non minacciate Sita. Non cercate di spaventarla. Mi sono appena svegliata da un sogno tremendo: ascoltate. Ho visto Rama che entrava trionfante a Lanka, seguito da eserciti di scimmie, e ho visto il terreno della città cosparso dei corpi dei nostri mariti, dei nostri figli, dei nostri padri, dei nostri parenti e amici. Ho visto numerosi presagi che indicavano la vittoria di Sita su colui che l'ha rapita. Se questo sogno si avvererà, è meglio per noi di non maltrattarla in questa maniera, perché poi potrebbe vendicarsi severamente.”

La Rakshasi, intimorite, non la molestarono più. Ma a quelle parole Sita non si era tranquillizzata di molto. Come poteva sperare ancora? Pensava.

“È passato un anno e Rama non è ancora arrivato. Forse non arriverà mai. Non riuscirà a trovare quest'isola inaccessibile e nascosta. Forse, chissà, mi ha persino dimenticata o ha rinunciato a cercarmi. La mia vita è un inferno. Il pensiero di Rama mi tortura. Non riesco a vivere senza di lui. E questi Rakshasa che mi tormentano tutto il giorno... non posso continuare a vivere così. Digiunerò fino alla morte pensando al mio amato Rama.”

Ma in quel momento, quando aveva deciso di porre fine alla sua esistenza, un segno di buon auspicio apparve sul suo corpo. E poi altri, e altri ancora. Erano segni così chiari che Sita rinunciò al proposito di morire.
 


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Hanuman parla a Sita

Hanuman vide che Sita soffriva troppo. L'aveva trovata, è vero, e avrebbe dovuto correre subito indietro per guidare gli eserciti verso Lanka, ma non poteva lasciarla in quello stato. Doveva darle un segno, una ragione per continuare a sperare e a vivere. Saltò su un ramo dell'albero sotto il quale Sita era seduta sconsolata, e le bisbigliò delle parole. Lei, incuriosita, guardò su e vide la piccola scimmia.
Hanuman iniziò a raccontare la storia di Sita fin dall'inizio, fin dal momento della sua nascita, quando fu adottata da Janaka, e poi la storia di Rama. Stupita, Sita stava ad ascoltare il meraviglioso racconto.

“Cara Sita, fatti coraggio,” le disse alla fine. “Le tue sofferenze stanno per terminare. Non perderti di fiducia. Rama arriverà presto.”
Lei lo guardò ancora, speranzosa ma anche diffidente. Che fosse un Rakshasa mandato da Ravana per carpire la sua fiducia? Pensò che i Rakshasa erano capaci di congiurare qualsiasi piano. Hanuman capì il suo stato d'animo.

“Io sono Hanuman, un caro devoto e amico di Rama. Siamo venuti a cercarti e ora, per fortuna, ti abbiamo trovata. Credimi. So che in un luogo come questo è difficile aver fiducia in qualcuno, ma devi credermi: io sono un amico di Rama.”

Sebbene fosse ancora diffidente, Sita pregò ardentemente gli dei che ciò che stava ascoltando fosse vero. Qualcosa che sentiva nel cuore gli dava speranza. Hanuman la vide titubante, insicura, e pensò che dovesse darle una prova della sua sincerità. Le lanciò l'anello che Rama gli aveva affidato, che cadde sul terreno con un dolce tintinnio. Sita lo raccolse e trasalì. Lacrime di gioia inondarono i suoi occhi.

“Ma è l'anello di Rama, è vero,” disse Sita tutto d'un fiato. “Oh caro amico, come sta Rama? Perché ha tardato così tanto? Parla ancora di me? Mi pensa qualche volta? Parlami di lui.”

Hanuman rispose con voce suadente, carezzevole. Voleva darle fiducia, infonderle coraggio, la speranza, anzi la sicurezza nella vittoria finale.

“Rama non ti ha mai dimenticata. Come puoi pensare una cosa del genere? Pensa sempre a te e la vita gli è intollerabile. Ha tardato perché ignorava dove tu fossi. Per questo non è ancora venuto a riprenderti. Ma ora che so dove sei, io lo porterò qui presto e ti libererà. Non dubitarne.”

Hanuman le parlò della sofferenza che Rama stava provando lontano da lei, e Sita si rattristò ancora di più sentendo della sua infelicità.

“Hanuman, per favore, corri via subito. Non rischiare restando ancora qui. Porta da me Rama al più presto. Fa in modo che possa rivederlo presto.”

Quanto grande e profonda era la sofferenza di Sita!

“Cara Sita,” le disse col cuore gonfio di emozione. “Se vuoi posso portarti via subito io stesso. Basta che tu salga sulle mie spalle e ti porterò da Rama in un batter d'occhio.”

Vedendo quanto Hanuman fosse piccolo, Sita dubitò che ne fosse capace e sorrise. Hanuman allora assunse una forma gigantesca, così alto era che sembrava toccasse le stelle. Impressionata, Sita si coprì gli occhi con le braccia.

“Dubiti ancora che io possa portarti via da questo luogo orrendo?” disse lui. “Sali sulle mie spalle e rivedrai Rama fra pochi istanti.”

Ma Sita non era neanche tentata.

“No, preferisco che venga Rama a prendermi,” rispose lei con voce piena di riconoscenza e di speranza ritrovata. “Io lo conosco. So quanto sia fedele ai suoi principi. Non gradirebbe che io fossi salvata da qualcun altro. Lui vuole venire di persona. Vai subito. Porta qui Rama al più presto.”

“Vorrei qualcosa da mostrare a Rama,” chiese dopo qualche istante Hanuman. “Potrebbe dubitare della veridicità delle mie parole. Come posso assicurargli di averti trovata? Cosa posso dirgli? O cosa posso portargli?”

 continua...