Ramayana
La Storia dell'Avatara Sri Rama di Valmiki Muni |
SUNDARA KANDA |
La storia del corvo “Raccontagli questa storia,” disse poi. “Nessun altro oltre a me e a lui la conosce. Quel giorno eravamo soli, io e lui. Digli così: “Una volta, quando eravamo ancora a Citrakuta, mentre stavi facendo le tue abluzioni, un corvo affamato mi attaccò. Io cercai di scacciarlo, ma non ci riuscii. Mi sentii irritata e spaventata, anche perché ero sola. Allora mi arrabbiai, e per i movimenti bruschi la gonna stava per cadermi. E con una mano cercavo di tenerla e con l'altra mi difendevo dagli artigli dell'animale. In quel momento tu tornasti e mi vedesti in quella situazione e pensasti che ero buffa; ridesti di cuore. Io mi lanciai tra le tue braccia, cercando protezione. Allora il corvo volò via. Ci sdraiammo sotto un albero e ci addormentammo, abbracciati l'uno all'altra. “All'improvviso quel corvo malvagio tornò e mi attaccò ancora, graffiandomi sul petto più di una volta e profondamente. Le mie grida di dolore e di paura ti svegliarono e vedesti che sanguinavo al petto. Allora non ridesti più, ma eri molto in collera. “Chi è stato?” mi chiedesti con voce concitata. “Chi ti ha fatto quelle ferite?” “E vedesti il corvo che stava per attaccarmi ancora. I tuoi occhi di-vennero rossi come il fuoco per la rabbia. Decidesti di ucciderlo. Dopo aver colto un filo d'erba kusha, recitasti un mantra per caricarlo con la potenza del brahmastra e lo lanciasti contro il corvo. Ma subito capimmo che non era un semplice animale: era Jayanta, il figlio di Indra. Lui si accorse di essere in pericolo mortale, e quando vide il filo d'erba saettare verso di lui, tentò la fuga. E fuggì dappertutto, con l'arma che lo seguiva da presso, cercando qualcuno che potesse aiutarlo. Ma nessuno poteva fare niente contro quell'arma, lanciata dal tuo braccio possente. “Jayanta fuggì per tutto l'universo, ma nessuno, nemmeno suo padre Indra, poté aiutarlo. Si sentì perduto. Così tornò da te e chiese perdono, e ti pregò di salvargli la vita. “O Jayanta,” gli rispondesti, “quest'arma una volta lanciata non può più essere ritirata, ma deve colpire e distruggere qualcosa. Però mi hai chiesto protezione, e io ti aiuterò. Scegli una parte del tuo corpo a cui puoi rinunciare e il brahmastra distruggerà solo quella.” “Jayanta rifletté a cosa fosse conveniente; poi decise di rinunciare all'occhio destro. Appena ebbe pronunciato quelle parole, l'arma fatale colpì.” Sita fece una pausa. “Dì anche questo a Rama,” disse poi riprendendo il discorso. “Tu hai lanciato un'arma così terribile contro un semplice corvo che mi aveva graffiato il seno: perché allora non usi la stessa contro questi crudeli Rakshasa che mi stanno facendo soffrire molto di più? Perché non intervieni? Amato signore, ti prego, vieni subito a prendermi.” Sita pose nelle mani di Hanuman un gioiello che gli aveva regalato Rama e glielo affidò. “Quando Rama vedrà questo gioiello sarà sicuro che mi
hai ritrovata. Che tu possa essere benedetto, amico caro; ma parti, qui
sei in pericolo, potresti essere scoperto. Parti e torna presto con Rama.”
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Informato della presenza di un nemico a forma di scimmia, Ravana mandò il potente figlio di Prahasta a eliminarlo, ma dopo un breve combattimento Hanuman lo uccise. E continuò a distruggere le foreste circostanti e poi anche il santuario. Durante l'opera di devastazione uccise molti soldati che tentarono di opporglisi. Usando un enorme pilastro di marmo, Hanuman massacrò gli altri sette figli di Prahasta insieme ai soldati che li seguivano. Era terribile. Si muoveva con una velocità impressionante ed
era difficile persino vederlo. La forza dei suoi colpi, poi, era così
grande che nessuno sopravviveva al primo. Terrorizzati, molti Rakshasa
fuggirono. E man mano che le notizie delle sconfitte arrivavano, Ravana
era sorpreso e sdegnato. Tanti bravi combattenti sconfitti da una scimmia!
Mandò persino uno dei suoi figli, il potente principe Aksha, ma
anche lui fu ucciso. Stanco di quei massacri, Ravana convocò Indrajit,
il suo figlio maggiore, che corse nel luogo dove Hanuman era ancora impegnato
in una massiccia opera di distruzione, e divampò un terribile duello.
Ma il virtuoso Vanara aveva deciso che era ora di vedere il re in persona
e si lasciò catturare. Legato e trascinato con forza, fu condotto
alla presenza del crudele Rakshasa.
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“Perché hai fatto tutto questo?” gli chiese. “Perché hai distrutto la foresta Ashoka? E perché hai ucciso così tanti dei nostri soldati? Chi ti manda? La tua vita è ora appesa ad un filo molto sottile: non spezzarlo per orgoglio.” Hanuman non aveva alcun timore, la sua voce uscì forte e fiera.
“Re dei Rakshasa, se ti preme la vita restituisci Sita al suo legittimo marito. Forse così potresti ottenere il suo perdono. Ma se non farai come ti ho detto, è certa la tua fine e la distruzione della tua città e dell'intera tua razza. Non puoi combattere contro di noi, la nostra forza è incommensurabile. Hai visto cosa ho saputo fare ai tuoi soldati? E io non sono altro che uno dei tanti che presto verranno qua, determinati a sterminare ogni Rakshasa che incontreranno.” Colpito nel vivo da quelle parole insolenti, l'irruente Ravana perse la calma e ordinò che il Vanara fosse messo a morte. Ma in quel momento Vibhisana, suo fratello minore, lo fermò. “Ravana, mi meraviglio di te,” gli gridò, fermando le guardie
che avevano già afferrato Hanuman per le braccia. “Hai dimenticato
le regole della vita di un re e di un guerriero? Un ambasciatore non può
mai essere ucciso, per quanto offensivo sia il messaggio che porta. Hanuman
è un messaggero e non deve essere ucciso.”
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“Caro fratello, sei sempre pronto a ricordarmi le regole che governano la nostra vita,” gli disse con tono sarcastico. “Sono d'accordo con te. Ma un messaggero che abusa della sua missione e dell'immunità che il ruolo gli conferisce può e anzi deve essere punito in maniera esemplare. Se un re non punisce un criminale nessuno avrà più il timore di lui e nessuno gli obbedirà più. E il regno andrebbe in sfacelo. Io devo quindi punire questa scimmia insolente. “Appiccate fuoco alla sua coda e portatelo in giro per la città. Mostratelo a tutti. Che nessuno pensi che Ravana non impartisca con severità la giustizia.” Le guardie trascinarono Hanuman fuori della sala del trono.
Ma l'intelligente Hanuman aveva il suo piano. Riducendo improvvisamente le dimensioni del suo corpo, si liberò delle corde e uccise le guardie che lo scortavano. La gente affollata, quando lo videro libero, scapparono tutti via gridando allarmata. Con la coda infuocata, Hanuman decise di bruciare Lanka. Correndo a tutta velocità, appiccò fuoco a tutte le case, risparmiando solo quella di Vibhisana. Il cielo era rischiarato da quell'enorme falò. E quando i Deva e i Rishi del cielo videro Lanka bruciare danzarono e cantarono dalla gioia. Hanuman era quasi ebbro di gioia, ma subito un pensiero lo folgorò. “E Sita? Mio Dio, come ho fatto a non pensare a lei? Anche Sita potrebbe essere morta nell'incendio.” E maledicendo la sua impulsività corse verso ciò che rimaneva
dei giardini Ashoka. Ma prima che vi arrivasse sentì delle voci
dal cielo che lo assicuravano che Sita era viva, che stava bene, e che
era assorta nella speranza del ritorno di Rama. Hanuman si rinfrancò
e fuggì dalla città in fiamme. Corse sulla spiaggia e ancora
una volta spiccò il prodigioso salto.
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“Ascoltate. Queste sono le grida di gioia di Hanuman. Sentite che fervore esprime la sua voce, e che felicità! Forse l'ha ritrovata. Coraggio, amici: forse porta buone notizie.” Dopo essere atterrato sulla montagna, Hanuman fu circondato dai festanti Vanara che gli chiesero cosa fosse successo. Hanuman raccontò tutto per filo e per segno. Ma il principe Angada voleva ascoltare di nuovo tutta la storia e gli chiese di raccontarla ancora con più particolari. “Valoroso amico,” disse Angada. “Raccontaci ancora la storia dei tuoi successi a Lanka. E dacci altri particolari. Sono molto curioso di sentire questa gloriosa storia.” Tutti si sedettero a terra e ascoltarono ancora la storia, con tutti i particolari. Terminato il racconto, Angada era eccitato. “Ma perché aspettare?” disse alzandosi in piedi e gonfiando i muscoli. “Perché tornare a Kiskindha e muovere tutti i nostri eserciti mentre Sita continua a soffrire? Possiamo andare noi a Lanka, possiamo noi stessi da soli distruggere Ravana con tutta la sua razza malvagia e riportare Sita da Rama. Perché no?” Qualcuno lanciò grida di entusiasmo. Molti erano dell'opinione
di muoversi subito e di attaccare i nemici. Ma il saggio Jambavan freddò
la loro impulsività e consigliò di tornare a Kiskindha. Alla
fine anche Angada riconobbe che quella era la cosa migliore da farsi e
ripartirono.
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“Questo comportamento di Angada,” rifletté, “e degli altri non è normale. Sanno quanto quella foresta mi sia cara, e se l'hanno violata senza nessuna paura significa che sono stati trasportati da una grande gioia, che vogliono festeggiare qualcosa di grande. E poi sono arrivati in notevole ritardo e non mostrano alcun timore di una punizione. Forse ci portano buone notizie. Forse hanno ritrovato Sita. Falli venire qui subito.” Dadhimukha si precipitò a Madhuvana e chiese il perdono di Angada. Gli riferì il messaggio di Sugriva. Alla presenza di Rama, Hanuman raccontò tutta la storia, compresa quella del corvo di Citrakuta per rassicurarlo che tutto corrispondesse alla verità. Poi gli consegnò il gioiello che Sita gli aveva affidato. Vedendo il gioiello che una volta aveva regalato a Sita e ascoltando quella storia cosi intima, Rama pianse. E volle ascoltare di nuovo il messaggio che Sita gli aveva mandato. Hanuman ripeté tutto ancora una volta. |