Ramayana
La Storia dell'Avatara Sri Rama
di Valmiki Muni

 

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seconda parte


UTTARA KANDA
104
La guerra contro Kuvera  -
Ravana si sottomette a Shiva
“Passò molto tempo. Un giorno, per effetto della benedizione di Brahma, Kumbhakarna fu preso da un sonno irresistibile e chiese al fratello di far costruire un palazzo dove avrebbe potuto dormire senza essere disturbato. Dopo che il palazzo fu ultimato, Kumbhakarna vi entrò e dormì per molti anni.

“In quel periodo Ravana viaggiò e combatté contro chiunque gli capitasse a tiro. Ovunque andava la scena era la stessa: morte, saccheggiamenti, desolazione, dolore. Essendo venuto a sapere di tutti questi misfatti, Kuvera intervenne e gli mandò un messaggio, invitandolo a non comportarsi più in quella maniera. Ravana si arrabbiò per l'impudenza del fratello, uccise il messaggero e marciò contro Kuvera stesso. La battaglia fu terribile: alla fine Ravana vinse e si impossessò del meraviglioso carro Pushpaka.

“Con quel prestigioso trofeo di vittoria, continuò a viaggiare; e visitò il luogo dove era nato Kartikeya.”

“Un giorno i Rakshasa arrivarono alla collina Kailasa: lì inspiegabilmente il carro Pushpaka si fermò e non fu possibile farlo ripartire. Ravana scese e cercò di capirne le ragioni. D'un tratto vide davanti a sé Nandi, l'assistente principale di Shiva, che aveva preso le fattezze di una scimmia. Capì che Pushpaka non voleva ripartire per rispetto al più grande dei Deva.

“Nandi guardò con severità il Rakshasa e disse:

“In questa collina vive il Signore Shiva in compagnia di sua moglie Parvati. Nessuno può passare di qui. Scegli un'altra strada. Neanche tu puoi trasgredire questa legge.”

“Mentre Nandi parlava, Ravana scoppiò a ridere, trovando buffa la sua faccia di scimmia.

“Tu hai riso nel vedere la mia faccia di scimmia,” riprese Nandi, “e mi hai così schernito. A causa di quest’offesa, sappi che la distruzione del tuo popolo avverrà per mano di una razza di scimmie.”

“Incurante della maledizione, Ravana, considerandosi superiore a Shiva stesso, di colpo sollevò la collina Kailasa. Tutti tremarono dallo spavento e dovettero reggersi per non cadere. Persino Parvati dovette aggrapparsi al collo del Signore per non cadere.

“Chiunque sia stato a causare questo disturbo,” sentenziò adirata la dea, “lo maledico a essere distrutto da una donna.”

“Shiva non sembrava disturbato dall'incidente; solenne e assorto in meditazione, non si mosse e non disse nulla. Ma pose il suo alluce sinistro sul terreno. A causa di quell'alluce la pressione fu così forte e repentina che Ravana non riuscì più a sostenere il peso e la collina ricadde giù con fragore, imprigionando le sue braccia. E nonostante esercitasse tutta la sua forza non riuscì a liberarsi. Allora Ravana gridò con grande furia e quel grido riecheggiò per tutto l'universo, terrorizzando le entità viventi.

“Quando vide che i suoi tentativi erano inutili, capì chi fosse Shiva e cercò di propiziarselo, recitando molte preghiere in sua lode. Ravana rimase in quella dolorosa posizione per migliaia di anni. Ma alla fine Shiva lo perdonò e lo liberò.

“Il tuo grido ha spaventato tutti i popoli dell'universo,” gli disse. “Per questo da oggi sarai conosciuto col nome di Ravana e ti regalerò anche la mia spada personale, Candrahasa.”
 


105
L'offesa a Vedavati

“Anche dopo quell’esperienza il Rakshasa non cambiò la sua mentalità crudele. Appena fu libero riprese a viaggiare e a compiere le stesse malefatte di sempre. Un giorno passava per una delle vette himalayane, quando vide una bellissima donna che stava compiendo delle austerità. Ne fu così attratto che non si preoccupò di pensare che lei fosse un'asceta e che quindi dovesse essere rispettata, ma decise di farla sua.

“Chi sei, e cosa fai in luoghi così inospitali per una ragazza così giovane e bella come te?” le disse.

“Mio padre si chiamava Kushadvaja,” rispose lei, “ed era figlio di Brihaspati. Io sono nata come un'incarnazione dei Veda e per questo il mio nome è Vedavati. Mio padre non voleva darmi in sposa a nessun altro all'infuori di Vishnu e per anni ha tentato di ottenere il suo favore. Un giorno Sambu, il re dei Daitya, mi chiese in sposa e mio padre rifiutò. Per vendetta lui lo uccise. Ora sono orfana e sto compiendo queste ascesi al medesimo scopo, quello di ottenere Narayana come marito.”

“Ravana discese dal carro. Un orgoglio smisurato riempiva il suo cuore: non si riteneva inferiore a nessuno.

“Oh bellissima ragazza, sappi che io sono Ravana, il potente re dei Rakshasa. Non c’è essere superiore a me in tutto l'universo. Diventa mia moglie; io sono superiore a Vishnu.”

“Così dicendo l’afferrò per i capelli e la tirò a sé. Vedendosi oltraggiata da quell'essere vile, Vedavati s'infuriò e trasformò la propria mano in una spada. Con un colpo netto tagliò i capelli che Ravana teneva nella mano e si separò da quella presenza così contaminante.

“Tu mi hai preso per i capelli,” disse lei, per nulla pacificata, “e quindi mi ritengo contaminata per tutta la vita. In questo stato io non potrò ottenere i favori di Vishnu. A cosa serve allora questo mio corpo? Perciò lo abbandonerò.”

“Vedavati accese un fuoco. Poi si volse verso il Rakshasa.

“Io rinascerò ancora e la missione della mia vita sarà di distruggerti. E non nascerò dal ventre di una donna come una qualsiasi bambina.”
 


106
Vedavati rinasce come Sita

“Vedavati rinacque su un fiore di loto. Non sospettando chi fosse quella bellissima bambina, Ravana stesso la prese e la portò a Lanka. Ma i suoi astrologi gli predissero che quella bambina sarebbe stata la causa della sua distruzione. Allora Ravana la fece gettare nell'oceano. Sospinta dalle onde la bambina giunse a riva.

“A quel tempo il re Janaka stava facendo preparare l'arena sacrificale per il suo Asvamedha-yajna e mentre faceva arare il terreno vide la neonata in uno dei solchi. Stupito, la prese con sé e la adottò. Poiché era stata trovata in un solco fu chiamata Sita.
 


107
Altri episodi

“Ravana continuava a perpetrare le sue malvagità. Un giorno capitò nella radura di una foresta dove il potente re Marutta stava svolgendo un sacrificio, al quale partecipavano anche Yama, Indra, Varuna e Kuvera. Appena i quattro Deva lo videro avvicinarsi, si nascosero nei corpi di alcuni animali. L'arrogante Rakshasa entrò nell'arena e cominciò a cantare le proprie glorie. Marutta voleva dargli una lezione ma non poté, essendo nel pieno svolgimento del sacrificio. Quando Ravana fu ripartito, i Deva uscirono dai loro nascondigli. Indra, che si era nascosto nel corpo di un pavone, conferì a tutti i pavoni il privilegio di aver dipinti sulla coda tanti occhi. E Yama benedisse i corvi, Varuna i cigni e Kuvera i camaleonti.

“Dopo aver riportato vittorie su tutti i re della terra, Ravana arrivò ad Ayodhya, e lì sfidò il re Anaranya, che sconfisse e ferì a morte. Prima di morire, il re pronunciò una maledizione:

“Nella mia dinastia nascerà un re chiamato Dasaratha. Suo figlio Rama ti ucciderà.”
 


108
La guerra contro i Deva

“Un giorno Narada Muni, vedendo che il Rakshasa stava mietendo troppe vittime tra gli esseri umani, pensò di dirigerlo verso un combattimento con i Deva.

“Oh grande Rakshasa,” gli suggerì il saggio, “perché perdi il tuo tempo combattendo contro questi uomini che non possono neanche lontanamente competere con te? Dichiara guerra ai Deva. Il tuo gusto per il combattimento sarà così soddisfatto.”

“Ravana si diresse con tutto il suo esercito contro Yamaraja, il figlio di Vivasvan, ma fu sconfitto. Nel momento in cui Yama stava per ucciderlo, Brahma lo fermò e glielo impedì, ricordandogli che Ravana non avrebbe dovuto morire per mano di alcun Deva. Per rispetto a Brahma, Yamaraja si ritirò dal combattimento.

“Scampato al pericolo, per nulla intimidito dall'esperienza della sconfitta, Ravana combatté contro i Naga e li sconfisse. Fece amicizia con i Nivata-kavacha e si scontrò con i Kalakeya, uccidendo per sbaglio il marito di sua sorella Surpanakha. Poi Ravana incontrò Surabhi e le offrì rispettosi omaggi.

“Poi marciò contro Varuna. Dopo aver sconfitto i suoi figli, Ravana apprese che il Deva delle acque non era presente nella sua capitale.

“Durante le sue scorribande, il terribile Rakshasa rapì molte donne. E tutte lo maledissero a perdere la vita a causa di una donna.

“In quella campagna militare passarono anni. Poi Ravana tornò a Lanka. Lì lo aspettava la sorella Surpanakha, profondamente addolorata per la perdita del marito. Il fratello la consolò e la affidò alle cure di Khara, che risiedeva a Dandaka con quattordicimila potenti Rakshasa. Contento di aver sistemato anche questo problema, Ravana entrò nella foresta Nikumbhila con i suoi collaboratori più intimi. Lì trovò suo figlio Meghanada che stava svolgendo un sacrificio in compagnia di alcuni asceti.

“Figlio mio,” disse, sorpreso di trovarlo lì. “Cosa stai facendo? Perché stai svolgendo quel sacrificio? Per chi è quell'offerta?”

“Meghanada non rispose.

“Tuo figlio ha fatto il voto del silenzio,” gli rispose il saggio Ushana, “non può risponderti. Questo è un importante e complicato sacrificio che ha lo scopo di propiziare Indra e di ottenere le sue armi. Con quelle tuo figlio diventerà invincibile.”

“Ravana divenne rosso di rabbia.

“Sacrifici ai Deva?” gridò. “A che serve fare sacrifici a chi è più debole? Cosa possiamo ottenere? Noi siamo più forti dei Deva. Mio figlio non ha bisogno di queste cose per diventare invincibile. Noi siamo già più forti di tutti.”

“Così dicendo prese Meghanada e lo portò via con sé, senza lasciargli terminare quel sacrificio. Solo per questa ragione voi avete potuto sconfiggerlo.

“Lo stesso giorno Ravana seppe che un Rakshasa di nome Madhu aveva rapito sua cugina Kumbhinasi. Deciso a vendicare l'onore della famiglia, inseguì Madhu. Dopo averlo raggiunto stava per ucciderlo, ma Kumbhinasi intercedette a suo favore e Ravana lo perdonò. Unirono i loro eserciti e decisero di andare a sfidare Indra. Quella notte l'enorme esercito si accampò a Kailasa. Agitato, il re dei Rakshasa non riusciva a dormire e passeggiò per la foresta. E vide una stupenda Apsara, Rambha, e non riuscì a controllare il desiderio sessuale. La chiamò.

“O bellissima fanciulla, dove stai andando a quest'ora di notte? Chi sei? La tua bellezza ha risvegliato in me il desiderio sessuale.”

“Mi chiamo Rambha,” rispose la fanciulla, “e sono un'Apsara. Sto andando da Nalakuvera, tuo nipote, il figlio di Kuvera. Come sai, le Apsara non hanno marito e quindi non avrei difficoltà a soddisfare i tuoi desideri, ma sono stata chiamata da Nalakuvera e in questo momento sono considerata sua moglie. Quindi ora non posso soddisfarti.”

“Ravana guardò ancora quella stupenda fanciulla, che sembrava la bellezza personificata. Era di una dolcezza indicibile: non poteva rinunciare a lei. Insistentemente le chiese di giacere con lui, ma lei rifiutò, impaurita dalla prospettiva della maledizione del saggio.

“No,” lo pregò Rambha, “il padre di colui che ora considero mio marito è tuo fratello, perciò tu sei come un padre per me. Non posso giacere con mio padre. E non è propizio neanche per te.”

“Ma a nulla valsero le parole e le preghiere di Rambha: Ravana non riusciva a controllare il desiderio e la prese con la forza. Quando ebbe soddisfatto i suoi sensi, Ravana la lasciò andare. Spaventata, lei corse da Nalakuvera e gli raccontò tutto. Il saggio perse la calma e pronunciò una maledizione:

“Se Ravana prenderà ancora una donna non consenziente, le sue teste si spezzeranno in sette parti.”

“Venuto a conoscenza della maledizione, da quel giorno Ravana non tentò più di violentare nessuna donna. Solo per questo egli non tentò mai di prendere Sita con la forza.

“Dopo molto tempo giunsero ad Amaravati, la città di Indra e la capitale dei pianeti celesti. Quando i Deva videro arrivare lo sterminato esercito, corsero a chiedere aiuto a Vishnu.

“Non temete,” rispose il Signore, “quando sarà arrivato il mo-mento io distruggerò Ravana e tutta la sua stirpe di malvagi Rakshasa.”

“La battaglia si accese. Sumali venne ucciso dall'ottavo Vasu, e il figlio di Indra venne sconfitto da Meghanada. Durò molti giorni. I Rakshasa erano potentissimi. Alla fine, dopo una feroce battaglia, anche Indra fu sconfitto e fatto prigioniero da Meghanada: in quel frangente si avverò la maledizione di Gautama Muni. Vedendo la situazione critica, Brahma intervenne personalmente e Meghanada rilasciò Indra. Così Brahma pensò di ricompensare il figlio di Ravana per la sua obbedienza.

“Oggi tu hai conquistato Indra, e per questo sarai conosciuto come Indrajit. Chiedimi una benedizione: cosa desideri da me?”

“Voglio essere immune dalla morte fintanto che sono sul mio carro di guerra e fintanto che riesco a completare le mie preghiere giornaliere,” chiese Indrajit dopo aver riflettuto.

“Brahma glielo concesse. Come ricordi, Lakshmana colpì Indrajit quando egli non era sul carro e in un giorno in cui non poté completare i suoi riti.”
 


109
Le sconfitte di Ravana

Rama ascoltava il racconto con grande attenzione e interesse. Poi gli venne in mente una domanda.

“Ho ascoltato questo racconto e sono sorpreso dal fatto che quasi nessuno fu mai in grado di sopraffare Ravana. E’ mai possibile,” chiese, “che a quel tempo non esistessero re valorosi che potessero sconfiggerlo? Se ce ne fu qualcuno mi piacerebbe ascoltare le sue gesta.”

Agastya riprese il racconto.

“Il re degli Haihaya si chiamava Kartavirya Arjuna ed era famoso per la sua forza fisica. Ravana aveva sentito parlare di questo re e, desideroso come sempre di combattere, si recò a Mahismati, la sua capitale. Appena arrivò chiese di incontrare il reggente. Gli ufficiali di palazzo lo informarono che era assente ma che poteva trovarlo al fiume Narmada. Ansioso di sfidarlo, Ravana si diresse velocemente verso il fiume Narmada e lo fece cercare. Nel frattempo si accampò e raccolse dei fiori per iniziare un sacrificio propiziatorio a Shiva.

“Più a valle, Kartavirya Arjuna stava facendo il bagno in compagnia delle sue donne. Per gioco volle mostrare ad alcune di loro la forza delle sue mille braccia, che aveva ottenuto grazie a una benedizione di Shiva. Si immerse nell'acqua e fermò il corso del fiume, che a monte straripò in più punti. Il fiume uscì dagli argini anche in prossimità dell'accampamento di Ravana e spazzò via i fiori dell'offerta. Stupito da ciò che era accaduto, Ravana mandò i suoi consiglieri a scoprirne le cause. I due fratelli Shuka e Sharana videro il re degli Haihaya e compresero ciò che era successo. Ravana corse a sfidarlo e fu sconfitto. Fatto prigioniero, fu portato a Mahismati e Arjuna lo fece rinchiudere in una prigione inaccessibile. Pulastya venne a conoscenza dell'accaduto e volle intercedere a favore del nipote. Così Ravana fu liberato e ripartì subito.

“Per nulla umiliato o scoraggiato da quell'esperienza, Ravana continuò a perpetrare le più basse nefandezze. Ma il destino gli riservava un'altra amara esperienza.

“Un giorno arrivò a Kiskindha, la capitale dei Vanara, e sentì parlare di Vali e della sua forza. Desideroso di combattere anche contro di lui, chiese dove fosse. Ma anche Vali in quel momento era assente e Ravana si informò dove potesse trovarlo. Avuta l'informazione, corse sul posto. Vali era sulle rive dell'oceano, assorto nelle sue meditazioni giornaliere. Ma anche in quella posizione si accorse dell'arrivo di Ravana, che si avvicinava minacciosamente. Appena gli fu sufficientemente vicino, Vali lo strinse saldamente sotto le ascelle e spiccò un prodigioso salto in cielo. Nonostante la sua straordinaria forza, Ravana non poteva neanche muoversi, imprigionato da quella stretta ferrea. Pienamente tranquillo, come se con sé non avesse nulla, Vali visitò tutti i tre mari. Ravana capì che Vali era straordinariamente potente e fece amicizia con lui.”
 


110
La storia della vita di Hanuman

Terminato il racconto delle gesta di Ravana, Rama pensò di porre altre domande, stavolta su Hanuman.

“Da ciò che ho capito, Ravana era molto potente, ma Hanuman gli era superiore. Perché quando Vali cacciò via Sugriva, Hanuman non si ribellò e non cercò di proteggere il suo caro amico?”

Il saggio Agastya raccontò:

“Una volta viveva un Rishi di nome Keshari e sua moglie si chiamava Anjana. Una volta lei era nella foresta a raccogliere della frutta e dei fiori, quando il Deva del vento la notò. Vedendola così bella e pura, Vayu se ne invaghì e penetrò in essa. Come risultato un figlio fu generato nel suo ventre, Hanuman.

“Fin dai primi giorni della sua vita era chiaro che il bimbo aveva caratteristiche speciali. Era ancora neonato quando un giorno sua madre lo mise in terra per sbrigare delle faccende. Ma il bimbo aveva fame e pianse disperatamente. La madre, troppo lontana, non lo sentì. Era l'alba, il sole stava sorgendo ed egli pensò che quello fosse un frutto dorato. Era così bello e colorato che pensò che dovesse anche essere molto buono. Decise di andarlo a prendere e di mangiarlo. Così spiccò un gran salto e si diresse verso il sole. Era un giorno di eclisse e Rahu si apprestava ad ingoiare l'astro lucente, quando vide Hanuman avvicinarsi a grande velocità. Spaventato da quell'inattesa presenza, Rahu corse a chiedere aiuto a Indra e gli riferì cosa stava accadendo. Il re dei Deva pensò che fosse cosa saggia andare a vedere personalmente e, accompagnato da Rahu, si recò sul posto. Nel frattempo Hanuman si era avvicinato di molto al Sole e si apprestava ad inghiottirlo. Vivasvan, che predomina l’astro lucente, lo guardò e non lo bruciò: sapeva che Hanuman sarebbe stato necessario all'incarnazione di Vishnu che avrebbe eliminato Ravana. Ma Rahu, senza attendere Indra, vedendo Hanuman che si era avvicinato troppo, impulsivamente lo attaccò. Il neonato scambiò anche Rahu per un frutto e si precipitò verso di lui, a bocca spalancata. Gridando ‘Aiuto Indra!’ Rahu fuggì terrorizzato. E il re dei pianeti celesti scagliò contro Hanuman la sua arma prediletta, il fulmine. Colpito duramente alla mascella, il piccolo cadde su una montagna. E Vayu vide che suo figlio era stato colpito e corse sul posto. Lo trovò morto. Piangendo addolorato, prese il corpo in braccio e andò via. Si ritirò in una caverna e non fece più circolare l'aria in tutto l'universo.

“Ci fu un periodo di grande difficoltà, e tutti soffrivano e rischiavano di morire. I Deva andarono da Brahma per chiedergli aiuto e così Brahma, accompagnato da tutti gli altri, andò a cercare Vayu. Quando lo trovarono furono messi al corrente delle ragioni del suo dolore.

“O re, conosciamo il motivo che ti rende così triste,” disse Brahma. “Tuo figlio è stato ucciso ingiustamente. Io lo farò tornare in vita. Il suo nome sarà Hanuman, perché la sua mascella è stata rotta dal fulmine di Indra. Non essere più addolorato, ora, e riprendi a soffiare in tutti i mondi.”

“Il piccolo si risvegliò come dopo un sonno. Fu benedetto ad essere praticamente immune da ogni pericolo, persino dalle maledizioni dei saggi.

“Hanuman divenne estremamente potente. Quando fu cresciuto, la consapevolezza dei suoi poteri lo rese arrogante e dispettoso, e prese l'abitudine di scherzare e di prendersi gioco dei saggi della foresta, disturbandoli nei loro sacrifici. Un giorno i venerabili asceti unirono la loro energia per fargli dimenticare la grandezza dei suoi poteri: li avrebbe potuti ricordare solo quando ne avrebbe avuto bisogno. In preda a una profonda amnesia, Hanuman cominciò a comportarsi come un Vanara qualsiasi, inconsapevole della sua potenza. Per questo non difese Sugriva nella sua disputa contro Vali: credeva di non poterlo fronteggiare.”
 


111
La partenza dei saggi - 
Sita in attesa di un figlio

Dopo qualche giorno i saggi vollero ripartire. Rama, a cui piaceva sentirli parlare, si dispiacque molto.

“Fra poco celebrerò il sacrificio Rajasuya,” li informò. “Spero che parteciperete anche voi.”

I saggi risposero affermativamente e partirono.

Dopo la partenza dei Rishi, Rama congedò tutti gli amici che avevano voluto venire ad ascoltare quelle affascinanti storie, e anche loro partirono. I Vanara e i Rakshasa tornarono nei loro rispettivi regni. Prima della partenza, Bharata descrisse le glorie del governo di Rama osservante delle leggi divine.

Un giorno Rama vide il carro Pushpaka tornare verso di lui.

“Dopo aver sconfitto Ravana,” disse il carro fatato, “tu mi hai mandato dal mio padrone, Kuvera, ma lui ha detto:

“O Pushpaka, Rama ti ha conquistato sconfiggendo il re dei Rakshasa. Sei di sua proprietà, ora. Servilo con fedeltà.”

“Io vorrei restare qui con te.”

Rama lo accettò con gioia.

I giorni tristi sembravano passati. Tutto era gaiezza, gioia, anche la natura sembrava partecipare alla loro felicità. Un giorno in cui Rama era nei suoi meravigliosi giardini in compagnia di Sita, la vide particolarmente felice e distesa. Aveva una bella notizia da dare al marito.

“Mia cara,” la anticipò lui, “io vedo nel tuo corpo chiari segni. Tu stai aspettando un figlio, non è vero?”

“Sì, è vero. E ne sono immensamente felice. Avremo dei figli: non è meraviglioso?”

Rama sentì una gioia immensa nel cuore.

“Oh, Sita, non immagini quanto questo mi faccia felice. In questo giorno fortunato io vorrei donarti qualcosa. Cosa vorresti?”

“Sento un po’ di nostalgia di quegli eremi silenziosi e meditativi. Mi piacerebbe molto tornare a visitarli,” rispose lei con un sorriso.

“Ciò che vuoi. Puoi partire domani stesso. Lakshmana e alcuni brahmana ti accompagneranno.”

 continua...