Ramayana
La Storia dell'Avatara Sri Rama
di Valmiki Muni

 

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prima parte


YUDDHA KANDA
67
I Rakshasa a consiglio
Rama sembrava tornato a nuova vita. Quando ebbe ascoltato di nuovo tutta la storia dalle labbra di Hanuman, sentì che qualcosa era rinato nel suo cuore, come accade quando si ritrova una persona che è essenziale alla propria esistenza. Abbracciò il suo fedele devoto e lo ringraziò calorosamente. Tennero poi un consiglio militare e ascoltarono la descrizione delle forze difensive dei nemici. Rama e Sugriva dettero disposizioni per l'immediata partenza. Mentre si preparavano, i Vanara manifestavano la loro gioia e il loro ardore guerriero.

Nel frattempo, a Lanka, Ravana era preoccupato. Aveva visto cosa era stato in grado di fare Hanuman, e da solo. Sebbene la sua potenza personale e quella del suo esercito desse ampie garanzie, in cuor suo si sentiva preoccupato. Qualcosa di tutta quella storia lo angosciava. Non era come le altre battaglie che aveva intrapreso. C'era qualcosa di diverso che sfuggiva al suo controllo e alla sua comprensione. Chiamò a consiglio tutti i generali e i principali ministri.

I Rakshasa lo videro preoccupato come mai lo avevano visto prima di battaglie che si erano prospettate ben più impegnative di quella. Secondo loro non si trattava, in fondo, che di due uomini e di un branco di scimmie. Cercarono di rincuorarlo.

“Non ti vediamo sereno e fiducioso come sempre prima di un confronto,” disse Prahasta. “Forse le minacce di quella scimmia ti hanno intimorito? Ma di cosa ti preoccupi? Non ne hai ragione alcuna. Hai dimenticato la tua potenza militare e la nostra? Come puoi preoccuparti di due uomini e di qualche scimmia quando hai sconfitto i più grandi Deva dell'universo? Nessuno può sconfiggere noi quando siamo uniti sul campo di battaglia, e se anche ciò accadesse nessuno può sconfiggere te quando, sul tuo carro Pushpaka, ti scagli tra le file degli eserciti nemici. Maestà, tranquillizzati, possiamo distruggere qualsiasi nemico. Se quella scimmia tornerà con i suoi compagni e con Rama e Lakshmana, daremo loro battaglia e li stermineremo.”

Prahasta e gli altri rassicurarono Ravana e gli infusero coraggio. Ma il virtuoso Vibhisana non era d'accordo su quelle scene di cieco fanatismo.

“Cosa state dicendo voi tutti? Ravana, non ascoltare consigli insensati. Non hai visto quanti cattivi presagi sorgono ogni momento intorno a te e a Lanka? Questi presagi annunciano la tua sconfitta. Hai già dimenticato quello che ha saputo fare a Lanka quella che loro chiamano una semplice scimmia? Cosa hanno potuto fare i tuoi valorosi generali per impedire quello scempio? E Rama e Lakshmana sarebbero due piccoli uomini? E il massacro di quattordicimila potenti guerrieri? Anche quello dimenticato?

“La maniera migliore per fronteggiare un pericolo non è quello di sminuirne l'entità, ma semmai il contrario. Io sono sicuro che da una battaglia del genere usciremmo sconfitti e le nostre donne piangerebbero i loro morti. Ci aspetterebbero giorni di lutti.

“Sii saggio, fratello: restituisci Sita a Rama e salva così la tua vita e quella di milioni di persone che ti sono fedeli.”

Un brusio di disapprovazione accompagnò le ultime parole di Vibhisana. Ravana non avrebbe voluto ascoltare quelle cose e l'entusiasmo che gli avevano suscitato gli incoraggiamenti dei suoi generali si spense. Si alzò di scatto e si ritirò nei suoi appartamenti privati. Passò una notte insonne.
 


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Altri consigli

Il giorno dopo, quando Ravana si ripresentò nella sala del consiglio, tra la generale disapprovazione Vibhisana tentò ancora di riportare Ravana alla ragione, ma Ravana si sentiva troppo attratto a Sita e non poté accettare le cose come realmente erano. Ignorò completamente Vibhisana e lo interruppe, rivolgendosi a Prahasta.

“Ho preso la mia decisione. Non rinuncerò a Sita. Io non posso dimostrare paura davanti a un nemico così inconsistente. Io sono l'invincibile Ravana e mai ho conosciuto l'onta della sconfitta. Rama e il suo esercito di scimmie non mi fanno paura. Li combatteremo e li distruggeremo. Disponi quindi le nostre truppe in difesa della città e falle preparare alla guerra.”

Tutti gridarono dalla gioia e festeggiarono la decisione del loro re. In quel momento un rumore assordante fermò la discussione. Una guardia avvertì Ravana che il suo fratello più giovane Kumbhakarna si era appena svegliato da un lungo sonno e stava arrivando.

Kumbhakarna era il più forte Rakshasa che fosse mai esistito. Era gigantesco e il solo pensare a lui incuteva terrore. Quando entrò tutti lo salutarono rispettosamente. Rama lo informò degli ultimi avvenimenti. Kumbhakarna non sembrò condividere l'atto del rapimento di Sita, tuttavia lo rassicurò che in caso di guerra gli avrebbe dato il suo appoggio. Ravana pensò che se Kumbhakarna avesse combattuto la vittoria sarebbe stata certa.
 


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Perché non la prendi con la forza?

Mahaparsva, uno dei più famosi tra i generali, intervenne.

“Perché, visto che sei tanto attratto a quella donna, non la prendi con la forza? In fin dei conti sei il re qui, e tutto ciò che si trova su questo territorio è tuo di diritto.”

Vibhisana ebbe un tremito di rabbia al vile suggerimento. Ravana sembrò riflettere per un po’.

“Sì, è giusto che lo sappiate,” disse poi. “C'è una cosa che ho tenuta segreta per tanto tempo e che ora voglio raccontarvi. Non posso prendere una donna contro la sua volontà, altrimenti morirei. Un giorno violentai un'Apsara di nome Punjikasthala che corse da Brahma chiedendo vendetta. Allora Brahma s'infuriò e mi maledisse:

“Ravana, se ancora prenderai una donna contro la sua volontà, le tue teste esploderanno in cento pezzi.”

“Cari amici, è solo per questa ragione che non ho ancora preso Sita con la forza. Se non avessi sopra di me quella terribile maledizione avrei già soddisfatto il più caro dei miei desideri.”
 


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Vibhisana lascia Lanka

Il virtuoso Vibhisana, a quel punto, tentò ancora di convincerlo a riportare Sita dal marito, ma tutti disapprovarono quel consiglio ritenendolo un atto di codardia. Perdendo la pazienza, Ravana lo insultò e Vibhisana decise di lasciare Lanka e di andare ad aiutare Rama contro quelle forze malefiche. Anche se quelli contro cui avrebbe combattuto erano i suoi stessi parenti ed amici, Vibhisana pensò che la verità era più importante dei temporanei vincoli familiari. Sdegnato, lasciò la città. Subito dopo Ravana si pentì di aver trattato Vibhisana in quella maniera e lo mandò a cercare, ma non lo trovò più.

In meno di un'ora Vibhisana arrivò dove gli eserciti di Rama erano accampati e annunciò la sua venuta. Il suo arrivo causò malumore. Molti Vanara erano diffidenti, ma Hanuman lo riconobbe e ricordò come egli lo avesse difeso contro il parere di tutti gli altri. Vibhisana fu accettato come amico e alleato e portato di fronte a Rama. Si inchinò rispettosamente.

“Rama, io sono Vibhisana,” disse, “il fratello minore di Ravana e Kumbhakarna. Nel mio cuore ho sempre disapprovato le attività demoniache di mio fratello, anche nel caso del rapimento di Sita, ma egli non ha voluto ascoltare i miei consigli. Per l'ennesima volta oggi ho cercato di fargli capire quali sono le cose giuste da fare e mi ha insultato. Non voglio più stare dalla parte dei malvagi e degli oppressori, quindi vorrei aiutarti a vincere questa battaglia. Io conosco tutto su Ravana, sui suoi soldati e sulle fortificazioni di Lanka, e ti darei un prezioso contributo.”

Nonostante le diffidenze di molti, Rama, che sapeva leggere nel cuore delle persone sincere, lo accettò come amico. Così il giusto Vibhisana si unì a Rama.
 


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Il ponte sul mare

Nel frattempo le spie Rakshasa, che erano disseminate ovunque, informarono il re che l'esercito dei Vanara si stava avvicinando. Ravana allora convocò Shuka, uno dei suoi fidati ambasciatori e gli affidò una missione.

“I Vanara si stanno avvicinando. Non pensavo che fossero così temerari, eppure stanno arrivando. Cerchiamo di evitare la guerra. Porta ai loro capi un messaggio per tentare di scoraggiarli. E quando sarai fra di loro osserva bene il loro numero e la vera entità della loro forza. Tu sei esperto, sai riconoscere le capacità di un nemico. Vai, dunque, e torna presto.”

Shuka viaggiò velocemente e arrivò dove i Vanara erano accampati. Rimase stupefatto nel vedere il loro numero: sembravano un oceano che si muoveva brulicante, dove ogni goccia era un guerriero determinato ad avere giustizia. Chiese del loro capo e fu condotto a Sugriva, a cui lesse il messaggio. Era così insolente e aggressivo che alcuni Vanara se la presero con Shuka e lo malmenarono. Rama prontamente ordinò di fermarsi, ammonendoli che quello non era un comportamento civile. Lo fece liberare e gli permise di terminare di leggere il messaggio. Era inviata personalmente a Sugriva.

“... Non aiutare, quindi, Rama in questa impresa disperata, dove perderai tutto, compresa la vita,” terminò l’intimorito Shuka. “Schierati dalla mia parte e ti coprirò di ricchezze e di gloria!”

“Avete sentito che viltà?” gridò Sugriva appena ebbe finito di ascoltare il messaggio. “Ha paura di noi e cerca di convincerci ad abbandonare la missione.”

Tutti scoppiarono con delle risate di scherno. Sugriva riprese:
“Ascoltami bene, messaggero. Dì questo al tuo padrone. Il coraggio è una ricchezza che lui non ha e che quindi non mi può dare. Digli che presto arriveremo a Lanka e distruggeremo lui, la sua stirpe intera e la sua città. Noi non tradiremo Rama.”

A Shuka non fu permesso di tornare subito a Lanka: i Vanara pensarono bene di liberarlo quando sarebbero stati più vicini all'isola.
Pochi giorni dopo arrivarono sulle rive dell'oceano. Rama osservò il vasto corpo d'acqua, un enorme e insormontabile mare che lo separava da Lanka. Come attraversare tale distanza? Un intero esercito, poi, come l'avrebbe attraversato? Sembrava un problema irrisolvibile. L'unica soluzione era che l'oceano stesso li facesse passare.

“Io chiederò a Varuna di apparire di fronte a me,” pensò Rama, “e poi gli chiederò il favore di lasciarci passare.”

Rama raccolse dell'erba kusha e ne fece un cuscino. Sopra quell'erba santa si sedette in meditazione. Così stette interi giorni e notti, meditando e chiedendo a Varuna di apparire. Passarono diversi giorni, ma il Deva non appariva. Agitato al pensiero di Sita, il desiderio di rivederla e di liberarla gli rendeva insopportabile quell'attesa inerte. Perse la calma e sentì la furia crescergli nel cuore.

“Se Varuna non appare, io distruggerò l'oceano con tutti i suoi abitanti!”

Estraendo dalla faretra enormi frecce, egli prese a scagliarle senza interruzioni, una dopo l'altra, con violenza inaudita, uccidendo una moltitudine di pesci. Le acque si agitarono così tanto che l'oceano straripò in più punti e ci fu una terribile tempesta. Ovunque era caos. Ma Varuna ancora non si decideva ad apparire. E Rama prese la terribile arma presieduta dal mantra a Brahma e la fissò sull'arco. Solo allora, vedendo prossima la sua distruzione, Varuna emerse dalle acque tempestose e si inginocchiò davanti a Rama con le mani giunte.

“Perdona la mia offesa verso di te, o Rama,” disse in tono di preghiera. “Io vi lascerò passare senza alcun dubbio. Chiama Nala, il figlio di Visvakarma, e digli di costruire un ponte sopra le mie acque. Non preoccuparti. Io sorreggerò il vostro peso.”

Gioiosamente i forti Vanara cominciarono a prendere degli enormi macigni, dei picchi di montagna, alberi, o qualsiasi altra cosa che potesse far volume nella costruzione del ponte, e dopo aver scritto il nome sacro di Rama su di esse, li gettarono nelle acque. E come per miracolo, nonostante il peso, non affondarono. Ben presto, sotto l'esperta direzione di Nala, il ponte fu ultimato. Gioiosamente, i Vanara cominciarono la traversata.
 


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L’esercito arriva a Lanka

Lanka fu avvistata. Rama ordinò che Shuka fosse rilasciato e gli disse di correre dal suo re a trasmettergli il messaggio e la loro determinazione di liberare Sita ad ogni costo. Shuka non si fece pregare. Corse da Ravana e gli raccontò tutto.

“... Mio caro re,” raccontò con voce trafelata, “inoltre non hai idea della loro potenza militare. Il loro numero è tale che non può essere neanche immaginato, e la loro forza fisica personale è straordinaria. Non hai speranze in questa battaglia. Restituisci Sita, per il bene di tutti.”

Sorpreso e furente nell'ascoltare uno dei suoi più fedeli aiutanti tessere le lodi dei suoi nemici, Ravana descrisse, d'altra parte, l'immensa forza dei Rakshasa. Ma proprio mentre parlavano uno dei suoi generali gli portò la notizia che il nemico era giunto nell'isola.

Ravana mandò ancora Shuka, stavolta accompagnato da un altro ambasciatore di fiducia di nome Sharana, a spiare l’esercito avversario e a portargli notizie più dettagliate. Ma mentre cercavano di spiare protetti dal buio della notte, Vibhisana li scoprì e li catturò. Rama vide le due spie e sorrise:

“Siete venuti per spiarci? Potevate chiederlo,” disse ironicamente. “Vi avremmo fatto vedere tutto noi stessi. Venite.”

E li portò a fare un giro accurato del suo esercito. Poi li rilasciò. I due tornarono da Ravana e gli diedero la descrizione desiderata.

“Abbiamo visto la potenza militare dei nostri nemici. Ciò che possiamo dirti, a questo proposito, è solo questo: libera Sita, per il bene tuo e di tutto il popolo.”

Shuka e Sharana erano due dei suoi ministri e la loro fedeltà era fuori discussione. Perciò si stupì di tali descrizioni e cominciò a temere che corrispondessero alla verità. Ravana decise di andare a controllare di persona. Insieme ad altri salì nervosamente le scale della sua torre più alta e appena si affacciò vide uno spettacolo impressionante. Non lontano dalle mura della città si stendeva a perdita d'occhio un immenso tappeto vivente brulicante di Vanara. Era incredibile. Milioni e milioni di possenti nemici si dirigevano lentamente ma inesorabilmente verso la città. Sembrava un mare inarrestabile di guerrieri assetati di sangue e di giustizia! Ravana era impressionato. Si rivolse a Sharana.

“Fedele amico, chi sono i capi di questo immenso esercito? Parlami di loro e illustrami le loro capacità.”

Sharana additò Hanuman, Sugriva, Angada, Nila, Nala, Jambavan, e descrisse dettagliatamente la loro forza personale. Poi parlò di tutti gli altri capi, descrivendoli come guerrieri invincibili sul campo di battaglia, tutti dotati di terribile prodezza.

Irritato, Ravana espulse Shuka e Sharana dalla corte e mandò altri Rakshasa a spiare il nemico, nella speranza che riportassero notizie più ottimistiche. Ma anche questi altri tornarono dal loro re riferendogli le stesse cose, e anche loro furono istericamente cacciati via.
 


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La falsa morte di Rama

Turbato, Ravana ebbe paura di perdere la guerra e soprattutto temette di perdere Sita, che desiderava follemente. Decise di fare un altro tentativo per conquistarla ed evitare la guerra.

C'era a Lanka un mago di nome Vidyujjihva che aveva capacità straordinarie nel creare illusioni. Grazie ai suoi poteri, creò una testa perfettamente uguale a quella di Rama e andarono a portarla a Sita. Quando arrivarono, gliela gettarono ai piedi.

“Eccolo, il tuo caro consorte,” gridò Ravana. “Io l'ho ucciso e decapitato. Ora accettami come marito e goditi la vita.”

Ma ottenne l'effetto contrario. Credendo Rama ucciso e decapitato, Sita scoppiò in un pianto convulso e pensò solo a morire. Ma la discussione durò poco, interrotta bruscamente. Un'urgenza richiedeva la sua presenza altrove. Ravana lasciò Sita piangente e disperata.
Nascosta dietro una siepe c'era Sarama, la moglie di Vibhisana. Lei sapeva quanto crudele Ravana fosse e conosceva molto bene il mago a cui si era rivolto.

“Casta signora, non piangere,” disse in un sussurro. “Non disperarti. Rama non può essere sconfitto da nessuno. Non esiste chi può ucciderlo. Io so che in questo momento il suo esercito ha posto Lanka in assedio e presto sarà qui da te. Non perdere fiducia. Io conosco chi ha prodotto quell'illusione. C'è un mago malvagio che può fare quelle cose. Io conosco bene Vidyujjihva. Non preoccuparti, presto le tue sofferenze termineranno.”

A quelle parole di Sarama, Sita si rincuorò e gliene fu grata. Arrivarono le prime notizie della battaglia imminente.
 


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La sfida di Sugriva

Malyavan era uno dei Rakshasa più anziani e saggi ed era molto rispettato nella corte. Vedendo segni premonitori sempre peggiori, consigliò Ravana di restituire Sita e di far pace con Rama. Ravana ruggì come un leone.

“Che tipo di incantesimo ha lanciato questo essere insignificante sui miei collaboratori, anche i più stretti, perché tutti abbiano paura di lui? Avete dimenticato che io sono Ravana? Io sono Ravana! Ho sconfitto in combattimento i più grandi Deva; e ora dovrei aver paura di due uomini e di un pugno di scimmie? Siete diventati tutti dei vigliacchi? O l'età vi ha oscurato la vista e la ragione? Da soli io, i miei figli e Kumbhakarna possiamo distruggere l'universo intero. Nessuno potrà mai dire che Ravana ha avuto paura, che si è tirato indietro davanti a una sfida!”

Gridando, Ravana si ritirò nelle sue stanze.

La sera stessa gli eserciti si schierarono in posizione di combattimento. La guerra era oramai inevitabile. I Rakshasa e i Vanara si scrutarono e si studiarono vicendevolmente, armati fino ai denti. Rama e i suoi collaboratori più intimi salirono sulla montagna Suvala ed ebbero una panoramica di Lanka. In questa attesa passò la notte.

Appena il sole sorse, Rama osservò attentamente la città e fu colpi-to da tanta bellezza. E lì in cima alla torre più alta, Rama scorse le dieci teste di Ravana. Era lui, in persona. Mentre lo guardavano, Sugriva non riuscì a contenere la furia e, senza consultare nessuno, spiccò un salto prodigioso e assalì Ravana dall'alto. Veloce come un'aquila, colpendolo con uno schiaffo poderoso, gli gettò a terra il diadema imperiale. Provocato, Ravana tentò di reagire, ma Sugriva, rimbalzando come una palla, gli sfuggì dalle mani e tornò da Rama.

Rama lo rimproverò severamente.

“Non essere così impulsivo. Se fosti caduto prigioniero avresti compromesso il successo della nostra missione.”

Ma era contento della dimostrazione di valore che Sugriva aveva dato.
 


75
La guerra comincia

Rama pensò di fare un ultimo tentativo di evitare la guerra e risolvere tutto pacificamente. Mandò Angada come ambasciatore per cercare di convincere Ravana, ma fu tutto inutile. Trascinato dal proprio destino oramai scritto in chiare lettere, Ravana rifiutò ogni discussione. Cercò persino di far imprigionare Angada, che però riuscì a fuggire e a tornare da Rama.

Sri Rama Candra, nato sulla terra per distruggere i malvagi Rakshasa, capì che non c'era nient'altro da fare che assolvere il proprio compito. L'unica soluzione era la guerra. Diede quindi l'ordine di completare l'assedio di Lanka. All'interno della città c'era un gran fermento di preparativi per la guerra.

E le ostilità cominciarono.

L'inizio della battaglia fu scoraggiante per i Rakshasa. Migliaia di soldati furono colpiti da armi varie; e teste e braccia e gambe e corpi mutilati in varie tremende maniere cominciarono ad ammassarsi sul campo di battaglia. Molti grandi guerrieri caddero: le frecce di Rama e Lakshmana sibilavano nell'aria come serpenti velenosi alati, prendendo migliaia di vite. La maniera di combattere dei due fratelli era sovrumana.

Nessuno riusciva a vedere i loro movimenti, né le frecce: si vedevano solo quando arrivavano. La battaglia infuriava violentissima in ogni luogo.

 continua...