Ramayana
La Storia dell'Avatara Sri Rama
di Valmiki Muni

 

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terza parte


YUDDHA KANDA
82
L'invasione di Lanka
I Vanara passarono la notte a curare i feriti. Risollevati ed entusiasmati per lo scampato pericolo, la mattina seguente sferrarono un attacco veemente alle mura della città, e in più punti riuscirono a penetrare all'interno. La battaglia fu feroce: migliaia di corpi mutilati lastricarono il terreno. I Vanara entrarono nella città ed iniziarono l'opera di distruzione. Il fuoco divampò ovunque, bruciando centinaia di case. Devastata dal fuoco e dai numerosi e potenti Vanara, Lanka assunse un aspetto spettrale. Molti Rakshasa cominciarono a fuggire, tentando di salvarsi la vita.

Ravana, sempre più fuori di sé dalla frustrazione, mandò avanti i suoi più forti guerrieri, ma furono tutti sconfitti. Angada uccise Kampana e Prajangha, Dvivida Sonitaksha. Mainda uccise Yupaksha e Sugriva Kumbha. Dopo un feroce duello, Hanuman riuscì ad eliminare uno dei figli di Kumbhakarna, il poderoso Nikumbha. La battaglia continuò feroce e violenta. Trascinati dal destino ineluttabile, i Rakshasa erano puntualmente sconfitti.
 


83
La morte di Indrajit

Le ultime notizie che arrivarono a Ravana erano intollerabili. E chiamò allora il figlio maggiore. Indrajit traeva gran parte della sua forza da malefici sacrifici neri che celebrava giornalmente. Dopo aver terminato una delle sue cerimonie, ricomparve sulla scena. Vedendolo, i Vanara furono terrorizzati e fuggirono. Rama guardò suo fratello.

“Non c'è nulla da fare. Fintanto che Indrajit è vivo non possiamo vincere questa guerra,” gli disse. “Guarda: dopo aver fronteggiato guerrieri fortissimi, tutti fuggono quando Indrajit si mostra. Incute terrore a tutti. Dobbiamo trovare la maniera di sbarazzarcene subito.”

E proprio mentre Rama parlava, in un colpo solo migliaia di Vanara caddero morti, e gli stessi fratelli furono feriti gravemente. Ordinarono una ritirata per cercare la maniera di porre fine alla continua minaccia che Indrajit rappresentava.

In realtà Indrajit, che ancora non aveva ultimato un diabolico sacrificio che lo avrebbe reso praticamente invincibile, voleva guadagnare tempo. Per scoraggiare i suoi nemici creò un’immagine vivente di Sita e di fronte a tutti la decapitò. I Vanara, vedendo quella scena crudele e sentendo i terribili ruggiti di Indrajit, fuggirono da ogni parte. Hanuman riunì l'esercito in fuga e rilanciò l'offensiva. Ma Indrajit non c'era più: si era defilato, aveva rapidamente raggiunto il santuario di Nikumbhila e si preparava a procedere con le sue cerimonie.

La notizia della morte di Sita arrivò a Rama. Non poteva crederci. Sita uccisa da Indrajit? Rama credette che fosse arrivata la fine. 
Lakshmana, fuori di sé, gettò un grido di rabbia.

“Oggi io distruggerò tutti i Rakshasa dell'universo!”

E preparò le sue armi. Ma Vibhisana, aiutando Rama a riaversi, lo fermò.

“Rama, Lakshmana, non cadete nel tranello,” disse ai due fratelli. “Quella forma che è stata uccisa non era Sita. Ravana non permetterebbe mai una cosa simile. Indrajit ha escogitato questo trucco diabolico solo per guadagnare tempo. Sono sicuro che in questo momento si trova a Nikumbhila per terminare qualche sacrificio. Ascoltatemi: non dobbiamo lasciarglielo terminare. Se riusciamo ad interromperlo potremo ucciderlo. Manda Lakshmana con me, io gli mostrerò la strada per il santuario. Poniamo fine alla vita di questo essere malvagio.”

Rinfrancato, Rama mandò Lakshmana a Nikumbhila, accompagnato da un'ingente forza. Guidati da Vibhisana che faceva strada, arrivarono rapidamente. E come sospettavano, lì videro le truppe di Indrajit che montavano la guardia. Vedendo il nemico avvicinarsi in un momento non propizio, tentarono di impegnarli in combattimento affinché il loro comandante potesse terminare il sacrificio. Con furia, Hanuman piombò tra le truppe dei Rakshasa e le decimò. Poi chiamò Indrajit a venire fuori e lo sfidò in un duello. E il figlio di Ravana uscì dal santuario. Lakshmana lo vide per primo.

Sfidato da Lakshmana, Indrajit gli corse incontro impetuosamente. Il suo aspetto era terribile, la sua forza incomparabile. Un tempo il suo valore e la sua intelligenza gli avevano permesso di sconfiggere persino Indra, il re dei pianeti celesti. Quando vide Vibhisana a fianco di Lakshmana, Indrajit lo rimproverò aspramente.

“Tu sei un traditore della tua razza. Non ti vergogni a farti vedere a fianco dei nostri nemici mentre uccidi i tuoi fratelli e amici? Vergognati! Sei solo un vile traditore che mira al trono del fratello.”

“Tu sei un ragazzo senza giudizio né esperienza,” replicò Vibhisana, “e la tua crudeltà non ha limiti. Mi sono schierato dalla parte di coloro che tu chiami nemici perché io non sono della tua stessa natura e non godo delle attività empie. Ho preso la loro parte per liberare il mondo dalla gente malvagia come te. Guardalo bene, questo mondo: oggi è il tuo ultimo giorno.”

Pur cosciente di non aver terminato il sacrificio, Indrajit fissò Lakshmana e si lanciò contro di lui. Lo scontro fu feroce. Mentre Lakshmana era personalmente impegnato contro il nemico, Vibhisana prese il comando dei Vanara contro i soldati. Ben presto Indrajit perse il carro e l'auriga, e si ritrovò in una posizione svantaggiosa. Qualcuno gli portò velocemente un nuovo carro e un altro guidatore, e il duello riprese. E mentre Vibhisana e Hanuman massacravano le truppe dei Rakshasa, Lakshmana vide l'opportunità di porre fine all'esistenza di Indrajit. Un momento di disattenzione gli fu fatale: una freccia carica di mantra decapitò il prode figlio di Ravana.

Era fatta. Tutti tirarono un sospiro di sollievo. L'incubo era finito. I pochi superstiti tra i Rakshasa fuggirono, in preda al panico.
 


84
Ravana combatte

Tra i Vanara ci furono grandi festeggiamenti per la morte di Indrajit. Rama abbracciò affettuosamente Lakshmana e gli fece curare le numerose ferite da Sushena.

Ravana di certo non gioiva. Indrajit era il suo figlio più caro e lo amava come niente altro. In un impeto di rabbia Ravana decise di uccidere Sita, causa di tutte le sue disgrazie: ma il Rakshasa Suparsva lo convinse a rinunciare all'ignobile atto.

Nel frattempo la battaglia continuava. Rama e i Vanara continuavano nell'opera di distruzione delle truppe nemiche. Pur nel gran clamore della battaglia, a Lanka si udivano i pianti accorati delle Rakshasi che piangevano amaramente la perdita dei mariti, dei figli, dei padri e dei nipoti. Era una scena che spezzava il cuore. Ormai sembrava che non ci fossero più speranze. Ovunque regnava il caos, il dolore, la morte. Vedendo la situazione compromessa e le truppe decimate e terrorizzate, Ravana scese personalmente sul campo di battaglia. E l’effetto per i Vanara fu devastante: migliaia di teste, di braccia, di mani e di gambe saltavano in aria simultaneamente, la velocità e la precisione di Ravana in combattimento erano inconcepibili.

Da un'altra parte del campo di battaglia Sugriva combatteva valorosamente: uccise due famosi generali di nome Virupaksha e Mahodara. Infine Rama e Ravana si trovarono di fronte, l'uno contro l'altro, faccia a faccia.

Dopo uno scambio di parole furiose, lo storico duello cominciò, molto simile ai combattimenti tra Vishnu e i più grandi Asura. A un certo momento, vedendosi di fronte Lakshmana, colui che aveva ucciso suo figlio Indrajit, Ravana gli scagliò contro la lancia che aveva ricevuto in dono da Maya Danava. Colpito da quella lancia fatata, Lakshmana cadde sul terreno, come morto. Rama vide il fratello gravemente colpito, scese dal carro ed estrasse la lancia dal suo petto, incurante della pioggia di frecce che Ravana gli scagliava addosso. Furibondo, Rama guardò Sugriva che non era lontano.

“Amico Vanara,” disse a denti stretti, “che tu mi sia testimone di questo voto: oggi questo mondo resterà senza Ravana o senza Rama. E sii certo che non sarò io a perdere. Oggi darò felicità a tutti distruggendo questo mostro malvagio.”

Lakshmana era in condizioni precarie. Respirava a fatica. La ferita era molto profonda. Rama affidò il fratello all'esperto medico Sushena e tornò a combattere. Hanuman fu mandato nuovamente sull'Himalaya a prendere le erbe dalla montagna Mahodaya, ma non fu capace di riconoscerle e compì di nuovo lo sforzo sovrumano di estirpare l'intera montagna e di portarla a Lanka. Quando Lakshmana fu guarito Hanuman riportò la montagna al suo posto originale.
 


85
La morte di Ravana

Nei pianeti superiori i Deva osservavano con apprensione. Rama aveva già riportato delle vittorie importanti e c'erano buone speranze che tutto andasse per il meglio. Ma ora a combattere c'era Ravana in persona. Conoscevano bene le capacità del Rakshasa. Indra si preoccupò e pensò di aiutarlo. Vedendo Rama impegnato in un feroce combattimento contro l’acerrimo nemico, il condottiero celestiale mandò il suo carro per aiutarlo.

Matali, il guidatore del carro di guerra di Indra, si presentò di fronte a Rama e gli offrì il suo aiuto. Rama accettò gioiosamente e montò sul leggendario carro. E la battaglia continuò a lungo, nessuno dei due si risparmiava e provarono colpi possenti: Rama colpiva Ravana, Ravana colpiva Rama, ma nessuno sembrava poter avere la meglio sull'altro. In una circostanza Ravana fu ferito da Rama e svenne sul proprio carro, e fu portato fuori dal campo di battaglia. Quando riprese i sensi, il Rakshasa rimproverò aspramente il suo auriga e tornò impetuosamente indietro.

Il combattimento riprese e si protrasse per molto tempo. Rama era affaticato e preoccupato. Non riusciva ad avere la meglio. Sentiva affievolirsi il desiderio di combattere. Tra i saggi che dal cielo assistevano al duello c'era anche Agastya.

“Rama, recita costantemente la preghiera al Deva del sole conosciuta come aditya-hridaya,” gli suggerì con voce eterea. “Grazie al potere di questo mantra sarai in grado di uccidere Ravana.”

Incoraggiato dal suggerimento del famoso santo, Rama riprese il combattimento con vigore, mettendo il suo nemico in grave difficoltà. E presagi favorevoli furono visti tutt'intorno a lui e se ne scorsero di cattivi dalla parte di Ravana. Rama ne era certo: quei segni indicavano che la vittoria era vicina. Lo scontro tra i due guerrieri fu il più feroce di tutti, ma il momento fatale arrivò.

Scagliando contro i colli del nemico potenti frecce, Rama staccò una dopo l'altra le dieci teste di Ravana. Ma appena mozzate, quelle ricrescevano istantaneamente. Ravana sembrava invulnerabile. Così Rama decise di usare l'arma di Brahma. Recitando con somma devozione le migliori preghiere a Brahma, il principe fissò una freccia nel suo arco e la scagliò contro il cuore del Rakshasa. Si udì un fragore assordante: la freccia colpì il bersaglio, il cuore del Rakshasa si spezzò in due. Ravana cadde sul terreno senza più vita.

E fu così che Rama, il figlio di Dasaratha, restituì la pace e la serenità a tutti uccidendo il più grande e crudele demone che esisteva.
 


86
Il lamento delle donne - 
La liberazione di Sita

Vedendo Ravana morto, i Rakshasa superstiti si arresero. Tutto si calmò: scese il silenzio.

Pian piano, con circospezione, dalle case e dai rifugi uscirono le prime donne, i bambini, gli anziani. I Vanara si ritirarono e li lasciarono uscire. Ovunque si vedevano scene di dolore. Chi era china sul corpo di un figlio, chi di un marito o di un padre: la scena che si presentava alla vista era pietosa. Persino Vibhisana si lamentò amaramente per la perdita di così tanti cari. Rama lo confortò e lo invitò a presenziare i funerali. E man mano che la sera calava il campo di battaglia assumeva sempre più un aspetto spettrale. Particolarmente patetico fu il lamento di Mandodari sui corpi del marito e del figlio Indrajit.

Il giorno stesso dei funerali di Ravana, Rama che era stato il maggiore artefice della vittoria incoronò Vibhisana re di Lanka. Tutti attendevano solo una cosa: di vedere Rama riunito a Sita.

“Sita ha sofferto per tanto tempo,” disse poi Rama ad Hanuman, “ed è giusto che venga avvertita al più presto del successo della nostra missione. Vai dunque da lei, e dille che ora Vibhisana è il re di Lanka e che egli desidera vederla.”

Rama era serio, controllato, quasi se la gioia della vittoria non lo toccasse. Tutti lo guardarono. C'era qualcosa di strano nelle sue parole. Perché aveva detto che Vibhisana voleva vederla? Hanuman corse da Sita. La trovò sconsolata, seduta sotto lo stesso albero nello stesso giardino. Quando lo vide il suo viso si illuminò. Gli occhi ansiosi interrogavano.

“Sono venuto a portarti le notizie degli ultimi avvenimenti,” disse Hanuman sorridente. “La tua sofferenza è finita. Questa ingiusta prigionia è giunta a termine. Sei finalmente libera. Lanka è stata conquistata e Ravana è stato ucciso insieme ai suoi parenti e ai suoi generali. Ora è Vibhisana il Signore di Lanka e desidera vederti. Preparati, dunque. Ti accompagnerò da lui.”

Tanta era la gioia che sentiva nel cuore che non poté proferire parola. Hanuman gettò uno sguardo alle guardiane che tentavano di nascondersi, terrorizzate.

“Principessa,” disse Hanuman con cipiglio severo. “Se vuoi posso uccidere queste Rakshasi che per così tanto tempo ti hanno causato dolore.”

“No, valoroso Hanuman,” disse Sita con un dolce sorriso, “non far loro del male. Non erano che delle schiave e agivano solo perché costrette dagli ordini di Ravana, che ha già ricevuto la giusta punizione. Non voglio altre vendette, non voglio altro sangue. Non far loro del male.”

E concesse a tutte la libertà. Poi si preparò incontrare Rama.
 


87
La prova della purezza

Nel frattempo Vibhisana e Rama, aspettando l'arrivo di Sita, parlavano fra loro.

“Finalmente è arrivato il momento in cui potrai rivedere la tua Sita,” disse Vibhisana.

Ma Rama non rispondeva: con lo sguardo fisso, assorto in pensieri profondi, non rispondeva. Aveva gli occhi pieni di lacrime.

Sita montò sul palanchino per essere portata di fronte a Rama, e i Rakshasa tenevano alla larga la folla che voleva vederla. Rama sentì che fuori della porta c'era un certo clamore e si affacciò dalla finestra. Vide che tutti si erano allontanati per far passare il palanchino e la cosa non gli piacque. Ordinò che Sita venisse fatta venire a piedi di fronte a lui. Quando dissero a Sita del desiderio del marito, lei scese senza fare alcun commento. Vibhisana capì che c'era qualcosa di strano nella mente di Rama: far venire Sita a piedi facendola passare tra la folla era un segno di mancanza di rispetto nei suoi confronti. Janaki  entrò nella grande sala che era stata di Ravana. Quando vide Rama non poté dire nulla. Poteva solo guardare quel viso così bello, tanto simile alla luna.

“Oggi noi festeggiamo questa importante vittoria,” le disse Rama, “con la quale sei stata liberata. Così ho vendicato il mio onore. Tutto ciò è stato possibile grazie al valore di Hanuman, di Vibhisana, di Sugriva e di tutti gli altri. Sei libera, ora, puoi fare ciò che vuoi. Ma sappi che io non posso accettarti come moglie, perché ci sono dubbi sulla tua purezza. Se ti accettassi, nel popolo crescerebbe il malcontento e non mi rispetterebbero più. Quando un re non è rispettato tutto va in rovina, e la gente soffre. Io voglio che tutti siano felici, invece. Fai ciò che vuoi, quindi, ma senza una prova della tua purezza io non posso accettarti.”

Sita non credeva a ciò che ascoltava. Si chiese se mai le sue sofferenze avrebbero avuto fine. Perché doveva subire un destino così crudele?

“Se vuoi puoi chiedere protezione a Lakshmana,” continuò Rama, “o a Bharata, o a Vibhisana, o a Sugriva, o a chiunque altro. Ma io senza una prova chiara della tua purezza, non posso riprenderti con me.”

Erano parole dure, quelle. Così dure che solo per poco non spezzarono il cuore di Sita. Si sentì come colpita da un fulmine. Lacrime calde e copiose uscirono da quegli occhi così belli, così tanto simili ai petali del fiore di loto. Ci volle qualche minuto prima che Sita riuscisse a parlare.

“Perché dici queste parole così crudeli?” chiese. “Non basta quello che ho sofferto finora? La mia purezza negli atti e nei pensieri è sempre rimasta intatta. Chi non sa che sono rimasta nella casa di Ravana perché costretta?”

Ma non c'era molto da discutere. Rama la guardava con occhi pieni d'amore ma fermo nei principi che erano il filo conduttore della sua esistenza. E Sita capì che doveva dare la prova della sua purezza. O mai più vedere Rama. Si rivolse a Lakshmana.

“Prepara una pira,” gli chiese. “Io sono casta e pura e senza la minima macchia: entrerò in quelle fiamme. Una donna veramente casta non può essere toccata neanche dal fuoco. Se Agni  mi risparmierà vorrà dire che sono sempre rimasta fedele a mio marito e che non ho mai pensato a nessun altro. Se invece morirò, quella sarà la prova della mia infedeltà.”

Rama non disse nulla. Il suo volto era immobile. A malincuore, secondo il desiderio di Sita, Lakshmana preparò una pira e vi appiccò il fuoco. Dopo aver offerto rispetti a suo marito e agli dei, Sita vi entrò con decisione. La folla gridò, creando un tumulto che scosse la città.

Mentre Sita era avvolta dalle fiamme, Rama sembrava di pietra; non si muoveva, non diceva niente, guardava il fuoco e pensava. E in quel momento, all'improvviso, si udirono delle voci celestiali: e i Deva con Brahma a capo apparvero davanti a tutti.

“O Rama,” disse Brahma, “perché ti stai comportando come se voi foste comuni mortali? Tu sai che tutti noi siamo tuoi subordinati e che la tua essenza spirituale pervade la creazione intera. Non fare questa ingiustizia a Sita, che è la più casta delle donne.”

Rama sembrava stupito da quelle parole.

“O creatore dell'universo,” chiese Rama con umiltà, “io sono Rama, il figlio di Dasaratha, e per nascita sono un uomo. Ciò che mi stai dicendo mi sorprende. Allora chi sono veramente io? Qual è la mia vera identità?”

“Tu sei l'incarnazione del Signore Supremo Narayana,” rispose Brahma, “il Dio glorioso che tiene in mano il disco Sudarshana. Tu sei l'eterno e invincibile Signore Vishnu, che è eternamente trasportato da Garuda. Tu appari in innumerevoli incarnazioni per proteggere i tuoi devoti e distruggere gli empi. E mediante esempio personale stabilisci gli eterni principi della religione e del comportamento umano.”

Così Brahma svelò pubblicamente la vera identità di Rama. E appena Brahma ebbe terminata la sua preghiera, Agni emerse dalle fiamme con Sita accanto a sé.

“Davanti a tutti testimonio che Sita è pura e incontaminata,” proclamò il Deva del fuoco.

Rama prese gioiosamente Sita per la mano e le sorrise. Sita pianse per la felicità.
 


88
Rama rivede suo padre

Fra i Deva c'era anche Shiva. Facendosi avanti, si rivolse al glorioso re.

“O Rama, grazie a te il crudele Ravana è stato ucciso e questo ha restituito la serenità a tutti i popoli. Qui, fra di noi, c'è tuo padre, Dasaratha, che stava solo aspettando il completamento del periodo promesso a Kaikeyi per accedere ai pianeti celesti. Il tempo oggi è terminato. Dasaratha tornerà con noi nei pianeti delle gioie che ha ben meritato.”

A quelle parole Rama guardò meglio tra i numerosi esseri celesti che erano di fronte a lui e scorse Dasaratha. Rama e suo fratello gli offrirono rispettosi omaggi.

“Mio caro figlio,” gli disse Dasaratha, “grazie alla tua rettitudine ora io posso raggiungere i pianeti dove la vita è lunga e gioiosa. Chi ha un figlio come te è davvero fortunato.”

Indra sorrideva a Rama.

“O Indra,” gli chiese Rama. “Se uccidendo Ravana ti ho soddisfatto, per favore, restituisci la vita ai Vanara caduti sul campo di battaglia.”

Il re dei Deva acconsentì. In quel giorno di gioia suprema tutti festeggiarono e furono immensamente felici.
 


89
Il ritorno ad Ayodhya

Rama aveva promesso al padre di restare in esilio per quattordici anni. Il tempo era quasi scaduto, e Rama si preparò a tornare ad Ayodhya. Salì sul carro Pushpaka, che era stato di Ravana e prima ancora di Kuvera. Prima della partenza, Vibhisana onorò i Vanara con ricchi doni. Poi partirono. Rama invitò a salire sul carro Sugriva, lo stesso Vibhisana che aveva manifestato il desiderio di accompagnarlo e altri Vanara. Poi la partenza, verso la tanto agognata Ayodhya.

Mentre il carro sorvolava i luoghi che avevano visto lo svolgersi dei diversi avvenimenti, Rama raccontava tutto a Sita: gli additò il campo di battaglia, il luogo dove Hanuman era atterrato, l'oceano attraversato con un balzo da Hanuman e via dicendo. Dopo qualche ora sorvolarono l'eremo di Bharadvaja, e Rama volle andare a salutare il grande saggio.

Felice di rivederli dopo il successo della loro missione, il saggio benedisse Rama e tutti gli altri, che risalirono sul carro e ripartirono.
Quando Ayodhya fu vicina, Rama chiese ad Hanuman di andare avanti per avvertire Bharata del loro arrivo. Il glorioso Vanara entrò nella città e incontrò Bharata.

“O principe, ti porto una buona notizia. Tuo fratello Rama, sua moglie Sita e il virtuoso Lakshmana stanno arrivando. Non sono molto lontani da qui e domani l'incontrerai.”

Bharata non credeva alla meravigliosa notizia. Fuori di sé dalla gioia, riempì Hanuman di ricchezze e chiese notizie di Rama. Hanuman si sedette e raccontò tutta la storia, della quale Bharata era completamente all'oscuro.

Lo stesso giorno la città venne pulita, profumata e preparata per il ritorno di Rama, e dopo aver dato le necessarie disposizioni Bharata volle partire per andare ad incontrare Rama nell'accampamento. E quando i due fratelli si rividero, gioirono e si abbracciarono con trasporto.

Il giorno dopo Rama, che desiderava tornare nello stesso carro in compagnia di Bharata, chiese al carro celestiale Pushpaka di tornare da Kuvera. Dopo poche ore, nel momento esatto in cui terminarono i quattordici anni di esilio, Rama rientrò nella sua capitale.
 


90
Rama re di Ayodhya

Appena furono entrati nella sala reale, Bharata giunse le mani in segno di obbedienza e invitò Rama a sedersi sul trono reale. Dopo che fu seduto gli parlò di fronte a tutti.

“Tu mi affidasti questo regno per le ragioni che tutti conosciamo. Ma ti spetta di diritto. Ora che hai mantenuto la promessa fatta a nostro padre passando quattordici anni della tua vita nella foresta, ti prego, riprendi la guida del regno.”

Rama sorrise ed accettò. Avendo ritrovato il suo regno, Rama fu incoronato e sfilò in processione per le strade della città. I cittadini di Ayodhya, che lo rivedevano dopo tanto tempo, lo acclamarono con entusiasmo. Tutti sembrarono aver ritrovato nuova vita. Tutti furono contenti del ritorno di Rama.

Dopo pochi giorni Rama congedò i suoi cari amici Sugriva, Vibhisana, Hanuman e tutti gli altri, che a malincuore partirono.
 


91
Epilogo

Rama governò il regno di Ayodhya per undicimila anni e le glorie di quel periodo sono descritte nel Ramayana di Valmiki. La gente non conosceva malattie, sofferenze o miserie: tutti furono felici per tutta la vita. Nessuno mai ebbe da lamentarsi e il cibo fu sempre abbondante. E neanche gli animali soffrirono sotto il regno di quel re santo. Durante il suo regno nessuno parlava di niente altro che delle glorie di Rama.

Il Ramayana di Valmiki consiglia a coloro che desiderano trovare la prosperità nella vita di ascoltare e recitare i racconti delle gesta del Signore con regolarità, in particolare quando narrate da persone sagge dal cuore completamente purificato.

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