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Cultura


CINEMA

Il cinema cinese dopo il 19781
di Giorgio Mantici

in Associazione Italia-Cina, Le riforme del 1898 e del 1978 in Cina. Atti del Convegno, Roma, Associazione Italia-Cina, c1999

Chiunque si accinga a studiare la produzione cinematografica della RPC negli ultimi due decenni, non può non rimanere colpito da un tratto che immediatamente risulta evidente: la straordinaria opera di riforma nel concepire un nuovo modo di fare cinema, un nuovo modo di rivolgersi al pubblico, è stato messo in essere da un gruppo di compagni di scuola, per lo più coetanei, che ha saputo sfruttare a proprio vantaggio e in modo intelligente, pronto e spregiudicato una serie di congiunture politiche, sociali, economiche e culturali prodotte, a partire dal 1978, dal processo di trasformazione della società cinese voluto da Deng Xiaoping.

Proprio in quell'anno vengono riaperte le iscrizioni ai corsi dell'Istituto di Cinematografia di Pechino. Una delle peculiarità di questo istituto è che il reclutamento degli studenti non avviene su base annuale - come nelle altre università e istituti di istruzione superiore -, ma su base quadriennale: vale a dire per l'intera durata dei corsi, dall'iscrizione al conseguimento del diploma. Nel 1982 escono pertanto i primi diplomati dopo la Rivoluzione culturale che rappresentano la "Quinta generazione" di cineasti formatisi nell’Istituto di cinematografia di Pechino dall’anno della sua fondazione, 1956.

Questi giovani trentenni, la Quinta generazione come vengono chiamati e identificati, riescono immediatamente a trovare lavoro qualificato nell' industria cinematografica cinese come registi, direttori della fotografia, scenografi e costumisti senza dover passare attraverso anni, molto spesso decenni, di ulteriore apprendistato come assistenti, aiuto-operatori, aiuto-registi ecc., cosa questa che si era verificata per i cineasti delle generazioni precedenti. Nella prima metà degli anni ottanta la produzione cinematografica cinese conosce un boom senza precedenti a cui si aggiunge la rapida crescita della produzione televisiva, questi due fattori portano alla relativa facilità per i giovani cineasti di trovare immediatamente lavoro. In quegli stessi anni si assiste alla nascita di una miriade di piccoli studi cinematografici regionali, dinamici e ben disposti ad utilizzare i talenti professionali della Quinta generazione. È il caso, per esempio, dello studio cinematografico del Guangxi a cui erano stati assegnati tre diplomati della Quinta generazione: il regista Zhang Junzhao, il direttore della fotografia Zhang Yimou e lo scenografo e costumista He Qun. Nel 1984 questo studio produce il primo film opera di cineasti della Quinta generazione. Si tratta di Uno e Otto (Yige he Bage), un film piuttosto inusuale che racconta la vita in un campo di prigionia cinese durante la guerra antigiapponese. Tuttavia non è tanto la storia in sé a stupire e insospettire sia le autorità censorie prima e il pubblico poi, quanto piuttosto il modo in cui la storia viene visivamente narrata; oltre tutto i "buoni", i soldati comunisti, non sembrano poi tanto "buoni" e i "cattivi" – cinesi finiti nel campo per svariati motivi – non sembrano poi tanto "cattivi". Oltre a ciò la fotografia di Zhang Yimou veste le immagini di colori inquietanti e fortemente espressivi assai lontani dai modelli abituali della cinematografia cinese. L'Ufficio cinematografico di Pechino – vale a dire l'ufficio preposto alla concessione del visto di censura per i film – sente odore di zolfo e pretende tagli e modifiche perché il film possa circolare nelle sale cinematografiche; il film viene dunque tagliato in varie parti, alcune scene vengono rigirate e viene cambiato il finale e non viene concesso comunque il visto per essere esportato. Uno e Otto ottiene un buon successo di pubblico contro ogni aspettativa: è l'inizio della 'nuova ondata' del cinema cinese.

Che cosa dunque era successo? È mia opinione che una risposta possibile la si trovi in un saggio del 1927 di Edward Morgan Forster che affronta gli "Aspects of the novel":

We have defined a story as a narrative of events arranged in their time-sequence. A plot is also a narrative of events, the emphasis falling on causality. 'The king died, and then the queen died' is a story. 'The king died, and then the queen died of grief' is a plot. The time-sequence is preserved, but the sense of causality overshadows it. (....) This is a plot with a mystery in it, a form capable of high development. It suspends the time-sequence; it moves as far away from the story as its limitations will allow. Consider the death of the queen. If it is in a story we say: 'And then?' If it is in a plot we ask : "Why?" That is the fundamental difference between these two aspects of the novel. A plot cannot be told to a gaping audience of cave-men or to a tyrannical sultan or their modern descendant the movie public. They can only be kept awake by 'And then - and then -' they can only supply curiosity. But a plot demands intelligence and memory also. 2

La rottura con il passato, la rottura con il cinema cinese prodotto dalla Liberazione in poi, è probabilmente tutta qui: il rifiuto da parte dei cineasti della Quinta generazione, fin dall’esordio, di continuare ad operare come una sorta di Shéhérazade marxista-leninista che racconta storie edificanti e ad alto contenuto pedagogico, sempre politically correct – vale a dire cinghia di trasmissione della linea politica del momento 3 – ad un pubblico che, nelle parole di Forster, chiede con la bocca spalancata 'E poi, e poi', per diventare un narratore nuovo che al pubblico chiede (anche) attenzione, intelligenza, memoria e, forse, complicità ...

Il passo successivo verso il fiorire, per anni inarrestabile, dei film della Quinta generazione è l'invito rivolto da Zhang Yimou al suo compagno di corso Chen Kaige (che dal diploma in poi era rimasto a Pechino dove aveva lavorato come aiuto-regista del più anziano Huang Jianzhong) a fare domanda alle autorità degli Studi cinematografici di Pechino a cui era stato assegnato, per essere trasferito agli Studi cinematografici del Guangxi. Gli Studi di Pechino furono ben contenti di sbarazzarsi dell'irrequieto Chen Kaige e questi approda nel Guangxi. Il risultato di questo trasferimento è un film perturbante, imbarazzante - non solo per le autorità - e di straordinaria potenza visiva: Terra gialla (Huang Tudi, 1984).

L'importanza di questo film nella storia della cinematografia cinese è paragonabile a ciò che significarono nell'Italia democristiana del dopoguerra film come Roma città aperta di Rossellini (1945, Palma d'oro a Cannes nel 1946), Sciuscià di De Sica (1946, Oscar miglior film straniero, in Italia incassò 56 milioni di lire) e La terra trema di Visconti (1948), o a ciò che significarono nella Francia gaullista della fine degli anni cinquanta film come Ascenseur pour l'échafaud (1957) di Malle, Les 400 coups (1959) di Truffaut e A bout de souffle (1960) di Godard.

Gli autori sono: Chen Kaige regista, Zhang Yimou direttore della fotografia e He Qun scenografo e costumista. Il segno più evidente della strategia narrativa di Chen in Terra gialla è l'ambiguità. Alla ambiguità strettamente narrativa delle storia - ancora una volta i "buoni", siano essi i contadini o il soldato dell'Ottava armata di strada protagonista, non sono i soliti "buoni" tutti d’un pezzo, la "rivoluzione" non porta ad automatici cambiamenti in meglio della realtà contadina feudale, i contadini sono assai più radicati nella loro cultura fatta di ritualità feudale di quanto la vulgata ufficiale vorrebbe e soprattutto la vita nelle campagne cinesi (siamo alla fine degli anni trenta) è vista e rappresentata fuori da qualsiasi sentimentalismo "positivo" e in qualche modo "progressista" ...

Zhang Yimou, come direttore della fotografia, riesce a creare dei colori naturali mai visti prima su uno schermo cinese, a tal punto che quando Chen Kaige ebbe modo di visionare la prima copia stampata del film, fu talmente colpito dalla luce giallo ocra che Zhang Yimou era riuscito a produrre, che decise di cambiare il titolo originale del film (L'antica pianura silenziosa, Gu yuan wu sheng) in Terra gialla. Altro motivo di stupore è riservato dai movimenti di macchina mai utilizzati prima di allora: campi lunghi assolutamente privi di profondità di campo, lenti e affascinanti piani sequenza, un montaggio assai elementare e pertanto lontano dalla tradizione sovietica ereditata dal cinema cinese. La presenza fisica del vuoto dovuta all'assenza di profondità di campo con cui sono rappresentati i paesaggi loessici del nord dello Shaanxi sembrano riprodurre con determinata sapienza i rotoli dipinti secondo la tradizione daoista.

Alla fine del 1984 il film esce nelle sale – sfuggendo non si sa come alla censura che pure non aveva risparmiato Uno e Otto, ottiene un non trascurabile successo di pubblico e viene presentato in concorso a cinque festival cinematografici stranieri (Hong Kong, Hawai, Nantes, Locarno) dove ottiene premi in tutti e cinque i festival.

L'impatto è tale soprattutto tra gli addetti ai lavori che nel 1986 viene pubblicato un volume dalla Casa editrice cinematografica di Pechino, a cura di Chen Kaiyan, dal titolo Note e discussioni a proposito di Terra Gialla (Hua Shuo Huang Tudi). Chen Kaige diventa il portabandiera ufficiale della Quinta generazione. ma è solo l’inizio ...

Un passo indietro. Una figura fondamentale nella storia della messa in moto della nuova ondata nel cinema cinese operata dai cineasti della Quinta generazione è il regista e organizzatore culturale Wu Tianming. Rappresentante di punta della generazione più anziana, regista di non comune talento, nel 1983 viene nominato direttore degli Studi cinematografici di Xi'an. Wu, in tale veste, dimostra un'assoluta generosità nei confronti dei suoi giovani colleghi, tanto da trasformare gli studi di Xi'an negli anni della sua direzione (1983-1988), in un centro di produzione di film della Quinta generazione. In un suo film Vecchio pozzo (Lao Jing, 1987) utilizza Zhang Yimou non solo come direttore della fotografia, ma anche come attore nel ruolo di protagonista; produce film notevoli e coraggiosi come Ladro di cavalli (Daoma zei, 1986) di Tian Zhuangzhuang, L'incidente del cannone nero (Heipao shijian, 1985) di Huang Jianxing, il secondo film di Chen Kaige Il re dei bambini (Haizi wang, 1986) e soprattutto dà la possibilità di esordire come regista a Zhang Yimou, di cui produce Sorgo rosso (Hong gaoliang, 1988). Sorgo rosso è tratto dal primo dei cinque libri che compongono il romanzo di Mo Yan dal titolo quasi identico, Il clan del sorgo rosso (Hong gaoliang jiazu, 1986), che, sebbene accolto in modo controverso dalla critica ufficiale, ha guadagnato al giovane autore (classe 1955) una notevole popolarità e un posto di riconosciuto rilievo nella corrente letteraria della "ricerca delle radici" che in quegli anni si andava affermando.

Zhang Yimou si impossessa della storia per dipingere sullo schermo il più visualmente oltraggioso affresco fino allora apparso nel cinema cinese. Come già aveva fatto in Terra gialla in qualità di direttore della fotografia, qui ha la possibilità di incidere in modo ancora più radicale sulla strategia narrativa e visiva per raccontare soprattutto con le immagini e con il colore una storia di violenza, sesso e potere, azzerando tutte le convenzioni (non solo) estetiche che avevano fino ad allora regolato la narrazione cinemato-grafica cinese. Come era riuscito a vestire i meravigliosi paesaggi dello Shaanbei di una luce ocra indimenticabile, il rosso è inevitabilmente il colore che qui scandisce la narrazione: il rosso del vestito della sposa, il rosso del campo di sorgo dove per la prima volta su uno schermo cinese si vedono un uomo e una donna fare l’amore con passione e reciproco piacere (e non sono marito e moglie), rossi sono i tramonti struggenti, rosso è il colore del vino prezioso che dal sorgo viene distillato, rosso è il sangue che copiosamente viene versato nel corso della storia ...

Come ha notato un attento critico cinese:

 

For some Chinese, watching Red Sorghum could almost be a traumatic experience. Strikingly rough, forthright, rugged, bold and unrestrained both stylistically and morally to Chinese tastes, the film is a shocking affront to many cherished and received formulae of Chinese cultural praxis; to the deep-rooted Confucian ethical and moral codes of sobriety and decorum; to the ingrained artistic codes favouring strategies of concealment and restraint; and to the aesthetic taste which priorities emotional delicacy and refinement. Never before has the medium of Chinese cinema been so unquestionably given over to the countenancing containment of an unbridled and abandoned manner of life and visual wantonness and crudity. 4

 

Il fatto più sorprendente è che nonostante la novità, la brutalità, il sesso esplicitamente mostrato, la violenza, Sorgo rosso, è il primo film della Quinta generazione a riempire le sale cinematografiche cinesi, a trasformarsi in un grandioso successo commerciale in Cina e all'estero. Oltre tutto, è il primo film cinese tout court a vincere un premio internazionale di grande prestigio: l’Orso d’oro al festival di Berlino del 1988.

Tutto ciò provoca non poco imbarazzo nei circoli cinesi "ufficiali" che attaccano il film non solo per la sua prorompente brutalità, ma per la maliziosa e furbesca volontà da parte di Zhang Yimou di compiacere i gusti del pubblico straniero col mostrare una Cina "incivile e selvaggia" (anche se prima dell'avvento del comunismo) attraverso uno stile "che si compiace di crudezze visive e morali" 5.

Non solo. Una critica che verrà ripetuta anche per i successivi film di Zhang Yimou – soprattutto per Judou del 1990 e Lanterne rosse (Da hong denglong gao gao gua) del 1991 – è che essi infrangono un vero e proprio tabù estetico-sociale prima che politico, che regola l'agire sociale prima ancora che una possibile prassi culturale. Tale tabù è espresso dal detto: "Jia chou bu ke wai yang", che alla lettera significa grosso modo: "le cose sporche della casa non si mostrano all’esterno", e che potremmo rendere con il nostro detto: "i panni sporchi si lavano in famiglia". L'assunto pertanto è che le cose sporche nella famiglia ci sono inevitabilmente, ma il problema è non portarle fuori dalla famiglia, soprattutto non esporle alla vista degli stranieri.

Ebbene, molti di voi lo ricorderanno di certo. La stessa critica veniva fatta ai film del neorealismo italiano da parte dei governi democristiani dell'Italia degli anni cinquanta. Anche allora, sia di fronte a un nuovo modo di rappresentare attraverso il mezzo cinematografico la realtà sociale contemporanea (Rossellini, De Sica), sia di fronte al ripensare in modo anticonformista e fuori dai cliché ricevuti alla propria storia (Senso di Visconti, 1954), quei cineasti venivano rimproverati (e pesantemente censurati) dall'allora sottosegretario allo spettacolo Giulio Andreotti di lavare i nostri panni sporchi davanti agli stranieri ...

Io credo che la Quinta generazione, Zhang Yimou più di tutti gli altri compagni di avventura, con grande capacità e intelligenza nel giocare con i codici culturali e i cliché estetici, abbia saputo portare sullo schermo tutto ciò che la cultura ufficiale ortodossa (maoista prima, comunista-liberista poi), aveva rimosso – in senso strettamente psicoanalitico – dallo schermo nel nostro caso e dalla produzione culturale in generale: il desiderio, la passione amorosa, il sesso, l'individualità slegata finalmente da un comportamento sociale confucianamente corretto, il diritto ad una felicità possibile ora e subito. Infine:

Red Sorghum and many other culturally specific texts do not reflect the appearances of a culture; they mirror what the actual cultural landscape lacks. They reflect fantasies and imagined memories - that which society expels. Any attempt to picture the Chinese cultural scene from this film requires an imaginative approach - in the same way one infers an image from a film negative. 6

 

 NOTE

 

Nota 1: L'argomento di questo saggio è, per forza di cose, meno esaustivo di quanto il titolo prometta. Vengono infatti affrontati e discussi gli inizi del nuovo corso del cinema cinese (a partire dalla prima metà degli anni '80) in relazione soprattutto ai due registi di punta della "Quinta generazione": Zhang Yimou e Chen Kaige.

Nota 2: E. M. Forster, Aspects of the novel, Penguin Books, 1990, p. 87.

Nota 3: Maestro indiscusso del cinema sempre politicamente corretto è il decano dei cineasti cinesi, Xie Jin (classe 1924), attivo nell'industria cinematografica cinese a partire dalla fine degli anni '40. Cineasta di straordinario talento, maestro insuperato (e insuperabile) del melodramma politico è sempre riuscito a fare film (spesso) bellissimi e sempre allineati alla politica del momento, cosa questa che gli ha procurato non pochi problemi nei periodi di turbolenza politica quando la linea politica del momento mutava con rapidità imprevedibile. Naturalmente Xie Jin è il padre amato-odiato (e alla fine ucciso, almeno simbolicamente) dei cineasti della Quinta generazione. Sulla produzione degli ultimi due decenni di Xie Jin, rimando al saggio di Ma Ning, Spatiality and subjectivity in Xie Jin's Film melodrama of the new period, in N. Browne, P. G. Pickowicz, V. Sobchack, E. Yau (eds.), New Chinese Cinemas. Forms, Identities, Politics, Cambridge University Press, 1994, pp. 15-39.

Nota 4: Yuejin Wang, Red Sorghum. Mixing Memory and Desire, in Chris Berry (ed.), Perspective on Chinese Cinema, London, BFI Publishing, 1991, p. 80.

Nota 5: Le critiche alla poca cinesità dei film di Zhang Yimou - la presunta mancanza di concretezza - hanno avuto un araldo per lo meno imprevedibile in Acheng, che arriva a scrivere banalità come ".... il cinema cinese fin dalla sua nascita ha espresso lo spirito concreto della cultura cinese ..." e riguardo a Lanterne rosse liquida il film con un paragone di sicuro imbarazzante nella sua disarmante inutilità: "Il mese scorso ho rivisto un film cinese degli anni Venti, La dea, perché volevo fare un confronto con Lanterne rosse. Il risultato è stato che La dea, film muto in bianco e nero, mi ha commosso, mentre Lanterne rosse, sonoro e a colori, non mi ha convinto. Il cinema cinese ha perso la capacità di intuire lo spirito concreto" (in "La Repubblica", 28 settembre 1992, trad. Maria Rita Masci).

Una studiosa di origine cinese, Rey Chow, in un libro magnifico fin dal titolo provocatorio e incantatore (Primitive Passions. Visuality, Sexuality, Ethnography, and Contemporary chinese Cinema, New York, Columbia university press, 1995), nel prendere in esame tre film "etnografici" di Zhang Yimou - quelli con poca "concretezza cinese" appunto: Sorgo rosso, Lanterne rosse e Judou - afferma tra l'altro: "In many respects, these three films can be described as constituting a new kind of ethnography. The first element of this new ethnography is that it presents the results of its 'research' in the form not of books or museum exhibits but of cinema. Zhang's films have become a spectacular and accessible form of imaginative writing about a "China" that is supposedly past but whose ideological power still lingers. While many of the ethic customs and practices in Zhang's film are invented, the import of such details lies not in their authenticity but in their mode of signification. Such import makes up the second major element of the newness of Zhang's ethnography: the use of things, characters, and narratives not for themselves but for their collective, hallucinatory signification of 'ethnicity'". (Op. cit., pp. 143-44). Ciò che con tanta acutezza ha colto Rey Chow nel passo appena citato, troverà una clamorosa conferma nella messa in scena da parte di Zhang della Turandot di Puccini per il Maggio musicale fiorentino nel 1997. In questa occasione Zhang va persino oltre una etnografia inventata a servizio di una potente strategia narrativa e visiva, riuscendo a costruire una chinoiserie finalmente cinese come mai si era vista su un palcoscenico: per la prima volta abbiamo avuto esperienza di cosa possa essere un "orientalismo" (nell'accezione del famoso saggio di Said) di un orientale in termini di invenzione visiva e capacità affabulatoria.

Nota 6: Yuejin Wang, op. cit., p. 101.