FILOSOFIA
Il Tao della
filosofia
di Giangiorgio
Pasqualotto
L'Associazione
Italia-Cina è lieta di pubblicare il primo capitolo per gentile
concessione dell'autore e della casa editrice Il Saggiatore
Capitolo primo
Il Tao della physis:
Eraclito e il taoismo
Cliccando qui, le note appariranno
in una finestra indipendente
Di Eraclito si narra che attaccò
gli Efesii che avevano mandato in esilio l'amico Ermodoro dicendo
loro: "Gli Efesii, dai giovani in su, dovrebbero tutti
impiccarsi per quello che è il loro merito e lasciare la
città ai fanciulli" 1.
Si racconta poi che "alla
fine, preso dal fastidio degli uomini, se ne andò a
vivere sui monti nutrendosi d'erba e di piante selvatiche"
2. Antistene, inoltre, ricorda che Eraclito rinunciò al regno
in favore del fratello 3.
Questi tre fatti: apologia della
fanciullezza, ritiro dalla vita pubblica, rinuncia al potere,
segnano anche la vita e i discorsi dei saggi taoisti. Nel Tao
Tê Ching la figura del bambino come prototipo di saggezza
viene usata più volte e viene ripresa anche nel Chuang Tzu
4.
Nel Chuang Tzu troviamo
anche un'indicazione per il ritiro dalla vita sociale: "Per
chi vuole evitare di prendersi cura della forma nulla di meglio
che rinunciare al mondo. Rinunciando al mondo è privo di legami,
essendo privo di legami è corretto ed equilibrato, essendo
corretto ed equilibrato consente alla forma di rinnovarsi,
rinnovandosi tocca il limite dei suoi giorni" 5. In questo
passo emerge anche il senso profondo della fuga dal vivere
"civile": essa infatti non è un puro e semplice
abbandono, una rinuncia dettata soltanto dal risentimento, ma è
un movimento di purificazione, un esercizio di áskesis, al
fine di spezzare i legami della "forma", ossia le
catene imposte da ruoli stereotipati, da rapporti di valore e di
potere prestabiliti, da convenzioni valide solo perché iterate.
Il quadro generale, in cui questa rinuncia alla vita comunitaria
va inserita, è pertanto definito dalle parole: "Per l'uomo
sommo non esiste l'io, per l'uomo sovrannaturale non esiste il
merito, per l'uomo santo non esistono nomi". E chiaro
allora il motivo per cui Chuang Tzu può affermare che "gli
uomini santi si vergognano di governare" 7 : non perché in
generale "la politica è sporca", ma perché in alcune
circostanze storiche essa è praticata da uomini per i quali
esiste solo il loro io, da persone che agiscono solo per
acquistare "meriti" in forma di denaro o di gloria,
ossia da individui che vivono "in nome di" qualcosa o
qualcuno, e che considerano i nomi, le forme, le etichette delle
cose come la verità delle cose. I saggi taoisti, al pari
di Eraclito, non abbandonano la convivenza sociale e la vita
politica sulla base di una motivazione ontologica o metafisica,
ma perché, ad un certo punto, quando dominano i signori dell'io,
i fanatici del merito, i drogati dai nomi, la socialità e la
politica diventano invivibili: Eraclito, allora, va al tempio a
giocare agli astragali coi bambini perché i suoi concittadini,
gli Efesii, hanno esiliato Ermodoro, il Migliore; e i saggi
taoisti si ritirano sui monti o in luoghi apportati quando la
violenza feudale uccide la "Virtù della Vita comune" (shih
wei thung tê) 8. Tuttavia Chuang Tzu mette in guardia contro
un pericolo assai comune, per il quale chi si ritira a vita
nascosta rischia sempre di comportarsi ancora in base ai valori
dell'io, del merito, del nome: "Aguzzare l'ingegno per
rendere nobili le azioni, abbandonare il mondo per diversificarsi
dal volgo, parlar alto per disapprovare astiosamente: lo si fa
solo per mettersi al di sopra. Questo è quel che amano i
letterati che si ritirano sui monti e nelle forre, gli uomini che
disapprovano il mondo; destinati agli alberi secchi e alla corsa
verso l'abisso" 9.
Vi è infine un'altra analogia tra
il comportamento di Eraclito e quello dei saggi taoisti:
l'esercizio del consumo minimo, l'áskesis contro lo
spreco. Narra Temistio che gli Efesii, pur assediati dai
Persiani, non riuscivano a por freno ai loro sprechi: a
testimoniare che si può vivere con poco, Eraclito prese un.po'
di farina d'orzo, la intrise d'acqua e si mise a mangiarla 10. E
Chuang Tzu racconta che il saggio taoista Shih nan tzu visse
conforme a queste parole: "Rendi minimi i tuoi consumi e
scarse le tue brame ed anche senza provviste avrai a
sufficienza" 11.
Il confronto tra Eraclito e i
saggi taoisti non interessa tuttavia né soltanto né in primo
luogo gli aspetti biografici: anzi, interessa soprattutto i
contenuti filosofici degli scritti che il pensatore greco e i
saggi cinesi ci hanno lasciato. Un primo confronto riguarda i
concetti di physis e di Tao. Contro la legittimità
di questa prima e fondamentale analogia si potrebbe obiettare
che, propriamente, Tao non significa "Natura", che in
cinese si rende piuttosto con Tzu jan. Si può rispondere
ricordando che Tzu jan significa letteralmente
"ordine spontaneo" e che, proprio in tale accezione, si
avvicina molto al significato di Tao che di solito viene
tradotto con "via", ma che, con maggior rigore,
andrebbe tradotto con "ordine della natura", come ha
suggerito Needham 12. "Ordine della natura" che, però,
non va inteso quale sinonimo di "struttura statica", di
"schema" d ella natura, né come insieme delle leggi di
natura, ma piuttosto come ciò che fa essere ciascuna cosa,
ciascun fenomeno e le infinite combinazioni di cose e fenomeni,
così come sono. In questo "fa essere" non v'è traccia
di un rapporto creazionistico: il Tao "veste e nutre le
creature ma non se ne fa signore" 13 e "le fa vivere ma
non le tiene come sue" 14. Il Tao è dunque l'ordine immanente
della natura, l'infinita forza creativa/distruttiva, ossia
trasformatrice, della natura: si potrebbe dire sinteticamente che
esso si identifica con la potenza generale della natura,
assumendo "potenza" nell'accezione più vicina al senso
etimologico originario di potentia, derivato da potis
esse, esser capace. Ma Tao è termine che indica anche
la natura propria, specifica, di ogni ente o insieme di enti,
ovvero la qualità intrinseca di ogni fatto o insieme di fatti.
In tal senso si potrebbe dir e che Tao si identifica con Tê
che indica "virtù" non secondo un'accezione
moralistica di "comportamento adeguato ad una norma
etica", ma secondo un'accezione "biologica" che
rende meglio il significato originario di virtus, di
"capacità". Pertanto il Tao non è soltanto ciò
che fa essere ogni cosa quella che è, ma anche il modo
d'essere di ogni cosa: esso non è soltanto "il grande
Tao" 15, il Tao come potenza generale, ma è,
contemporaneamente, il Tao come potenza particolare, quello che
fa sì che il cielo non si squarci, che la terra non si fenda,
che la valle non si inaridisca, che le creature non si spengano,
16, quello che fa sì che "un trave può aprire una breccia,
ma non può otturare un buco" 17. Usando una terminologia
cara alla più vieta scolastica filosofica si dovrebbe dire a
questo punto che il Tao è contempor aneamente - ergo
paradossalmente - Uno e molti, Universale e particolare, Generico
e specifico, Trascendente e immanente. Ma, proprio dove la
scolastica filosofica occidentale separa e definisce sulla base
di opposizioni, sono da cercare, nelle differenze, le ragioni e
le forze delle connessioni: per quanto riguarda il Tao, allora,
appare chiaro che ogni cosa, realizzando se stessa, segue il
proprio Tao e, seguendo il proprio Tao, realizza il "grande
Tao". In un famoso aneddoto taoista il cuoco Ting dice al
principe Wen-hui che si meraviglia per la sua abilità nello
squartare un bue: "Ciò che il suddito ama è la via [ ...]
La preferisce all'abilità. Quando il suddito cominciò a
squartare buoi non vedeva altro che il bue, dopo tre anni già
non vedeva più il bue intero, oggi lo considera con lo spirito
non lo guarda cogli occhi. Mi astraggo dalla conoscenza dei sensi
e procedo secondo la volontà dello spirito, attenendomi ai
principi natural i: attacco i grandi interstizi e m'apro una via
nelle grandi cavità, seguendone il corso naturale" 18. Ciò
significa che seguendo quello che, malamente, si potrebbe
definire "Tao dell'oggetto", ossia seguendo "il
corso naturale" degli interstizi e delle cavità, il cuoco
realizza il "grande Tao"; non solo: nel momento in cui
realizza il "Tao dell'oggetto" e il "grande
Tao", il cuoco realizza anche la propria natura,
estrinseca la propria potentia, pratica la propria virtus
o Tê , realizza, insomma, il proprio Tao. In effetti, col
tagliare nel migliore dei modi ossia seguendo la "natura
della cosa" il cuoco realizza anche la propria natura, e,
nell'eseguire queste due "operazioni", ne esegue in
realtà una sola: realizza il grande Tao, cioè "è nella
Via". La grande via non è infatti separata dalle
"vie" particolari: queste non si danno se non c ome
segni di quella, ma quella non esiste se non nell'infinita
varietà di queste. Usando una terminologia tratta dalla migliore
tradizione filosofica occidentale, si potrebbe dire che il
"grande Tao" è la condizione di possibilità per
ciascun Tao particolare: che la grande Via è il
trascendentale di ogni "via" individuale. Nel Lieh
Tzu ciò viene spiegato molto bene, anche senza l'aiuto dei
concetti kantiani. L'autore elenca venti tipi di comportamento
umano, divisi in cinque gruppi di quattro; per ciascun gruppo
dice: "passano insieme nel mondo, ciascuno seguendo la
propria inclinazione e conclude dicendo: "Questi sono i
comportamenti della generalità degli uomini. Non sono identici
per l'apparenza ma sono eguali nella Via, che si riconduce al
decreto celeste" 19.
Ora, di per sé, il grande
Tao non può essere detto o indicato: ciò che appare e che può
essere detto o indicato è il Tao particolare di una cosa o di un
fatto. Il grande Tao, per mantenere la sua qualità di
"condizione di possibilità" per ogni Tao particolare,
deve tenersi nascosto 20 e vuoto 21. Se il grande
Tao si potesse indicare o dire diverrebbe immediatamente un
"piccolo Tao", il Tao di una cosa o di un evento
particolare, il Tao di una parola o di un gesto individuale.
D'altra parte si è visto con l'aneddoto del cuoco Ting che una
cosa e un evento, realizzando il proprio Tao, ossia essendo se
stessi in condizioni di spontaneità, realizzano anche il grande
Tao: ciò significa che quest'ultimo non può esistere se non
nella costellazione infinita delle determinazioni; ciò comporta
che può essere considerato nascosto solo
"astrattamente", cioè solo come deno minatore comune
ricavato dalla molteplicità infinita delle determinazioni.
Quindi il grande Tao: a) non può essere assolutamente palese
perché, per esserlo, dovrebbe determinarsi in qualcosa di
particolare; b) non può essere assolutamente nascosto perché,
se così fosse, non se ne potrebbe parlare e non si potrebbe
nemmeno pensarlo. Riprendendo le famose metafore del vaso, della
finestra e del mozzo contenute nel capitolo XI dei Tao Tê
Ching, si può dire allora che se il Tao come vuoto fosse
assoluto, ossia separato dalle funzioni dei vaso, della
finestra e del mozzo, non esisterebbero né vaso, né finestra
né mozzo; d'altra parte, se il Tao come vuoto si determinasse
completamente nel vaso, nella finestra e nel mozzo, al punto da
identificarsi con questi oggetti e con le loro funzioni, esso non
esisterebbe. E Tao come vuoto è invece condizione di
possibilità di questi oggetti e delle loro funzioni, &e
grave; il loro "trascendentale": in tal senso esso è simultaneamente
universale-trascendente e individuale-immanente, proprio come
l'aria è diffusa, comune, "universale" e,
contemporaneamente, propria del respiro di ogni essere vivente
22. Il Tao non è dunque nascosto come se fosse un Assoluto
trascendente o una divinità separata dal mondo, ma nel senso che
non è immediatamente manifesta la connessione tra
universale e particolare che lo costituisce.
Analogo ragionamento può esser
fatto a proposito del concetto di physis usato da
Eraclito. Per cogliere l'analogia è tuttavia necessario innanzi
tutto sgombrare il campo dagli equivoci che potrebbero sorgere
dalla etimologia privilegiata da Heidegger secondo la quale il
termine physis deriverebbe dalla radice pha- e sarebbe da
ricondursi nell'area semantica di pháino e pháinomai e
dunque ai significati di "mostrare" e
"mostrarsi" 23. Il termine physis deriva in
realtà dalla radice phy- che rimanda ai significati
concentrati attorno al verbo phyo che indica,
transitivamente, l'azione di "nutrire", "far
crescere (qualcosa)" e, intransitivamente, l'attività di
"nutrirsi", "crescere" 24. La Natura, dunque,
è ciò che nutre le cose, che le fa crescere, ma,
contemporaneamente, è anche il modo in cui le cose, nutrendosi,
crescono; ossia, in altri termi ni, essa è anche la "natura
propria" di ciascuna cosa, il suo proprio modo d'essere che
coincide come si vedrà meglio più avanti col proprio modo di
divenire, di trasformarsi, di crescere. Ora, venendo ad
Eraclito, abbiamo un solo frammento in cui esplicítamente si
parla di physis, ed è un frammento tra i più enigmatici:
"La natura ama nascondersi (physis kryptesthai philéi)
25. Alla luce della precisazione etimologica appena ricordata
viene da chiedersi: quale natura ama nascondersi? Quella
generale che nutre ogni cosa, o quella propria a ciascuna cosa, a
cui accenna lo stesso Eraclito nel frammento n. 1? 26. Non troppo
nascosta deve essere questa seconda, dato che la "natura
propria di ciascuna cosa" per lo più appare chiaramente
nell'essere una cosa quella che è e non un'altra . Più incline
a nascondersi in particolare ai tempi di Eraclito in cui le
scienze naturali non avevano fatto grandi passi oltre la soglia
dell'animismo appare la natura in generale, quella Natura
universale che prenderà poi vari nomi: "Leggi di
Natura", "Ordine universale", "Principi di
Natura", ecc. Tuttavia ciò che da sempre risulta più
nascosto, più segreto, più difficile da cogliere e da studiare,
è il fatto che la Natura universale e le nature particolari,
ossia ciò che fa crescere e i modi di ciò che cresce non sono
disgiungibili: ciò che fa crescere non potrebbe darsi senza le
infinite cose che fa crescere, né queste potrebbero esistere
senza quello. Ciò che la natura nasconde non è la sua essenza
universale né i suoi modi particolari, ma il nesso che
lega quella a questi, proprio come, a proposito dei Tao, ciò che
si nasconde non è il grande Tao né il Tao di ciascuna cosa, ma
il nesso tra il primo e il secondo.E un frammento di
Eraclito che aiuta a compre ndere il carattere connettivo della physis:
"Connessioni: intero e non intero, convergente
divergente, consonante dissonante: e da tutte le cose l'uno e
dall'uno tutte le cose" (syllápsies óla kai óla,
sympherómenon diapherómenon, synádon diádon, kai ek pánton
én kai ex enós pánta) 28. L'interessante di questo
frammento non sta tanto nella presentazione del concetto di syllápsis
già di per sé interessante perché, come si vedrà, è
assimilabile a quelli di lógos xunós e di armoníe
aphanés ma sta nel fatto che la connessione è relativa a
coppie di contrari: ciò significa, alla. luce di quanto abbiamo
detto finora, che la Natura universale non è una sostanza
semplice che si determina secondo un andarnento
"verticale", come se essa stesse sotto o sopra
e, in ogni caso, pr ima delle nature particolari, ma
si dispiega "orizzontalmente" nella molteplicità
infinita dei contrari, delle differenze, delle opposizioni. Physis
non è dunque ente metafisico che si incarna ora in questa ora in
quella creatura dell'universo, ma è energia diffusa in
quanto forza che fa crescere, presente in ogni essere vivente: ed
è forza che fa crescere mediante una dinamica differenziale,
attraverso connessioni di contrari.
La forma della syllápsis interessa
la Natura anche per un secondo aspetto o, per meglio dire, ad un
secondo livello: infatti la Natura non è solo energia che
produce enti o eventi mediante connessioni di contrari ma è la
condizione d'esistenza di ogni possibile connessione. La syllápsis,
cioè, non si stabilisce soltanto tra le singole cose
contrarie o tra aspetti contrari di ciascuna cosa, ma anche tra
le cose e ciò che rende possibile ogni syllápsis. Il
frammento di Eraclito, infatti, per spiegare dove agisce la
connessione indica innanzitutto una serie di contrari
("intero non intero, convergente divergente" ecc.) e
specifica poi la relazione tra le cose e l'Uno ("e da tutte
le cose l'uno e dall'uno tutte le cose"): ciò che la Natura
ama nascondere di sé è la capacità di produrre cose ed eventi
secondo la regola dei contrari, ma è anche la relazione
intrinseca tra sé e le co se. Ciò che, in definitiva, la natura
ama nascondere è costituito proprio da queste due modalità di syllápsis:
le connessioni tra le cose che essa continuamente
produce, e la connessione tra le infinite connessioni e se stessa
come energia infinitamente producente. A questo riguardo è
importante che Eraclito affermi "da tutte le cose
l'uno", perché ciò significa che l'uno, la Natura, non è
un ente metafisico che esiste separato dalle cose, nelle quali,
in un secondo momento, si manífesta, ma è un universo
costituito dalle cose stesse.
Tuttavia la Natura non è
riducibile alla somma di tutte le cose: non solo perché non si
dà somma di infinite cose, ma perché la Natura è
condizione d'esistenza delle infinite cose, così come il
numero uno è condizione d'esistenza degli infiniti numeri. Il
"mistero" della connessione di primo livello (tra le
cose) e di secondo livello (tra la Natura e le cose) si chiarisce
ulteriormente se ci si rifà alla metafora taoista del vuoto
usata nel racconto del cuoco Ting: la realizzazione del Tao
nell'arte della macellazione consiste nel saper utilizzare il
contrasto pieno-vuoto, ma anche nel sapere che il vuoto è uno,
comune tanto all'oggetto (il bue) quanto al soggetto (il cuoco)
che si fa vuoto per meglio cogliere e percorrere i vuoti
dell'oggetto. Parimenti la funzione e, quindi, l'esistenza del
vaso, della finestra, del mozzo, è data dalla relazione di
contrasto, dalla syllápsis tra pieno e vuot o, ma, nel
contempo, il vuoto è uno nel senso che è comune condizione di
funzionalità, ossia di esistenza, di ogni cosa.
Analogamente al Tao, la physis è "natura
propria" di ciascuna cosa secondo il modo della syllápsis
dei contrari e, contemporaneamente, è Natura universale in
quanto condizione d'esistenza comune alle infinite cose. Quel
"contemporaneamente" ha evidentemente un valore
radicale: significa che il grande Tao, la natura universale, non è
causa degli infiniti Tao particolari, delle singole
"nature proprie", ma è costituito da essi;
d'altra parte i singoli Tao, le "nature proprie", non
sarebbero senza il grande Tao, senza la Natura universale che le
"nutre". E questo il senso delle parole di
Eraclito "da tutte le cose l'uno e dall'uno tutte le
cose"; senso che si ritrova, identico, nel Chuang Tzu: "le
diecimila creature ed io siamo l'Uno" 29.
Ora, se si prende il capitolo II
del Tao Tê Ching, si può trovare un discorso assai
simile a quello contenuto nel frammento 19 di Eraclito:
"essere e non essere si danno nascita fra loro/ facile e
difficile si danno compimento fra loro/ lungo e corto si danno
misura fra loro/ alto e basso si fanno dislivello fra loro/ tono
e nota si danno armonia fra loro/ prima e dopo si fanno seguito
fra loro" 30. Ciò che importa qui, come nel caso delle
opposizioni indicate da Eraclito (intero-non intero ecc.), non è
la natura dei termini delle opposizioni, ma la qualità del rapporto
di opposizione, ossia la natura della syllápsis: non
si tratta infatti di un contrasto statico, dove i contrari si
fronteggiano nella loro reciproca estraneità, ma di un contrasto
dialettica dove un termine sussiste solo perché sussiste il
termine opposto, dove, cioè, si realizza dinamicamente una complementarità
ontologica. E questo, evidente, il senso dei verso
"essere e non essere si danno nascita fra loro"; senso
che diventa chiarissimo da questo passo del Chuang Tzu che
anticipa di quasi un millennio il centro della dialettica
hegeliana:
Invero ogni essere è altro da
sé, e ogni essere è se stesso. Questa verità non la si
vede a partire dall'altro, ma si comprende partendo da se
stessi. Così è stato detto: l'altro proviene da se stesso,
ma se stesso dipende anche dall'altro. Si sostiene la teoria
della vita, ma in realtà la vita è anche la morte e la
morte è anche la vita. Il possibile è anche impossibile e
l'impossibile è anche possibíle. Adottare l'affermazione è
adottare la negazione; fare propria la negazione equivale a
far propria l'affermazione. Così il santo non adotta alcuna
opinione esclusiva e s'illumina dal cielo. E, anche
questa, una maniera di far propria l'affermazione. Se stesso
è anche l'altro; l'altro è anche se stesso. L'altro ha un
proprio concetto dell'affermazione e della negazione. C'è
davvero una distinzione tra l'altro e se stesso, o non c'è
affatto? Che l'altro e se stess o cessino di opporsi, questo
è il perno del Tao. 31
Si chiarisce allora, alla luce di
questo passo straordinario, anche l'apparente contraddizione tra
il fatto che il Tao è "madre delle diecimila creature"
32 e il fatto che "sembra il progenitore delle
diecimila creature" 33 : il Tao è, certo, ciò che fa
nascere le diecimila creature, ma non come appare
superficialmente ai più secondo il modo di un Sommo Creatore
diverso per natura e superiore per valore rispetto alle creature,
ma come è chiaro al saggio che ne coglie la dinamica nascosta
secondo il modo in cui le "creature" stesse si danno
reciproca nascita, che è il modo della connessione dinamica tra
opposti complementari. Il Tao, come la physis, non è
trascendente rispetto alle cose: è invece la "via ",
il modo in cui le cose esistono e, contemporaneamente, la
condizione per cui esistono; questa "via", questo modo
è, in Eraclito, quello della syllápsis dei contrari e,
nel taoismo, quello della "nascita reciproca" 34. Nulla
meglio della polarità Yin/Yang prototipo di ogni
polarità indica l'impossibilità di intendere il Tao come
qualcosa di trascendente 35. Com'è noto Yin e Yang in
origine designavano, rispettivamente, la parte in ombra e la
parte al sole di una montagna. Ora niente di meglio di questa
esemplificazione empirica mostra che la connessione di
complementarità tra contrari non è disgiungibile
dall'"oggetto" a cui si riferisce: il lato in ombra e
il lato al sole sono inseparabili non soltanto tra loro, poiché
appartengono alla medesima montagna, ma anche dalla montagna
stessa, la quale non può darsi se non avendo un lato in ombra e
uno al sole, così come una giornata non può esistere senza
avere una parte cli giorno e una di notte 36. Quindi Yin e
Yang non sono derivazioni del Tao, ma suoi
costitutivi modi d'essere: anzi, a rigore, si dovrebbe dire
"suo costitutivo modo d'essere", dato che il Tao non si
dà mai soltanto nella forma Yin o soltanto in quella Yang,
ma, sempre, in un nesso di polarità reciproca di Yin
e Yang. Parimenti, i contrari eraclitei non derivano dalla
physis come sue "creature", ma costituiscono,
nella loro reciproca tensione dinamica, il modo di funzionamento
della physis, ossia il suo lógos. Ora proprio il
termine 1ógos denota il modo d'essere e di operare della physis
non soltanto in senso generico, ma in quel senso specifico
che emerge grazie alla mediazione del concetto di syllápsis: infatti
il modo d'essere e di operare della Natura è connotato, come si
è visto, da una serie infinita di connessioni, e il significato
a cui rimanda il termine lógos è proprio
"rapporto", "nesso" 37. Quindi lógos, al
pari di syll ápsis, è termine e concetto che sta ad
indicare il modo d'essere e di operare della physis. Lo
stesso Eraclito sembra voler ribadire un'analogia di fondo tra lógos
e syllápsis, tra l'attività dei emettere insieme",
"legare" (léghein) e quella del
"raccogliere", "riunire" (syllambánein):
nel frammento 6, infatti, sostiene che, dando ascolto al lógos,
"è saggio dire che tutte le cose sono una" 38 ;
ciò equivale a dire che, non appena si comprende il nesso che
lega tutte le cose, si comprende che "da tutte le cose l'uno
e dall'uno tutte le cose" (fr. 19). Nel frammento 7, poi,
Eraclito rafforza ulteriormente il carattere connettivo dei lógos,
dicendo che esso è xynós, "comune" nel
senso di "appartenente ad ogni cosa" 39. Quindi il lógos,
proprio in quanto ness o, connessione, syllápsis,
è xynós, comune a tutte le cose, ossia è ciò che
garantisce la relazione tra tutte le cose. Si è visto peraltro
che tale relazione non è accidentale, non si instaura tra cose
che già esistono indipendentemente da essa, ma è sostanziale,
nel senso che le cose esistono solo perché sono in
relazione di contrasto complementare 40; si è visto anche che
questa relazione di contrasto complementare è il modo d'essere e
di operare della physis. Quindi risulta evidente che la
realtà a cui rimandano i concetti di lógos, xynós,
syllápsis è quella di un operare secondo connessioni che
è proprio della physis.
Se alla Natura è proprio il
connettere che si ritrova al fondo dei léghein, dello xynéin
e del syllambánein, ad essa appartiene anche l'armózein
che sta alla base dell'armoníe di cui parla Eraclito
nei frammenti 26 e 27. Ed è proprio nel frammento 27 che si
trova il miglior commento alle parole "la natura ama
nascondersi": "Armonia invisibile della visibile è
migliore".
Ora, ricordando che alla base di armoníe
sta il verbo armózein che significa
"connettere", "collegare", e che la modalità
costitutiva dell'essere e dell'operare della Natura è proprio il
connettere che si ritrova al fondo di lógos, di xynós
e di syllápsis, si può dire che ciò che la Natura ama
nascondere è la propria struttura e la propria funzione
connettiva.
A questo punto potrebbe sorgere un
problema: se syllápsis, lógos e armoníe indicano
tutti la funzione della Natura di connettere, collegare, riunire,
come si può sostenere che anche il contrario, ossia pólemos,
il conflitto, il contrasto, sia xynós, comune,
secondo quanto Eraclito dice al frammento 15? 41 Innanzitutto si
dovrebbe osservare che, in generale, il conflitto non è che una
forma specifica di relazione, di connessione; ma, in particolare,
si deve far notare che in Eraclito è proprio la tensione che
caratterizza il conflitto a produrre armoníe, come
risulta chiaramente dal frammento 20 ("Non intendono come da
sé discordando seco stesso concordi") e, ancor più
chiaramente, dal frammento 26 ("Armonia che da un estremo
ritorna all'altro estremo come nell'arco e nella lira") e
dal frammento 24: "Ciò che contrasta concorre e da elementi
che discordano si ha la più bella armonia" 42. Il
contrasto, pólemos, tra le estremità che vengono tenute
insieme nella lira e nell'arco, è proprio ciò che consente non
solo il realizzarsi della forma di questi due strumenti,
ma anche e soprattutto il dispiegarsi della loro funzione: senza
contrasto le due estremità non potrebbero stare assieme,
"armonizzarsi", e senza questa
"armonizzazione" di contrari lira e arco semplicemente
non esisterebbero 43. Questa armonìa, proprio perché si fonda
sul conflitto, è invisibile (afanés): l'armonia visibile
si fonda invece su un'omogeneità statica, come nel caso della
simmetria. E proprio perché possiede un carattere conflittuale
è migliore, "più forte" (kréisson): l'armonia
visibile, fondata sull'identità e sull'immobiiítà degli
elementi che essa tiene assieme, non produce nulla, si dà come
puro oggetto di contemplazione; al contrario l'armonia
invisibile, in quanto fondata sulla differenza e, quindi, sulle
tensioni da questa prodotte, genera azione, dà origine a
movimenti molteplici, siano essi i diversi tiri dell'arco o le
varie note della lira.
A questo punto, allora, si può
ribadire che ciò che la Natura "ama nascondere è la
propria struttura e funzione connettiva denotata dai concetti di lógos,
xynós, syllápsis, armoníe; ma si deve
anche aggiungere che tale struttura e funzione connettiva ha come
carattere fondamentale, costitutivo, il conflitto, pólemos:
esso è alla base dei léghein, dello xynéin, del syllambánein,
dell'armózein; ed è esso che rende migliore l'armonia
invisibile rispetto a quella visibile. Si può dunque affermare
che ciò che la Natura "ama nasconderei non è solo la
propria capacità di produrre connessione, ma anche la qualità conflittuale
di tali connessioni 44.
La logica che presiede al discorso
di Eraclito, contenuto dei frammenti 20, 24, 26, si ritrova,
pressoché identica, non solo ai vv. 7-12, già ricordati, dei
capitolo II del Tao Tê Ching ("essere e non-essere
si danno nascita tra loro", ecc.), ma anche ai vv. 1-6 del
capitolo LXXVII: "La Via dei cielo/ com'è simile all'armar
l'arco/ Quel ch'è alto viene abbassato/ quel ch'è basso viene
innalzato/ Quel che eccede viene ridotto/ quel che difetta viene
accresciuto/ La Via del Cielo/ è di diminuire a chi ha in
eccedenza e di aggiungere a chi non ha a sufficienza". Con
l'operazione di armare l'arco, nella quale si esplicita la
tensione che tiene legate le due opposte estrernicà, si produce
"da più bella armonia" di cui parla Eraclito al
frammento 24: mediante una "discordia" si produce
quella "concordanza" a cui si allude nel frammento 20.
Per Eraclito questa connessione dialettica che produce a rmonia
mediante conflitto non è un modo tra i tanti con cui opera la
Natura, ma è il modo fondamentale con cui essa si dispiega
producendo cose ed eventi: "il conflitto è padre di tutte
le cose e di tutte è re" (frammento 14). Analogamente, per
i taoisti, il nesso tra Yin e Yang non è un nesso
tra gli altri, non è uno dei tanti rapporti tra opposti, ma è
il prototipo di ogni rapporto oppositivo, anzi, l'unico nesso
in grado di spiegare la costituzione delle cose e la formazione
degli eventi: "Le creature volgono le spalle allo Yin/
e volgono il volto allo Yang/ il chi infuso
le rende armoniose" 45. Il Chuang Tzu è ancora più
chiaro al proposito, ed illustra anche le diverse modalità in
cui il nesso fondamentale tra Yin e Yang si dà:
"Lo yin e lo yang si riflettono, si
sovrappongono, si regolano l'un l'altro; le quattro stagioni s'av
vicendano, si danno origine e fine l'un l'altra. Da ciò sorgono
potenti l'attrazione e l'odio, da ciò si hanno immutabili la
separazione e l'unione del maschio e della femmina. Sicurezza e
pericolo si danno il cambio a vicenda, prosperità e avversità
si originano a vicenda, agio e disagio si compensano a vicenda.
Da essi si formano l'unione e la dispersione. Questi sono i nomi
di cui è riscontrabile la realtà e l'essenza. Regolano
reciprocamente l'ordine del loro susseguirsi, inducono
reciprocamente il volversi dei loro turni. Quando sono giunti
au'estremo limite v'è il ritorno, quando l'uno è giunto alla
fine l'altro comincia. Questo è quanto le creature ottengono,
quanto le parole esprimono interamente e quanto la sapienza
raggiunge: è la norma suprema. L'uomo che guarda il Tao non
prosegue fin dove cessano né risale fin dove cominciano. Qui è
dove s'arresta ogni discussione" 46 . Lo Yin e lo Yang
operano dunque secondo la modalità dell'alternanza, come
nell'esempio taoista dei giorno e della notte (CT, VII,
XXI, 146), e dei prima e dopo che "si fanno seguito fra
loro" (TTC, II, v. 12); modalità che è presente nel
frammento 41 di Eraclito: "Le cose fredde si scaldano e le
calde si fanno fredde".
Lo Yin e lo Yang operano
poi secondo la modalità della complementmtà, come nei
casi, già ricordati, del nesso sé-altro da sé (CT, I,
II, 11) e di quello tra oriente e occidente (CT, VI, XVII,
108), e come nel caso del nesso freddo-caldo: "Il sommo yin
è algore, il sommo yang è calore: l'algore s'alza
verso il cielo, il calore si diffonde verso la Terra. L'intreccio
di quei due forma l'armonia e le creature vengono alla vita"
47; modalità della complementarità presente anche nei frammenti
di Eraclito: nei già citati 24 e 26, e nel frammento 35:
"La malattia rende piacevole la salute e di essa fa un bene,
la fame rende piacevole la sazietà, la fatica il riposo".
Yin e Yang operano
inoltre secondo la modalità della continuità; Lieh Tzu,
a questo proposito, afferma: "Il principio è la fine di
qualcosa, la fine è il principio di qualcos'altro" 48 ; ed
Eraclito, in consonanza quasi letterale, dice: "Nel circolo
principio e fine fanno uno" 49; ancora più chiara si
manifesta questa modalità nel frammento 22: "La stessa cosa
sono il vivo e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il
vecchio: questi mutando trapassano in quelli e quelli ritornano a
questi" 50 ; queste parole di Eraclito sembrano
ispirare quelle di Chuang Tzu: "Per chi conosce la gioia
celeste la vita è un moto secondo natura, la morte un
cambiamento di forma" 51 ; "Il crescere e il
decrescere, il pieno e il vuoto, quando l'uno ha fíne l'altro ha
principio" 52.
A questo punto uno schema
fondamentale di analogie tra il pensiero di Eraclito e quello dei
taoisti classici appare sufficientemente delineato: la physis,
al pari del Tao, si configura come produzione incessante di
nessi; il modo di questo produrre è nascosto solo nel senso che
non è immediatamente evidente che la "natura propria",
ovvero il "Tao di ciascuna cosa", sono
contemporaneamente la Natura in generale, ovvero il grande Tao;
in ogni caso, sia per la physis che per il Tao la
produzione di nessi avviene attraverso mediazione di contrari che
si alternano, si bilanciano, si rendono complementari.
Per delineare questo schema nel
modo più conciso e coerente possibile sono stati trascurato
alcuni punti fondamentali in cui i due orizzonti di pensiero si
incontrano. In particolare è da ricordare che, tanto per
Eraclito che per i taoisti, l'universo è senza inizio e senza
fine: "Questo cosmo né alcuno degli dei lo fece né
alcuno degli uomini, ma fu sempre, ed è e sarà, fuoco di eterna
vita, che si accende con misura e si spegne con misura" 53,
secondo le parole di Eraclito; e secondo le parole di Chuang Tzu,
ancora più concise: "Non v'è passato né presente, non
v'è principio né fine" 54 ; o, secondo quelle di Lieh Tzu:
"La vita a cui è stata data vita è mortale, ma quello che
dà vita alla vita non ha mai fine" 55 ; o, secondo quelle
del Tao Tê Ching: "Il Cielo è perpetuo e la Terra
perenne" 56 ; "Ad andargli [al Tao] incontro non ne
vedi l'inizio/ ad andargli appresso non ne vedi il poi" 57.
Notevolissima rilevanza hanno
inoltre le consonanze che riguardano il tema dell'impermanenza
di ogni cosa: ad Eraclito che dice "La stessa cosa sono il
vivo e il morto" (E, 22, 1) sembra replicare Chuang
Tzu con le parole "non siamo mai morti e non siamo mai
vivi" 58 ; Eraclito, dicendo che "nello stesso fiume
entriamo e non entriamo" (E, 16), che "il fiume
in cui entrano è lo stesso, ma sempre altre sono le acque che
scorrono" (E, 52), che "il sole è nuovo ogni
giorno" (E, 49), sembra anticipare Chuang Tzu:
"Sotto il cielo tutto affonda e riemerge senza mai
perire" 59, e sembra riprendere il Tao Tê Ching: "un
turbine di vento non dura una mattina/ un rovescio di pioggia,
non dura una giornata./ Chi opera queste cose?/ Il Cielo e la
Terra./ Se perfino il Cielo e la Terra non possono persistere/
tanto più lo potrà l'uomo?" 60.
Infine il tema della relatività,
sul quale Eraclito e Chuang Tzu convergono in maniera quasi
letterale. Il primo, infatti, ci ha lasciato scritto: "Il
mare è l'acqua più pura e la più incontaminata: i pesci la
bevono e li tiene in vita, agli uomini è imbevibile e dà la
morte" 61 e il secondo. "I pesci vivono stando
nell'acqua, gli uomini stando nell'acqua muoiono" 62.
Se sul tema dell'infinità
dell'universo, su quello dell'impermanenza di ogni cosa e su
quello della relatività il confronto tra Eraclito e il taoismo
classico produce convergenza esplicite che toccano talvolta i
livelli dell'equivalenza, vi è peraltro un tema attorno al quale
la convergenza, pur essendo meno esplicita e radicale, appare
ancor più interessante: il tema della saggezza. Innanzitutto
Eraclito e i taoisti classici si incontrano nella condanna dell'erudizione
che scambia il conoscere molte cose col sapere molto. E
nota la critica di Eraclito alla polymathía. "Il
sapere molte cose non insegna ad avere intelletto" 63. Ancor
più radicale e insistente la critica taoista ad ogni forma di
conoscenza formale e, in particolare, a quella praticata dai
confuciani: nel Tao Tê Ching si ricorda che "quando
apparvero intelligenza e sapienza s'ebbero le grandi
imposture" , e che tralasciando la santità e ripudiando la
sapienza "il popolo si avvantaggerà" 65 per cui
"il governo del santo svuota il cuore al popolo e ne riempie
il ventre" 66 ; e Chuang Tzu proclama con forza:
"Grande, invero è il disordine che reca nel mondo l'amore
per la sapienza. [
] La sapienza superficiale conturba il
mondo" 67. Questa critica alla "sapienza superficiale,
alla cultura formale, si specifica ulteriormente in una critica
alla tradizione, alla cultura intesa solo come patrimonio
di conoscenze sacre, immobili e immutabili: questa critica è
rintracciabile in Eraclito, nel frammento 95, dove afferma che
"non bisogna comportarsi come figli dei padri"; e,
ancor più, nel frammento 126, quando, dicendo "ho indagato
me stesso", implicitamente esclude che la propria sapienza
si sia costruita sulla base di dottrine precedenti, di tradizioni
consolidate. Una critica ancor più esplicita si trova in Chuang
Tzu, quando chiede: "Sei capace di custodire in te l'unità?
di non smarrirti? di capire la fortuna e la sfortuna senza
bisogno di divinazione? di restare nella tua sorte? di non
seguire le antiche tracce?" 68.
Le concordanze tra il pensiero di
Eraclito e quello taoista non si danno tuttavia soltanto in
negativo, sul piano critico, ma, anzi, divengono ancora più
forti quando riguardano, in positivo, la proposta di un comune
modello di saggezza. Per quanto sostiene Eraclito al proposito
sono decisivi due frammenti, il 6, dove sta scritto che "è
saggio dire che tutte le cose sono una", e il 13, dove è
detto che "una è la sapienza, conoscere la mente che per il
mare del Tutto ha segnato la rotta del Tutto": la saggezza,
dunque, sta nel saper cogliere ciò che la natura "ama
nasconderei di sé, ossia la struttura e la funzione di syllápsis
mediante la quale ogni cosa interagisce con le altre in un
sistema infinito di "armonie conflittuali"; in altri
termini, saggezza è capacità (potentia, virtus, tê)
di cogliere il fatto che "tutte le cose sono una" nel
senso che "da tutte l e cose l'uno e dall'uno tutte le
cose" 69: cogliere questo significa conoscere il modo
con cui opera la "mente dei Tutto", ossia il lógos con
cui opera la physis. Analogo il "ragionamento"
taoista: "le diecimila creature ed io siamo l'Uno" 70;
questa connessione universale costituisce "l'orditura dei
Tao" 71 ; questa "orditura del Tao" è prodotta e
continua a prodursi secondo la modalità per cui "essere e
non-essere si danno nascita fra loro" 72; sapienza è saper
cogliere questa "orditura" e il modo con cui si
produce: perciò "la grande sapienza tutto abbraccia, la
piccola sapienza distingue ; per questo la "sapienza
collega" 74. Ma la physis, al pari dell'orditura del
Tao, non è l'oggetto di contemplazione o di indagine dei saggio
che sta, rispetto ad esso, in una posizione esterna o,
addirittura, superiore: saggezza, infatti, significa anche
saper cogliere se stessi come elementi di un sistema infinito di syllápsies,
come "nodi" di un'"orditura infinita".
Questa precisazione sembra chiaramente implicita nel frammento di
Eraclito che dice "Bisogna spegnere la dismisura (hybrin)
più che le fiamme di un incendio" 75 : se la realtà è
costituita cla un insieme infinito di connessioni prodotte dalla physis,
l'uomo in generale, ma anche il saggio, è un elemento
particolare di tale insieme, uno degli infiniti casi di
connessione, non il centro di un universo finito che può formare
e dominare a piacere, con "tracotanza" (hybris);
anzi: la saggezza del saggio sta proprio nello
"spegnere" questa tracotanza, questa dismisura che
tende a trasformare un caso di connessione nel centro di
tutte le connessioni. Che la saggezza consista nel riconoscere la
connessione tra le cose e nel frenare la hybris è tema
cos tante degli scritti taoisti: "Appaiono separate o unite,
perfette o guaste, le creature non hanno perfezione o guasto, ma
sono ancora identiche fra loro. Solo chi ha un'intelligenza
penetrante riconosce che sono identiche fra loro. Pertanto costui
non s'ingegna ma si rimette a ciò che è invariabile:
l'invariabilità è l'utilità, l'utilità è comprensione, la
comprensione è ottenimento. Giunto all'ottenimento ha finito e
quindi s'arresta. Arrestarsi senza sapere perché è così dicesi
Tao" 76. Il saggio, colui "che ha un'intelligen za
penetrante, non coltiva l'erudizione, non "s'ingegna"
ad apporre etichette, ad abusare delle parole 77, a perpetuare
pregiudizi 78 : non presume di "sistemare" la realtà
una volta per tutte, si limita a conoscere e seguire
"la natura delle cose" 79.
Questa consonanza di fondo tra
l'idea di saggezza presente in Eraclito e quella ribadita dai
taoisti non può che produrre un atteggiamento comune anche nei
confronti dell'impossibilità di comunicarla mediante i semplici
strumenti dei sapere concettuale e dei codici linguistici:
pertanto Eraclito che constata come "non intendono gli
uomini questo Discorso che è sempre né prima di uclirlo né
quando una volta lo hanno udito" 80, sembra essere lo stesso
che, nel Tao Tê Ching, ha lascia to scritto: "Le mie
parole con assai facilità s'intendono/ e con assai facilità si
attuano, ma nessuno al mondo sa intenderle,/ nessuno al mondo sa
attuarle" 81.
La concordanza di Eraclito e dei
taoisti nel trovare difficoltà a comunicare il loro
"facile" discorso non è casuale né superficiale: essa
si radica in un comune modo d'intendere l'origine e la struttura
della saggezza. Eraclito, infatti, nel frammento 76 connette
direttamente la saggezza al conoscere se stessi 82 e, nel
frammento 126, dice "ho indagato me stesso" (edizésamen
emeoytón): ciò significa che il costruire la saggezza
coincide con l'indagare se stessi. Considerazioni analoghe
troviamo nei testi taoisti: "Quando il santo governa cura
forse l'esteriore? Si corregge e poi agisce, sicuro di riuscire
nelle sue imprese" 83 ; "Correggere se stessi,
null'altro. La pienezza della felicità sta nel realizzare le
proprie aspirazioni" 84 ; "Chi compie viaggi esteriori
cerca la completezza nelle cose, chi si dà alla contemplazione
interiore trova la sufficienza in se stesso" 85 ;
"Senza uscir dalla porta/ conosci il mondo/ senza guardar
dalla finestra scorgi la Via del Cielo/ Più lungi te ne vai meno
conosci" 86 "Chi ostruisce il suo varco/ e chiude la
sua porta/ per tutta la vita non ha travaglio/ chi spalanca il
suo varco/ ed accresce le sue imprese/ per tutta la vita non ha
scampo" 87. A prima vista le affermazioni eraclitee e
l'insistenza taoista sulla necessità di volgersi au'interiorità
sembrano voler suggerire una via solipsistica alla saggezza 88.
Una simile conclusione sarebbe tanto affrettata quanto
insostenibile, a meno di non voler considerare questi passi di
Eraclito e dei taoisti in modo astratto, isolandoli da altri
passi che ne completano ed approfondiscono il significato. Per
questo lavoro di completamente e di approfondimento è
sufficiente, nel caso di Eraclito, ricordare il contenuto della
seconda parte del frammento 6: è saggio dire che tutte le cose
sono una 89. Ora l'io, il soggetto e la sua interiorità non si
sottraggo no alla legge universale, al lógos xynós in
forza del quale "tutte le cose sono una"; in altri
termini, anche il "se stessi" del frammento 76 e il
"me stesso" del frammento 126 si costituiscono, al pari
di "tutte le cose", non come elementi isolati e fissi,
ma come risultati provvisori di syllápsies sempre
diverse, come prodotti "aperti" di connessioni sempre
nuove. Analogamente, i passi taoisti appena citati,
apparentemente favorevoli ad una via interiore alla saggezza,
esplicano il loro significato più autentico e integrale se
vengono letti e pensati alla luce dei passi, già ricordati, in
cui è detto che "le diecimila creature ed io siamo
l'Uno" 90 e che "ogni essere è altro da sé, e ogni
essere è se stesso"". Anche qui, come nel caso di
Eraclito, il significato è chiaro: la soggettività, come
qualsiasi altro "essere", si costituisce solo in
rapporto ad altri "esseri", in una dialettica di
"nascita reciproca". Ciò non entra affatto in
contraddizione col richiamo all'interiorità per la costruzione
della saggezza: l'interiorità è un campo di indagine
particolarmente adatto - forse solo perché più prossimo alla
soggettività - per osservare struttura e funzionamento della
realtà. Indagando se stessi non si perviene a un nucleo
interiore saldo e puro - come, per esempio, nel caso del cogito
ottenuto da Cartesio mediante dubbio metodico - ma, al
contrario, si giunge a constatare la struttura dinamica e
relazionale (dinamica perché relazionale) dell'io 92. La
saggezza, in definitiva, consiste nel saper cogliere questa
struttura: al contrario la polymathía, per Eraclito, e la
"sapienza superficiale", per i taoisti, concepiscono la
realtà come un insieme di cose irrelate e fisse, deserivibile
con qualche sistema di definizioni isolat e e immutabili. Il
processo con cui si diventa saggi non comporta dunque la perdita
della soggettività, ma, al contrario, l'ottenimento di
una soggettività che è tanto più ampia quanto più manifesta
di essere costituita e di svilupparsi mediante connessioni
infinite 93. In tal senso si può equiparare, con Eraclito, la
saggezza alla mania 94 e, con i taoisti, la saggezza alla
condizione di vuoto (wu) 91; con l'avvertenza, però, che
ciò non significa affatto un cedimento a forme di
irrazionalità, ma produzione di una razionalità più
complessa, per la quale non soltanto il mondo ma anche il
soggetto umano è solo in quanto si trasforma mediante
infinite connessioni conflittuali: per essa la Natura (physis)
non equivale a Materia (hyle), ma a ciò che cresce e fa
crescere mediante interazioni (syllápsies) di differenze;
per essa Tao non equivale a Nulla, ma al modo con cui ciascuna
cosa nasce, vive e muore essendo sempre, contemporaneamente, sé
e altro da sé.
Da Giangiorgio Pasqualotto,
Il Tao della filosofia. Corrispondenze tra pensieri d'oriente
e d'occidente, Parma, Nuova Pratiche editrice, 1989, pp.
19-47
 
|