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Yu Hua, Autobiografia
Lanciotti, Simbolismo del sangue
Lanciotti, Qian Zhongshu 1910-1998


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CRITICA LETTERARIA

Con piacere ospitiamo il testo di Lionello Lanciotti, Il simbolismo del sangue nella Cina antica gia' pubblicato nella rivista "Cina", Roma, IsIAO, 27(1997), pp. 7-12.

Il simbolismo del sangue nella Cina antica

Su alcuni frammenti di ossa oracolari appare per la prima volta il pictogramma che sta ad indicare in cinese il sangue (hsüeh). Lo si puo’ ritrovare pochi secoli dopo in iscrizioni su bronzi sacrali risalenti al primo periodo della dinastia Chou (ca. 1122 - 950 a.C.). Il pictogramma raffigura chiaramente un vaso sacrificale sovrastato da una goccia di sangue molto stilizzata. Non c'e’, quindi, nel pictogramma, come appare nelle iscrizioni mantiche o nei vasi di bronzo, un riferimento ad una componente di un corpo umano o di animale, ma una evidente allusione ad una cerimonia religiosa, caratterizzata da un sacrificio.

Il carattere cinese hsüeh e’ il radicale 143 nella lista della 214 chiavi; non e’ un radicale molto prolifero, nel senso che ad esso sono riconducibili solo una sessantina di caratteri in cui e’ riconoscibile la componente grafica di sangue. Fra questi va ricordato il carattere erh, formato dall'accostamento del radicale 'sangue' al segno che indica l'orecchio. Tale carattere sta ad indicare l'offerta del sangue sacrificale di un animale (usualmente un gallo) e di penne o peli tagliati dietro l'orecchio sinistro di una vittima. Questo carattere appare per la prima volta nel cap. 21 del Li-chi (Tsa-chi), ed anche nel commento Ku-liang chuan ai Ch'un ch'iu (duca Hsi, 19° anno), ma nel secondo caso e’ l'offerente a dare un colpo sul naso dell'animale per far uscire un po' di sangue.

Nell'ode 210 dello Shih-ching si celebra come Yü il Grande, mitico fondatore della prima dinastia, facesse «un sacrificio col vino chiaro e, successivamente, con un toro rosso; egli li offre agli antenati, tenendo in mano un coltello con un sonaglio (luan-tao) ; taglia i peli ed estrae il sangue ed il grasso». In soli sei versi e’ cosi’ descritto abbastanza particolareggiatamente un sacrificio: l'offerta, cioe’, di una bevanda alcolica e di un animale; il coltello rituale per tagliare dapprima i peli dell'animale e, successivamente, sacrificarlo.

In testi classici posteriori si ritrovano piu’ precisi riferimenti al sangue. In due commenti ai Ch'un-ch’iu, ovvero nel Kung-yang-chuan e nel Ku-liang-chuan si ricorda come, nel 19. anno del duca Hsi, il feudatario Hsiang dello stato di Sung, invece di immolare una vittima umana, si limito’ a far dare alcuni colpi sul naso del feudatario dello stato di Chu, da lui sconfitto militarmente, affinche’ ci fosse un po' di sangue umano per bagnare l'altare della divinita’ del suolo. Il principale commento ai Ch'un-ch’iu, lo Tso-chuan (secondo anno del duca Wen, 624 a. C.) informa che, talvolta, venivano tagliate le orecchie ai prigionieri catturati in battaglia; tale operazione era anche effettuata sui cadaveri dei nemici; il sangue raccolto era usato per bagnare i tamburi (ibid., quinto anno del duca Chao, 536 a.C.). Marcel Granet (Marcel Granet, Danses et le’gendes de la Chine ancienne (Paris, 1959<sup>2</sup>) vol. I, pag. 137-137) vede in questa usanza una consacrazione con il sangue di strumenti musicali da usare in battaglia. Tale rituale si inquadra appieno nella pratica del Bauopfer; l'offerta di sangue, peli, unghie (pars pro toto) al posto di un sacrificio umano o di animali che serviva al completamento di un'opera architettonica, di una fusione di oggetti metallici, a consacrare oggetti gia’ esistenti. Un'espressione cinese, databile al IV sec. a.C., che indica un sacrificio rituale e’ hsin (Meng-tzu, I a, 7) che vuol dire «bagnare con il sangue» di una vittima.

Uno dei rituali famosi come il Chou-li, ci presenta tutta una serie di casi, nei quali si raccomanda di bagnare con il sangue i gioielli di una sovrana, le tavolette per il culto degli antenati, gli strumenti musicali, i tamburi dell'esercito, le porte del la sala in cui si praticava il culto degli antenati, i muri delle scuderie reali, vari materiali che si usavano nelle cerimonie ufficiali e cosi’ via; e’ la documentazione di un'antica e diffusa usanza. Sempre lo stesso testo ricorda come, quando si celebr ava un rito per l'alleanza fra feudatari, si usavano sfregare col sangue le labbra dei contraenti come segno di fedelta’ reciproca. Il sangue, che era conservato in un apposito vaso, proveniva dall'orecchio di un bue che era stato sacrificato in tale occas ione (Chou-li), XXXII, 29. La stessa cerimonia e’ attestata anche nel Ku-liang-chuan e piu’ frequentemente nello Tso-chuan (ad es. nel 9. anno del duca Hsiang, 563 a.C.) quando un feudatario dello stato di Ch'u attacco’ il feudo di Cheng; due dignitari in tale occasione chiesero: «Noi avevamo concluso un trattato con un grande principato. Il sangue non si e’ ancora seccato; e’ il sangue che ha soffregato le labbra (dei contraenti); come sarebbe, allora, possibile violare il nostro giuramento?».

Un giuramento consacrato con il sangue serve per dare efficacia ad un patto di alleanza. Per questo il carattere meng (patto, alleanza) ha come componente grafica il segno di un vaso sacrificale, talvolta sostituito dal segno che indica il sangue.

Sempre lo Tsa-chuan (25. anno del duca Hsi) documenta come, durante una delle frequenti guerre fra stati feudali, i soldati dello stato di Ch'in «scavarono di notte una fossa, ci versarono del sangue e vi depositarono un documento per far credere che era stato firmato un trattato».

E’ una variante dello sfregamento delle labbra col sangue dell'animale sacrificato; in questo caso si tratterrebbe del testo (falso) di un documento di alleanza.

Nell'opera del pensatore confuciano Meng-tzu (IV - III sec. a. C.) si parla, invece, di un incontro tra feudatari a K'uei-ch'iu; in tale occasione il duca Huan, dello stato di Ch'i «fece legare la vittima da sacrificare, le mise addosso il documento (shu), ma non si sfregarono le labbra col sangue» (Meng-tzu, VI b, 7); e’ una prova negativa di tale pratica. Tutti i feudatari, successivamente, non rispettarono il trattato.

Nel Mo-tzu e’ ricordato un giuramento di sangue fatto da due ministri coinvolti in un caso giudiziario; un agnello e’ sgozzato vicino ad un altare sul quale e’ versato il sangue dell'animale. I due contendenti espongono uno alla volta la propria versione dei fatti ma l'agnello si rialza una volta soltanto per spingere contro l'altare il menzognero, il quale si frattura una gamba (Mo-tzu, XXXl). E’ un'ordalia in cui il sangue, che simboleg gia la fedelta’ e la verita’, decide chi fra i due contendenti sia il colpevole.

In un testo taoista, quale il Lieh-tzu (V, 15) si trova la storia di due arcieri che, per non tradire i segreti della loro professione, si inginocchiano l'uno di fronte all'altro e, prima di fare un giuramento solenne, si praticano un'incisione sul braccio da cui sgorga il sangue.

Del sangue aveva parlato qualche secolo prima Confucio nei Lun-yü e dei rapporti con il soffio vitale. Sangue (hsüeh) e soffio vitale (ch'i) sono due componenti dell'equilibrio dell'uomo. Come, infatti, il Maestro avvertiva «l'uomo superiore dovra’ guardarsi da tre cose. Quando e’ giovane e il sangue ed il soffio vitale si agitano, si guardera’ dalla lussuria; quando sara’ maturo ed il sangue ed il soffio vitale saranno in pieno vigore, si guardera’ dall'attaccare briga; quando sara’ vecchio ed il sangue ed il soffio vitale saranno deboli, si guardera’ dalla cupidigia (Lun-yü, XVI, 6).

Riferimenti al sangue si ritrovano nell'opera del pensatore iconoclasta Wang Ch'ung. Nel suo Lun-heng, a dimostrazione che non esiste una vita dopo la morte, egli afferma che «quando una persona muore, il suo sangue si esaurisce. Allora si estingue il suo soffio vitale ed il corpo si corrompe divenendo cenere e polvere. Come, quindi, diverrebbe egli un essere spirituale?» (Lun-heng, XX). In un altro passo della stessa opera (Lun-heng, XXIV) , egli tratta dei sacrifici cruenti fatti in onore dei defunti, che si effettuavano solo in determinati giorni dell'anno ritenuti fausti; quindi, egli afferma che, essendo il sacrificio per i morti analogo al pranzo dei viventi, ne deriverebbe la seguente conclusione: «Se lo spargimento di sangue deve essere evitato e vanno trascurati i giorni infausti del mese in quanto, nel momento in cui si sacrifica un animale se ne versa il sangue , parimenti i vivi che mangiano i sei (tipi di) animali dovrebbero usare le stesse precauzioni. Nei numerosi mattatoi di tutto il paese si uccidono ogni giorno molte migliaia di animali e non si distingue tra giorni fausti od infausti; ne’ i macellai muoiono percio’ di morte prematura. Per quanto riguarda, poi, le condanne a morte, ogni mese sono migliaia i criminali che sono decapitati sulle piazze dei mercati; non si sceglie un giorno fausto per le esecuzioni ed ai giudici non capitano, percio’, cose sfortunate». Dalla lettura di questo brano, a parte lo spregiudicato cinismo dell'autore, si ricava come per la maggior parte dei Cinesi, il sangue dell'animale del sacrificio avesse un ben diverso valore di quello che sgorgava quotidianamente nei macelli, cosi’ come, quando nei secoli precedenti si praticavano in Cina i sacrifici umani, il sangue della vittima aveva un valore sacrale non certo paragonabile a quello versato dal condannato a morte.

Anche nelle pratiche alchemiche era importante il sangue; per fare un solo esempio bastera’ ricordare come nell'opera Pao-p’u-tzu attribuita a Ko Hung (ca. 250-330 M.d.C.), fra le varie ricette per preparare la droga dell'immortalita’, il sangue ricorre tre volte fra le varie componenti. Nella terza parte del quinto volume della sua Science and Civilisation in China (Cambridge, U.P., 1974) Joseph Needham ha esaurientemente dimostrata l'importanza del componente 'sangue' nell'alchimia cinese.

L'uso di versare sangue su armi, strumenti rituali ed altri oggetti, documentato dai libri rituali e da testi storici, si prolungo’ nel tempo. Nella grande opera di J.J.L. de Groot, The Religious System of China (Leiden, 1892-1907) e’ annotato come, ancora sul finire del secolo XIX, nella provincia del Fukien, si usasse mettere sulle tavolette degli antenati conservate nel sacello familiare alcune gocce di sangue sgorgate dalla testa di un gallo o, in mancanza di sangue, di inchiostro rosso; rosso e’ il colore del sangue, del fuoco, della vita, e si identifica con il principio yang; la cerimonia riportata da de Groot (vol. 1, p. 214 segg.) non rappresentava altro che una infusione di vita al defunto, per il tramite della sua tavoletta.

Sempre dall'opera di de Groot ricaviamo un metodo particolare per l'identificazione di resti ossei di defunti sepolti in tombe collettive. Chi doveva fare la traslazione dei resti di un parente, faceva uscire dal proprio dito un po' di sangue che faceva sg occiolare sulle ossa nella tomba comune; se il sangue era assorbito dalle ossa o, in qualche modo, aderiva ad esse, cio’ stava ad identificare la parentela fra il vivo ed il defunto. Tale pratica era abbastanza diffusa se un'opera standard di medicina lega le, come il Hsi-yüan lu di Sung Tz'u, edita nel 1247 e citata sempre da de Groot (op. cit., vol. 3, p. 1376-1377) cosi’ recita: «Se le ossa di un padre o di una madre giacciono in un posto che appartiene ad altri, ed un figlio o una figlia desiderano identificarli, si consenta agli eredi di far uscire un po' di sangue dal loro corpo e sgocciolarlo sulle ossa. Se si tratta di quelle dell'uomo o della donna che hanno dato loro i natali, il sangue sara’ assorbito, altrimenti no». Questa prova del sangue era riconosciuta dai tribunali cinesi.

Il sangue sparso sui campi di battaglia, secondo un'antica tradizione cinese, risalente al III sec. a.C., generava i fuochi fatui (Lionello Lanciotti, I fuochi fatui nella tradizione cinese, in Orientalia Iosephi Tucci Memoriae Dicata 1987, vol. II, pagg. 771-773). Lieh tzu, infatti, aveva espresso l'opinione che «il sangue dei cavalli diventa luce che gira sulle paludi (chuan-lin), il sangue degli uomini diventa fuoco fatuo (yeh-huo)» (Lieh-tzu, ch. I) tale frase e’ erroneamente attribuita dal T'ai-p'ing yü-lan a Chuang-tzu, nella cui opera non si ritrova. Anche nello Huai-nan-tzu (ch. 13) si ricorda come «il sangue invecchiato diventa luce sulle paludi (lin), ma la gente non lo trova strano». Wang Ch'ung, nel suo Lun-heng (ch. 20), da avversario di ogni superstizione, ricorda come «(quando) una persona muore in battaglia, la gente dice che il suo sangue e’ fosforescente (lin). Il sangue e’ il fluido vitale (ching-ch'i) di quando si e’ vivi. Gli uomini che camminano e vedono la fosforescenza (notano che essa ) non ha apparenza umana, ma e’ ammassata in modo confuso cosi’ da assomi gliare alla forma della luce di un fuoco. La fosforescenza e’ il sangue degli uomini morti, ma la sua forma non e’ quella di un uomo vivo». Wang Ch'ung non credeva ai fantasmi, ma e’ interessante la persistente affermazione, databile fra il III sec. a.C. ed il I sec. d.C., relativa alla bioluminescenza di sostanze organiche in putrefazione, ovvero la trasformazione del sangue in decomposizione.

Un altro aspetto del sangue non e’ stato ancora sufficientemente studiato: il vampirismo. Questo esisteva anche in Cina, risalente almeno alla dinastia T'ang (618-907 d.C.). Esistevano spiriti assetati di sangue, cosi’ come si credeva che bevendo il sange dei fei-fei o dei hsing-hsing, una specie di gibboni, si potessero vedere i fantasmi (E. H. Schafer, The Golden Peaches of Samarkand Berkeley and Los Angeles, 1963, pagg. 209-210). Le credenze popolari dell'epoca ritenevano inoltre che l'ambra derivasse dal sangue dei draghi e che la pietra chiamata corniola (ma-nao) non f osse altro che la trasformazione del sangue dei f antasmi (ibid., pag. 228).