Nel cuore del Damaraland, in un territorio lievemente roccioso nel nord ovest della Namibia, c’è una zona ricca di testimonianze antiche di pitture ed incisioni rupestri, che grazie a determinate condizioni naturali si sono conservate fino ai giorni nostri. 
In due massicci montuosi sono concentrate la maggior parte dei graffiti: il Brandberg e Twyfelfontein poco più a nord. Noi concentreremo la nostra ricerca su quest’ultimo ( è stata la meta di un viaggio nel 1995 ), anche se nel massiccio del Brandberg vi è la famosa pittura chiamata " White lady ", la dama bianca, che continua ancora oggi a far discutere gli studiosi. Twyfelfontein è sicuramente uno dei siti di arte rupestre più abbondanti dell’Africa australe, gli archeologi ne hanno rinvenuti più di 2500 tra pitture ed incisioni, le più antiche hanno diverse migliaia di anni. Gli autori di questi capolavori furono molto probabilmente gli antenati degli attuali Boscimani ( Khoisan ) e Ottentotti, che anticamente formavano un unico grande gruppo etnico di cacciatori raccoglitori. Una comoda strada sterrata porta al sito di Twyfelfontein, in un paesaggio unico in cui emerge in solitudine il massiccio; il nome significa " fontana dubbiosa ", perché qualche tempo fa si dubitava dell’esistenza ( poi smentita ) di acqua, rendendo impossibile la vita in questa zona così aspra. All’ingresso si può optare per diversi itinerari che richiedono un minimo di qualche ora ( dipende dall’interesse che si ha ), o addirittura l’intera giornata seguendo tutte le indicazioni che conducono verso caverne e anfratti, o semplicemente su lastroni di pietra adagiati sui sentieri. Da quello che abbiamo potuto notare c’è una certa affinità artistica tra questi graffiti e quelli visti nel sahara libico e algerino.
Sicuramente l’influenza del rapporto uomo – natura 
balza subito all’occhio ed è dominante con rappresentazioni stilizzate di uomini intenti nella  caccia e di animali della savana come elefanti, rinoceronti, leoni, elefanti…; od anche figure curiose come la riproduzione di una foca ( forse un’otaria, ve ne sono migliaia sulle coste della Namibia!! ), o la figura di un leone con una lunga coda terminante con l’impronta della zampa dell’animale stesso, che era molto temuto dai cacciatori di quel tempo. Le pitture decisamente più interessanti presentano dei problemi di conservazione come l’ossidazione, il raschiamento e la sovrapposizione di altre pitture…, i colori che venivano usati erano tratti da ocre e pietre colorate legate assieme da grassi animali e albumina; quindi venivano stesi sulle pareti. 

Graffito di un Leone                                         

Rispetto alle pitture le incisioni sono decisamente meno complesse, realizzate con delle pietre usate come scalpello, o incidendo i pesanti blocchi di arenaria con degli elementari scalpelli ( alcuni sono stati rinvenuti vicino alle incisioni ).In un primo momento l’incertezza sulla datazione di queste opere è stata grande, ma oggi grazie a tecniche innovative come quella al radiocarbonio, è possibile stabilirne con una certa esattezza l’età. Andando a cercare tra rocce ed anfratti, a Twyfelfontein si può girare tranquillamente senza problemi e senza guide, si possono ammirare tantissime incisioni che in alcuni casi ricoprono letteralmente grandi blocchi di granito. Sicuramente lasciamo a studiosi ed esperti l’arduo compito di decifrarne i significati, l’età e le finalità di base, noi non possiamo far altro che rimanere affascinati da queste opere compiute migliaia di anni fa da individui, sicuramente primitivi per il periodo vissuto, ma abili nel raffigurare le scene di vita proprie di quel tempo. Un tempo dove la natura dominava sull’uomo, dove tutto aveva una valenza sacra, dove i fuochi accesi tenevano lontani gli animali feroci e forse anche le paure più recondite. L’abate francese Henri Breuil, famoso paleontologo ha definito queste rappresentazioni i " paesaggi dell’anima ".