MATEMATICA

IL CALCOLO INFINITESIMALE

La matematizzazione porterebbe secondo Bergson a una trattazione discreta del tempo, che invece deve essere inteso come durata continua. La matematica concepirebbe il cambiamento, anche quando è continuo, come costituito da una serie di stati; Bergson invece sostiene che nessuna serie di stati può rappresentare ciò che è continuo: mentre cambia, una cosa non è mai in nessuno stato. Nel 1914 Bertrand Russel, nel riportare questa concezione bergsoniana, afferma che la critica poteva valere per le teorizzazioni di Leibniz e Newton, ma nel 1900 non ha più ragion d’essere. Ancora "nel diciottesimo secolo e agli inizi del diciannovesimo il calcolo infinitesimale, anche se era ben sviluppato come metodo, poggiava, per quanto riguarda i fondamenti, su molti errori e molta confusione di idee". Col tempo, però, i matematici hanno corretto i problemi residui; invece Bergson "per quanto riguarda la matematica ha deliberatamente scelto gli errori di interpretazione tradizionali, rispetto ai punti di vista più moderni che hanno prevalso sui matematici nell’ultimo mezzo secolo" (La Filosofia di Bergson, Bertrand Russel (1914), Newton Compton 1976, pag. 56).

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LIEBNIZ

In effetti il moderno concetto di limite intende proprio definire il continuo e non prende nemmeno in considerazione una trattazione discreta; al contrario, è presupposto fondamentale che la funzione sia continua, perché sia possibile anche solo parlare di tempo. Infatti se adattiamo la definizione di limite ai fenomeni temporali otteniamo ciò che segue: una funzione f(t) ha   il limite l per un punto di accumulazione t0 del suo argomento t, quando nell’intorno di t0 i suoi valori si avvicinano ad l entro qualsiasi grado di approssimazione. Quindi c’è limite in quel punto solo se "nelle vicinanze" del punto t0 e, contemporaneamente, in quelle del punto l, esistono altri infiniti valori di t e di f(t). E si scrive:

lim

t[ t0

f(t) = l

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RUSSEL

Zenone fu il primo che discusse i problemi derivanti da una trattazione discreta del tempo. È noto il paradosso di Achille e la tartaruga, ma altrettanto importante è quello della freccia immobile. In ogni singolo istante una freccia scagliata da un arco è in realtà immobile, in quanto in un tempo nullo non percorre nessuno spazio; il moto che noi percepiamo è solo un’illusione ottica dovuta alla successione di infiniti punti in ciascuno dei quali la freccia è ferma (si ha quello che Bergson chiama "effetto cinematografico"). Da allora i fisici hanno tentato di definire in modo soddisfacente la velocità istantanea. Per esempio, come possiamo determinare la velocità di un treno in un certo istante, diciamo mezzogiorno? Potremmo prendere un intervallo di cinque minuti che comprenda il mezzogiorno e misurare la distanza percorsa. Se risulta di 10 chilometri, possiamo stabilire che la velocità media è di 120 chilometri all’ora. Ma come possiamo sapere se a mezzogiorno in punto andava un po’ più forte o più piano, se aveva rallentato o accelerato? Potremmo prendere un intervallo minore, un intervallo di un minuto, o ancora più piccolo se necessario. In teoria per una misurazione ideale dobbiamo considerare un periodo infinitamente piccolo.

 

Torniamo alla matematica pura e cerchiamo di stabilire la velocità di s = t² per qualsiasi valore di t. Quando t aumenta fino a t + h, la funzione t² aumenta fino a (t + h)²; cosicché l’aumento totale sarà (t + h)² – t². Perciò la velocità media dell’intervallo da t a (t + h) è

(t + h)² – t²

h

. Ma

(t + h)² = t² + 2ht + h²

e quindi

(t + h)² – t²

h

=

2ht + h²

h

=

2t + h

Così 2t + h è la velocità media della funzione t², che però dipende da h, la misura dell’intervallo. È chiaro che otterremo ciò che vogliamo, ovvero la velocità istantanea, quanto più diminuiremo h. Abbiamo però due problemi: non possiamo considerare h pari zero, in quanto in un intervallo di tempo zero non si può misurare alcuno spazio e la funzione velocità di partenza non avrebbe significato (il denominatore si annullerebbe), e non possiamo decidere arbitrariamente un tempo in cui misurare la distanza percorsa, perché, non solo non sarebbe una misurazione ideale (ci sarà sempre un numero più piccolo), ma si darebbe valore alla critica di Bergson frazionando e rendendo discreto il tempo. Ci viene in aiuto il concetto di limite che preserva la continuità del tempo e non rende h pari a zero. Perciò al limite in cui h è diminuito all’infinito, diremo che 2t è la velocità della funzione t² per il valore t dell’argomento. Il procedimento con cui si ottiene l’incremento di una funzione per l’incremento unitario dell’argomento (la velocità per una funzione spaziale), è solitamente definito metodo di derivazione.

La variazione h dell’argomento e il relativo aumento (t + h)² – t² della funzione spazio, in quanto tendenti a zero, non si definiscono Dt e Df(t), ma dt e df(t) o ds. Quindi la funzione derivata della funzione è definibile con diverse scritture:

 

D f(t) = f '(t) =

df(t)

dt

=

ds

dt

Ci si è chiesti come poter eseguire il procedimento inverso: come passare, ad esempio, dalla funzione velocità a quella spazio o dalla funzione accelerazione a quella velocità. Si è costruita così l’integrazione. Con il metodo di integrazione potremmo, data una certa funzione velocità, sapere subito quanto spazio è stato percorso dall’inizio delle nostre osservazioni (tempo t = 0).

Si definisce primitiva di una funzione f(t) una funzione F(t) tale che:

F'(t) = f(t)

L’operazione di ricerca della primitiva, ovvero l’integrale, ha quindi come scopo quello di trovare la funzione che abbia come derivata la funzione data.

Come per ottenere la derivata e la funzione derivata ho dovuto frazionare all’infinito l’argomento e la funzione, l’integrale somma tutti gli infinitesimi che avevo ottenuto con la derivata. Si indica infatti con il simbolo ?, ovvero somma:

 

f '(t) = D f(t) =

df(t)

dt

è

f '(t) dt = df(t)

è

? f '(t) dt = ? df(t) = f(t)

Ecco quindi la scrittura dell’integrale:

f '(t) dt = f(t)

o in altri termini:

f(t) dt = F(t)

Come ho precisato, con questo metodo possiamo ottenere solo la variazione di spazio, quanto spazio abbiamo fatto dal tempo t = 0. Col metodo di integrazione non potremmo mai sapere, cioè, se al tempo t = 0 eravamo nel punto s = 0 o nel punto s = 5. Quindi le primitive di una generica funzione f(t) sono tutte quelle del tipo:

F(t) + c

dove c è una costante arbitraria. Infatti sapendo che F'(t) = f(t), si ha che:

D (F(t) + c) = D F(t) + D c = F'(t) = f(t)

perché la derivata di una costante è sempre 0.

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