FISICA

EINSTEIN

"Non esiste alcuna simultaneità per eventi fra loro lontani"

"Tutti, o quasi tutti, i fisici del secolo scorso – scrive Einstein nella Autobiografia scientifica – videro nella meccanica classica la base sicura e definitiva di tutta la fisica, e anzi, addirittura, di tutte le scienze naturali. […] Fu Mach a scuotere, nella sua Storia della meccanica, questa fede dogmatica: il suo libro, quand’ero studente, esercitò una profonda influenza su di me" (Autobiografia scientifica, Universale Boringhieri, pag. 18).

La critica di Mach al concetto newtoniano di tempo parte da alcune definizioni di Newton stesso: "Il tempo assoluto, vero e matematico, in sé e per sua natura, senza riferimento ad alcun oggetto esterno, scorre uniformemente; esso è chiamato anche col nome di durata. […]. È possibile che non esista alcun moto uniforme per mezzo del quale si possa misurare con precisione il tempo, che tutti i moti siano accelerati o ritardati; ma lo scorrere del tempo assoluto non può subire variazioni. Identica è la durata e la persistenza delle cose, tanto se i moti sono accelerati che se sono ritardati o annullati". (cit. in Mach, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Universale Boringhieri, pagg. 240 e 241). "Leggendo questi passi – commenta Mach nel 1883 – si ha l’impressione che Newton sia ancora sotto l’influenza della filosofia medioevale, e non abbia mantenuto il proposito di attenersi al fattuale. […] Non siamo in grado di misurare i mutamenti delle cose rapportandoli al tempo. Al contrario, il tempo è un’astrazione. […] Un moto può essere uniforme solo in rapporto a un altro. Il problema se un moto sia uniforme in sé è privo di significato. Allo stesso modo non si può parlare di ‘tempo assoluto’ (indipendente da ogni mutamento). […] Nessuno può pretendere di sapere alcunché al riguardo di esso. È dunque un inutile concetto ‘metafisico’" (op. cit., pagg. 241 e 242).

Einstein dunque apprezza le critiche di Mach all’idea di tempo e spazio assoluti; la sua risposta però va ben oltre le concezioni dello stesso Mach. A proposito dello spazio, Mach mette in dubbio l’evidenza dell’esperimento del secchio di Newton: "Gli autori moderni che si lasciano convincere dall’argomento newtoniano del vaso d’acqua a distinguere fra moto assoluto e moto relativo, non si rendono conto che il sistema del mondo ci è dato una sola volta, e che la teoria tolemaica e quella copernicana sono soltanto interpretazioni, ed entrambe ugualmente valide. Si cerchi di tener fermo il vaso newtoniano, di far ruotare il cielo delle stelle e di verificare l’assenza delle forze centrifughe" (Op.cit., pag. 146). Tuttavia, il cosiddetto Principio di Mach, che fa discendere le forze centripete dallo stato della massa dell’intero universo, resta secondo Einstein all’interno della concezione dell’influenza simultanea di tutte le masse fra di loro: ipotesi, ammette Einstein, "che per molto tempo considerai esatta, in linea di principio. Implicitamente, però, essa presupponeva che la teoria fondamentale dovesse essere dello stesso tipo della meccanica newtoniana: cioè che i concetti fondamentali dovessero essere le masse e le loro interazioni" (Einstein, op.cit., pag. 22). Al contrario, la teoria della relatività ristretta stabilisce, come concetto ‘di carattere definitivo’, che "non esiste alcuna simultaneità per eventi tra loro lontani: quindi non esiste nemmeno alcuna azione immediata a distanza, nel senso della meccanica newtoniana. E se anche l’introduzione di azioni a distanza, che si propaghino con la velocità della luce, resta ammissibile, essa sembra però innaturale, poiché in una teoria siffatta sarebbe impossibile affermare ragionevolmente un principio come quello della conservazione dell’energia" (op.cit, pag. 38).

È dunque la rivoluzione del concetto di tempo e l’eliminazione dell’idea di "simultaneità", al di là della critica semplicemente convenzionalista di Mach, a costringere ad abbandonare "in via definitiva" gli ultimi residui newtoniani circa la concezione di spazio e di movimento.

Nel 1905, Einstein propone di abbandonare ogni ulteriore ipotesi di "etere" come mezzo rispetto a cui misurare la velocità della luce e di ammettere come ipotesi la "costanza della velocità della luce" (cfr. op. cit., pag. 36); nello stesso tempo, per ragioni di semplicità logica e di amore per la razionalità, riafferma il principio di relatività particolare, cioè "l’indipendenza delle leggi (compresa quindi, in particolare, la legge della costanza della velocità della luce) dalla scelta del sistema inerziale" (ivi).Questi due principi sono fra loro incompatibili all’interno di coordinate spazio - temporali della fisica classica; diventano compatibili "solo se si postulano relazioni di tipo nuovo (‘trasformazioni di Lorentz’) per la conversione delle coordinate e dei tempi degli eventi; il che, tenuto conto dell’interpretazione fisica data precedentemente a tali grandezze, non equivale affatto a pura e semplice convenzione, ma implica certe ipotesi sul comportamento effettivo delle aste di misura e degli orologi in movimento, che l’esperienza può convalidare o confutare" (ivi)..

Anche se è essenzialmente teorico e non ancora (nel 1905) confermato dall’esperienza, il lavoro di Einstein non è quindi una convenzione, una proposta di una colossale semplificazione e unificazione di teorie: ha un preciso contenuto empirico, prevede ciò che avviene della metrica e degli "orologi" in particolari condizioni sperimentali.

Per tutto l’800 è adottata dal mondo fisico ufficiale la teoria ondulatoria della luce, e ad un’onda serve un mezzo: un "etere" che permetta alle onde elettromagnetiche di propagarsi. Ciò spiega perché la luce proveniente dalle galassie lontane, in forte allontanamento da noi, viaggi comunque alla stessa velocità: se la velocità non dipende dalla sorgente, evidentemente dipende da un mezzo di trasmissione. Pur essendo l’etere impalpabile e invisibile, ci si potrebbe accorgere comunque della sua presenza, perché al Terra si muove nello spazio. La sua velocità attorno al sole è di 30 Km. al secondo, e per quanto minima rispetto a quella della luce (solo un decimillesimo), produrrebbe un "vento d’etere" misurabile in una qualche parte dell’anno. Un percorso di andata e ritorno entro un mezzo in movimento di traslazione relativa richiede tempi più lunghi se il percorso è longitudinale e non trasversale (per esempio, una barca impiega meno ad attraversare un fiume piuttosto che a percorrere la stessa distanza longitudinalmente). Alla fine del secolo scorso Michelson con il suo interferometro scopre però che il raggio di luce impiega esattamente lo stesso tempo a percorrere segmenti uguali, qualunque fosse la loro direzione. Per spiegare ciò, Fitzgerald ipotizza l’omonima contrazione: l’etere causa una contrazione dei corpi (uguale per tutti i corpi, e quindi non rilevabile) in senso longitudinale al loro moto attraverso di esso. Poiché il braccio dell’interferometro diventa più corto nel senso del "vento", la luce impiega esattamente lo stesso tempo. Lorentz matematizza il concetto e aggiunge che anche il tempo e deve subire una contrazione a causa del vento d’etere, come se gli orologi ne siano rallentati.

Il giovane Einstein è molto interessato alla generalizzazione, ma non se la sente di accettarne motivazioni tanto artificiose: come la teoria dei cicli e degli epicicli serviva solo a salvare il geocentrismo di Tolomeo complicando a dismisura le leggi della natura, così la contrazione di Fitzgerald serviva solo a giustificare il fallimento dell’esperimento di Michelson e a salvare l’ingombrante concetto di "etere" e di movimento assoluto rispetto ad esso. Forte di questa sua convinzione, Einstein preferisce rinunciare ad ogni residuo di spazio assoluto newtoniano e cercare altrove la spiegazione della velocità costante della luce, indipendente dalle velocità relative di sorgente e osservatore. Il principio di relatività, per cui tutti gli osservatori inerziali sono equivalenti, deve essere compatibile con il fatto che la velocità di un raggio di luce è per tutti la medesima. La soluzione proposta è che il tempo non sia lo stesso per tutti; che nemmeno il tempo sia assoluto, cosmico, ma appartenga invece a ciascun osservatore, con opportune trasformazioni tra i tempi di osservatori in forte moto reciproco. Le obiezioni mosse da Mach a Newton verrebbero così interamente soddisfatte. In questo senso, la relatività ristretta di Einstein è essenzialmente una nuova concezione del tempo.

Se siamo disposti a ragionare su questa base, è semplice dimostrare che non c’è più alcuna "contemporaneità assoluta", cioè che eventi contemporanei per un osservatore non lo sono affatto per altri opportuni osservatori. Prendiamo ad esempio un treno lungo 600.000 Km. (del resto Einstein usava spesso nelle sue dimostrazioni treni molto lunghi e molto veloci). Il treno sta passando a 290.000 Km. al secondo accanto ad una banchina anch’essa lunga 600.000 Km. Al centro del treno A'B' sta l’osservatore O'; al centro della banchina AB sta l’osservatore O. Nel momento in cui si incrociano, O ed O' lanciano ciascuno due segnali luminosi, in direzione di A (e di A') e B (e di B'). Poiché ogni radiazione elettromagnetica, per qualsiasi osservatore, viaggia alla medesima velocità di 300.000 Km/s, O e O' concordano nel considerare i rispettivi raggi di luce perfettamente affiancati, viaggianti alla medesima velocità, due verso la testa e due verso la coda del treno (e della banchina). L’osservatore O misurerà che il raggio ha impiegato esattamente un secondo a raggiungere A, in fondo alla banchina, ed altrettanto l’altro raggio per raggiungere B, sull’altro estremo (per esempio, ponendo uno specchio in A e in B, in 2 secondi entrambi i raggi ritornano ad O). Viceversa, il raggio parallelo in direzione di A' raggiungerà la testa del treno, che fugge via a 290.000 Km/s, molto più tardi: occorreranno 30 secondi per raggiungere A' [300.000 Km / (300.000 – 290.000) Km/s = 30 s], ed eventualmente altri 30 per tornare ad O. L’altra coppia di segnali incrocia invece la coda del treno, che sopravviene a folle velocità, in poco più di mezzo secondo [300.000 Km / (300.000 + 290.000) km/s = 0,508 s].

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Per O, dunque, la sequenza degli eventi, a partire dall’incrocio con O' e l’emissione dei segnali, è:

  1. illuminazione di B' dopo 0,508 s
  2. illuminazione contemporanea di A e B a 1 s
  3. illuminazione di A' a 30 s

Per O', che vede approssimarsi la banchina a velocità altrettanto folle, i raggi di luce raggiungeranno la testa A' e la coda B' del treno esattamente in un secondo (l’eventuale specchio li riflette dopo 2 s dall’invio), mentre incontreranno molto presto la fine della banchina A (in 0,508 s) e molto più tardi (in 30 s) l’inizio della banchina B, che fugge indietro.

Per O', dunque, la sequenza degli eventi, a partire dall’incrocio con O e l’emissione dei segnali, è:

  1. illuminazione di A dopo 0,508 s
  2. illuminazione contemporanea di A' e B' a 1 s
  3. illuminazione di B a 30 s

Ovviamente non ha senso chiedersi "chi ha ragione", come non ha senso disputare, tra due navicelle che si incrociano nello spazio, su quale stia ferma e quale no. Il principio di relatività afferma proprio questo: non vi è un sistema di riferimento privilegiato, così come mancano un tempo e uno spazio unici e assoluti.

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