Indietro

Home page

 

*       

          comune di Oristano         Regione Sardegna                  C.R.S.4.                                Progetto Sardegna 2000

 

 

 

 

 

 

 

Coordinatore: Corona Giacomo.
 
Collaborazione nella rielaborazione testi e immagini  >  " Classe 16 - 18 ":
 
Flore M., Fulgheri A.M. & E., Palmas A. & S., Pinna R.,  Rundeddu F., Soddu D. & R., Spiga S. 

 

                                                  

 

 

La grande storia della città di Oristano
 
 
 

 

 

 
DAI PRIMI GIUDICI ALLA FINE DEL GIUDICATO…
 
   

 

 

Cronologia della dinastia dei giudici ( tab. n° 1 ) - foto di F.C. Casula

 
        Cronologia della dinastia dei giudici ( tab. n° 2 ) - foto di F.C. Casula           
 
   
 
1. IL REGNO DI ARBOREA: I PRIMI SOVRANI.
 
 
Si presume che il regno sia sorto intorno al 900 come germinazione dal regno di Torres, per cui non desta meraviglia se il primo “giudice” di Arborea che compare alla storia, sia stato il logudorese Gonnario-Comita de Lacon-Gunale, re forse a diverso titolo di entrambi gli Stati durante il delicato periodo dell’invasione musulmana di Mugiâhid nel 1015/16 e nel 1018-1026.
Gli successe Torchitorio-Barisone I il quale, verso il 1065 pensiamo —, dovette lasciare l’Arborea al figlio Mariano I de Lacon-Zori per prendere la reggenza del regno di Torres in nome del nipote minorenne, chiamato anch’egli Mariano, rimasto orfano di Andrea Tanca.
Dopo Mariano I de Lacon-Zori regnò sulla valle del Tirso Orzocco I, marito di Nibata, colui che nel 1070 spostò ufficialmente la capitale giudicale da Tharros a Oristano.
Lo seguì il “giudice” Torbeno, autore della prima pergamena cancelleresca citata; e, infine, Orzocco II, sposato con Maria de Orrù figlia del “giudice di fatto” Comita I.
Con lui, morto senza eredi, terminò la casata.
   
 
 
 
2. IL REGNO DI ARBOREA: I SOVRANI DELLA FAMIGLIA LACON-SERRA.
 
 
Si suppone che, intorno al 1102, il regno sia passato a Gonnario de Lacon-Serra originario di Torres, cognato di Orzocco II tramite la moglie Elena de Orrù.
A Gonnario successe Costantino I, di cui si ricorda aver donato verso il 1110 l’antico santuario della Vergine di Bonarcado ai Benedettini di Camaldoli affiliati a S. Zenone di Pisa, e l’altrettanto antica chiesa di S. Lussorio presso Fordongianus ai Benedettini pare, ma non è certo di S. Vittore di Marsiglia.
A lui, dopo una serie di “giudici di fatto”chiamati Orzocco III e Comita II, successe il figlio Comita III che strinse stretti rapporti diplomatici con Genova arrivando a cedere la chiesa oristanese di San Pietro di Claro (zona dell’attuale cimitero) alla cattedrale genovese di San Lorenzo.
   
 
 
3. IL REGNO DI ARBOREA: COMITA III DE LACON-SERRA.
 
 
Comita III fu il primo sovrano arborense con mire imperialiste forse giustificate da diritti dinastici provenientigli dal nonno rivolte verso il Logudoro in piena crisi politica durante l’esilio a Pisa del “giudice” minorenne Gonnario II.
Per attuare il suo disegno, nel 1131 chiese aiuto a Genova, rivale di Pisa, in cambio della metà delle miniere d’argento del proprio regno ( “medietatem montium in quibus invenitur veua argenti in toto regno meo’) e della promessa della quarta parte di quelle del regno di Torres qualora l’avesse occupato (“cum adquixiero regnum Turris”).
Ma il primo attacco fu respinto da Gonnario Il tornato ad Ardara coi suoi potenti parenti Ebriaci, e, nel 1133, dovette firmare una tregua.
Cinque anni dopo Comita III riprovò ad invadere il Logudoro suscitando le ire dell’arcivescovo di Pisa che, nel 1139, lo scomunicò dichiarandolo «nemico del popolo pisano e degli altri giudici». Questo portò alla precaria pace del1144.
Due anni più tardi il sovrano di Oristano morì, lasciando il trono al figlio Barisone I, il più sfortunato ed interessante personaggio di tutta la storia dell’Arborea del XII secolo.
 
   
 
4. IL REGNO DI ARBOREA: BARISONE I DE LACON-SERRA.
 
 
Barisone I era sposato con Pellegrina de Lacon ed aveva cinque figli, di cui ci interessano: Pietro perché gli successe nel 1185 (lemma 7), Susanna perché moglie di un figlio pare di Comita Spanu di Gallura, Sinispella perché dal suo primo matrimonio con Ugo-Poncio de Cervera ebbe origine la secolare casata dei Bas di Arborea (lemma 8) e, dal secondo con Comita di Torres, discesero le ultime due generazioni di sovrani logudoresi.
Con una simile rete di parentele si comprende perciò come nel 1146, appena salito al trono, il “giudice” abbia potuto convocare una conferenza internazionale sarda in occasione della consacrazione della nuova chiesa camaldolese di S. Maria di Bonàrcado, per discutere una pace generale. Accettarono l’invito l’arcivescovo di Pisa, Villano, legato pontificio, ed i tre sovrani di Calari, Torres e Gallura.
La concordia durò circa quindici anni. Ma nel mentre covava nell’animo di Barisone I un progetto panarborense di conquista totale della Sardegna denunciato dal famoso sigillo “sardista”, forse alimentato da Genova che per un più largo consenso mediterraneo aveva accreditato il suo protetto alla corte di Barcellona.
Così, nell’ottobre del 1157, ripudiata Pellegrina de Lacon, Barisone I sposava la sterile Agalbursa, figlia di Poncio de Cervera visconte di Bas (nella regione catalana di Olot) e della principessa Almodis, sorella di Raimondo-Berengario IV conte di Barcellona e re designato della Corona d’Aragona.
   
 
 
5.  IL REGNO DI ARBOREA: BARISONE I RE NOMINALE Dl SARDEGNA.
   
La dichiarazione di guerra a Pisa da parte di Genova il 19 giugno 1162, ruppe gli equilibri politici anche in Sardegna.
Nel 1163 Barisone I di Arborea appoggiò un non bene identificato pretendente filoligure al trono di Calari; e invase il “giudicato” costringendo il legittimo sovrano Pietro- Torchitorio III a rifugiarsi presso il fratello Barisone II di Torres.
Però il 2 marzo dell’anno successivo dovette subire il contrattacco dei due re uniti con gli zii pisani Ebriaci, giunti ad assediare il castello e il borgo di Cabras, in riva allo stagno omonimo.
Allontanato il pericolo, Barisone I si affidò ancora a Genova per ottenere dall’imperatore Federico I Barbarossa la qualifica di “re di Sardegna” (“rex Sardiniae’) che gli avrebbe dato una base giuridica per condurre una guerra imperialista di unificazione dell’Isola con l’appoggio tacito o palese dei ghibellini europei.
Era la prima volta che nel Medioevo veniva creato per la Sardegna un simile titolo da parte del potere laico, secondo la dottrina del verus Imperator (= l’Imperatore unico padrone del mondo), di nessun valore pratico se poi non era sostenuta con la forza.
Anche il Papato, rifacendosi alla famigerata donazione di Costantino creava spesso regni teorici in Italia e altrove, alcuni senza fortuna altri con destino plurisecolare come quello che, purtroppo, interesserà la nostra Isola dal 1297 in poi.
Barisone I fu incoronato re nominale di Sardegna chi dice il 3 chi dice il 10 agosto 1164 nella cattedrale di S. Siro a Pavia, in cambio di 4.000 marchi d’argento anticipati dal Comune di Genova, e l’impegno a versare un censo annuo all’Imperatore per vassallaggio. Disgraziatamente, non riuscì a rifondere subito il grosso debito ed i Genovesi lo tennero in ostaggio, nella loro città, per sette anni. In sua assenza resse l’Arborea, con molte difficoltà, la regina Agalbursa.
   
 
 
6.  IL REGNO DI ARBOREA: MORTE DI BARISONE I DE LACON-SERRA.
 
   
Tornato in patria nel 1172, Barisone I tentò, senza successo, di realizzare ancora con le armi l’antico sogno imperialista di unità delle genti sarde, non da tutti accettato. Forse per questo, non potendo contare né su Genova né su Pisa, in pace fra loro dal 6 novembre 1175, rinsaldò i legami con la Corona d’Aragona dando in sposa nel 1177 la figlia di primo letto, Sinispella, al cognato Ugo-Poncio de Cervera divenuto visconte di Bas, dalla cui unione nacque, l’anno dopo, Ugone I (lemma 4).
Nel 1180 attaccò nuovamente il “giudicato” di Calari ma fu respinto.
Negli ultimi tempi si diede ad opere pie ed alla bonifica del territorio, concedendo ai Benedettini di Montecassino la chiesa di S. Nicola di Gurgo o Burgo, presso Oristano, e la libertà di pesca negli stagni di Santa Giusta, di Cabras (Mar’e Pontis) e di Mistras nel Sinis. In cambio, nel 1182 chiese all’abate cassinese d’inviargli dodici monaci, «tre o quattro dei quali dice la traduzione del documento in latino medioevale siano letterati, affinché, se fosse necessario, possano essere eletti vescovi o arcivescovi, e, inoltre, possano trattare gli affari del nostro regno sia con la Curia romana che con la Curia imperiale».
Morì fra la fine del 1184 ed i primi del 1185, lasciando un trono tutt’altro che assestato.
 
 
   

7.   IL REGNO DI ARBOREA: CONDOMINIO FRA PIETRO I DE LACON-SERRA E 

      UGONE BAS-SERRA.

             

                         

Seguendo la linea generazionale dei Lacon-Serra, la corona de logu intronizzò nel marzo 1185 il figlio di primo letto di Barisone, Pietro I, contro le pretese della regina vedova Agalbursa che sosteneva i diritti del nipotino Poncetto visconte di Bas, passato alla storia col nome di Ugone I (lemma 6).
Nel confusissimo periodo che seguì pare che Pietro, per mantenere il trono, si sia alleato coi Pisani mentre Ugone, tramite la zia Agalbursa ed il re d’Aragona, si sia alleato coi Genovesi «per recuperare il regno arborense» (ad recuperandum arborensem regnum»).
Morta Agalbursa dopo il 1186, e stipulata una pace fra Pisa e Genova il 7 luglio 1188, i due contendenti a partire dal 20 luglio 1192 si accordarono sotto l’ègida genovese per un “con-dominio” che, secondo il Besta, dava ad entrambi la pienezza dei poteri sovrani senza scindere materialmente l’unità dello Stato, mentre a noi ricorda il governo plurimo di due imperatori bizantini di cui soltanto l’Autocràtor Basiléus esercitava il potere effettivo, mentre l’altro recitava un ruolo del tutto secondario.
D’altronde, Ugone I de Bas aveva appena quattordici anni ed era ancora sotto la tutela di Raimondo de Torrigia.
Nel 1195 Pietro I de Lacon-Serra fu sconfitto da Guglielmo-Salusio IV di Calari coadiuvato da Comita di Torres e catturato insieme al figlio cinquenne Barisone II.
Il “condòmino” Ugone I si diede alla fuga con l’arcivescovo Giusto. Oristano fu occupata e messa a fuoco; la cattedrale distrutta. Guglielmo si fece incoronare dal clero re del luogo per presunti diritti dinastici «sine mandatu apostolicae sedis»,
senza l’ approvazione della Sede Apostolica, suscitando le ire di Giusto che, imprigionato
nel 1199, si appellò a Innocenzo III.
    
   
 
8. IL REGNO DI ARBOREA: LA DINASTIA DEI BAS-SERRA
 
 
Ciò che avvenne dopo è estremamente complicato.
Pietro I de Lacon-Serra morì prigioniero a Pisa forse prima del 1204, lasciando il figlio Barisone II aspirante al regno. Il “condòmino” Ugone I de Bas-Lacon-Serra sposò nel 1206 Preziosa, figlia di secondo letto di Guglielmo-Salusio IV di Calari.
Il 30 ottobre dello stesso anno s’accordò col terribile suocero Guglielmo per rivedere i confini fra Calari e Arborea cedendogli metà della Marmilla.
Morì nel 1211, lasciando anch’egli il figlioletto Pietro II de Bas-Lacon-Serra pretendente al trono.
Alla fine, le cose si aggiustarono così: nel 1214, morto Guglielmo-Salusio IV, Barisone de Lacon-Serra ne sposò la figlia maggiore di primo letto, Benedetta, divenendo “giudice” di Calari col nome dinastico di Torchitorio IV.
Pietro II de Bas-Lacon-Serra, fino a quando fu minorenne, regnò assistito da alcuni luogotenenti (judikes de fattu) in “condominio” con lo zio Mariano II de Lacon-Gunale, re di Torres, colui che nel 1228 rifece la cattedrale di Oristano coi picchiotti bronzei ancora oggi custoditi nell’aula capitolare del duomo, uno recante la scritta onciale AD ONOREM DEI ET BEATE MARIE ET IUDICIS MARIANI I PLACENTINUS NOS FECIT ET COPERTURA ECCLESIE A.D. MCCXXVIII.
Da questa data Pietro II regnò da solo, mantenendo, oltre a quello dei Serra, il cognome dei Lacon ed il titolo nominale di visconte di Bas, anche dopo aver venduto il feudo catalano a Simone Palau nel 1241 (lemma 4).
Morì quell’anno stesso lasciando il figlio minorenne, Mariano, natogli dalla seconda moglie Sardinia.
 
   
 
9. IL REGNO DI ARBOREA: LA REGGENZA DI GUGLIELMO DI CAPRAIA.
   
In attesa che Mariano II, della stirpe dei Lacon-Serra visconti nominali di Bas (chiamati per comodità Bas-Serra),diventasse maggiorenne, il governo giudicale fu affidato in reggenza al vecchio zio Guglielmo di Capraia.
Costui era figlio di secondo letto di Giacobina, vedova di Pietro I de Lacon-Serra, lo sfortunato sovrano morto a Pisa, padre dell’altrettanto sfortunato Barisone- Torchitorio IV di Calari.
Discendeva, per parte di padre, dall’illustre famiglia toscana i Burgundione, conti della rocca indipendente di Capraia, Valdarno, ed era imparentato sia coi Gherardesca conti di Donoratico che coi Visconti di Pisa.
Il 29 settembre 1250 pare abbia ottenuto dal papa Innocenzo IV il riconoscimento della piena sovranità sull’Arborea; ma, evidentemente, senza il consenso della corona de logu che a suo tempo intronizzerà Mariano II.
Comunque, sia che fosse “giudice” di diritto oppure di fatto, nel 1258 partecipò all’abbattimento ed allo smembramento del regno filogenovese di Calari divenendo Signore della terza parte centrale del territorio calaritano e, dopo il 1259, combatté contro i Doria per spartirsi il Logudoro approfittando della scomparsa della “giudicessa” Adelasia e della prigionia del re Enzo )Hohenstaufen di Svevia.
All‘assedio del castello di Burgos nel Goceano, il 20 maggio 63, domenica di Pentecoste, lo trovò l’arcivescovo di Pisa Federico Visconti durante il suo memorabile viaggio apostolico attraverso l’irrequieta Sardegna.
Morì nel 1264 lasciando un figlio minore, Nicolò, il quale, per quattro anni, fu affiancato al nuovo legittimo “giudice” Mariano II de Bas-Serra suo tutore.
Poi, fu estromesso e morì anche lui fra il 1270 e il 1274.
 
   

 

10. IL REGNO DI ARBOREA: MARIANO II DE BAS-SERRA.

Pur nella scarsezza di fonti storiche sarde, Mariano II de Bas-Serra signore della Terza parte centrale del Calaritano, nonché cittadino giurato di Pisa dal 17 giugno 1265, è un personaggio storicamente definito.
Innanzitutto portò avanti con le armi la sue pretese sull’ex “giudicato” di Torres contro l’invadenza dei Doria, in quanto discendente di Ugone I de Bas-Serra, fratello uterino del logudorese Mariano II de Lacon-Gunale.
Nel 1274 lo ritroviamo addirittura nella Nurra dei Doria dove prendeva, per poco tempo, il castello di Monforte e lo riattava lasciandovi a ricordo una bella epigrafe studiata dal nostro collaboratore dott. Giuseppe Spiga, attualmente conservata nel Museo Archeologico “G.A. Sanna” di Sassari.
Nel 1277 le sue conquiste furono riconosciute dal pontefice che lo designava «vicario generale della sacrosanta Chiesa nel regno di Logudoro» («in regno de Logudoris pro Sacrosanta Ecclesia vicario generali»): un’ingegnosa formula diplomatica per ricordare il lascito testamentario giudicale di Adelasia di Torres in favore di San Pietro.
In pratica, anche se in nome del Papato, Mariano II di Arborea si annetteva le ex “curatorie” di Montiferru, Marghine, Goceano, Dore-Orotelli, (Bitti ?), Monteacuto e Nughedu inferiore (escluso Bisarcio), con i castelli di Montiferru, Macomer, Burgos, Montezuighe (Ittireddu), Olomene (Pattada) e Monteacuto, contrapposti a quelli dei Doria signori di quasi tutto il Logudoro settentrionale.
Saranno questi territori ultragiudicali arborensi a provocare dissidi e guerre nel Trecento, all’epoca dei Catalano-Aragonesi del regno di “Sardegna e Corsica”.
 
   

 

11. IL REGNO DI ARBOREA: MORTE DI MARIANO II DE BAS-SERRA.
 
 
Mariano II, munito di beneficium cittadinatus, abitò spesso a Pisa, dove aveva casa-torre all’inizio di Ponte Vecchio («in capite pontis veteris»), nel tragico periodo di «guerra viva» degli anni Ottanta.
Si era sposato con la figlia di Andreotto Saraceno Caldera, l’ammiraglio della flotta pisana sconfitta dai Genovesi alla Meloria il 6 agosto 1284,ed era divenuto fautore del conte Ugolino della Gherardesca quando, nell’estate del 1287, si era imparentato con lui tramite il matrimonio per verba del figlio minorenne Giovanni, detto Chiano, con la figlia del conte, Giacomina.
Anche dopo la morte del vecchio Ugolino nella Torre della Fame nel marzo del 1289, Mariano II si mantenne partigiano dei Gherardesca ugoliniani accasandosi in seconde nozze, nel 1293, con una figlia del ribelle Guelfo, rifugiato nel Cixerri.
Senonché, non si sa il motivo, il 4 gennaio 1295 cambiò politica alleandosi col Comune di Pisa al quale lasciava in testamento, alla sua morte, il Terzo centrale del Calaritano (poi ceduto, in pratica, dopo il 1300 e partecipò con Ranieri della Gherardesca gherardiana e Lupo Villani all’assalto di Guelfo a Villa di Chiesa (Iglesias).
Infine, quando costui, ferito al fianco da una verga sardesca, trovò rifugio nel suo ospedale arborense di Sette Fonti (oggi Siete Fuentes), sulla strada per Sassari, lo fece avvelenare dai medici, forse per allargare i propri confini meridionali all’Argentiera del Cixerri.
Morì nel 1297, lasciando il “giudicato” al figlio Giovanni/ Chiano non ancora diciottenne.
   

 

 
12. IL REGNO DI ARBOREA: GI0VANNI/CHIANO DE BAS SERRA.
   
Nello stesso anno in cui moriva Mariano II e saliva al trono di Oristano il figlio Giovanni/Chiano, ancor giovine inesperto iuvenis est et nichil valet»), il papa Bonifacio VIII, per ragioni politiche note, istituiva un ipotetico regno di “Sardegna e Corsica” e lo infeudava al catalano Giacomo II il Giusto, re della Corona d’Aragona, dandogli così una licentia  invadendi, cioè il permesso guelfo di occupare con la forza l’Isola o parte di essa.
Giovanni, sentendosi minacciato nel suo Stato, levato il brando esclamò enfaticamente ma con piena coscienza sovrana:
«Con questa spada quelli della mia Casata e i miei predeces­sori conquistarono il giudicato e questa terra, ed io con que­sta spada la difenderà virilmente e fortemente» (cum isto ense illi de domo mea et predecessores mei conquistaverunt iudicatum et terram istam, et ego defendam cum isto viriliter et potenter»,).
Allorquando, raggiunta la maggiore età all’ombra del “giudice di fatto” Tosorato degli Uberti, perfezionò a Pisa il suo matri­monio con Giacomina della Gherardesca, Giovanni detto Chiano aveva già due figli naturali: Mariano e Andreotto, na­tigli da una certa Vera Cappai considerata sua concubina dal­le fonti cattoliche dell’epoca, ma che noi personalmente rite­niamo fosse una sorta di moglie morganatica secondo una tra­dizione indigena più volte messa in pratica dai “giudici” sardi.
Intorno al 1300 Giovanni dovette rinunciare all’Argentiera del Cixerri in favore del Comune pisano, e, forse, cedendo il Terzo del Calaritano alienò anche qualcosa del patrimonio de­maniale rompendo il giuramento di ban­nus-consensus, per cui, il 23 marzo di un anno imprecisato fra il 1304 e il 1307, fu giustiziato dal po­polo in rivolta e sotterrato con la lingua tagliata (« absque lingue in terra mortuus vilissime introcessit»).
Lasciò la moglie Giacomina incinta di una bambina, Giovan­na, nata postuma e deceduta subito dopo il parto.
Il bellissimo sarcofago della piccola Giovanna, in pietra scol­pita, scampato per caso alla sistematica distruzione del nostro passato, è stato portato da poco a Tramatza, da cui proveniva, dopo essere stato lasciato per circa quarant’anni nel cortile della Curia arcivescovile di Oristano.
 
                        

 

13. IL REGNO DI ARBOREA: ANDREOTTO E MARIANO DE BAS­-SERRA.
 
 
Sembra che ora, sul trono di Arborea, siano saliti in “consorte” Andreotto e Mariano de Bas-Serra, figli naturali di Giovanni/Chiano e di una certa Vera Capai, riconosciuti an­che dal papa («dilectis filiis nobilibus viri Mariano et An­dreocto vicecomitibus de Basso et iudicibus Arboree»).
Se la notizia fosse sicura, sarebbe la prima volta in tutta la sto­ria giudicale che la corona de Iogu avrebbe permesso che re­gnassero, contemporaneamente, due fratelli; perciò, è proba­bile che il vero re sia stato uno solo e che l’altro fosse piuttosto un semplice “giudice di fatto” in periodo di impedimento temporaneo dell’effettivo sovrano.
Comunque, sia che governarono sia che regnarono insieme, si sa che An­dreotto e Mariano, l’8 aprile del 1308, comprarono da Fran­ceschino Malaspina di Mulazzo del ramo dello Spino Secco, e da Corrado Malaspina di Villafranca, il castello di Serravalle col borgo di Bosa Nuova e tutta la Planargia e il Costavalle, unendo quelle regioni al territorio ultragiudica­le logudorese già in loro possesso per guadagno politico o per conquista personale.
È indispensabile rimarcare questo particolare per spiegare al­cuni importanti episodi successivi.
I “giudici” di Arborea più come regnanti moderni che come sovrani medioevali —, distinguendo la propria figura privata da quella pubblica, potevano acquistare col proprio denaro (pe­culio) ciò che volevano: terre e castelli, villaggi e città delle quali tenevano per sé le rendite e i proventi; potevano intra­prendere guerre personali e conquistare con le proprie masna­de (= soldati di professione da essi chiamati e stipendiati) pae­si e contrade per accrescere il proprio patrimonio familiare. E, su tali beni, i “giudici” erano liberi di agire senza il consenso della corona de logu, essendo fuori del rennu o demanio statale.
   
   
14. IL REGNO DI ARBOREA: MARIANO III DE BAS-SERRA.
   
Andreotto morì intorno al 1309 e suo fratello, Mariano III, ri­mase solo a regnare in Oristano. Egli, insofferente all’ingeren­za dei Pisani — che nel 1312 l’avevano costretto a comprare dall’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo il riconoscimento dei propri diritti successori ed a sposare per verba Costanza di Montaealcino contessa di Elci —, ebbe forti simpatie per i Ca­talano-Aragonesi ai quali, nel 1314, mandava messaggeri con l’invito a venire in Sardegna per scacciare i Toscani, e, nel 1315, accoglieva con sfarzo nella sua reggia oristanese la sorel­la del re di Cipro, Maria, che si recava a Barcellona per cele­brare le sue nozze con Giacomo II il Giusto, vedovo da cinque anni di Bianca d’Angiò.
Mariano III fu un sovrano premuroso del suo regno, di cui curò la restaurazione di strade e di ponti, specie del Ponte Grande sul Tirso («in recuperacione, conservacione, gubernacione Pontis Magni ... secundum consuetudinem re­gni Arboree»), e che completò l’opera di ristrutturazione ur­banistica della capitale iniziata dal nonno, con la cinta muraria, le torri di S. Cristoforo e di S. Filippo sovra­stanti la Port’a Pontis e la Port’a Mari, il nuovo palazzo arcive­scovile e la reggia poi ultimata dai suoi discendenti.
Forse Mariano III non perfezionò mai il proprio matrimonio con Costanza di Montealcino perché convisse — in forma evi­dentemente morganatica (lemma 12) con una certa Padu­lesa de Serra che gli aveva dato ben sei figli; il primo dei quali, Ugone, destinato a segnare una svolta importantissima nella storia sarda, gli successe nel 1321 non senza difficoltà.
   

 

 
15. IL REGNO Di ARBOREA: UGONE II DE BAS-SERRA.
 

 

Insidiavano legalmente il trono di Ugone II Pisani perché, diceva­no, «... non potest de jure succedere quia est bastardus» («non può succedere di diritto in quanto è bastardo»),appoggiando le rivendicazioni di Giacomina della Gherardesca, vedova di Giovanni/Chiano (lemma 12), la quale, il 12 febbraio 1329, ricorreva senza esito pratico all’imperatore Ludovico il Bavaro per riavere i beni patrimoniali del marito (bona feudalia que tenebat dictus Iohannes tempore quo decessit»).
Quando divenne “giudice”, Ugone II era sui 25-26 anni. Co­me il padre e il nonno si era accompagnato o unito in matri­monio morganatico con un anonima concubina che gli aveva dato tre figli: Lorenzo, Angiolesa e Preziosa, scaduti d’impor­tanza allorché, sposatosi in un anno imprecisato con una pro­lifica nobildonna chiamata Benedetta, di casato sconosciuto, gli nacquero, secondo un nostro calcolo approssimativo: Pie­tro, il primogenito, nel 1314-15; Bonaventura, la prima fem­mina, nel 1317; Mariano, futuro Mariano IV, nel 1319; Gio­vanni, lo sfortunato ribelle giudicale, nel 1320; Nicola, avo dei marchesi di Oristano, nel 1322; Francesco, il canonico, nel 1324; e, infine, Maria nel 1326, con una discendenza an­che lei di primo piano nel panorama politico del nuovo corso storico che si stava aprendo in Sardegna e nella penisola iberi­ca (lemmi 18, 19, 20).
   

 

 
16. REGNO DI ARBOREA: L’ALLEANZA COI CATALANO-ARA­GONESI.
   
All’inizio della primavera del 1323 Ugone II si alleò con Giacomo II d’Aragona, re nominale di “Sardegna e Corsi­ca” e ne divenne vassallo tramite la commenda­tio persona/is, cioè col giuramento personale di fedeltà e il censo annuo di 3.000 formi d’oro in cambio del mantenimento dei propri diritti dinastici e di un’eventuale protezione milita­re (nel Medioevo, il vassallaggio fra re era usuale).
L’11 aprile attaccò con le sue masnade private gli odiati Pisani al confine meridionale fra Villanovaforru e Sanluri, e chiese subito aiuti a Giacomo II che il 15 maggio gli inviò tre galere cariche di armati al comando di Gherardo e Dalmazzo de Ro­cabertì.
Era l’avanguardia del grande corpo di spedizione mi­litare che si andava apprestando da tempo in Catalogna per conquistare, con l’appoggio personale di Ugone II, la parte pi­sana dell’Isola.
Il contributo di Ugone II alla realizzazione del regno iberico di “Sardegna e Corsica” fu determinante, scaturito dall’errato calcolo politico di poter diventare unico principe sardo, mo­narca nel suo “giudicato” e luogotenente del lontano sovrano di Barcellona nei territori tolti di forza ai Pisani.
1113 giugno 1323 il “giudice” consigliò interessatamente l’in­fante Alfonso d’Aragona, capo dell’armata d’invasione, di sbarcare a Palma di Sulcis, in agro “di San Giovanni Suergiu, e di porre per primo l’assedio a Villa di Chiesa (Iglesias), sua pe­ricolosa nemica nei monti argentiferi di Fluminimaggiore, la quale si arrese dopo sette mesi e Otto giorni di strenua resi­stenza.
Il 2 marzo 1324 cooperò con tutte le sue soldatesche (ab tot sa poder») all’assalto di Castel di Castro (Cagliari), che capi­tolò il 19 giugno 1324 con un trattato, sottoscritto pure da Ugone Il, con cui i Pisani cedevano ai Catalano-Aragonesi tutti i propri possedimenti coloniali di Calari e di Gallura, tranne la città capoluogo tenuta in forma feudale.
Quel giorno era nato di diritto il regno di Sardegna.
   

 

 
17. IL REGNO Dl ARBOREA: MORTE DI UGONE II DE BAS-SER­RA.
   
Ugone II si mantenne sempre fedele all’alleanza coi re di “Sardegna e Corsica”, sovrani della Corona d’Aragona, anche quando il 20settembre 1329 scoppiarono le prime rivolte an­ti-iberiche a Sassari, che pure si era data spontaneamente ai Catalano-Aragonesi il 4 luglio 1323 formando col suo distret­to il Capo di Logudoro.
Coerente con la propria politica, aveva fatto sposare ben sette dei suoi dieci figli con altrettanti donzelli e donzelle di nobili famiglie iberiche, dando origine a grandi e prestigiosi lignaggi della Spagna moderna; aveva imposto ai figli cadetti, Mariano e Giovanni, un’educazione catalana inviandoli a Barcellona nel 1331, all’età di dodici e di dieci anni, perché studiassero e frequentassero la corte; nel 1334 aveva acquistato sul conti­nente spagnolo la “villa” di Molins de Rey, vicino alla capitale della Corona, ed i castelli di Gelida e Matarò.
Morì, forse di nefropatia gottosa («propter pedis egrotudi­nem»), all’età di circa quarant’anni, il 5 aprile 1335, chieden­do nel suo lungo testamento, dettato al notaio Giuliano Cher­chi, di essere seppellito nella cappella di S. Bartolomeo nel duomo di Oristano («apud ecclesiam Beate Marie civitatis nostre Oristanni, in sepulcro in et ubi antecessores sunt soliti seppelliri»).
Forse non fu esaudito, perché una fonte (pur­troppo non controllata) ci informa che fu sepolto a S. Pietro di Claro, presso l’attuale cimitero. Una settimana dopo, ne diede il triste annuncio al nuovo sovrano di Barcellona, Alfon­so III (o IV) il Benigno, il “donnicello” Pietro con una lettera nella quale si firmava solo «visconte di Bas», senza titoli regali né strumenti cancelleresci statali, come il si­gillo giudicale, perché non era stato ancora intronizzato dalla corona de logu («quia presencialiter sigillum iudicatus non ha­beo, presentes licteras sigillo quod primiter utebatur sigillari feci»).
  
 
 
 
18.  IL REGNO DI ARBOREA: PIETRO III DE BAS-SERRA.
 

 

Pietro III de Bas-Serra non fu una grande figura della storia giudica­le arborense.
Quand’era ancora donnikellu (= principe), il 3 aprile 1328 si era recato all’incoronazione di Alfonso III (o IV) il Benigno a Saragozza, e, alla fine dell’anno, si era sposato a Barcellona con la quattordicenne Costanza Aleramici di Saluzzo, origina­ria piemontese, figlia del primo governatore generale del re­gno di “Sardegna e Corsica”.
Salito al trono a ventun’anni, trascorse la vita da pacifico mo­narca all’ombra di due eminenti personaggi: il cancelliere sta­tale Guido Cattaneo, arcivescovo di Arborea, inquisitore here­ticae pravitatis in tutta l’Isola per conto della Santa Sede, ed il canonico di Tramatza Filippo Mameli, «doctore de decretu et de lege» in entrambi i diritti, civile e penale, come si legge nel­la sua iscrizione funeraria murata a destra dell’altare dell’An­nunziata nella cattedrale di Oristano.
Morto Alfonso il Benigno, il 31 marzo 1336 non si recò nem­meno a rendere omaggio al nuovo sovrano Pietro III (o IV) il Cerimonioso in Catalogna, e fu rappresentato dal fratello Ma­nano che laggiù studiava.
Alludendo a inconfessati peccati da redimere, il 22 settembre 1343 aveva ottenuto dal papa Clemente VI di fondare a Oristano, insieme con la moglie, un monastero per le suore dell’Ordine di Santa Chiara, attiguo alla chiesetta di S. Vincenzo martire ristrutturata come cappella degli Arborea, con fregi ancora oggi visibili, riproducenti le insegne private della casata dei Bas-Serra: l’Albero deradicato statale con affiancati tre Pali catalani in ricordo della propria lontana origine iberi­ca (lemma 8).
E lì, nell’arco frontale dell’abside, permise che fosse dipinto il donnikellu Mariano, suo probabile succes­sore, col figlioletto Ugone dopo essere ritornato da Barcellona alla fine del 1342.
Pietro III di Arborea morì al principio del 1347 senza figli. Costanza lo seguì nella tomba il 18 febbraio 1348; la sua epi­grafe e il suo testamento sono conservati nel convento di S. Chiara da lei voluto.
                        
 
 
19.  IL REGNO DI ARBOREA: MARIANO IV DE BAS-SERRA.
 
 
Se­guendo la linea generazionale laterale maschile dei Bas-Serra, che si autodefinivano gli Arborea, la corona de logu intronizzò nel 1347 il ventottenne Mariano IV, fratello del “giudice” scomparso.
Mariano nel 1331, all’età di dodici anni, era stato mandato a studiare in Catalogna (lemma 17), dove nel 1333 era stato armato cavaliere dal re col cingolo militare; nel 1336 si era spo­sato a Barcellona con la nobile Timbora dei Rocabertì (lemma 16) che nel 1337 gli aveva dato il figlio maschio Ugone, in­torno al 1340 la figlia Eleonora e, nel 1341/42, l’altra figlia Beatrice.
Era rientrato in Sardegna con la famiglia nel 1342, dopo esse­re stato insignito l’il settembre 1339 del titolo onorifico di conte del Goceano e di signore della Marmilla (cagliaritana), due dei territori ultragiudicali già in possesso degli Arborea ma giuridicamente appartenenti al regno di “Sardegna e Corsica” tramite la Chiesacome lo era, in teoria, la si­gnorìa di Bosa e del Monteacuto affidata al fratello Giovanni —.
Prima di diventare “giudice”, Mariano aveva abitato con la sua famiglia soprattutto nel castello del Goceano, presidio della sua contea, popolando il borgo (oggi Burgos) e concedendo a chi andava a colonizzare la zona una “carta” di privilegi e fran­chigie perpetue (faguendollis plena gracia ... in perpetuum dae ognia serviciu et factione et gravicias realis et personales et mixtas»).
Nel 1343 si era fatto ritrarre con la grande spada di cavaliere al fianco da un pittore napoletano di Scuola giottesca (forse Pie­tro Orimina), nel soppedaneo del polittico (= dipinto suddivi­so in più pannelli) della cattedrale di Ottana, sede vescovile del suo feudo del Goceano, dove è scritto: FRATER SILVESTER EPISCOPUS OCTANENSIS + DOMINUS MARIANUS DE ARBOREA DOMINIJS GOCIANI ET MARMILLE FECIT FIERI
     
 
 
20.  IL REGNO DI ARBOREA: LA FIGURA DI MARIANO IV
   
Ma­riano IV, il più grande re dell’Arborea nel Trecento, era certa­mente un uomo intelligente, colto e raffinato: viveva e si com­portava secondo un elaborato cerimoniale di corte, in parte mutuato dalle Leggi palatine di Pietro IV d’Aragona; parlava e conosceva, oltre alle lingue sarde (arborense, calaritana, logu­dorese e gallurese), il latino, l’italiano e il catalano; era in cor­rispondenza epistolare con le maggiori personalità del tempo, fra cui la giovane e battagliera Caterina da Siena.
Come si conveniva ad un sovrano cristiano, era anche devoto e pio: teneva sempre a portata di mano la Bibbia («... accepta quandam Biblia quam ibi habebat ... ») e badava alla costru­zione e all’arredo di edifici religiosi nel suo regno, fra cui il monastero delle Clarisse a Mara Arbarei (oggi Villamar, nella Marmilla inferiore), la chiesa e il monastero di S. Chiara di Oristano, fondato dal fratello e dalla cognata, e la cappella re­gia di S. Gavino martire prossima al castello di Monreale (Sar­dara), residenza estiva degli Arborea.
 Però era pur sempre una creatura del suo tempo, timoroso dell’arcano, credente nelle arti magiche, pratico di filtri e di stregonerie («potiones vel metzines»). Aveva presso di sé uno schiavo moro indovino e sperimentava strane terapie per cu­rarsi il corpo («expertus est de leone supra rene et de ariete su­pra caput»).
Era in certo qual modo un uomo giusto, come quando nel settembre del 1353, all’inizio della guerra contro la Corona d’Aragona, aveva fatto impiccare due Sardi giudicali che a Oristano avevano incitato la folla ad assalire le carceri e a fare a pezzi quarantadue Catalani che vi si trovavano rin­chiusi.
Ma, quand’era necessario, sapeva essere duro e crudele come poteva esserlo un uomo del Medioevo. Lo dimostra il disuma­no trattamento nei confronti del fratello Giovanni e del nipo­te Pietro, fatti morire in prigione nel 1376 circa, dopo averli arrestati all’inizio del suo regno non si sa di preciso per quali terribili crimini.
 
Chiesa di S. chiara
   
 
21. IL REGNO DI ARBOREA: LA ROTTURA CON LA CORONA D’ARAGONA
 
 
Mariano IV era già tiepido nei confronti della Corona d’Aragona quando i Catalano-Aragonesi, nell’agosto del 1347, furono battuti a Aidu de turdu, presso Bonorva, dai Doria eccezionalmente riuniti,e quando, il 30 agosto 1353, le forze iberiche al comando déll’ammiraglio Bernardo de Cabrera occuparono la cittadina genovese di Al­ghero
La guerra, deliberata in corona de logu, scoppiò agli inizi di set­tembre del 1353 per ragioni che oggi ci sembrano più risorgi­mentali, di liberazione dallo straniero dei territori che costi­tuivano allora il regno di Sardegna, piuttosto che, come si pensava un tempo, di sopravvivenza statuale, in quanto mai i Catalano-Aragonesi ebbero a minacciare per primi, diretta­mente, il regno di Arborea; semmai il contrario. Comunque, Mariano IV ruppe alla fine il suo rapporto di vassallaggio per­sonale con la Corona abolendo dai suoi stendardi l’ antico em­blema dei tre Pali catalani, simbolo alterato dei conti di Bar­cellona, ed assumendo quello figurativo del suo Stato: l’Albero deradicato in campo argento o bianco («vexlla alba, hunciam intus pictam arborem viridem... sine aliquo signo regali»), con cui invase il Cagliaritano e ripose i Sar­di regnicoli per la maggior parte consenzienti, minacciando di gravi pene i riluttanti: il taglio delle mani e dei piedi, e la con­fisca dei beni (»sub pena amissionis pedis et manus et averi»).
Il 10 settembre catturò a Decimo Gherardo della Gherardesca, conte di Donoratìco, vassallo e capitano di guerra del re d’Arogona, e lo convertì alla sua causa; poi, assedi Castel di Cagliari, dalla parte di Quartu.
Ma il 7 ottobre fu battuto in un irrilevante scontro da Bernardo de Cabrera e a stretto a ripiegare a Sanluri.
 
 

 

22.  IL REGNO DI ARBOREA: LA PACE Dl SANLURI.
   
Nel settentrione dell’Isola le iniziative belliche degli Arborea e dei Dori alleati andarono meglio: il 15 ottobre 1353 le “mute” di Mariano IV e le soldatesche di Matteo Doria prese ro Alghero al grido di «Morgen sos Cathalanosb («Muoiano i Catalani»), e poi s’addentrarono nel Capo di Logudoro (lemma 17) ponendo l’assedio a Sassari con quattrocento cavalieri e mille fanti «di poco valore», dicono le fonti iberiche; m che indussero il re Pietro il Cerimonioso ad allestire una costosissima spedizione militare ed a sbarcare di persona in Sardegna, nella baia di Porto Conte, il 22giugno 1354, con l’intenzione di stroncare definitivamente così credeva lui — le resistenze e i fermenti che agitavano questo suo tormentato regno d’oltremare.
Fu un fallimento: ottenne con la diplomazia la cittadina Alghero il 16 novembre 1354 ma alle dure condizioni di Mariano IV che, con la pace di Sanluri dell’ 11 luglio 1355, i pose un decennio di tranquillità all’Isola giudicale e regnicola.
Fu il periodo di massimo splendore per l’Arborea e per Oristano, frequentata da grandi personaggi del continente italiano ed europeo, che diedero modo al “giudice” di far sposa nel 1362, il figlio Ugone con la figlia di Giovanni III di Vico signore di Viterbo e prefetto di Roma, e la terzogenita Beatrice, nel 1363, con il maturo Amerigo VI, potente visconte Narbona nella Francia meridionale.
 
 
23. IL REGNO DI ARBOREA: LEGISLAZIONE E CULTURA NEL TRECENTO.
 
Nel decennio 1355-1365, a Oristano, uno scelto gruppo di giuristi sardi e “terramannesi” (= continentali) — ec­clesiastici e laici probabilmente della Scuola di Bologna, fra cui Bartolo Catone, fra’ Leone da Ravenna, Giovanni da Cre­mona, Guido de Vada —, metteva a punto la legislazione del ,“giudicato” che finallora, si crede, era tramandata oralmente in forma di diritto consuetudinario.
Nelle stanze della Cancelleria di Palazzo erano redatti i capito­li della Carta de Logu, il codice dileggi che sarà promulgato dopo anni di lavoro nel 1392 da Eleonora d’Arborea (lemma 33), nonché le norme che avrebbero formato nel 1382 le Or­dinanze di Ugone III (lemma 26), e i ventisei articoli del Co­dice rurale di Mariano IV, rivolti alla regolamentazione dell’agricoltura e dell’allevamento nelle terre giudicali e oltre­ giudicali.
Quest’ultimo Codice— a noi noto — mette in luce, fra l’altro, alcuni particolari sulla cultura arborense pochissimo studia­ti, relativi alle scuole e al grado di alfabetizzazione dei Sardi giudicali, cittadini e paesani, dal momento che tutti i maio­res de villa dovevano avere un registro annuale («unu qua­dernu, pro sé, ognia anno») nel quale annotare giorno per giorno, con sottoscrizione delle guardie campestri, le multe Inflitte, le recinzioni ispezionate e le altre azioni inerenti il servizio.
Evidentemente, fra la popolazione dell’Arborea — stimata da Carlo Livi di circa 120.000 persone — c’era più gente letterata di quanto si creda, e più di quanto si è propensi a concedere ad una società pensata composta in massima parte da pastori, pe­scatori e contadini poveri e rudi.
 
   

 

24. IL REGNO DI ARBOREA: LA CANCELLERIA STATALE NEL TRECENTO
   
Riflesso più alto della cultura giudicale nel Tre­cento era la Cancelleria statale, che si era ormai maturata in ufficio certificante, senza bisogno dell’intervento del notaio a dare pubblica fede all’atto.
I documenti che vi venivano redatti — in carta o in pergamena a seconda dell’importanza del contenuto erano perfetti nel formulano, nei sigilli pendenti o aderenti di diversa misura e tipo, nella datazione cronica espressa «secondo il corso di Oristano» — «secundum cursum civitatis Aristanis» (o «Incar­nationis Dominice») —, equivalente allo Stile pisano dell’An­nunciazione (o Incarnazione) con un anno in più, rispetto a noi, per i giorni dal 25 marzo al 31 dicembre.
Ecco, per esempio, una parte della lettera di procura, in latino medioevale, rilasciata da Mariano IV il 26 febbraio 1355 al suo ufficiale Ranieri Bonifacio Gualandi perché lo rappresen­ti presso il re Pietro IV d’Aragona che in quel momento stava a Castel di Cagliari: «Noverint universi quod nos Marianus, Dei gracia iudex Arboree, comes Gociani et vicecomes de Basso, cum hocpresen publico instrumento vicem epistule in se gerenti facimus, constituimus et ordinamus certum et specialem procuratorem nostrum vos, venerabilem et dilectum virum Raynerium Bonofacii de Galandis militem, licet absente tanquam presentem, ad  prestandum vos, nomine nostro et pro nobis, in curia generali quam indixit excellentissimus dominus rex Aragonum, Valencie, Maioricarum, Sardinie et Corsice comesque Barchinone, Rossilionis et Ceritanie, incolis Sardinie in Castro Callari ce­le branda…..Dantes et concedentes vobis, dicto procuratori nostro,plenissimam potestatem cum libero et generali manda­to tractandi, ftrmandi et consentiendi iuxta formam premis­sam in predictis …Quod est actum Arestani, die XXVI fe­bruarii, anno Domini M. CCC.LV Dominice Incarnationis, in quandam camera curie nostre, presentibus Petrucio de Mo­guro, Nicola Spano et Graciadeo de Lacone, testibus ad hec vocatis specialiter et rogatis. ».
 
 

 

 
25. IL REGNO DI ARBOREA: GUERRA NAZIONALISTA E  MORTE DI  MARIANO IV.
   
Il 18 ottobre 1365 Mariano IV riprese nell’Isola il conflitto, deliberato in corona de logu, con l’attac­co ai castello aragonese di Sanluri.
Le ragioni della nuova guerra, che da imperialista si era tra­sformata in nazionalista, stavano nel disegno del “giudice” di diventare anche sovrano del regno di “Sardegna e Corsica” col consenso quasi totale delle popolazioni regnicole angariate dal feudalesimo e dal malgoverno iberico (« nos extrahemus vos prometteva lorode servitute Cathalanorum»), e col bene­stare del papa Urbano IV al quale Mariano IV si era rivolto per avere legalmente il titolo e la licentia invadendi («iudexArbo­ree surgessit summo pontifici et tractavit Curia Romana quod dominus rex Aragonum privaretur titulo regni Sardinie et quod aplicaretur dicto iudici» = «il giudice di Arborea si pre­sentò al sommo pontefice e trattò con la curia romana per­ché togliesse la titolarità del regno di Sardegna al re d’Ara­gona e la desse a lui»).
«Alla fine dell’anno dice una fonte locale — tutta la Sarde­gna era all’obbedienza del giudice, eccetto Castel di Caglia­ri, Sassari e Alghero».
Allora, Pietro III (o IV) il Cerimonioso inviò nell’Isola, a Ca­stel di Cagliari, una grossa spedizione militare al comando di Pietro Martìnez de Luna il quale, nel giugno del 1368, pene­trò nell’Arborea ed attaccò Oristano; ma fu sconfitto in batta­glia presso Sant’Anna e morì sul campo. Mariano IV, sull’on­da del successo, conquistò subito anche Sassari inserendola nel sistema curatoriale arborense in cui rimase di buon grado per circa cinquant’ anni.
Però non riuscì a realizzare pienamente il suo sogno di unità nazionale perché morì di peste, nell’estate del 1376, all’età di cinquantasette anni.
Nel “pantheon” di S. Gavino è scolpito col cipi­glio fiero, la corona sul capo, la mascella volitiva, il naso dirit­to e gli occhi severi, mentre stringe con la mano sinistra lo scettro regale e reca a lato lo scudo araldico col simbolo del suo Stato: lAlbero deradicato.  
 
 
26. IL REGNO DI ARBOREA: UGONE III DE BAS-SERRA.
   
Suc­cesse a Mariano IV il figlio Ugone, quasi quarantenne, terzo di tal nome in Arborea.
La figura e la personalità di questo “giudice”, la cui effige èscolpita anch’essa con la corona in testa in uno dei peducci pensili dell’abside della chiesa di S. Gavino, è strana e per molti versi oscura.
Quand’era donnikellu e combatteva contro i Catalano-Arago­nesi, nei castelli occupati venivano cantate “lodi” in suo ono­re dai soldati e dai campagnoli (un testimone disse che «audi­vit laudes et preconia ad honorem dicti Hugonis laxis fibriis resonari in castris»).
In tutte le azioni militari, al tempo del padre, s’avverte la sua presenza sia in mare che in terra mai ambigua o sospetta: evidentemente era seguito e stimato da tutti.
Ma da monarca il suo carattere sembra farsi scontroso e torvo, poco incline alle sottigliezze e alle formalità, tutto teso alla lotta «per la salvaguardia della comunità», come fece incide­re nella campana laziale della chiesa di S. Francesco di Orista­no nel 1382 («ALPHA ET OMEGA. MENTEM SANTAM SP0NTA-NEAM HONOREM DEO ET PATRIE LIBERACIONEM HOC OPUS FE­CIT FIERI FRATRIS CHRISTOPORI ET VENERABIUS ERATRES HELIE RENNANTE UGHONE IUDEX ARBOREE TERTIC). ANNO DOMINI MCCCLXXXII. MARCUS DE PERÙSIÀ ME FECIT»).
 
E, forse, fu veramente «un crudele e un tiranno» oltre il nor­male metro medioevale, come dicono ‘e fonti iberiche; tant’è che alcuni importanti personaggi e ufficiali arborensi, quali l’ex maggiordomo Giovanni de Ligia e il figlio Valore, passa­rono al nemico.
Ma non fu affatto rozzo e ignorante, come riportano i France­si, perché sapeva leggere e scrivere, capiva le comuni lingue straniere e conosceva il complicato cerimoniale diplomatico europeo.
All’atto di salire al trono era già vedovo da sette anni, con una figlia tredicenne che nel 1377-78 tentò inutilmente di dare in moglie all’appena nato figlio di Luigi I d’Angiò, fratello del re di Francia Carlo V di Valois, nell’ambito di un’alleanza antia­ragonese di cui abbiamo una bellissima téstimonianza in lati­no, grazie a un dettagliato memoriale d’ambasciata redatto dal notaio Raimondo Mauranni.
   
 
27.  IL REGNO DI ARBOREA: MORTE DI UGONE III
 

 

Le imprese militari di Ugone III d’Arborea non sono di grande rilievo, perché le città sardo catalane di Castel di
Cagliari e di Alghero rimasero inespugnate, continuamente rifornite dal mare; in compenso, il “giudice” nell’autunno del
1376 ottenne un notevole risultato diplomatico perfezionando le nozze forse già espresse per verba alcuni anni
prima fra l’infelice sorella
Eleonora e Brancaleone Doria, figlio legittimato del grande Branca(leone) ed erede della maggior parte delle terre
logudoresi dei Doria.
Purtroppo, dalla poca documentazione in nostro possesso, parrebbe che negli anni Ottanta Ugone fosse gravemente am­malato, con le energie e la volontà in fase calante, tanto da in­durlo a reggere lo Stato in forma stizzosa e dispotica, comun­que malaccetta dal popolo che ritenendo d’essere tradito nel rapporto di bannus-consensus il 3 marzo 1383 si sollevò e, se­condo l’antica usanza libertaria del tirannicidio; lo pugnalò insieme alla figlia e lo gettò, ancora vivo, in un pozzo con la lingua tagliata.
L’uccisione del “giudice” fece scalpore in Sardegna e nel conti­nente:«Dia III martii dice una Cronaca di Reggio Emilia populus Arboregiae cum illis de insula cucurrerunt ad arma contrajudicem, et ipsum occiderunt cum una sua filia, et om­nia bona illius acceperunt quae estimata sunt communiter…milia florenorum; et hoc propter ipsius malum
      Ritratto di Eleonora          dominium.» = «Il 3 marzo il popolo di Arborea con altri dell’isola rivolsero le armi contro il giudice e lo uccisero insieme alla figlia, e gli portarono via tutti i beni, stimati comunemente in <....>mi­la fiorini; e, ciò, a causa del suo malgoverno».
 
 
28. IL REGNO Dl ARBOREA: FEDERICO DORIA-BAS
 
Verosimil­mente dalla stessa corona de logu della domenica delle Palme, il 15 marzo 1383, fu chiamato a regnare Federico Doria-Bas, figlio primogenito di Brancaleone e di Eleonora d’Arborea, nato a Castelgenovese (attuale Castelsardo) nel 1377, che, però, fino al compimento del diciottesimo anno d’età (poi ri­dotto a quattordici), non avrebbe potuto assumere la pienezza del poteri.
Quindi, in armonia con le consuetudini giudicali, governò in sua vece la madre quarantatreenne la quale, pur chiamandosi “giudicessa” (juyghissa), non fu una regina-regnante ma una semplice regina-reggente, forse anche condi­zionata da gravi problemi personali perché sfregiata nel viso, come si può vedere nel peduccio pensile di destra dell’arco trionfale dell’abside della chiesa conventuale di S. Gavino a San Gavino Monreale.
Eppure, Eleonora resta l’unico personaggio del nostro passato che ha superato i confini dell’Isola ed è assurto a simbolo di li­bertà e d’indipendenza, emblema di un popolo che cerca nel mito eroico la propria identità.
Però è un mito sorto nell’Ottocento romantico dalle false Car­te d’Arborea estremamente pericoloso e, tutto sommato, deleterio perché, come in un abile gioco di prestigio, esalta la vena resistenziale sardista ma svia l’atten­zione della gente dall’assunto principale della statualità giudi­cale che innalza la storia della Sardegna medioevale a livelli di storia generale.
         
   
29. IL REGNO DI ARBOREA: LA REGGENZA DI ELEONORA D’ARBOREA  
 
Per la scienza Eleonora d’Arborea è un personaggio del tutto comune, sia dal punto di vista politico che diplomatico. Non partecipò ad azioni belliche perché, la sua, non fu una guerra guerreggiata ma, semmai, una serie di embarghi e di at­ti ostili antiaragonesi.
Non ebbe una grande visione politica e non s’aprì all’esterno, al pari dei suoi predecessori, cercando di stringere alleanze con importanti casate dell’epoca e risolvere col loro appoggio il problema sardo. Anzi, per una serie di cir­costanze avverse fu costretta a cedere, nel 1388, quasi tutti i territori conquistati dal padre e dal fratello per «buona e giu­sta guerra», ed alcune piazzeforti che resero poi più difficolto­sa la lotta dei Sardi nazionalisti.
 
Statua di Eleonora
 Sfortunatamente, quando alla morte di Ugone III, il 3 marzo 1383, Eleonora d’Arborea fu chiamata a Oristano da Genova, dove si era trasferita nell’autunno del 1382 dopo essere vissu­ta sei anni nella cittadina doria di Castelgenovese (Castelsar­do), suo marito si trovava in Catalogna a ricevere il titolo ono­rifico di conte di Monteleone e barone di Marmilla (inferiore). Brancaleone, alla notizia dell’ascesa al trono del figlio mino­renne Federico, fu subito arrestato da Pietro III (o IV) il Cerimonioso ed inviato nel mese di luglio, sotto buona scorta, a Castel di Cagliari con l’incarico forzato di convincere i Sardi giudicali a restituire alla Corona le terre regnicole occupate ed a consegnare come ostaggio il piccolo re. Ovviamente, il so­vrano d’Aragona non fu contentato e Brancaleone rimase pri­gioniero sei anni, rinchiuso nella torre di S. Pancrazio fino al gennaio 1386, quando tentò inutilmente una rocambolesca fuga, e, poi, nella ventosa torre dell’Elefante «trattato come un ladro — dirà lui stesso — o come uno di quelli che misero in croce Nostro Signore Gesù Cristo» («com fossem ladre o d.aquells que materen en creu Nostro Senior Jhesu Christ.»).
 
   

 

 
30.  IL REGNO DI ARBOREA: MORTE DI FEDERICO, INTRONIZZAZIONE DI MARIANO V E           PACE DEL   1388.   
      
      
Federico morì, appena decenne, nel 1387, lo stesso annodi Pietro il Cerimonioso. Prese il trono di Oristano, sempre sotto la reggenza della ma­dre Eleonora, il fratellino Mariano V Doria-Bas, nato anche lui a Castelgenovese (Castelsardo) nel 1378/9 circa. Dopo lunghe trattative per una soluzione globale del proble­ma sardo, compresa la liberazione di Brancaleone Doria, il 24 gennaio 1388 fu firmata una pace «fra Catalani, Aragonesi, Sardi e altri partigiani regi da una parte — dice il trattato, — e la Casa d’Arborea e i suoi sudditi dall’altra». Secondo gli accordi, venivano restituiti alla Corona «le città, le ville e tutti i luoghi regi occupati dai precedenti giudici d’Arborea», e precisamente: Sassari con la Romangia e la Flu­menargia; il castello di Osilo con la sua baronia (ovverosia, tutta la Figulina); il castello di Bunnuighinu o Bonvehì nel Caputabbas e il castello di Longosardo in Monànea; il castel­lo della Fava col distretto di Posada; il castello di Orosei con la vasta regione di Orosei-Galtellì; il castello di Quirra col Sarra­bus; Sanluri con la curatoria di Nuraminis; Villa di Chiesa (Iglesias) col Cixerri e tutte le restanti terre sottintese. Ciò che fu fatto a malincuore da Eleonora e con grande tristezza degli abitanti che tornavano sotto il governo catalano-aragonese. Restavano all’Arborea il territorio storico e tutte le antiche ter­re oltregiudicali del Logudoro. A Brancaleone Doria erano ri­conosciuti i suoi possedimenti privati di Castelgenovese, Ca­steldoria e Monteleone con le campagne circostanti. Il lungo documento, in doppio esemplare per alphabetum di­visum, formato da un rotolo di ben undici pergamene che si può ammirare in copia autentica nell’Archivio Storico Comu­nale di Cagliari, coi nomi e cognomi di centinaia di parteci­panti giudicali alle coronas de cii radoria e de Iogu, fu ratificato infine dal nuovo sovrano aragonese Gio­vanni I il Cacciatore a Valldonzella, presso Barcellona, l’8 aprile 1388.
Nonostante tutti i sacrifici, Brancaleone fu rilasciato solo il 1° gennaio 1390.
 

 

31. IL REGNO DI ARBOREA: LA FIGURA DI BRANCALEONE DORIA
   
Al momento della liberazione, nel 1390, il grosso e iper­tiroideo Brancaleone — come si vede scolpito a San Cavino Monreale—‘ aveva cinquantatré anni, tre in più rispetto alla moglie.
Era figlio naturale del grande Branca(leone) Doria e di una certa Giacomina di famiglia sconosciuta.
La sua fortuna aveva avuto inizio quando, rimasto unico po­tenziale erede dei Doria sardi, il 16 marzo 1357 si era fatto vassallo ed alleato del re d’Aragona per ottenere ri­conosciuta la legittimazione ed il possesso dei beni paterni. Era rimasto scapolo fino a trentanove anni, sebbene avesse tentato per quattro volte di sposarsi con nobildonne catalane. Nel frattempo, si era accompagnato con un’anonima donna locale che gli aveva dato i figli illegittimi Giannettino e Ni­colò.
Il suo matrimonio con l’infelice Eleonora d’Arborea, perfezio­nato nell’autunno del 1376, fu forse più di convenienza per­sonale che politica, perché anche successivamente egli restò fe­dele servitore della Corona.
Cambiò radicalmente partito durante la dura prigionia e dopo la scarcerazione, ribadendo agli Aragonesi la sovranità giudi­cale e la buona causa degli Arborea: «... ben sapete — diceva —che noi signoreggiamo per conto della Casa d’Arborea.
Que­sta signoria non l’abbiamo, né l’abbiamo avuta, da un re o da una regina (catalani), ed a loro non siamo tenuti ad ubbidire come i baroni di Sicilia, dal momento che la signoria e il do­minio ci vengono da parte di madonna Eleonora, figlia e suc­ceditrice, tramite il padre, nel giudicato d’Arborea. La qual Casa d’Arborea detiene da cinquecento anni questa signoria nell’isola …».
Il 1° aprile 1391 ricusò la pace, estorta «malvagiamente e con grande tradimento e violenza», e mobilitò l’esercito arboren­se al completo per marciare contro Castel di Cagliari: «messer Branca — riferiva una spia catalana — ha fatto “gridare” per tutto il suo territorio che sei giorni dopo Pasqua tutti gli uo­mini, a piedi e a cavallo, si riuniscano a Sanluri per assalire Cagliari» micer Branqua ha feta crida per tota sa terra que VI jorns apres Pasqua tot hom, a peu e a caval, sien a Sentluri per venir sobra CalIer»).
   

 

 
32. IL REGNO DI ARBOREA: BRANCALEONE DORIA, DUCE ARBORENSE
   
Alla chiamata risposero in diecimila, fra i quattordi­ci e i sessant’anni, forniti di armi e pane per venti giorni.
Li guidava lui stesso, malgrado la mole e l’età, vestito di rosso (il colore dei grandi signori), con una cappa leggera, talvolta co­perto di drappi scuri per non essere individuato dagli arcieri nemici.
Invece di attaccare Caste] di Cagliari, il 16 agosto Brancaleo­ne col figlio dodicenne Mariano, che gli cavalcava sempre a lato, si diresse verso Sassari, già in rivolta antiaragonese, e l’oc­cupò il 21 insieme ad Osilo.
Ai primi di settembre prese i ca­stelli della Fava, di Galtelli, di Bonvehì e di Pedreso, lasciando agli Aragonesi, nel settentrione, solo Alghero e Longosardo (Santa Teresa di Gallura).
Nella seconda metà di settembre le operazioni si spostarono nel Cagliaritano.
Il 3 ottobre l’esercito giudicale entrò a Villa di Chiesa (Igle­sias), dove gli abitanti si erano sollevati al grido di «Arborea!Arborea!» ed avevano costretto la guarnigione iberica a rifu­giarsi nel castello di Salvaterra.
In una lettera datata: “Sanluri, 3 febbraio 1392”, Brancaleone Doria annunciava trionfante «in ydiomate sardisco» che, per ritornare alla situazione territoriale precedente l’iniqua pace dell’88, mancava solo Longosardo, compensato dall’occupa­zione di Gioiosaguardia presso Villamassargia.
Ciò vuoI dire che, in meno di sei mesi, il regno di “Sardegna e Corsica” si era ridotto nuovamente alle sole due città di Castel di Cagliari e di Alghero, ed a qualche castello isolato. Il resto era tutto Sarde­gna giudicale.
 
 
33. IL REGNO DI ARBOREA: LA CARTA DE LOGU
 
 
Il 16 marzo 1392 comparve al largo di capo S. Marco, nel golfo di Orista­no, una grande flotta catalano-aragonese che mise in allarme tutto il “giudicato” per timore d’essere attaccato. Si trattava, invece, della spedizione militare del fratello del re, l’infante Martino il Vecchio, che andava a riprendere la ribelle Sicilia per conto del figlio omonimo, Martino il Giovane, e della nuora Maria, erede dell’isola.
 
Foto di Eleonora: firma della Carta de Logu tratta da”editrice S’Alvure‘94”-quadro fine 800 del Bernini
 
In quell’anno Mariano V  Doria-Bas compiva o stava per com­piere quattordici anni e diventare “giudice” di diritto, secondo una nuova disposizione giudicale sul maggiorascato.
Eleonora, al termine della sua reggenza, forse il 14 aprile, gior­no di Pasqua, promulgò dopo tanto lavoro da parte di studio­si e giuristi, sardi e italiani, la celeberrima Carta de Logu di Ar­borea, «sa quali — dice nel proemio in sardo arborense- cun grandissimu provvedimentu fudi fatta peri sa bona memoria de juyghi Mariani padri nostru, in qua direttu juyghi de Ar­baree, non essendo corretta per ispaciu de seighi annos passados... » (= «la quale fu fatta con grandissimo provvedimento dal defunto giudice Mariano, nostro padre, in quanto diret­to giudice di Arborea, non essendo stata corretta da sedici anni...»).
La Carta de Logu, redatta «pro conservari sa justicia dessu po­pulu dessa terra nostra e dessu regnu d’Arbaree » ( = «per pre­servare la giustizia del popolo della nostra terra e del regno di Arborea»), è una raccolta, in 198 capitoli, di ordinamenti di diritto processuale e
positivo, civile e penale, nata da un’esi­genza di riforma mirante a completare e modificare la norma­tiva di carattere consuetudinario divenuta col tempo insuffi­ciente e inadeguata a far fronte ai problemi giudiziari proposti da una società in evoluzione.      
Non abbiamo più l’edizione principe del 1392 ma un brutto manoscritto quattrocentesco, custodito nella Biblioteca Uni­versitaria di Cagliari, e nove copie in lingua logudorese e cam­pidanese, fatte a stampa molto tardi nel 1485, 1560, 1567, 1607, 1617,1628, 1708, 1725, 1805 perché la Carta de Logu restò in uso anche in periodo aragonese, spagnolo e piemonte­se, fino a quando fu sostituita nel 1827 col Codice Feliciano.
 
 
34. IL REGNO DI ARBOREA: MORTE DI ELEONORA E DI MARIANO V  
 
 L’Isola giudicale, a cavallo fra il Tre e il Quattrocento, appare silenziosa e oscura, tutta chiusa in se stessa, covando la sua nuova unità nazionale mentre la Morte Nera passava e ri­passava sull’Europa atterrita.
Vittima indiretta della peste fu Giovanni il Cacciatore, morto accidentalmente il 19 maggio 1394 per tenersi lontano dal contagio; vittima diretta fu forse Eleonora d’Arborea, decedu­ta a Oristano o in qualche suo castello residenziale, a Burgos o a Monreale, in un anno che riteniamo sia il 1402.
In questo spaventoso scenario di desolazione, tutte le attività belliche si fermarono: «che sia mantenuta la tregua — racco­mandava il nuovo sovrano Martino il Vecchio — o con Brancaleone Doria o, morto lui, con suo figlio o con chi sarà so­pravvissuto nell’isola di Sardegna».
Mariano V, strano ed ignoto monarca vissuto all’ombra prima della madre e poi del padre in forma così confusa da suscitare dubbi e sospetti sulle sue effettive capacità d’agire, morì sca­polo nel 1407, non si sa come e perché; i Catalani affacciaro­no perfino il dubbio che fosse stato avvelenato da Brancaleone Doria.
In mancanza di eredi diretti, alla corona de logu si presentò il grave problema della successione al trono di Arborea che, per regola, spettava agli eredi di Beatrice de Bas-Serra, terzogenita di Mariano IV, sposata nel 1363 con Amerigo VI visconte di Narbona (lemma 22), madre di Guglielmo II e nonna de­funta dell’attuale visconte francese Guglielmo III.
 
 
 
35. IL REGNO DI ARBOREA: GUGLIELMO III Dl NARBONA
 
 
In attesa dell’arrivo di Guglielmo III in Sardegna, fu nominato “giudice di fatto” il quarantenne Leonardo Cu­bello, nipote di Nicola de Bas-Serra, terzogenito di Ugone II d’Arborea (lemma 15), con l’opposizione di Brancaleone Doria che nell’agosto del 1408 si ritirò sdegnato nel suo ca­stello di Monteleone (Roccadoria).
Approfittando della crisi dinastica arborense, il 6 ottobre sbarcò a Castel di Cagliari Martino il Giovane, re di Sicilia ed erede della Corona d’Aragona (lemma 33), con un potente esercito al comando di Pietro Torrelles, capitano generale e luogotenente di Martino il Vecchio.
L’8 dicembre giunse nell’Isola anche Guglielmo III di Narbo­na che il 13 gennaio 1409 fu incoronato a Oristano re di Ar­borea, assumendo pure i titoli di “conte del Goceano” e di “visconte di Bas”.
Poco tempo dopo il vecchio Brancaleone Doria, uno dei mag­giori protagonisti della scena politica sarda medioevale, scom­parve dalla storia senza gloria: alcuni dicono catturato dai Ca­talano-Aragonesi e morto in carcere; altri, incalzato dal “giu­dice” Guglielmo III e da lui ucciso.
I mesi da gennaio a maggio furono spesi nel tentativo di tro­vare un accordo diplomatico fra gli Iberici e gli Arborensi; ma inutilmente. Alla fine, non restò che la soluzione estrema: la battaglia in campo aperto.
 
   

 

36.  Il REGNO DI ARBOREA: LA SCONFITTA DI SANLURI.
 
 
Il com­battimento decisivo fu preceduto da un violento scontro di navi nelle acque dell’Asinara, quando il l° giugno 1409 una squadra catalano-aragonese intercettò, sbaragliandole, sei ga­lere genovesi che portavano soccorsi agli Arborensi.
La battaglia in linea, dopo una scaramuccia fra avanguardie a metà mese, avvenne la mattina del 30 giugno, di domenica, nella piana immediatamente a sud del castello e del borgo for­tificato di Sanluri, dove si trovava Guglielmo III di Barbona-­Bas con tutto il suo eterogeneo esercito di diciassettemila fan­ti sardi, duemila cavalieri francesi e mille balestrieri genovesi. In località ancora oggi segnata nelle carte I.G.M. come «Su bruncu de sa battalla” (“Il poggio della battaglia”), gli Arbo­rensi furono investiti al centro dagli ottomila fanti e tremila cavalieri siciliani, aragonesi, valenzani e balearini, meglio at­trezzati ed addestrati, e si divisero in due tronconi: la parte si­nistra si ritirò, incalzata, fino al rio Mannu, e fu sopraffatta nel luogo che porta il lugubre nome de “Su occidroxiu”(”Il ma­cello”); la parte destra si divise a sua volta in due resti: il pri­mo, scappò a Sanluri ma fu raggiunto e fatto a pezzi; il secon­do, col “giudice” in persona, si rifugiò nel vicino castello di Monreale che resistette all’assalto.
Quattro giorni dopo, il 4 luglio, seguì la resa, nelle mani di Giovanni de Sena, della mal difesa e poco presidiata Villa di Chiesa (Iglesias).
Fu una vera disfatta per i Sardi giudicali: l’inizio della fine, sebbene di lì a poco, il 25 luglio, morisse dì malaria a Castel di Cagliari Martino il Giovane creando un comprensibile scom­piglio fra l’esercito iberico in Sardegna e in tutta la Corona d’Aragona che rimaneva senza eredi diretti per la successione al trono.
   
   
37.  IL REGNO DI ARBOREA: LA RESA DI ORISTANO E DEI TER­RITORI  STORICI.
   
Nello stesso mese di luglio 1409 Guglielmo III di Narbona-Bas passò in Francia a cercare aiuti. A Orista­no rimase, come suo luogotenente o “giudice di fatto”, Leo­nardo Cubello (lemma 35), che il 17 agosto affrontò coi re­sti dell’esercito arborense un attacco nemico alla città e lo re­spinse nella “Seconda battaglia” fra Sant’Anna, Fenosu e San­ta Giusta, lasciando sul campo dicono le fonti dell’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona 6.536 morti.
Dopo il parziale smacco, i Catalano-Aragonesi, guidati magistralmente da Pietro Torrelles, assalirono nel gennaio dell’anno successivo la cittadina di Bosa, importante roccafor­te e porto commerciale dell’Arborea, e la presero; poi assedia­rono di nuovo Oristano con tutte le forze.
Sorprendentemente, e con sospetto di collusione, Leonardo Cubello venne a patti col nemico, firmando il 29 marzo 1410, nel monastero di S. Martino fuori le mura, un documento di capitolazione della città e di quasi tutta l’Arborea storica la quale veniva incamerata nel regno di “Sardegna e Corsica” e, in parte, a lui ridata in feudo col titolo di marchesato di Oristano, formato dai tre Campidani di Cabras, Milis e Simaxis.
Il “giudicato” si ridusse alle “curatorìe” logudoresi di Nurra, Flumenargia, Romangia, Anglona, Meilogu, Nughedu, Mon­teacuto, Costavalle, Marghine, Bitti, Goceano con Dore-Oro­telli, più la “curatorìa” gallurese di Olbia-Terranova col castel Pedreso e la contrada di “Galudu” (Fundimonte o Orfili ?).
Dell’antico territorio arborense restarono giudicali le imper­vie Barbagie di Ollolai, Mandrolisai e Belvì, eterne zone di re­sistenza indigena.
 
 
 
38. IL REGNO DI ARBOREA: FINE DELLO STATO
 
 
Approfittando della crisi dinastica in cui era caduta la Corona dopo la morte di Martino il Giovane il 25 luglio 1409, e di Martino il Vecchio il 31 maggio 1410, Guglielmo III di Narbona-Bas tornò in primavera dalla Francia per riorganizzare i territori giudicali superstiti e riprendere la guerra, aiutato parzialmente da Ge­nova e da Nicolò Doria, figlio naturale di Brancaleone e si­gnore di Monteleone e di Chiaramonti (lemma 31). Aveva stabilito la sua residenza a Sassari, la nuova capitale, alla quale facevano capo le “curatorìe” e le corone rima­ste fedeli all’Arborea, e da lì era partito per conquistare, il 9 agosto 1410, il munito castello di Longosardo (Santa Teresa di Gallura).
Incoraggiato dal successo, minacciò poi direttamente Orista­no e Alghero, dov’era Pietro Torrelles che nel febbraio del 1411 morì anch’egli di malaria.
Nella notte fra il 5 e il 6 maggio 1412, Guglielmo III riuscì addirittura a penetrare con un manipolo di uomini all’interno di Alghero; ma fu respinto dai soldati e dagli abitanti catalani ac­corsi alla difesa della città.
Visti inutili tutti gli sforzi per rivitalizzare uno Stato ormai in profonda decadenza ed avviato verso un’ineluttabile fine, il “giudice” entrò allora in trattative col nuovo sovrano della Co­rona d’Aragona, Ferdinando I de Antequera, della dinastia ca­stigliana dei Trastàmara, e poi, col figlio Alfonso IV (o V) il Magnanimo per la vendita delle proprie preroga­tive sovrane sull’Arborea.
L’accordo fu raggiunto ad Alghero, col re in persona, il 17 ago­sto 1420.
Al prezzo di 100.000 fiorini d’oro finì, dopo oltre mezzo mil­lennio di vita, il glorioso regno indigeno giudicale, ed il so­gno nazionalista di fare sarda la Sardegna.
 
   
 
IL REGNO DI ARBOREA. CONSIDERAZIONI.
 
 
Come tutti gli Stati centrali, l’Arborea dovette sempre combattere per non soc­combere alle pressioni degli Stati limitrofi.
La sua tendenza co­stante fu quella di reagire alle minacce esterne con una politica imperialista di conquista, spesso ammantata di spirito sardista, che non fu recepita dalle genti degli altri “giudicati” se non quan­do, nel Trecento, il nuovo governo iberico provocò fra le popola­zioni suddite del regno di “Sardegna e Corsica” un tale stato di disagio che, i più, preferirono darsi agli Arborea per realizzare per la prima ed unica volta nella storia dell’isola una Nazione tutta sarda, sotto le insegne dell’Albero deradicato.
Purtroppo, nello scontro diretto vinsero i Catalano-Aragonesi; e la Sardegna ebbe un altro destino.

 

Home page

Continua