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          comune di Oristano         Regione Sardegna                  C.R.S.4.                                Progetto Sardegna 2000

 

 

 

 
Coordinatore: Corona Giacomo.
 
Collaborazione nella rielaborazione testi e immagini  >  " Classe 16 - 18 ":
 
Flore M., Fulgheri A.M. & E., Palmas A. & S., Pinna R.,  Rundeddu F., Soddu D. & R., Spiga S. 

                                                                      

 

                                                

 

 

La grande storia della città di Oristano

 

 

 

 

Oristano: a cosa deve il suo nome?  
 
 
“Nella parte centro-occidentale della Sardegna in corrispondenza dell’ultimo tratto del fiume Tirso, si stende la fertile piana del Campidano, ricca di acqua, adatta ad ogni tipo di cultura e caratterizzata da un vasto sistema di pescosissimi stagni che, da sempre, hanno costituito un’importante risorsa economica per i residenti. 
Al centro di questa valle sparpagliata sulla riva sinistra di quello che è il più grande fiume sardo, in prossimità della sua foce sorge la città di Oristano.”
(autore: Franco Cuccu tratto da La città dei Giudici;editrice S’alvure Oristano 1996).
 
    Tharros
La città, pur essendo il più piccolo capoluogo di provincia della Sardegna, ha “scritto”, in ambito storico, una delle pagine più rilevanti della storia dell’isola.
A questo proposito Giovanni Spano (dal suo articolo “ Oristano e la sua antica cattedrale “) afferma: “Grazie alle fortunate scoperte delle pergamene e dei codici cartacei fatte in quest’ultimo decennio, Oristano è divenuta la città più storica della Sardegna. S’ignorava anche l’origine del suo nome: chi lo derivava da arista (spiga) per la fertilità dei suoi terreni adatti alle biade, chi dalla corruzione di auristatmnum, e chi dalla voce greca oros e stagno, perché situata in vicinanza ai pescosi suoi stagni: ma ora siamo certi della sua fondazione, e da chi trasse il nome, cioè da una Principessa chiamata Aristana o Aristanna la quale da Tharros traslocò il suo domicilio, e vi piantò la colonia”. In quest’ultima affermazione tuttavia, può essere rilevato il desiderio di porre in un passato mitico l’origine della città (tradizione a cui non sono venuti meno neanche i Romani!) vista l’esistenza di una leggenda riguardante la principessa di cui riportiamo la storia…..
           
   Tharros vista dall’alto
“Gonnario, del paese di Tharros, aveva vinto in guerra i Mori, riuscendo a prendere prigioniera Zulemma, figlia del sultano sconfitto.
Gonnario si era innamorato follemente della bella mora, me lei rifiutava di sposarlo. Ad un’ennesima richiesta di matrimonio del suo carceriere, Zulemma rispose che lo avrebbe preso per marito solo quando lo stagno dalle acque dorate sarebbe diventato una grande città.
L’innamorato, che era ricco, si accinse a compier l’opera e per prima cosa fece prosciugare lo stagno. Satana, sempre all’erta, si gettò nello stagno ormai asciutto che tornò a colmarsi d’acqua.
Gonnario disperato saltò a cavallo e partì deciso a morire. Mentre cavalcava venne sorpassato da uno stormo di cornacchie, da cui spuntò il demonio che gli propose un patto: il prosciugamento immediato dello stagno in cambio, allo scadere di un anno, dell’anima di Gonnario.
Il giovane accettò il patto e firmò il contratto. 
Si poté costruire così una grande città che assistette alle nozze favolose di Gonnario con la bella Zulemma. Questa, battezzata, aveva preso il nome di Aristana. I due sposi vivevano felici e contenti e l’anno passò velocemente.
Allo scadere del contratto col diavolo, Gonnario disperato si reca nottetempo alla Chiesa del Rimedio e chiede aiuto alla Madonna.
La Vergine addormenta il giovane e ne prende le sembianze, recandosi al suo posto all’appuntamento con Satana. Quivi giunta stordisce il demonio lanciandogli addosso uno scapolare benedetto e intanto gli sottrae il turpe contratto firmato da Gonnario.
Tornata in chiesa, sveglia il suo protetto e gli consegna l’infernale documento. Gonnario ringrazia in ginocchio la Madonna e torna felice presso l’amata Aristana.
Col nome della sposa verrà chiamata anche la grande città sorta al posto dello stagno”.
  (Tratto da “Guida all’ Italia leggendaria, misteriosa, insolita e fantastic a”, vol. II, Sugar Editore, Milano 1967).
 

 
Le ipotesi circa l’origine del nome della città non si esauriscono in questa leggenda (smentita, per altro, fin dal 1908 da Enrico Besta), ma continuano; sarebbe solo di età tardo imperiale però la denominazione Aristianes dell’insediamento che, secondo la teoria dell’oristanese Raimondo Zucca, è da ricollegarsi alla formazione di “una massa fundorum Aristiana”, appartenente alla gens Aristia da cui avrebbe preso il nome; da questa massa fundorum successivamente, in età bizantina, si sarebbe sviluppata a pieno titolo la città di Oristano.
 
   
 
Oristano, radici storiche
(Autore: Raimondo Zucca; tratto da: Oristano la storia, le immagini; editrice S’Alvure Oristano 1994)
 
 
Nel territorio oristanese, l’insediamento umano rimonta al neolitico recente. Le testimonianze antropiche successive si riferiscono al periodo nuragico. Particolare rilievo per la sequenza insediativa nel sito della città medievale hanno le ceramiche nuragiche del Bronzo recente rinvenute in Vico Ammirato: si tratta di una capeduncola e di una lucerna “a cucchiaio”.
Con la fondazione di Othoca il territorio che si estende sino alla riva sinistra del Tirso, comprendente l’area di Oristano, fu probabilmente di pertinenza della nuova fondazione fenicia.
Una possibile presenza insediativa etrusca extraurbana nel territorio di Othoca, potrebbe indiziarsi sulla base della scoperta di un frammento di iscrizione etrusca della fine del VII sec. a. C., rinvenuta nel 1891 in Oristano, presso la Via Re Ugone (attuale Via Azuni).
L’epigrafe sinistrorsa, incisa su una lastra di arenaria del Sinis, menziona un antroponimo etrusco.
Un centro punico è stato individuato dallo scrivente nel 1970 nella località S. Nicolò, a Sud Ovest della città.
Sembrerebbe quindi cogliersi anche per l’area oristanese il fenomeno della colonizzazione capillare che caratterizzò l’organizzazione territoriale della Sardegna punica, finalizzata alla monocoltura cerealicola.
Le origini di Oristano devono riportarsi ad età romana.
Il territorio cittadino fu interessato sin dall’estrema fase tardo-repubblicana (età cesariana?) dalla sistemazione dell’assetto viario.
Con certezza si può affermare che la via a Tibula Sulcis, superato il Fiume Tirso con un ponte a più luci, attraversava l’area di Oristano in direzione di Othoca.
Più dubbio è il punto in cui la via a Turre Xarales intersecava la suddetta strada.
Alcuni studiosi suppongono che l’incrocio avvenisse nel sito della città moderna, altri invece ritengono, con maggiore verosimiglianza, che l’innesto della via a Turre Karales nella strada litoranea occidentale fosse in Othoca.
La via costituì l’elemento fondamentale per lo sviluppo dell’insediamento romano di Oristano.
Infatti nell’area suburbana di Othoca e in particolare nel settore settentrionale, sorsero in raccordo con l’arteria stradale diversi insediamenti che talora continuavano i precedenti centri di vita punici.
Si deve ritenere che tali insediamenti fossero legati allo sfruttamento delle risorse agricole della piana campidanese, caratterizzata da un elevato grado di fertilità.
Il carattere giuridico di questi centri non è noto, ma potremmo pensare sia a vici, sia a villae urbano-rustiche, sia infine alle mansiones della via.
Per la fase repubblicana possiamo segnalare la necropoli di San Nicolò, mentre per il periodo imperiale annoveriamo gli insediamenti di Toràngius, Cùccuru S. Antoni, Oristano - Via Azuni, Cappuccini- S. Martino, San Nicolò e San Giovanni dei Fiori.
Alcuni di questi centri sono piuttosto modesti (Toràngius, Cùccuru S. Antoni), ma negli altri casi si dispone di testimonianze monumentali, epigrafiche ed artistiche collegabili a gruppi sociali di ceto elevato: questi documenti sono costituiti da edifici (Via Azuni, S. Giovanni dei Fiori), sarcofagi (San Nicolò) e da un cippo funerario in marmo (Cappuccini).
Un grande significato per la storia della città di Oristano ha il rinvenimento, nel 1891, nel cuore del centro storico (Via Re Ugone, corrispondente all’attuale Via Azuni), di una struttura in opus testaceum, accompagnata da “alcune monete del basso impero alquanto corrose dall’ossido” e da una “straordinaria quantità di frammenti fittili dell’epoca romana”.
Nei resti edilizi di Via Azuni non escluderemmo che vada identificato (a causa della rarità di strutture private in opera laterizia della Sardinia) un edificio pubblico.
Possediamo comunque la documentazione archeologica di una struttura romana, usata ancora in età tardo-antica, nell’area della città medievale.
A suffragio della ipotesi di una presenza di villae legate a latifondi, in questo territorio potremmo richiamare la etimologia del toponimo Aristiane, proposta da E. De Felice, quale prediale, quindi toponimo denominato dal proprietario di un latifondo.
Dobbiamo dunque ipotizzare, sulla base delle osservazioni linguistiche, una massa fundornm Aristiana, che prese il nome dal proprietario dei fundi, appartenente alla gens Aristia.
Lo sviluppo latifondista attraverso l’introduzione (o divulgazione) del colonato si attua in Sardegna in particolare nell’età tardo-antica, ma il dato è troppo aleatorio per individuare il personaggio che avrebbe dato il nome alla massa fundorum.
Parafrasando quanto è stato scritto a proposito dell’importanza del latifondo tardo-antico in Sicilia, potremmo dire che, verosimilmente, anche in Sardegna il sistema delle stazioni della posta imperiale, venne raccordato alle esigenze dei grandi proprietari delle masse fundorum.
Ne deriva la possibilità che Aristiane non sia un semplice toponimo prediale, ma l’esito urbano e toponomastico di una Mansio Aristiana che avrebbe mutuato il nome della massa fundorum degli Aristii.
Il periodo vandalico non pare costituire una rottura con gli equilibri economici e sociali della tarda antichità.
Appartengono a questa età o ai primordi del periodo bizantino le prime testimonianze cristiane di Oristano, indizio dell’esistenza di cristiani o, forse meglio, di una comunità cristiana.
È probabile che la diffusione del cristianesimo segni un decisivo passo con la deportazione dei vescovi e di membri del clero africano in Sardegna decisa dal re vandalo Trasamondo.
In questo periodo vengono fondati o ampliati i complessi paleocristiani di Cornus, Annuagras e Forum Traiani.
Nel territorio di Oristano verifichiamo, accanto alla persistenza dell’insediamento di San Nicolò, la insorgenza di un centro abitato, probabile succedaneo della ipotetica Mansio Aristiana, nell’area del centro storico attuale.
Desumiamo l’esistenza di questo insediamento dalla discarica scoperta nel sagrato della Cattedrale: in essa sono stati accumulati nel V-VI sec. d. C. i rifiuti di un nucleo abitativo da localizzarsi nelle immediate vicinanze, forse in corrispondenza del rilievo alluvionale compreso tra le vie Vittorio Emanuele ed Angioy.
Nella discarica riscontriamo vasellame fine da mensa in sigillata chiara D di produzione africana, lucerne mediterranee, ceramica comune “steccata”, contenitori anforati, laterizi e vasi in vetro, oltre a resti di pasto (ossa di bovidi e di ovicapridi, elementi malacologici (ostrea lamellosa).
Il complesso di materiali testimonia attività manifatturiere locali (laterizi, ceramica comune) accanto ad importazioni, in particolare dal Nord Africa.
Quest’ultimo aspetto induce a domandarci se al livello cronologico in discussione Aristiane disponesse di un suo scalo autonomo (documentato a partire dal secolo VII) ovvero si servisse del porto lagunare di Othoca o del più lontano scalo tharrense.
Evidentemente allo stato attuale delle conoscenze è preferibile lasciare aperto questo interrogativo.
Aristiane dovette assumere rango urbano sin dal periodo bizantino. La menzione di Aristiane nella Descriptio Orbis Romani di Giorgio Ciprio (prima metà del VII secolo d. C.), documenta la assunzione della nuova realtà poleografica da parte della letteratura geografica bizantina.
Forse tale città è da collegare ad una decadenza dell’antica Othoca, dalla quale la nuova città dovette emanciparsi maturando, entro i primordi del periodo bizantino, una propria autonomia.
La localizzazione del porto di Aristiane permane sconosciuta: chi scrive non è alieno dal ricercarla. ipoteticamente, alle foci del Tirso, ovvero presso Torre Grande, sede del medievale Portus Chucusii da cui provengono laterizi con marchi di fabbrica bizantina.
Le strutture più rilevanti sul piano architettonico della città bizantina sono gli edifici chiesastici: la originaria ecclesia intitolata alla Vergine Assunta, destinata ad essere la Cattedrale medievale, fu individuata nel corso degli scavi effettuati per il rifacimento della pavimentazione del Duomo Oristanese.
A circa 200 metri ad Ovest della Chiesa dell’Assunta, è localizzato, in via s. Antonio, l’altro edificio chiesastico di probabile origine deutero bizantina, consacrato allo Spirito Santo.
La documentazione materiale bizantina di Aristiane si compone di vasellame da mensa, di ceramica comune, di contenitori anforari rinvenuti negli scavi del sagrato della Cattedrale, di monete degli imperatori d’Oriente Leone e Maurizio e di due tessere di riconoscimento in bronzo con lettere ageminate, rinvenute nell’Ottocento: la prima presenza nel dritto la dicitura BASI/LII e nel rovescio V(iri) C(larissimi); la seconda tessera offre la menzione VICTORIS sul dritto e il monogramma di Cristo con le lettere apocalittiche A e Ω sul rovescio.
I reperti, databili al VI sec. d. C. attestano la presenza in Aristiane di personaggi di alto rilievo sociale: in particolare il Basilius V(ir) C(larissimus)) potrebbe riferirsi ad un membro del senato cittadino di un centro sardo piuttosto che ad un personaggio appartenente al Senato di Roma.
La estensione della Aristiane bizantina ci sfugge: potremmo credere, che corrispondesse all’area (o ad un settore) della città medievale. A suggerirlo sta il toponimo di Bingiaregu (oggi Via Vinea Regum), riferito ad una località immediatamente esterna alla cinta muraria giudicale. L’odierna denominazione è un calco dotto di età recente dell’originario toponimo attestato nel secolo scorso da V. Angius e S. Scintu.
La città andava acquisendo una particolare importanza negli ultimi secoli dell’Alto medioevo, forse anche in rapporto allo spopolamento progressivo dei centri costieri di Tharros e del Porto Coracodes (Capo Mannu), causato in particolar modo dalle scorrerie arabe.
In una carta geografica di età carolingia la città sarebbe nota con la denominazione di Auristamnum, mentre nel IX secolo il centro riappare nelle Episcopatuum Orientalium Notitiae di Leone il Sapiente, con forma errata.
Con la formazione dei quattro regni (o giudicati) della Sardegna, intorno al 900, Aristiane divenne forse capitale della curatoria omonima (nota successivamente come Parte Simaxis) del Giudicato d’Arborea. Ignoriamo se in tale epoca Aristiane fosse dotata di un circuito murario.
Secondo le Istorie Pisane del Roncioni nel maggio-giugno 1012 Oseo (forse Othoca -S. Giusta) e Uristà (evidentemente Oristano) sarebbero state incendiate e saccheggiate dai Pisani, in seguito alla vittoria navale su Museto al largo di Largliè (Alghero?).
Nonostante l’intendimento scopertamente partigiano da parte della cronaca pisana parrebbe evocata la presenza di fortificazioni (presumibilmente giudicali e non pisane) forse nella stessa Oristano. Nel 1070 Oristano diventò la capitale del Giudicato d’Arborea e la sede dell’Archiepiscopus Arborensis.
   
 
Oristano Capitale di un Regno
(Autore: Francesco Cesare Casula; tratto da: “Oristano la storia, le immagini”; editrice S’Alvure Oristano 1994)
 
 
L’insediamento di Oristano aveva la fisionomia di un grosso villaggio e faceva parte, insieme con altri diciassette paesi della curadoria di Simaxis, una delle tredici circoscrizìoni amministrative del regno o “giudicato” d’Arborea costituito come si sa — nel 900 d. C. circa, con capitale Tharros.
Senonché l’antica città di Tharros era molto pericolosa perché adagiata sul mare, esposta quindi alle reiterate incursioni dei Berberi musulmani che dal 710 in poi avevano preso a razziare le coste sarde.
Il re del luogo, chiamato in lingua sarda judighe, aveva fin da subito abbandonato la minacciata sede marina e con tutte le autorità statali laiche e religiose, si era rifugiato all’interno del territorio, a Oristano, appunto, sufficientemente lontana dalle funeste spiagge, facilmente difendibile, felicemente collocata al centro del reame della valle del Tirso.
Nel 1070— a detta di uno storico del ‘500, Giovanni Francesco Fara, di cui non abbiamo motivo di dubitare — quella che era una situazione di fatto si trasformò in una condizione di diritto, ed anche formalmente Oristano divenne la capitale ufficiale dell’Arborea.
La città era tutt’altro che piccola, per quei tempi: misurava circa 27 ettari ed era divisa in almeno nove quartieri: Bau de Carra, Su Putzu, Ponti Manno, Porta de Ponti, Putzus de Carros, Santa Clara, Santu Antoni, Santu Sadurru.
Aveva la tipica struttura a “fuso” delle città medievali fortificate, con mura alte circa quindici metri e torrioni di risolta inespugnabili, come si può vedere in alcune vecchie fotografie dell’Ottocento e nei resti di”Portixedda” in fondo a via Mazzini.
Ancora oggi ponendoci in piazza Roma, oltre la Porta a Pontis, con la torre di Mariano II o di S. Cristoforo alle spalle, si vede chiaramente il ventaglio delle attuali vie Garibaldi, Parpaglia, Umberto (via Dritta) e De Castro che, dopo essersi allargato a raggiungere a destra il Duomo e a sinistra “Portixedda” si riuniva alla Torre di San Filippo a Porta a Mari (demolita nel 1907), nell’odierna piazza Mannu — detta Sa Majoria dove sorgeva il palazzo giudicale con tutti i servizi.
 
Torre di portixedda prima del restauro (foto di P. Liaci)
 
L’antica reggia, ristrutturata agli inizi del 1300, comprendeva sale di rappresentanza e di soggiorno, cucine, stalle, cantine, depositi di cereali, parlatorio, cappella, cancelleria, scrittorio e archivio.
Vi abitava il sovrano, su judike, con i suoi parenti (dounos e donnikellos), protetto da un corpo speciale di guardie chiamato Kita de Buiakesos.
I primi “giudici” oristanesi di cui si ha memoria sono della famiglia dei Lacon ­Zori, forse un ramo cadetto della casata regnante del Logudoro.
La monarchia in Sardegna non era ereditaria ma elettiva per linee genealogiche perché lo Stato non era patrimoniale, di proprietà del re, come in quasi tutta l’Europa, ma era di pertinenza del popolo che in relativa democrazia eleggeva i propri rappresentanti per decidere in parlamento (Corona de Logu) sulle questioni di carattere nazionale quali le intronizzazioni, le paci, le guerre, ecc.
 
Le vicende dell’Arborea sono lunghe e complesse. Essendo esso uno Stato- cuscinetto, compreso tra i regni di Cagliari e di Logudoro, dovette sempre attaccare per difendersi vagheggiando un sogno di unità delle genti sarde che il “giudice” Barisone I de Lacon-Serra, fattosi incoronare dall’imperatore Federico I Barbarossa re nominale di tutta la Sardegna nel 1164, espresse nel motto sfragistico in versi leonini: “EST VIS SARDORUM PARITER REGNUM POPULORUM” (Il regno dei popoli sardi uniti costituisce al tempo stesso la forza dei Sardi).
 
Purtroppo, il sovrano oristanese non riuscì a realizzare il suo ambizioso piano espansionistico perché fu abbandonato dagli alleati Genovesi e non fece in tempo a stabilire una proficua intesa con i Pisani.
Mori nel 1185 senza prole, e la Corona de Logu intronizzò un suo nipote, figlio della figlia Sinispella e del catalano Ugo Poncio de Cervera, visconte di Bas, il quale iniziò la grande dinastia dei Bas-Serra.
Il terzo re di questa dinastia, Mariano II, si rese famoso perché partecipò agli avvenimenti pisani del conte Ugolino nel 1288, cantati da Dante, e perché abbellì ed arricchì Oristano facendovi innalzare nel 1291 la massiccia torre, oggi detta di S. Cristoforo,simbolo della città.
Alla sua morte lasciò un regno forte e potente che per conquista aveva inglobato quasi la metà dell’ex “giudicato” di Logudoro con le fertili curatorie di Goceano e Monteacuto e un terzo dell’ex “giudicato” di Cagliari purtroppo subito ceduto per testamento al Comune di Pisa per l’aiuto prestatogli in vita.
I monarchi di Oristano, al pari dei grandi signori continentali, avevano una propria masnada, formata da soldati stranieri professionisti e da sardi pagati privatamente, per condurre guerre personali con la collaborazione di potenze europee interessate. Solo per decisione della Corona de Logu i conflitti diventavano nazionali e coinvolgevano tutta la popolazione maschile abile alle armi dai 14 ai 60 anni.
Un discendente di Mariano II, Ugone II, volendo liberare il Cagliaritano e la Gallura dall’occupazione pisana che si faceva minacciosa anche per lui, nel 1323 s’accordò con il re della Corona d’Aragona, Giacomo II il Giusto, per una spedizione militare ai danni del Comune toscano.
Giacomo II, ventisei anni prima, nel 1297, era stato insignito dal papa Bonifacio VIII del teorico titolo di re di ”Sardegna e Corsica”, che ora tentava di realizzare almeno parzialmente occupando i territori sardo-pisani.
L’impresa durò fino al 1326, e da quell’anno l’isola visse divisa in due Stati in principio alleati: il regno iberico di “Sardegna e Corsica”, con capitale Castel di Cagliari (attuale Cagliari), ed il regno indigeno di Arborea, sempre con capitale Oristano.
I Bas-Serra della prima metà del Trecento si votarono fisicamente e sentimentalmente ai Catalani Aragonesi da cui discendevano per linea maschile. Ugone II, artefice della nuova svolta storica della Sardegna, fece sposare ben sette dei suoi dieci figli —fra cui il futuro famoso Mariano IV — con donzelle e donzelli di nobili famiglie iberiche, dando origine ai grandi e prestigiosi lignaggi dei Vilamarin, dei Medinaceli, dei Montalto e dei Soma.
Malgrado questo, però, all’interno del “giudicato” tutto si manteneva rigidamente autoctono e tradizionale.
Su una matrice culturale italiana, preferibilmente toscana, lo Stato della valle del Tirso maturava col tempo, in libertà politica, la propria nazionalità che insieme con la lingua sardo arborense si manifestava nella scrittura e nell’architettura gotica italiana, nella cronografia di stile pisano, nel diritto pubblico e privato, ed in tante altre forme tutte in contrapposizione alla diversissima civiltà catalana importata nella Sardegna regnicola.
In puro gotico “triangolare” italiano chiamato “internazionale” dagli storici dell’arte — fu rifatta la cattedrale tra il 1325 e il 1346 di cui attualmente resta in piedi, purtroppo, solo la cappella del Rimedio con la lapide sepolcrale del giurista giudicale Filippo Mameli e costruite le chiese di San Lazzaro (oggi scomparsa), di San Martino fuori le mura e di Santa Chiara.
Quest’ultima, cominciata nel 1343, riveste un particolare interesse politico perché ha tutto l’aspetto di una cappella privata della famiglia regnante dei Bas-Serra, con lo scampolo di un affresco celebrativo in cornu Evangeli e con gli stemmi privati dei “giudici” alternati alle insegne statali dell’Arborea: un albero verde deradicato in campo bianco.
Nei peducci pensili dell’abside conserva le effigi deturpate di quattro personaggi laici due dei quali, a ridosso dell’arco trionfale potrebbero essere quelle di Pietro III, successore di Ugone lI, e di sua moglie Costanza di Saluzzo, lì sepolta nel 1348, da vedova.
In quell’anno — il terribile anno della morte nera del Boccaccio — era appena salito al trono il ventinovenne Mariano IV, il più grande sovrano oristanese in assoluto.
 
Stemma
 
Era sposato con la nobile catalana Timbora de Rocaberti ed era già padre di Ugo (futuro Ugone III), di Eleonora (futura famosissima “giudicessa-reggente”), e di Beatrice (nonna del futuro “giudice” Guglielmo III di Narbona).
Mariano era certamente un uomo intelligente, colto e raffinato: viveva e si comportava, come tutti i re europei, secondo un elaborato cerimoniale di Corte, facendosi precedere da mazzieri cavalieri e dignitari di Palazzo, impiegando valletti vestiti di splendidi abiti, mangiando servito da un maggiordomo fra argenti, al suono della musica ed allietato da mimi e da sbandieratori.
Parlava e conosceva — oltre alle lingue sarde il latino, l’italiano e il catalano; era in corrispondenza epistolare con le maggiori personalità del tempo, fra cui la giovane e battagliera Caterina de Siena.
Nel 1343, quando era ancora donnikello signore del Goceano, si era fatto ritrarre con la spada al fianco da un pittore napoletano di Scuola giottesca, forse Pietro Orimina, nel polittico della cattedrale di Ottana che fortunatamente si conserva ancora.
Tutta questa attività e fervore culturale non devono destare meraviglia; Oristano era un crocevia di interessi politici ed economici di portata mediterranea. Era frequentata, direttamente o indirettamente, da famiglie di spicco toscane quali i Gualandi i Sigismondi, i Lanfranchi, gli Orsini, i Guidi, i Castracani, i Gonzaga, i Caprona, i Cortevecchia, ecc.; da famiglie liguri quali i Doria, gli Spinola, i Malaspina; da famiglie piemontesi quali i Narbona, nonché catalano-aragonesi quali i Carròs, gli Empùrias, i Torroja, ecc..
Mariano IV
 
A Oristano, nel Trecento, c’era pure un buon ceto alto borghese di popolo “grasso” fatto di mercanti, di imprenditori, di militari e di professionisti. C’erano i notai Marco de Vita, Pietro Penna, Comita Pancia, Donato Manno, Gonario Cari, Andrea Argolis; c’erano i giurisperiti Filippo Mameli, Bartolo Catone, Leone da Ravenna, Giovanni da Cremona, Guido de Vada; c’erano i medici Grazia Orlandi, Corrado de Blasco e Mastro Giacomo, e tanti altri personaggi piccoli e grandi del mondo dell’arte e dello spettacolo incontrati qua e là studiando i documenti d’archivio.
Successivamente Oristano fu teatro di piccole beghe iberiche, di lotte intestine, di odi, di rivolte baronali sfociate nelle azioni di guerra dell’ultimo marchese, Leonardo de Alagòn, nel 1470-79. A causa di ciò fu trasformata in città reale ed inglobata nel patrimonio della Corona.
La magnificenza di Oristano decadde nel giro di sessant’anni con la guerra redentista scoppiata nel 1353 contro il regno di “Sardegna e Corsica”.
La combatterono Mariano IV, poi il figlio Ugone III e sua sorella Eleonora in nome dei figli minorenni Federico — scomparso in tenera età — e Mariano V.
Eleonora de Bas-Serra, esaltata e mitizzata dalla storiografia romantica più come eroina guerriera (cosa che non fu mai) che come capo di uno Stato istituzionalmente aver promulgato il noto codice dileggi chiamato Carta de Logu, uno fra i più avanzati testi di diritto in Europa.
La tragedia si compì nel primo decennio del Quattrocento. Morto Mariano V gli successe un inefficiente parente francese, Guglielmo III di Narbona, che si fece sconfiggere pesantemente dai Catalano­Aragonesi a Sanluri nel 1409. L’anno dopo, con la capitolazione di San Martino, Oristano si arrese ai vincitori e divenne una semplice residenza marchionale, mentre il regno d’Arborea continuò a vivere per altri dieci anni con i territori oltregiudicali e con capitale Sassari.
(Autore: Francesco Cesare Casula; tratto da: “Oristano la storia, le immagini”; editrice S’Alvure Oristano 1994).
 
 
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