...Se di conservare l’identità sì tratta…

Grande attenzione è stata ultimamente riservata anche dagli "addetti ai lavori" al fenomeno della cultura musicale sarda in generale e più in particolare all’espressione in forma corale.

Preso atto del sorprendente proliferare specie nel centro-nord Sardegna di cori polifonici, in più occasioni giustamente definiti di "scuola nuorese", con l’umiltà tipica di chi si addentra in un mondo per molti versi nuovo, vista la sua recente origine, ci proponiamo di contribuire al dibattito in atto sulla "natura" del canto sardo, con alcune modeste ma doverose precisazioni. La quasi assenza di letteratura in materia non c’è di grande conforto, specie per i necessari rimandi che una giusta procedura argomentativa richiederebbe, tuttavia l’apprezzata pubblicazione del maestro nuorese Tonino Puddu e la puntuale presentazione ad essa di Giampaolo Mele contengono indicazioni piuttosto pertinenti a sostegno della nostra discussione in merito. Costoro infatti, pur testimoni di una esperienza ancora "in fieri" ma con l’autorità e la fermezza di chi è consapevole d’avere quasi una sorta di "paternità" sul genere "polifonico di scuola nuorese" a dovere sottolineano, a mo’ di premessa alle loro considerazioni, che "l’interessante antichità della musica polivocale e polifonica in Sardegna è attestata sin dall’epoca nuragica grazie al ritrovamento del celebre bronzetto ittifallico raffigurante un suonatore di launeddas". D’obbligo il collegamento con l’atavico canto a tenores per un fondamentale punto in comune: launeddas e tenore si armonizzano col basso continuo (bordone) che non permette grandi escursioni armoniche. Nel rispetto della semplicità di armonizzazione propria del tenore, mai celata matrice del canto polifonico di scuola nuorese, nelle stesse produzioni di questi gruppi, come giustamente sottolinea il Puddu, vi è un gran susseguirsi di "ottave parallele" che possono anche far inorridire i puristi della musica colta .Questi ultimi sicuramente obietteranno che non vi è in questo modo indipendenza delle parti, ma le ottave parallele vengono usate come "raddoppi" per rinforzare il suono, ricalcando la pratica che in antico ha permesso la nascita e lo sviluppo della polifonia. Ci sia perciò a questo punto permesso, alla luce di queste considerazioni, con doveroso rispetto, precisare alcuni aspetti della diatriba originata da alcune dichiarazioni di Dario Fo a proposito dell’identità del canto sardo, visto che noi appartenenti al Coro polifonico Terra Mea, siamo stati, nostro malgrado, i destinatari dei "consigli" del Nobel. A nostro avviso, i caratteri di semplicità nelle armonizzazioni e di fedeltà al canto a tenore, sono presenti nei lavori dei compositori nuoresi, i quali spesso proprio in ossequio alla regola che vuole nel tenore un basso continuo, propongono una linea di basso rispecchiante fedelmente, ma in ottava inferiore, il canto del tenore II con funzione rafforzativa, come innanzi detto, o quando questo non avviene, la linea del basso non contiene grosse escursioni armoniche o tentativi di fugato. La semplicità delle altre voci delle sezioni componenti il coro di scuola nuorese sono percepibili anche da chi addetto ai lavori non è. Il tutto nel pieno rispetto del pur controverso concetto di musica popolare, che secondo l’opinione più accreditata identifica il popolo quale principale fruitore ma anche artefice del prodotto "musica popolare". Il tenore, sebbene singolarmente suggestivo, è semplice nella sua struttura, così come lo è il canto a coro, segno di una continuità mai venuta meno e a dimostrazione che la musica popolare, come sosteneva Bartok è come un essere umano continuamente in crescita quindi in trasformazione collegata e condizionata dalla realtà’ storico–geografica del luogo dove si sviluppa. Sappiamo benissimo che il modo migliore per rispettare la tradizione musicale popolare deve essere il recupero dei suoi caratteri fondamentali, delle sue sonorità, dei suoi temi e meglio di noi lo sanno i maestri nuoresi ai quali ci siamo ispirati, animati anche noi di Terra Mea da grande passione per il canto. Il loro lavoro e umilmente il nostro, rappresentano una naturale evoluzione del lavoro di chi ci ha preceduto, una costante ricerca artistica arricchita da conoscenza e rispetto delle nostre radici, della nostra identità’ di sardi. La musica popolare è sempre stata ed è tutt’oggi ricca di coralità, ha svolto e continua a svolgere una funzione sociale, religiosa, civile, integrando momenti di rito e di festa ma anche esprimendo sentimenti collettivi o semplicemente rappresentando una forma di intrattenimento collettivo. Ma la musica si evolve e con essa gli stili. Qualunque brano muove, in primis, dalla necessità di comunicare emozioni veicolate dall’espressione musicale tradizionale e tipica di ogni popolo. Anche la tradizione corale si è evoluta nel tempo come è accaduto per tutte le altre espressioni o generi musicali della storia della musica, modificando lo stile in relazione alle epoche e agli ambiti di cui ha fatto parte. Ben vengano quindi, tentativi di sperimentazioni originali ed innovative, nuove creazioni nelle forme artistiche integrate a mode e stili, strumenti, linguaggi originali e con esse anche un modo nuovo di sentire e di proporre la musica popolare che poi potrà’ essere liberamente interpretata, elaborata, adeguata alla vita dei nostri giorni. La sperimentazione nella musica ,come nell’arte tout-court ha spesso portato innovazioni di notevole importanza, grazie alla ricerca e alla creatività’ degli artisti di volta in volta coinvolti.

Noi riteniamo che quando ci si addentra in territori culturali diversi dal proprio, occorre assumere un atteggiamento mentale di umiltà’ e grande rispetto senza la presunzione di sapere tutto di tutti ma riteniamo anche, nello specifico, che sia quanto meno riduttivo considerare quale unica manifestazione artistica isolana in campo musicale il pur importantissimo tenore, di cui per altro siamo fieri, o il canto polivocale delle confraternite. Dal dopoguerra si e’ affacciato un nuovo ed affascinante genere: "il canto polifonico di scuola nuorese". (G. L. Sulis)