In piazza con i pastori sardi

Alla ricerca di una società e di una cultura "quasi" perdute.

di Antonella Loi

 

"La situazione del comparto agropastorale sardo è ormai al collasso".

Così recita la frase introduttiva del documento divulgativo redatto dagli esponenti del Movimento Pastori Sardi, che dal 24 febbraio e per circa venti giorni, sono stati parte integrante dell'opera scultorea del Nivola, di stazza nel piazzale sottostante del Consiglio Regionale.

Per la cronaca, il 24 succitato, è stato il giorno della manifestazione generale che ha visto un folto stuolo di attivisti del settore, pastori e agricoltori per intenderci, ma anche di simpatizzanti, snodarsi per le vie cittadine e confluire poi nella via Roma, davanti alla sede del legislativo sardo. E lì sono rimasti. A campeggiare penserete voi! Invece no: a fare da pro-memoria agli illustri inquilini dei piani superiori che, durante la seduta nella quale si sarebbe dovuta analizzare la vertenza agropastorale (da tempi biblici affossata nei meandri della burocrazia regionale N.d.R.) si sono dimostrati più interessati a faccende vitali quali la limatura delle unghie, la lettura del giornale del mattino, o al "karman" dell'ancheggiare di quella bionda incrociata al semaforo l'altro ieri... che alle rimostranze di una delle categorie più importanti per l'economia sarda, quella agricola per l'appunto.

Ma cosa può aver spinto questi impavidi rivoluzionari, a stazionare per giorni lì sotto sfidando intemperie, barboni rivendicanti diritti di uso-letto sulle superfici occupate, sguardi curiosi ma soprattutto gli sguardi indifferenti degli eterei tribuni ivi residenti, imbuoniti (neanche tanto per la verità) solo dall'imminenza della tornata elettorale?

Quello che ci si è spalancato è un panorama non troppo roseo, visto che le rivendicazioni ruotano a trecentosessanta gradi. Si richiede una riforma globale del settore, che spazi dalla riforma degli enti pubblici preposti alla gestione del comparto, fino all'attuazione di una politica agricola più efficace, che consideri il mondo agropastorale non più come un peso morto da tenere a galla, ma come un'importante forza propulsiva per l'economia isolana.

Quindi, innanzi tutto un riordino legislativo per tutte quelle leggi e leggine che, in maniera confusa e spesso contraddittoria, disciplinano la materia; presupposto questo indispensabile per realizzare un intervento di più ampio respiro, mirato al superamento delle difficoltà che attanagliano il settore: in primis la mancanza di continuità territoriale, che causando un notevole aumento dei costi, esclude di fatto i prodotti sardi dai mercati europei; l'assenza di infrastrutture, necessarie al fine del superamento delle forme arcaiche sulle quali ancora oggi si basa l'intera organizzazione compartimentale; per non parlare noi della farraginosa organizzazione burocratica del settore delle acque, che con i circa quaranta enti esistenti, rende impossibile solo immaginare una efficace politica delle acque, (parte essenziale di quella agricola N.d.R.); infine, ma non certo perché i problemi si risolvano qua, le drammatiche conseguenze dovute alla prolungata siccità e alle recenti gelate che hanno costretto i pastori a onerosi esborsi di denaro per mangimi e spese straordinarie, contingenza questa che richiederebbe il riconoscimento dello stato di calamità naturale.

È facile alla luce di tutto ciò, intuire le ripercussioni sull'andamento gestionale delle aziende, e quindi il perché delle gravi situazioni debitorie nelle quali le stesse versano, per il piacere del sistema bancario. Un dramma. "Ma risolvibile" ci dice Felice Floris, portavoce del Movimento Pastori Sardi, "noi abbiamo elaborato una proposta di legge che prevede il rifinanziamento virtuale, cioè la possibilità di un finanziamento per le aziende in crisi, senza nessun esborso reale a da parte dell'Ente regionale."

Praticamente la Regione dovrebbe farsi carico delle pendenze debitorie delle imprese verso le banche, divenendone diretta interlocutrice. Alle aziende verrebbe così offerta la possibilità di ricapitalizzarsi, ed alla regione di risparmiare sulla spesa pubblica, nella misura del concorso pubblico da questa erogato, a sostegno degli interessi sui mutui."

Non dimentichiamo però che oggi la politica agricola comune (PAC), che disciplina il settore agropastorale, è di competenza comunitaria, quindi in buona parte sottratta all'egida degli enti nazionali. Ma se è vero questo, lo è anche il fatto che per poter entrare nei piani dell'Agenda 2000, e quindi nel mercato europeo dalla porta principale, il settore agricolo sardo, ma soprattutto quello ovicaprino ha necessità di un supporto forte da parte delle istituzioni nazionali.

In una regione con grandi potenzialità come la Sardegna, che ha vissuto l'illusione dell'industrializzazione, la terra rimane la sola risorsa con reali possibilità dì sviluppo. Ciò che manca è forse più fiducia nel settore, ma soprattutto la volontà di percorrere l'unica strada ancora aperta.

Orsù dunque, "Sardigna, custa este s'ora chi ti deppes ischidare, e sos sardos tottus in pares sicche pesene in bon'ora".