Ma cosa c’entrano i greci con la Sardegna?

Ovvero gita di pasquetta con manie di grandezza

di Sandra e Stefania

 

Dalla stazione di Villagrande si percorre la strada che costeggia l’Alto Flumendosa (purtroppo l’acqua non ha raggiunto il livello massimo e forse quest’estate non sarà meno sofferta delle altre) e facendo attenzione a non fare della Tinsemal dalle mucche e dai vitelli che mangiano sul ciglio della stretta strada, si arriva, sotto la vigile guardia di Perda Liana, a Seui. Da qui dopo pochi chilometri, passando per Sadali, si raggiunge Esterzili. La strada che collega questi ultimi non fa certo invidia a noi ogliastrini, abituati alle tortuose curve e ai sinuosi tornanti della 125 o della 198. Vale comunque la pena di far sballottare i propri organi interni qua e la per raggiungere Esterzili e da lì su per una ripida strada, per la maggior parte bianca e polverosa, il Monte S. Vittoria. Dalla vetta di questa montagna si gode un vasto panorama su Quirra, Barbagia di Seulo, Sarcidano, Campidano, Gerrei e Sarrabus. Questo è quello che si legge nelle pubblicazioni sui monti della Sardegna, ma quello che abbiamo visto noi è altra cosa. E’ spazio, suono, colore, odore. E’ il suono dei cespugli mossi dal vento, è verde, blu, grigio e bianco, è elicriso e timo, che magari sfugge agli sguardi poco attenti, ma che riempie l’aria del suo profumo anche solo a sfiorarlo. E’ stupore. E’ l’oro del sole che trasforma lo scisto in argento, è il miracolo di Perda Liana, che ancora fa capolino a nord-est, quasi non volesse mandarci in giro da soli.

Sulle ali dell’entusiasmo ci lanciamo giù per una discesa pietrosa, nella mente una sola domanda che nessuno esprime ad alta voce, la stessa per tutti: "La macchina ci riporterà su?". Anche la risposta che traspare dai nostri visi sembra essere la stessa. Per fortuna quella sbagliata. Sebbene qualcuno di noi, covasse la segreta speranza che nelle mappe e nelle indicazioni turistiche ci fosse un errore nella trascrizione dell’accento, "Sa Domu De Orgìa", appare all’improvviso rivelandosi come un Tempio a Megaron e non un locale per gitanti di pasquetta amanti della trasgressione.

Rassegnati scavalchiamo la recinzione e la delusione lascia il posto alla meraviglia che ci prende di fronte ad un monumento come non se ne trovano molti in Sardegna. E’ un bel tempio rettangolare doppiamente "in antis" (cioè con i lati lunghi prolungati per un tratto oltre quelli brevi), di epoca nuragica, racchiuso da un recinto ellittico che delimitava l’area sacra. Benché l’edificio mostri segni evidenti del trascorrere dei millenni, il suo fascino resta ancora intatto. Lo lasciamo con un po’ di rammarico, mentre un ultimo sguardo ci riporta alla mente le piante dei templi greci arcaici che si trovavano nei libri di storia dell’arte. Ma cosa c’entrano i Greci con la Sardegna? Andiamo via con un vago sospetto che dopo qualche metro si trasforma in intima convinzione, che noi Sardi abbiamo contribuito in qualche modo alla nascita della cultura occidentale.