BLUE SPRING

Titolo originale: Aoi haru / t.l.: Primavera blu

 

Staff

 

Regia: TOYODA Toshiaki

Sceneggiatura: TOYODA Toshiaki
(dal manga di MATSUMOTO Taiyô)
Montaggio: N/C

Direzione artistica:N/C

Fotografia: N/C

Musica: N/C

Durata: 82 minuti

Anno:2001

 

Cast

MATSUDA Ryuhei (Kujo)
ARAI Hirofumi (Aôki)
TAKAOKA Sôsuke (Yukio)
OSHIBA Yusuke (Kimura)

 

 

Blue Spring è il secondo film scritto e diretto da Toyoda Toshiaki, giovane regista giapponese (leva 1969) scoperto dalla critica con Pornostar (1998) la sua opera prima. Toshiaki ha iniziato a lavorare nel cinema come sceneggiatore sotto la guida del regista Sakamoto Junji per amore del cui film Knock Out si è spostato a Tokyo da Osaka, luogo in cui aveva coltivato la passione per la chitarra e per gli shôgi, gli scacchi giapponesi, due elementi ritrovabili anche nel suo film. Blue Spring è tratto da un manga breve di Matsumoto Taiyô un autore che, grazie alla commistione di stili europei, americani e giapponesi che caratterizza il suo tratto, si è guadagnato un posto di tutto riguardo nel panorama fumettistico degli anni novanta, e che ha fornito spunti per il grande schermo non solo con Blue Spring ma anche con il recentissimo Ping-Pong di Sori Fumihiko. Blue Spring puô rientrare nel filone "studenti & coltelli" che da almeno una decina di anni trova terreno fertile nel cinema e nel fumetto giapponese e che, almeno nelle intenzioni originali, trarrebbe la sua ragione d'essere in quello che è stato uno degli argomenti più dibattuti nella cronaca giapponese dell'ultimo decennio: la violenza nelle scuole di secondo ordine, appunto. In realtà Blue Spring, come del resto la maggior parte degli altri prodotti sul tema, non è e non vuole essere un film denuncia e un paragone con film come Mery per sempre, tanto per citare un film ben conosciuto dal pubblico italiano, sarebbe del tutto fuori luogo.

La storia prende piede durante una tipica cerimonia di diploma di un liceo superiore quando un nuovo gruppo di studenti prende possesso della scuola che sta per essere lasciata dalla nuova leva di diplomati. Secondo le usanze del posto il ruolo di boss spetta a chi si dimostra più coraggioso in quella prova del fuoco rappresentata dal “gioco del battimano” dove vince colui che, stando in equilibrio su un cornicione, riesce a battere le mani il maggior numero di volte senza cadere. Il diciassettenne Kujo, non particolarmente robusto ma del tutto disprezzante della vita, e per questo pieno di coraggio, subentra nel ruolo di capo. La sua banda riesce a farsi rispettare dai rivali e, come ogni anno, si susseguono scontri, punizioni, linciaggi e gavettoni ai danni dei professori. La situazione cambia quando tre membri della banda escono di scena: Yukio viene arrestato dalla polizia, Otâ viene brutalmente assassinato e Kimura abbandona la scuola per seguire un suo amico yakuza. Ma il vero terremoto si ha il giorno in cui Aôki, il migliore amico di Kujo, decide di ribellarsi e, sfidando il suo ex-capo, si dibatte per ottenere il controllo della scuola. L'epilogo sarà dei più drammatici: Aôki, addolorato per la sua rottura con Kujo ma al tempo stesso ferito nell'orgoglio per non essersi dimostrato “tosto” come lui, si suiciderà lasciandosi cadere dal tetto della scuola battendo a più non posso le mani...

Blue Spring è un film breve e asciutto. Più scorrevole ed omogeneo del precedente Pornostar, Blue Spring ne recupera fondamentalmente lo stesso stile narrativo, fatto di improvvise ralenti e di frastornanti musiche rock, ma si dimostra più compiuto e ritmato, lasciando ben poco all’interpretazione degli spettatori e conducendo con grinta i personaggi verso un destino preannunciato fin dalle prime scene. Rinunciando ai facili stilemi a cui gli anime e i film che ne hanno mutuato lo stile ci hanno abituato (movimenti di camera veloci, montaggio frenetico, un continuo cambio di punti di vista) questo film si tiene ancorato a modi più classici e posati prediligendo lunghi campi fissi e lente carrellate a passo di uomo. Allo stesso tempo il film non rinuncia però ad alcune peculiarità che nel bene o nel male, con le sue sane ingenuità, sono proprie del genere eroico; si pensi a tal proposito a certi piani ravvicinati sui volti impassibili dei protagonisti, all'enfatizzazione dei movimenti creata con lo slow-motion e soprattutto al tonfo rimbombante che produce la sigaretta di Kujo una volta lasciata cadere per terra in quella che è una delle più originali sequenze, lo scambio di pugni a distanza ravvicinata tra lui e Aôki. E’ un tipo “cool” il giovane Kujo che porta il volto di Matsuda Ryuhei, l’effeminato “bishonen” di Gohatto. La sua espressione rimane identica per tutta la durata del film, brevi e concise sono le sue frasi.

Toyoda fa dei protagonisti dei giovani anti-eroi e come tali li fa comportare ma, unito a questo, ci mette anche un piccola e - oserei dire - necessaria dose di auto-ironia come nella scena del pestaggio nel bagno o in quella del taglio di capelli dove la distrazione di Kujo sortisce i suoi effetti sulla nera capigliatura di Aôki. Auto-ironia che non alleggerisce certo il clima e la tensione del film pervaso per tutta la durata da scene di violenza sicuramente sopportabili ma pur sempre abrasive. In linea con molti altri autori giapponesi degli anni novanta Toyoda relega queste efferatezze al fuori campo mostrandoci il "prima" e il "dopo" di un calcio o di pugno ma nascondendoci il momento clou. L'esempio migliore è l'assassinio di Otâ che viene brutalmente accoltellato dal suo amico Yukio in preda ad un attacco di "silenziosa" pazzia: una volta inquadrato il coltello, la cinecamera si sposta fuori dall'abitacolo in cui i due sono rinchiusi e lì si vede la punta dell'arma in questione bucare ripetutamente la parete. Se è facile immaginare cosa stia accadendo al di là di quel muro di compensato è altrettanto vero che i sottili rigogli di liquido nero che incominciano a colare, uniti all'immagine dei graffiti e delle scritte sul muro in questione, deviano per qualche secondo le aspettative dello spettatore portato a credere all'ennesima bomboletta spray piuttosto che al risultato di un imprevedibile delitto come poi in effetti si rivela.

A smorzare la tensione e la drammaticità delle vicende concorrono, più che l'ironia, quei momenti di rilassamento e di sentimento in cui i personaggi si pongono domande sul proprio futuro e si abbandonano alla contemplazione di quel cielo azzurro che sembrano voler far proprio salendo sulla terrazza della scuola. Anche i personaggi del professore nano, della studentessa timida e del giovane allevatore di insetti contribuiscono a dar vita a questo impasto di sensazioni, immagini e colori stridenti (l'interno della scuola e il suo cortile appaiono come luoghi sostanzialmente complementari anche nella messa in scena) che, come insegna Kitano Takeshi trova proprio il suo punto di forza nell'accostamento di violenza e tenerezza.

Toyoda e Matsumoto non sono degli sprovveduti di cinema e non si puô certo dire che il loro film non sia debitore di prestiti e riletture. Tutto perô è amalgamato con sapienza e anche i numerosi recuperi di repertorio possono farsi apprezzare e in ogni caso non sono mai disturbanti. Due motivi in particolare sono debitori di esperienze altrui: il cambio di look di Aôki che radendosi i capelli intende presentarsi come un uomo nuovo, un gesto che ci riporta alla mente il Robert De Niro di Taxi Driver ma anche, per rimanere più vicino, il Sakuragi Hanamichi di Slam Dunk (uno dei manga adolescenziali-scolastici più famosi) e l'ancor più insensato gesto, almeno nelle apparenze, dello sporcarsi la faccia di colore. E' proprio quest'ultimo che ha prodotto negli anni le più interessanti variazioni ma che sottende sempre comunque un’intenzione nichilista del personaggio, omicidio, suicido o sacrificio che sia, si pensi solamente al J.P. Belmondô di Pierrot le fou di J.L. Godard o al ragazzo protagonista di Cyclo (1995) di Hung Tran.

Il film è interamente girato nell’ambiente scolastico, fa eccezione una brevissima sequenza ambientata in un bar. In questo ambiente claustrofobico, sporco, degradato, marchiato ovunque da graffiti, la terrazza pare quasi un piccolo angolo di paradiso. E’ certamente il perno del film, il luogo in cui si stabilisce chi è il capo ma anche il luogo in cui ci si interroga se ci sia o meno un futuro. E’ quindi piacevolmente prevedibile che il dramma finale si abbia proprio lì; il sacrificio rituale che Aôki sente di dover abbracciare è preceduto da un’inquadratura che è forse la più bella del film: il ragazzo resta immobile sulla terrazza a fissare il paesaggio davanti a sé, mentre l’immagine della città che si addormenta e si risveglia scorre velocizzata sullo sfondo. Una sequenza così semplice ma di così ermetico fascino Zen che nulla ha da invidiare alle tante altre “ultime notti” di cui il cinema nichilista è costernato.

La matrice manga comunque si rivela in questo film più nel contenuto che non nella forma. Personaggi, situazioni, paradossi, temi e motivi si rifanno ad un campionario che ha ormai all'attivo decine di titoli ben conosciuti anche da un pubblico di non fanatici. L'ambiente scolastico è di quelli che ha fatto la storia del manga e il teppista minorile in divisa scura è all'interno di questa produzione quello che il bulletto romano è nella commedia all'italiana, cioè un personaggio cardine. Le carte del gioco si svelano definitivamente nel finale quando l'etica manga buca spudoratamente lo schermo: Aoki comincia il gioco del battimano e, come un fulmine a cielo sereno, Kujo intuisce le sue intenzioni e si precipita per salvarlo. Una nuova ralenti enfatizza questa corsa disperata dilatandone mirabilmente la messa in scena, sullo sfondo l'incessante musica rock e le urla di Aôki che scandisce a gran voce il conto alla rovescia decisivo. C'è tutto il tempo perciò per una gustosa carrellata introspettiva sui frammenti di quella che era stata l'amicizia di Kujo e Aôki: flashback istantanei sulle immagini dei due ragazzi, frasi prese delle loro precedenti conversazioni e persino la voce di una maestra elementare che introduce il "piccolo Aôki" al resto della classe. Quest'ultimo è un vero e proprio leit-motiv che dovrebbe trovare posto in ogni dizionario da otaku, tante sono le volte che è stato utilizzato nei cartoni e nei fumetti adolescenziali.

In un film hollywoodiano sarebbe facile aspettarsi, nel 90% dei casi, che il protagonista riesca a salvare in extremis l'amico. Ma qui ci troviamo davanti ad un film giapponese e le proporzioni, si sa, vanno invertite. Aôki cade nel vuoto continuando a battere le mani e per Kujo non rimane altro che fissare ancora una volta, impassibile, quel cielo carico di sogni e desideri. Il film si chiude sull'immagine di Kujo che proietta la propria ombra vicino al graffito del fantoccio che Aôki aveva disegnato sul pavimento la sera precedente e che ricorda terribilmente la sagoma di un cadavere steso per terra. Un'immagine che si commenta da sè.


Gary-San


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