DEAD OR ALIVE (HANZAISHA)

Miike Takashi 1999

Cast
AIKAWA Shô
TAKEUCHI Riki
TERAJIMA Susumu
OSUGI Ren
ISHIBASHI Renji
DANKAN

Produzione
OKADA Makoto, ONO Katsumi

Sceneggiatura
ICHIRO Ryu

Fotografia
YAMAMOTO Hideo

Montaggio
SHIMAMURA Taiji

Musica
KOJI Endo


105 min.

 

Il bianco e il nero, la luce e il buio, positivo e negativo si incontrano e si scontrano, creando caos. Il bene ed il male risiedono ovunque.
Quando si domanda a Miike di spiegare la nascita del soggetto di Dead or Alive, egli risponde che l’idea iniziale (scritta da Ichiro Ryu) prevedeva una semplice trasposizione orientale del film "Heat-la sfida" di Michael Mann. Ovviamente un regista come Miike non ha potuto accettare di avere tra le mani qualcosa di così sbrigativo, e allora, mantenendo il punto di partenza, ha costruito attorno al film qualcosa che, simbolicamente, va ben oltre il semplice duello tra ladro e poliziotto.
Il detective Jojima (Aikawa Shô) è costantemente impegnato nella lotta contro la ramificatissima yakuza organizzata, nella caotica Tokyo dei giorni nostri. Il dipartimento di polizia è, a sua volta, una realtà vacillante tra la più totale confusione, corruzione e rassegnazione per una situazione così difficile da fronteggiare. La mafia cinese è entrata in affari con la yakuza nel mercato clandestino.
Jojima sembra uno dei pochi a riuscire a navigare in un mare così tempestoso e così pure il suo collega (interpretato dal "kitaniano" Terajima). Sembra agire anche al di sopra degli ordini del suo capo (che gli impone di adeguarsi alla realtà senza strafare) a sua volta soggiogato dal corruttissimo vice e ormai vicino alla pensione. Inoltre la situazione familiare non è migliore: Jojima dorme ormai da qualche tempo sul divano, quasi incurante di risolvere i problemi con sua moglie e con l’amante di questa; sua figlia è malata e necessita di costose cure per sopravvivere. La sua vita è divisa tra il dovere nella polizia e quello con sua figlia, anche se il primo prende spesso il sopravvento, con disillusione della moglie e conseguente crisi anche nei rapporti familiari.
Dall’altro lato un gruppo di giovani "spostati", capeggiati dal carismatico Ryuichi (Takeuchi Riki), di ritorno in Giappone (loro paese d’origine) dalla Cina, per riunirsi al nuovo fermento criminale recentemente sviluppatosi a Tokyo. Il loro primo colpo (quasi un avvertimento alla polizia) ci è mostrato nella sequenza introduttiva del film, di cui si parlerà più avanti.
Questi giovani non hanno senso d’identità nazionale e non sentono nessun legame particolare col Giappone, con la sua cultura, tantomeno con le sue leggi. Quindi si ritrovano a credere solo in loro stessi, schiacciati dall’identità di queste due culture (nipponica e cinese) che li affianca e, stando assieme, nutrono la speranza di trovare un posto in cui fermarsi, da cui "dipendere" in maniera più radicale. Inoltre, a rendere più complessa la figura di Ryuichi appare dopo poco suo fratello minore, di ritorno dagli USA, dove gli è permesso di studiare grazie (a sua insaputa) agli illeciti di suo fratello maggiore. Il rapporto tra i due si incrina quando il giovane scopre che i soldi che gli arrivavano in America provenivano dallo spaccio di droga e da vari atti criminosi.
Dall’altro lato scopriamo, intanto, che Jojima è costretto a farsi corrompere dalla mafia, in modo da pagare le troppo costose cure di sua figlia, la quale non sembra mostrargli nessuna riconoscenza.
I due protagonisti sono agli opposti nel ruolo che ricoprono, ma del tutto simili per quanto riguarda il dissidio interiore che causano loro le incomprensioni familiari. Due opposte estremità di un particolare universo si avvicinano, dando inizio all’attrito. Dead or Alive si mostra molto più "profondo" di quanto si potrebbe pensare a prima vista.
La realtà degli opposti è sottolineata, inoltre, dalla presenza di due particolari sequenze (quella iniziale e quella finale), all’interno del film, isolabili per impatto visivo e tecnica d’esecuzione.
Questi due momenti possono sembrare quasi a sé stanti, rispetto alla rigorosa matrice registica della parte centrale.
Si comincia con una sequenza mozzafiato, con musica rock e montaggio alternato, avviata dagli stessi due protagonisti che, come in un messaggio al pubblico, sono assieme per uno speciale conto alla rovescia. In queste immagini è mostrato il primo colpo della gang di Ryuichi, alternativamente all’attività frenetica di Jojima, all’attentato ad un boss cinese, ai maltrattamenti verso una passante di alcuni poliziotti. L’impressione è quella (assieme alla già caotica presenza delle affollate strade di Tokyo) di addentrarsi in un universo altro, differente dal nostro, tanto bizzarri ed insoliti risultano gli atti dei personaggi coinvolti e il modo stesso di mostrarli.
A bilanciare questa parte iniziale vi è la scena finale per la quale è d’obbligo una descrizione dei fatti antecedenti. Dopo la perdita della sua fidanzata e di suo fratello minore, Ryuichi sembra voler cercare vendetta contro Jojima, ma lo fa assassinando, in un attentato, la moglie e la figlia di quest’ultimo, compiendo così la più atroce delle azioni. Ora Jojima è travolto, anche senza essere stato il diretto esecutore del crimine verso il rivale, da una spirale di inevitabile violenza, della quale, comunque, ha fatto parte sin dall’inizio. Di conseguenza si innesca una vera bomba ad orologeria, risultato di un odio inarrestabile e sempre maggiore che porta i due ad odiarsi e disprezzarsi.
Nell’ultima scena ogni canone cinematografico viene spazzato via: Jojima con un potente lanciamissili (spuntato fuori da non si sa dove) dal quale farà partire un razzo,e Ryuichi con una sfera di energia (probabile convoglio e risultato di odio e sofferenza) che gli nasce dal petto. La collisione delle due armi origina un’esplosione nucleare che comincia (come ci mostra un inquadratura dall’alto) dal campo dove si trovano i due, fino a spazzare via (inquadratura dallo spazio verso la terra) il Giappone e, probabilmente, l’intero pianeta. Siamo d’innanzi a qualcosa di travolgente, inatteso e assolutamente privo di logica. Ma è proprio sull’abbandono della logica che questo film gioca le sue carte conclusive per riallacciare un discorso più coerente con il percorso intrapreso finora da Miike.
Miike dice "Inizialmente il finale del film voleva un semplice scontro tra i due protagonisti, uno di fronte all’altro, dove entrambe avrebbero dovuto spararsi e morire, ma in realtà questo non veniva neppure mostrato. Non si vedeva il vincitore del duello. Non potevamo comunque fare vincere uno sull’altro, perché Riki e Shô sono entrambe delle star. Sarebbe stato un finale frustrante e , già a riprese iniziate, ho pensato che avrei dovuto fare qualcosa per quella scena…". In realtà Miike ha giocato un brutto scherzo ai produttori, con una precisa strategia: nascondere loro la nuova scena finale, fino alla prima visione!
Nei mercati che lo permettono (dove cioè ci si può permettere di incrinare le relazioni con un produttore), questo è un ottimo modo per non scendere a compromessi.
Dead or Alive può ingannare per il tipo di regia abbastanza spiazzante che lo caratterizza. Se si esclude il filo conduttore degli atti violenti o delle indagini di Jojima, si resta stupiti di fronte ai due "picchi" toccati con il prologo e l’epilogo. Durante tutta la parte centrale si ha l’impressione di assistere ad un’ottima yakuza story che già, di per sé, va oltre i canoni di "buon film" e basta, grazie al fitto intrecciarsi delle problematiche esistenziali dei vari protagonisti. A questo punto lo spiazzamento dopo il finale è totale. Miike si diverte a spiazzare ed "aggredire" il suo pubblico.
A far crollare anche le poche supposizioni che facevano ritenere D.O.A. un film normale nella sua parte centrale, arrivano quei particolari a prima vista occultati all’occhio di chi guarda, per rendere il tutto ancora più anomalo e stilisticamente ben orchestrato.
Sembra quasi che Miike abbia creato degli spazi appositi per i particolari più scabrosi o inquietanti, introspettivi. Una sorta di spazio extradiegetico, interno all’immagine filmica, occultato, per creare attesa, per aumentare la sorpresa o semplicemente per descrivere delle sensazioni altrimenti troppo impalpabili.
E’ il caso di un delinquente arrestato da Jojima del quale percepiamo solamente una soggettiva ma che, in realtà, non ci viene mostrato (come per evitarci la vista del suo volto sconsolato, tipico di chi si sente ormai condannato). Quasi una momentanea sparizione dall’immagine filmica a sottolineare un inesprimibile spiazzamento.
Oppure ancora quando Aikawa si reca dal suo informatore (Dankan, già visto in Boiling Point di Kitano, in Ikinai di Shimizu ed altri) nel suo piccolo appartamento. A primo impatto, siccome l’ambiente è buio, non si coglie esattamente qual’è l’attività svolta in quel posto (che si girino un certo tipo di film); si capisce bene solo quando, alla figura aggrovigliata a terra, in secondo piano, si attacca il cane, incitato per una nuova ripresa.
Altro esempio si ritrova nel momento in cui il boss tortura a morte la ragazza di Ryuichi/Takeuchi. Quello che sta accadendo risulta chiaro solo quando l’inquadratura passa dal particolare del volto del boss, al generale, con un’inquadratura dall’alto che mostra la ragazza in una vasca immersa nei suoi stessi escrementi.
Immagini forti, eccessive, che scavano nell’intimo di ognuno di noi per tirare fuori, meraviglia, disappunto, frustrazione, ma anche e soprattutto attonite riflessioni.

Fabio Rainelli


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