ABITO DI SPERANZA
(dedicato a Domenico Mangano,
la cui vita é raccontata nel libro di Paolo Crepaz
“Frammenti di reciprocità”, ed. Città Nuova)
Capitò un giorno che un caro amico mi svelasse un modo nuovo
col quale guardare le persone.
Lo ascoltai in un pomeriggio d'inverno, il freddo inverno del
2001, quando le torri gemelle erano cadute da poco.
Parlò di "abiti" che siamo soliti cucire
"addosso alle persone" e che, come fardelli insopportabili,
ci vengono "sempre di fronte, anche nei momenti più belli".
Quegli abiti - spiegò a me e ad altri l'amico quella volta - sono le cattive
impressioni, le esperienze deludenti, i nostri giudizi negativi, tutto ciò che
ci impedisce di guardare ciascuno con occhi nuovi ogni mattina.
Feci fatica lì per lì ad accettare tutto ciò, ma poi, piano
piano, mi parve di capire; stavo entrando in punta di piedi nel cuore di
qualcosa che non era un bel discorso morale, giusto e condivisibile, ma un
fatto del tutto diverso.
Quel che percepivo vibrava di vita propria: era un fremito
nuovo, divenuto d'un tratto avvenimento.
Il mio amico, per la profonda unità che era presente tra noi,
era riuscito a far passare il senso di uno sguardo; ora potevo immaginare come
Dio ci guardava in ogni istante: la sua misericordia era toglierci di dosso
quell'abito di continuo.
Da quel giorno non fui più lo stesso di prima, poiché ora non
potevo non sapere.
Certo la realtà era sempre lì, con tutte le sue delusioni, le
paure ed i problemi, le situazioni irrisolte.
Ma non potevo più ignorare che la "purificazione
della memoria" era possibile in ogni istante, che qualsiasi fratello
- qualunque davvero - mi era stato dato in dono.
Ma rimaneva ancora qualcosa ad ingessare il mio agire, che mi
bloccava e rendeva vano quel che mi pareva d'aver compreso.
Scoprii che era l'abitino che avevo cucito su di me.
Era sempre stato lì, stretto al punto giusto, fatto di fallimenti, di pretese ed ambizioni, di orgoglio sopraffino.
Uno sguardo anch'esso, in fondo, ma privo di misericordia, freddo
e spietato.
Questa volta però non aveva a che fare col prossimo, bensì con
me stesso.
Allora mi accorsi, d'un tratto, che quello sguardo pretendeva
di farsi da sé: non aveva mai chiesto aiuto.
Così, finalmente, arrivò il momento che da sempre aspettavo:
mi tolsi l'abito di dosso e, rimasto nudo, mi affidai.
Da allora l'incoerenza e l'infedeltà non mi spaventano più.
E da quel giorno, nella mia mente affiorano spesso, più di tante altre parole, queste di Chiara Lubich; allora le stringo forti a me, come la perla preziosa di un tesoro che nessuno mi porterà via mai più, e - ora sì, sicuro e felice - continuo per il mio cammino.
" (...) riconosco tante volte al giorno
che Tu sei morto per i miei peccati e le mie infedeltà, ma quando ne commetto
qualcuna perdo la pace, come se non potessi essere più perdonato. Mi illudo
dicendo che é delicatezza di coscienza l'ossessione che le mie infedeltà
provocano in me: invece é l'orgoglio sopraffino. (...) RiconoscerTi,
abbracciarTi nelle umiliazioni che seguono le mie infedeltà, questo Ti fa
piacere, perché allora solo l'Amore può riconoscerTi, l'intelligenza non arriva
a tanto. "Chi non ama non ti conosce"
(Chiara Lubich)