Come parlare di mio nonno... Come ricordarlo meglio...
Quando penso a lui, vedo un uomo alto, altissimo,
dai capelli bianchi ed uno sguardo pieno d'amore. Poche parole e molti fatti. Certamente, dopo una vita piena di sacrificio e
di lavoro,
dopo aver dovuto lasciare in Italia la sua famiglia e il suo paese, poter guardare i suoi
nipoti, io credo, deve essere stata la miglior cosa nel mondo, deve averlo fatto credere un altra volta nella vita.
Era appena un ragazzo (17 anni) quando è dovuto andare lontano. La guerra
- tutti sappiamo - fa cose quasi più terribili che la morte: separa famiglie, spezza cuori. Cosa avrà
sentito, mi domando, alla sua età. Una mescola del peggiore dolore e della
migliore speranza.
Partire per non vedere mai più sua madre (Domenica Panzitta), suo padre (Alfonso
Cullari),
la sua terra. Anche i suoi fratelli Caterina, Gennaro, Carmela, Saviano e Carmelo.
Era l'anno 1922 quando la nave arrivò in Argentina, dopo
aver attraversato un mare che sembrava mai finire. Un nuovo mondo, nuova gente, un altra lingua. E soltanto due mani per fare tutto. Questo è veramente creare: fare
dal nulla; e, in questo senso, è stato un vero creatore,
come
tanti altri che sono arrivati come emigranti.
Dio è stato sicuramente al suo fianco, perché lui, appena arrivato, cominciò a vivere
nella località
di Haedo (distante 20 km da Buenos Aires, Capitale Federale, centro
dell'Argentina),
dov'è vissuto tutta la vita, ed ha conosciuto l'amore
dalle mani di Santina Rosalinda Bellavigna,
mia nonna, venuta anche lei
dall'Italia, da un piccolo paese vicino La Spezia, chiamato Sta. Maria di Calice al Cornoviglio. Ambedue, insieme, hanno lavorato e lavorato tutta la loro vita e hanno costruito una bella famiglia, formata
dai loro due figli: Elsa, mia mamma, e Isabel. Ed insieme hanno anche costruito con
le loro mani la casa dove ancora oggi abita mia zia Isabel.
Questa è la piccola e allo stesso tempo la grande storia di un uomo
che certamente mai dimenticherò. Che ringrazierò per sempre per l'amore e per i valori che mi ha lasciato.
Questo è un omaggio a mio nonno Giuseppe Cullari (1905-1987) e a tutti
i joppolesi
che hanno dovuto lasciare la loro terra: Joppolo. Terra che, se Dio
sarà al mio fianco, desidero conoscere presto e spero mi apra
le braccia come l'Argentina le ha aperte a mio nonno.
Patricia Julià
Buenos Aires - Argentina
Dicembre 2004
pato_julia@hotmail.com
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