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BUENOS AIRES -
Carmen era una bam- bina allegra che ama- va il canto.
Viveva in campagna e aveva un asinello.
La nonna e la madre lo caricavano di grano e patate e
anda- vano a venderli al
mercato.
C'era la guerra in quegli anni, ma a Caroniti ("signi-
fica cari e uniti") allo- ra provincia di
Catan- zaro, oggi provincia di Vibo " non si
avvertiva va, i soldati non arri- vavano". |
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A otto anni Carmen parte per Buenos Aires, "venti giorni di viaggio da Genova", con la madre e l'ansia di conoscere il padre, andato via dalla Calabria nel 1947.
L'arrivo in una notte di ottobre. L'incontro
con quest'uomo "alto, biondo e con un cap-
pello. Quella sera fu festa.
C'erano i nonni paterni e materni, i cugini".
Il giorno dopo comincia il dramma. "Volevo parlare con loro, mi chiamavano Carmen e non Carmela, allora diventai triste, con la
voglia di nascondermi".
Carmen Mancuso, oggi affermata dermato-
loga in Patagonia, dove vive da trent'anni, ripercorre le tappe della sua vita prima della presentazione del suo libro "Calabria mia, historia di una niña immigrante", in una delle sale della sede dell'Associazione calabrese, nel corso della quarantanovesima edizione della settimana di Calabria.
Una sette giorni a Buenos Aires dedicata a ricordi, tradizioni e testimonianze.
"Cominciai la scuola e un giorno la maestra, indicandomi agli altri bimbi, disse: "E'
cala- brese e i calabresi sono della mafia, sono gente male.
In quel momento la odiai".
Carmen chiede al padre "che vuol dire
ma- fia?". "Mi rispondeva che no,
noi eravamo |
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onesti
lavoratori. Pregai di tornare dalla nonna in Calabria.
Impossibile".
La situazione peggiora con la nascita di due fratelli e l'esplodere della cultura
ma- schilista del padre.
"Per i calabresi il figlio maschio è più importante".
Carmen si sente sempre più isolata e si ammala di tubercolosi.
La sua salvezza è un dottore che le spiega perché non può tornare nella sua terra e l'aiuta a guarire, anche psicologicamente.
"Ho ripreso a vivere e ho deciso di diventare medico pediatra".
Due anni di cura, la rassegnazione e l'ini-
zio della rinascita.
"Volevo recuperare le cose perdute, non volevo essere
sotto- messa come mia madre.
Dissi a me stes- sa che non avrei mai sposato un italiano e tanto meno un calabrese, che avrei
stu- diato".
Tutto questo contro il volere del padre.
Non ammetteva che lei cantasse, che avesse un titolo di studio.
"Chista è pac- cia", diceva.
Ma Carmen trova la forza di reagire, di-
venta medico e appena possibile, con la scusa del lavoro, va via di casa, "a fare pratica prima nell'ospedale di Buenos Aires, poi in Patagonia".
Va via dopo un duro scontro con il padre, "non si può imparare a conoscere una
fi- glia quando ha già otto anni".
Va avanti ma il dolore è soffocante. Un giorno, incontrando un grande pediatra "che fra i primi in Argentina pose alla
ba- se del lavoro del medico la psicologia", si accorge di non poter curare i bambini.
"Ero troppo triste, per stare a contatto
con i più piccoli bisogna portare allegria".
Così da pediatra diventa dermatologa.
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Il primo matrimonio con uno spagnolo la fa riavvicinare all'Italia.
"Mi invitava a canta- re".
Dopo 10 anni di matrimonio lui muore. Per Carmen altri dieci anni di solitudine e di
viaggio in tutto il mondo, "ma mai oltre Na-
poli".
Poi conosce l'attuale marito, "figlio di russi di Mosca".
"Lui mi ha fatto tornare e perdonare".
Il primo viaggio a Caroniti risale al 1997 - 1998. "Lì ci sono parenti lontani, cugini della mamma che si chiamano Giacco.
Ho incon- trato anche un amico di papà, Carmelo Ga-
lasso, e un compagno di scuola, Pasquale Campesi".
Dal 1988 Carmen torna altre tre volte in Calabria, l'ultima nel 2002.
"Scrivendo il libro ho chiuso la ferita. E' un libro che si può leggere in tanti modi.
Come la storia di una bimba emigrante, scritta in modo semplice e sincero; come la storia di un'eroina che ha combattuto contro i
pregiu- dizi o anche come un ritratto di una Calabria lasciata e messa a confronto con quella di oggi".
Come vede Carmen oggi la Calabria? "Bella, diversa.
La gente è più aperta. Ma non potrei più tornare a viverci.
Quando va- do mi chiamano l'americana e questo mi fa sentire male".
La ferita, lo dice convinta, si è rimarginata, è una donna realizzata, ma il suo sguardo tradisce ancora una grande sofferenza.
La scorgi spesso assente, persa, forse, in quei ricordi dolorosi che continueranno a segnare la sua esistenza.
Il libro ("per me ha rappresentato una ca-
tarsi"), è stato presentato anche
all'universi- tà National del Comahue di Diritto, Scienze e Lingue, nella provincia del Rio Negro ed è stato giudicato di interesse nazionale. |
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Il precedente servizio
è stato pubblicato
giovedì 2 dicembre
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