Viverone

In su la riva  

d’un queto lago, di ridenti ville

coronato e di selve, antiquo s’alza

un castello, di mura ardue e di fosse

un dì cerchiato: a tergo alta gli sorge

folta d’ombra la Serra e di lontano  

le sue merlate al ciel torri sospinge

la domatrice di cavalli Ivrea.

           Costantino Nigra  (1828-1907)

Storia

Luoghi di interesse

Leggende del lago

Geografia e ambiente

Storia

Introduzione.

Il periodo indubbiamente più ricco di testimonianze è la Preistoria: i reperti che Viverone e il territorio circostante offrono vanno oltre un’importanza locale.

Il periodo romano fu un’epoca di relativo sviluppo, che vide la diffusione del Cristianesimo; scarse sono però le notizie sulla zona di Viverone.

Notevolmente più documentato risulta il Medioevo e il suggestivo ricetto di Viverone può essere considerato un po’ il simbolo dell’animata e spesso agitata storia del paese e del suo lago in questa epoca.

Ma è nel periodo successivo, quello dell’età moderna, che l’interesse per il lago si fa più vivace e provoca lotte per la sua proprietà: in questi secoli più recenti, comunque, la storia di Viverone e del suo lago diventa sempre più intimamente collegata con quella nazionale.

 

Preistoria.

Durante il Neolitico (4500-3000 a.C.) si sviluppò l’industria fittile (vasi a bocca quadrata in Pianura Padana) e contemporaneamente si sentì la necessità di associarsi e di vivere in comunità: sorsero così villaggi di capanne, uno dei quali nacque dove si trova ora Viverone.

 

Tra il 3000 e il 2500 a.C. cominciò l’età dei metalli con la scoperta del rame: le armi di pietra furono sostituite da quelle di metallo. Dalla fusione del rame e dello stagno nacque poi il bronzo: questo periodo viene denominato età del Bronzo (2000-700 a.C.).
La produzione del bronzo consisteva soprattutto in strumenti di guerra ed in numerosi oggetti d’artigianato che permisero il diffondersi del commercio.

Dai ritrovamenti avvenuti a Viverone e nel Vercellese si può affermare che l’insediamento si formò in questo periodo. Il clima e l’uso di strumenti in bronzo hanno favorito una crescita demografica ed il rafforzamento dell’economia agricola.

Prima della scoperta di villaggi lacustri le più antiche tracce della presenza dell’uomo nel circondario del lago di Viverone erano già rilevanti: si ricordano una spada di bronzo, una forma di fusione, due piroghe e utensili in selce.

Nel complesso i reperti ed i dati ottenuti documentano una presenza attiva dell’uomo a Viverone già migliaia di anni fa e permettono di dedurre che ivi esistevano dei villaggi palafitticoli.

Questa tesi è confermata dalla scoperta di quattro di questi villaggi presso il lago di Viverone che, secondo la datazione al carbonio 14, risalgono all’850 a.C. (tarda età del Bronzo), anche se secondo alcuni studiosi potrebbero essere anche più antichi (tardo neolitico e prima età del Ferro).

Nella regione Navione ( Nord-Ovest ) e nei pressi del Gesiun, sono state scoperti numerosi resti di fornaci primitive, insieme a scorie di fusione, frammenti di crogioli in pietra, di vasi e coppe in pietra ollare valdostana. La fornace meglio conservata si trova interrata presso la chiesa di San Pietro in Navione: è fatta in laterizi e creta, profonda oltre 1 m e con un diametro di quasi 3 m.

Sempre nella zona tra Piverone e Viverone sono stati trovati molti altri reperti, ma sono di difficile datazione ( periodo pre-romano) in quanto non facilmente distinguibili da quelli di età romana.

Anche presso il Lago di Bertignano, località Cava di Purcarel, è stato individuato un villaggio lacustre di capanne costruite su dodici ammassi di ciottoli di grosse dimensioni. Uno scavo eseguito nel luogo di tale villaggio avrebbe portato ad individuare materiali ceramici riferibili a due differenti strati, che possono indicare, anche se non si possono datare i reperti, due epoche differenti di frequentazione del sito.
Spada di bronzo.

Nel 1830 nella torbiera di Moregna  (lato sud-ovest) fu rinvenuta casualmente una spada di bronzo “tipo Monza”, lunga 65 cm. Essa presenta un codolo a spina stretta e una base con due fori sotto alla quale due rientranze formano una strozzatura; la lama a sezione romboidale è lunga e stretta, con una costola centrale delimitata da due solcature. Attualmente è conservata nel Museo di Antichità di Torino .
Forma di fusione.

All’inizio del ’900 in località Navione  (presso Piverone ) è stata rinvenuta una forma di fusione composta da due grossi parallelepipedi in pietra ollare abbinati, di cui uno spezzato in due frammenti. Tre incisioni permettevano la fusione di spade di bronzo di tipo Herbenheim in tre lunghezze differenti, di cm 65, 72, 75; sono inoltre presenti numerosi sfiatatoi agli imbocchi di colata in corrispondenza delle punte delle lame. Nelle due parti della forma sono visibili i perni in rame o in bronzo ed i fori corrispondenti che servivano per assicurare la giusta sovrapposizione delle due metà. Questa forma di fusione è conservata attualmente presso il Museo P.A. Garda e del Canavese  ad Ivrea .

Piroghe.

La prima piroga trovata nel Lago di Bertignano fu condotta alla luce durante uno svuotamento del lago nel 1912. E` costituita da un tronco unico di castagno lungo circa 4 m. E` stata datata come risalente al 250 d.C.

La seconda piroga trovata a Bertignano nel 1978 venne recuperata nel 1982. E` lunga 3,75 m. scavata anch’essa in un unico tronco di castagno. Da un’analisi al carbonio 14 risulta che il legno risale al 1450 a.C.

Questo ritrovamento è particolarmente importante perché è stato possibile effettuare una datazione precisa e perché attesta la presenza del castagno nel Canavese  già prima dell’arrivo dei Romani .
Villaggi palafitticoli.

Nel 1966, dopo un attento studio delle condizioni ambientali del lago, ebbe inizio a Viverone, in località Cascina Nuova , una ricerca subacquea di reperti che confermassero la presenza di villaggi palafitticoli. Le scoperte non si fecero attendere: proprio a Cascina Nuova, venne trovato il primo campo di pali e a questo ne seguirono altri tre di diverse dimensioni. I quattro siti sommersi furono denominati con le sigle VI.1, VI.2, VI.3 e VI.6.

Mentre VI.3 (Cascina Nuova ) risulta isolato ed in posizione nettamente differente, i tre siti VI.1, VI.2 e VI.6 documentano un fitto popolamento della sponda Nord, Nord-Ovest del lago. Ubicati in bassi fondali, senz’altro emersi durante la fase recente (1300-1200 a.C.) e finale (1200-900 a.C.) dell’età del Bronzo per via di un ritorno del clima secco ed arido, i villaggi possono rappresentare un unico momento insediativo oppure un’espansione demografica con la costruzione di nuovi nuclei di capanne o di palafitte. Dalle mappe di distribuzione dei pali del sito VI.2 (173 pali) si possono già` individuare quattro case a pianta rettangolare, collegate alla sponda o ad un margine rialzato mediante una passerella o un camminamento protetto, che a due terzi del percorso presenta uno sbarramento ben marcato: la palizzata. Inoltre alcuni pali più al largo fanno pensare ad un molo verso il lago aperto. La semplice lettura della planimetria ed il rigido schematismo logico della disposizione degli spazi fanno di questo insediamento quasi un modello classico di villaggio lacustre.

Non si può dire la stessa cosa, per motivi diversi, degli altri tre siti: VI.1 è molto ampio (5000 pali) quindi complesso nella lettura, VI.3 nonostante le ridotte dimensioni (71 pali) è complicato nella planimetria, infine VI.6 non è ancora stato analizzato approfonditamente.

Dalla ridotta dimensione delle case si presume fossero abitate ognuna da un solo nucleo famigliare. Dal ritrovamento di molte ossa di animali si è venuto a conoscenza che la macellazione molto probabilmente era praticata quotidianamente; gli animali riconosciuti sono diversi: bue domestico, cervo, pecora, ovicaprini domestici, maiale, capra, cavallo, cane domestico e camoscio; da questo si deduce che l’alimentazione base si fondasse sulla carne ottenuta dal bestiame bovino. La pesca aveva, stranamente, un ruolo del tutto secondario per queste comunità palafitticole. L’analisi dei reperti archeologici rinvenuti sul sito VI.1 permette di meglio definire cronologicamente le vicende dell’uomo sulle sponde del lago.

Della ceramica raccolta sul sito rimangono: olle, dolii, orcioli, scodelle e tazze; tali ritrovamenti sono distinti in due tipi dagli studiosi: i primi grossolani dall’impasto meno curato sono i prevalenti, i secondi di ceramica più fine hanno le superfici levigate; per entrambe le classi la decorazione si presenta abbastanza varia.

Dei reperti fittili vanno ricordati diversi pesi di varie forme.

Tra i reperti litici fu rinvenuta una forma di fusione per fondere spilloni.

I prodotti della metallurgia recuperati sono: una punta di lancia, un rasoio, un probabile morso per cavallo, due spilloni, due pinzette, tutti in bronzo. Il complesso di materiali rinvenuti consente di riferire i villaggi palafitticoli di Viverone alla fase medio recente dell’età del Bronzo.

Si trattava di una popolazione ricca, con un’economia solida basata sull’agricoltura integrata con l’allevamento; i manufatti inoltre dimostrano un’ottima tecnica di lavorazione, per cui oggi si parla di una vera e propria “Cultura di Viverone”.

 

Periodo Romano.

I Salassi e Roma.

Dal V-VI secolo a.C. l’Alto Canavese e la Valle d’Aosta furono occupati da un fiero popolo di origine celto-ligure, i Salassi, che diedero l’avvio ad un’ampia e sistematica attività mineraria.

Nel II sec. a.C. i Romani intrapresero numerose campagne militari contro i Celti  e i Liguri  dell’Italia nord-occidentale e, per garantirsi la via delle Gallie, a partire dal 143 a.C. si scontrarono a più riprese contro i Salassi: fondarono perciò  l’avamposto di Eporedia ( 100 a.C. ), ma solo nel 25 a.C. Aulo Terenzio Varrone riuscì letteralmente ad annientarli definitivamente .

Il controllo dei valichi permise lo sfruttamento delle miniere come le “aurifondinae” della Bessa e lo sviluppo di un sistema viario.Le strade ai tempi di Eporedia e delle invasioni barbariche  ( 100 a.C. - 900 d.C. circa )

Secondo l’Itineraria Antonini e la Tabula Peutingeriana esisteva una strada lastricata che collegava Ivrea a Vercelli, lunga 33 miglia romane (km 48.774): si presume che passasse a Sud del lago, attraverso Albiano, Settimo Rottaro (‘ad septimum lapidem ab Eporedia’), Azeglio, l’ospedale di Monte Perioso, le Loggie, il Sapel da Mur, Alice Castello e Santhià; fu già in parte distrutta dai Goti, durante il saccheggio di Ivrea nel VI secolo d.C.

Altre fonti indicano la presenza di una strada secondaria che da Bollengo scendeva fino a Santhià passando a Nord del lago.

Le strade romane furono progressivamente smantellate dall’abitudine popolare medioevale di usarne le pietre squadrate per le proprie costruzioni: così oggi non ne rimane traccia e la questione del loro percorso sotto La Serra rimane aperta.

Di Viverone nel tempo romano (200 a.C.- 400 d.C.) sappiamo ben poco: dai resti nella zona compresa tra Viverone e Piverone, si deduce che dovevano esserci diversi centri romanizzati, come pure dimostra la toponomastica dei nomi di Anzasco e Peverano. 

Il Cristianesimo.

Sin dai primi secoli cristiani Viverone faceva parte della diocesi di Vercelli, i cui vescovi furono tra gli evangelizzatori più vivi ed attivi dell’Italia settentrionale; tra questi spicca la personalità di S.Eusebio, inviato da S.Ambrogio a Vercelli nel 345 dove fondò, secondo la tradizione, il primo episcopato del Piemonte.

Probabilmente anche Viverone dovette risentire di questo sforzo evangelizzatore compiuto dalla Chiesa vercellese.

 

Medioevo.

I Franchi e il Vallo Longobardo.

Per l’epoca medioevale abbiamo maggiori informazioni soprattutto grazIl tracciato del Vallo Longobardoie a documenti di tipo ecclesiastico, che attestano collegamenti tra Viverone e Vercelli .

In generale la storia di Viverone non si discosta da quella di tanti paesi del Canavese, che nei secoli medioevali subirono dapprima, nella seconda metà dell’VIII secolo, lo scontro tra Longobardi e Franchi. Si ritiene infatti che sull’altura dell’anfiteatro morenico, nel tratto che va dalla Dora Baltea sino sulla cresta della Serra, dovesse correre un grande vallo difensivo, facente parte delle cosiddette “Chiuse Longobarde”, eretto da Desiderio al fine di chiudere la via per la Pianura Padana agli eserciti di Carlo Magno provenienti dalle valli di Aosta e Susa. Esso è documentato dal “Chronicon Imaginis Mundi ”, scritto nel 1300 da Fra’ Jacopo d’Acqui, secondo cui la battaglia decisiva avvenne proprio in prossimità della Serra e le difese erano formate da muri a secco, costituiti da ‘pietre grandi e piccole, ammucchiate a maceria’; inoltre la scoperta di alcune tombe di guerrieri testimonia la presenza longobarda a oriente del lago. Seguendone i resti più o meno cospicui se ne deduce il percorso di una trentina di chilometri: da Zimone passava sul Monte Orsetto e nei pressi di S.Elisabetta, costituiva le pietre della Maserassa, chiudeva il valico del Sapel da Mur e, toccando il Bric delle Barricate, giungeva alla Dora, che fino ad Ivrea non aveva alcun ponte.

La Via Francigena.

Con il frantumarsi dell’Impero Romano ad opera delle invasioni barbariche, le strade consolari videro un lento ma inesorabile declino, tanto da diventare in pochi secoli quasi impraticabili.
La Via Francigena era uno dei percorsi di pellegrinaggio per Roma (Romee) che costituirono un sistema di comunicazione che ha riallacciato i rapporti e gli scambi tra il Nord e il Sud dell’Europa, dopo l’isolamento causato dalla caduta dell'Impero Romano (si ricordi il viaggio di Sigerico, vescovo di Canterbury, nel 990 per ricevere il pallio episcopale dal papa Giovanni XV e quello, al ritorno dalla Terza Crociata, di Filippo Augusto, re di Francia, nel 1191).

Non bisogna però immaginarla come una strada moderna, bensì un tracciato non sempre ben definito, seguito dai pellegrini con passaggi e tappe obbligati, dovuti all’attraversamento di valichi alpini, guadi o ponti, alla sosta in ospedali o paesi.

Il ramo Nord della Via Francigena, giungendo dalla Francia, attraversava Aosta  e Ivrea, e, dirigendosi verso Vercelli, passava per il lago; qui  si divideva in varie alternative (forse per via del terreno paludoso o per l’attrazione dell’oro nella pianura della Bessa o per il timore di un mostro leggeendario in agguato nelle sue acque): comunque le rive del lago erano allora percorribili solo a piedi, perché erano assenti strade carrabili.
Verosimilmente la Via si divideva in due varianti principali tra Ivrea e Santhià: una era la “strada di sopra” che scendeva da Piverone a Bollengo, proseguendo poi a Nord del lago e per il borgo di Viverone; l’altra, la “strada delle Loggie”, transitava per Azeglio e Alice Castello, seguendo il percorso dell’antica strada romana.

Quest’ultima fu progressivamente abbandonata, forse per la presenza, nella zona di Azeglio, di fitti boschi facilmente utilizzabili come nascondiglio dai briganti (si pensi all’ossessivo avvistamento di Saraceni o alla spaventosa figura dell’ ‘homo selvaticus’ medioevale).

Arduino e i vescovi-conti.

Dal successivo periodo carolingio il Canavese conobbe l’affermazione del sistema feudale e, nei secoli seguenti, subì i  tentativi degli imperatori germanici e della Chiesa di affermare il loro potere sull’Italia settentrionale: numerosi furono gli scontri tra i feudatari laici e i vescovi-conti appoggiati dal papa e dall’imperatore; tra tutti si ricordino la leggendaria figura di Arduino, marchese d’Ivrea e più volte re d’Italia dal 1000 al 1014, e le sue gesta contro gli imperatori Ottone III e poi Enrico II, i vescovi di Ivrea, Warmondo, e di Vercelli, Leone.

Sul finire del XI secolo presero sempre più potere nell’Alto Canavese  alcuni nobili che, appoggiati dall’imperatore, si arrogarono del titolo di “conti de canavise” in base a presunte discendenze da Arduino: da loro derivarono poi le casate dei San Martino, dei Valperga e dei Masino.

 

..........continua............

 

Luoghi di interesse

Diversi sono i luoghi che rivelano il loro dignitoso passato, forse non tutti importanti ma in ogni caso meritevoli di essere menzionati.

Sono stati raccolti sia località particolari, sia monumenti di interesse, presentati seguendo il perimetro del lago:

 

il ricetto di Viverone (castello e oratorio di S. Giovanni Battista)

la chiesa di Santa Maria della Cura

la nuova chiesa parrocchiale dell’Assunta di Viverone (in origine di San Nicola)

la cella di San Marco di Viverone (in origine di San Michele)

la torre di Montalto o di San Lorenzo

la chiesa di San Lorenzo di Pavarano

il Lago di Bertignano  (cava di Purcarel e Monte Orsetto)

il “Roc della Regina” e la “Pera Pichera

il castello di Roppolo

la chiesa di San Vitale di Roppolo

la chiesa della Madonna del Rosario di Roppolo

la “Pietra Fica” e la “Maserassa” (“Sapel da Mur”)

il lido di Anzasco

il “Gesiun” di Piverone

 

Infine si trova un cenno alla leggenda dello scomparso borgo di San Martino al lago e della Dama del lago .

 

Il ricetto di Viverone.

I resti del ricetto si ergono su di un colle in frazione Bertignano e risalgono al primo decennio del XV secolo.

Il ricetto è un nucleo urbanistico in perimetro fortificato ed è una costruzione tipicamente piemontese: nella regione se ne contano circa 200; era adibito a ricovero permanente dei prodotti agricoli ed a rifugio temporaneo dei contadini e del bestiame. L’interesse dei ricetti è dato dalla loro funzione nel territorio rurale e dall’impianto urbanistico assolutamente tipico.

Con l’aiuto dei catasti è possibile ricostruire la posizione del ricetto di Viverone, del castello (ne esistono ancora probabili ruderi) e del centro abitato.

Il ricetto di Viverone conserva tutt’oggi le caratteristiche essenziali: a sud un resto di cinta muraria imponente; a nord-est una torre quadrata d’angolo con merlatura, all’interno della quale ci sono varie postazioni di scolo con lunga feritoia verticale. Altre parti sono state trasformate in case di civile abitazione. Di notevole interesse un vasto locale che doveva essere un grande magazzino e serviva anche da luogo di riunione; delle vie ce n’è una che conserva integre le antiche caratteristiche: muri di pietra a vista, archivolti in grossi mattoni.

L’insediamento difensivo fu elevato su di un rialzo artificiale, per renderlo più sicuro e difendibile; da esso è ben visibile il castello di Roppolo, con cui poteva comunicare con segnali ottici.

All’interno del ricetto vi era ed è rimasto l’oratorio di S. Giovanni Battista , già esistente alla fine del 1200: infatti nel 1287 il prete Anselmo, rettore di S. Giovanni del castello di Viverone, era nominato parroco di S. Giuliano in Vercelli ; nel 1348 l’oratorio si trovava dipendente direttamente dalla chiesa vercellese; divenne poi proprietà dell’abbazia dei canonici lateranensi di S. Sebastiano di Biella .

La sua presenza pone un importante problema: se precedentemente esistesse o no un castello, poi diroccato, sulle cui fondamenta o resti sia stato eretto il ricetto. Appoggiando la prima ipotesi, molto probabilmente l’oratorio era la cappella gentilizia dei signori di Viverone: è costituito da un solo locale con soffitto in legno, sulla facciata sono presenti due finestre ad arco ed in alto un rosone centrale; all’interno, la parete dietro l’altare è ornata da affreschi cinquecenteschi.

 

Santa Maria della Cura.

Tre erano le chiese che in antico avevano un rettore a Viverone: quella di S. Maria (la Cura vecchia), quella di S. Nicola (l’attuale parrocchia) e quella scomparsa di S. Martino al Lago.

La chiesa di S. Maria, detta anche la Cura vecchia, sorge a metà strada tra Viverone e Roppolo  Piano, nei pressi del cimitero, e servì da parrocchia per i due paesi fino al 1789, anno in cui Roppolo Piano divenne parrocchia autonoma: la chiesa, isolata nella campagna, rimase scomoda per i soli fedeli di Viverone, che decisero allora di erigere a parrocchia la chiesa di S. Nicola situata in paese.

La sua costruzione, in stile gotico quattrocentesco, è ad unica navata, con ampie ogive ed è monumento singolare per il Biellese. Aveva finestre rotonde e all’esterno era sorretta da potenti contrafforti; subì nel corso dei secoli numerose aggiunte e manomissioni che deturparono la bellezza della sua linea: la volta è ancora a capriata come in antico, ma il coro è un’aggiunta del ’600, mentre nel sec. XVIII le finestre da tonde, divennero quadre, si allungò la chiesa di un’arcata e si costruì la facciata barocca attuale.

 

La nuova chiesa parrocchiale.

Come edificio è un rifacimento sette-ottocentesco della chiesa antica di S. Nicola, già esistente nel sec. XII: infatti all’inizio del sec. XVIII venne rifatta nelle forme attuali, in particolare nel 1710 venne iniziata la costruzione del campanile, nel 1773 fu aggiunto e benedetto il coro e nel 1802 si fece la cantoria; la facciata fu compiuta verso la metà dell’800.

Nel 1791 la chiesa fu dedicata all’Assunta ed eretta a parrocchiale di Viverone, sostituendo quella di S. Maria della Cura.

La decorazione interna della chiesa, a tre navate sostenute da colonne in pietra, fu eseguita nel 1869 con offerte dei parrocchiani; buoni lavori di scultura sono il pulpito, il coro e la cassa dell’organo.

L’organo, posto sulla cantoria, è opera dei Fratelli Serassi di Bergamo, probabilmente i più prestigiosi organari italiani dell’800: l’«opus 359» del 1815 non ha in pratica mai subito restauri.
 

La cella di S. Marco di Viverone.

Esiste ancora in parte in una località detta “La Cella”: in origine era dedicata a S. Michele, mentre dall’inizio del ‘500 in avanti è chiamata “cella di S. Marco ”.

Dipendeva dal monastero benedettino cluniacense di S. Genuario di Vercelli , come appare dalla bolla di Papa Eugenio III  del 15 maggio 1151, da un documento del 1159 dell’imperatore Federico I Barbarossa e tale appare ancora nella bolla di Papa Eugenio IV del 27 settembre 1438; ai suoi monaci spettava il diritto di pesca nel lago.

Divenne poi, nel secolo XIV, commenda e fu lasciata dai benedettini.

Restano la chiesa, in parte nell’originaria struttura romanica visibile all’esterno del lato nord e nell’abside semicircolare; e il campanile, pure romanico, di pietra viva, alleggerito da monofore e bifore, sostenute da esili colonnine.

L’interno fu rifatto con gusto barocco e la volta rialzata, al principio del XX secolo.

 

La torre di Montalto o di S. Lorenzo.

Due furono nel tempo i principali luoghi di vedetta, centri strategici sulle alture che rappresentavano le estreme propaggini della Serra verso levante: il Monte Orsetto e il colle di Montalto, posti nella plaga tra Viverone, Roppolo, Dorzano, Salussola e Cavaglià, estendendosi fino al Lago di Bertignano.

Essi furono teatro di lotte cruente sulla via obbligatoria tra il Biellese, il Vercellese e il Canavese .

La torre fu innalzata su una preesistente base intorno al 1600, poco distante dal medievale pago abitato di S. Lorenzo.

 

San Lorenzo di Pavarano.

Il nome della località Pavarano denota un’origine romana e intorno al Mille era un centro abitato, che godeva di autonomia religiosa, sede di una rettoria medievale: era menzionato in un atto del 1197, con cui si vendevano alla chiesa di San Lorenzo  di Pavarano alcuni terreni ivi situati, nominando pure il “rector ecclesiae S. Laurenti de Pavarano”.

La chiesa, una delle rettorie più antiche, era parrocchia sul territorio di Roppolo  Castello, compresa nel distretto plebano della pieve di San Secondo di Salussola; nel secolo XIII divenne di patronato dei nobili Bichieri, signori di Roppolo, con la chiesa di S. Michele del Castello e verso la fine dello stesso secolo, per eredità, passò al monastero di S. Margherita di Vercelli, fondato dalla Beata Emilia Bichieri nel 1255.

In seguito, sebbene sempre nominata negli elenchi delle chiese vercellesi fino al sec. XV, la sua funzionalità doveva essere quasi nulla: venne declassata a oratorio campestre e poi annientata del tutto, per l’abbandono dell’abitato da parte della popolazione, forse in seguito a devastazioni belliche (secc. XIV-XV).

A sua memoria nella zona è rimasto un cascinale che porta il nome di “cascina S. Lorenzo”, mentre in un bosco vicino si intravedono le fondamenta della chiesa, che denotano una costruzione molto piccola, come tutti gli edifici religiosi medievali. La gente del posto chiama comunemente quelle macerie  la “vecchia chiesa di S. Lorenzo” e tra di esse si notano numerosi resti di tegoloni romani, segno indubbio della remota antichità sia della chiesa che dell’abitato.

 

Il Lago di Bertignano.

E’ un piccolo lago sulla Serra , a Nord di Viverone, poco oltre il paese omonimo, in una zona cosparsa di tralicci elettrici da esercitazione, eredità della centrale idroelettrica che funzionava all’inizio del ’900.

E’ importante archeologicamente per il ritrovamento di due piroghe, scoperte nel 1912 e nel 1978, rispettivamente datate 250 d.C. e 1450 a.C.

Vicino si trova la cava del Purcarel : una depressione naturale periodicamente invasa da acque stagnanti i cui mucchi di sassi, sconvolti in passato da ruspe per l’estrazione di ghiaia, insieme a frammenti di vasellame testimoniano un insediamento palafitticolo più o meno stabile.

Sul poco distante Monte Orsetto si possono trovare tracce delle cosiddette “Chiuse longobarde” che ivi terminavano, nonché di un probabile castelliere gallico, visti i ritrovamenti di ceramica preromana.

 

Il “Roc della Regina” e la “Pera Pichera”.

In regione S. Lorenzo, un tempo borgo popoloso e ora quasi disabitato, esiste una pietra singolare, incavata a forma di sarcofago, che posa su un’ampia base litica, comunemente detta “Roc della Regina ”.

La fantasia popolare indica il posto in cui l’ipotetica Regina, identificata poi nella Madonna, poneva il ditale e le forbici e il filo in alcune lievi incavature di forma richiamante questi accessori del lavoro femminile. L’acqua piovana, che ristagna nella cavità, a contatto della pietra, era ritenuta salutare e le donne vi si recavano per bagnare gli occhi a prevenirli da ogni eventuale infermità.

Da questi elementi e dalla presenza di diverse coppelle (7) si può risalire alle antichissime usanze religiose, poi cristianizzate, delle genti celtiche che veneravano le “matres”, chiamate da essi “regine”; a questo costume quindi si può condurre la leggenda di una regina barbara lì sepolta.

Luogo significativo è pure quello in cui è posto il “Roc della Pratasera” o “Pera Pichera”, un altro masso erratico lasciato dal ghiacciaio balteo: sotto questa roccia le mamme erano solite dire di aver trovato i loro figli, tramandando così superstizioni, più o meno cristianizzate, indizianti l’esistenza di tradizioni pagane remote.

 

Il castello di Roppolo.

L’esistenza del paese di Roppolo  nel sec. X è documentata da un diploma di Ottone I, datato da Pavia il 30 luglio 963, con il quale l’imperatore investe il conte Aymone di Cavaglià di diversi beni posti nel contado vercellese, fra cui Roppolo.

La prima fortificazione costruita fu la torre, probabilmente base dell’attuale, intorno alla quale si sviluppò più tardi il castello (’200): era originariamente in legno, con le fondamenta in masselli di granito ancora visibili nelle cantine.

Il Duecento segna la decadenza dei conti di Cavaglià , che vennero sopraffatti dai Bichieri di Vercelli, sotto i quali passarono tutte le terre di Roppolo che erano state cedute loro dal capitolo della chiesa di S. Andrea  di Vercelli. Ancora oggi sulla parete duecentesca del maniero, nel cortile interno, domina lo stemma dei Bichieri: tre bicchieri riempiti a metà di vino sotto il cappello cardinalizio del cardinale Guala Bichieri , fondatore dell’Abbazia di S. Andrea  a Vercelli (1219-1227).

Il castello rimase per circa due secoli proprietà dei Bichieri  sino al suo passaggio nelle mani di casa Savoia, avvenuto per la prima volta nel 1407. Dal 1441 le sorti del castello furono affidate ai potenti Valperga di Masino, che ne mantennero il possesso fino allo scoppio della Rivoluzione Francese.

Nella terza stanza della torre, si aprì nel 1800 un muro parietale e in una profonda intercapedine si rinvenne una completa armatura con dentro i resti umani di un guerriero: erano quelli di Bernardo di Mazzè , murato vivo da Ludovico , signore di Roppolo.

Il castello è stato ripetutamente rimaneggiato fino al secolo scorso e attualmente ospita l’Enoteca Regionale della Serra, unica nel nord del Piemonte, fondata nel 1981: le cantine in cui essa è ospitata sono del XVI secolo, con volte di mattoni a vista e muri di pietra; gli scaffali hanno la caratteristica struttura ad archetti degli antichi “infernotti”.

Dal castello si può godere di un suggestivo panorama sul lago.

 

San Vitale a Roppolo.

Ha origini antiche, infatti il Santo titolare diede il nome all’intero cantone: è probabile che l’abitato di S.Vitale sia sorto dopo la scomparsa dell’antico villaggio di Pavarano (secc. XIV-XV) e pure a questo tempo periodo deve risalire la chiesa.

Il primo documento scritto che ne parla è la relazione di visita pastorale del 1606.

La devozione a San Vitale è dovuta alla presenza nella chiesa parrocchiale del teschio del santo ravennate: gli abitanti di San Germano Vercellese nel 1613, colpiti da terribili guerre, si votarono a San Vitale promettendo una processione annuale a Roppolo se fossero stati liberati; ottenuta la grazia, ogni anno salgono nella seconda domenica di maggio al piccolo santuario di San Vitale, portando la reliquia in processione.

Il teschio del santo fu rubato col busto d’argento nel 1747 e fu ritrovato quasi miracolosamente il giorno 26 dicembre, festa del compatrono di Roppolo, S. Stefano.

 

Madonna del Rosario.

Quella di Roppolo Piano è stata l’ultima parrocchia eretta in ordine di tempo. Caso assai raro, mentre civilmente faceva parte del comune di Roppolo con il castello e tutte le altre frazioni, ecclesiasticamente già nel sec. XIII era unita alla parrocchia di Viverone, la cui chiesa in comune, S. Maria della Cura, si trovava a metà strada tra i due paesi.

Nel 1632 gli abitanti di Roppolo  Piano chiedevano al vescovo di Vercelli di staccarsi da Viverone; intanto le relazioni tra Roppolesi e Viveronesi non erano divenute molto buone e sovente si verificavano fatti incresciosi. Questo antagonismo, verso la metà del sec. XVIII, aveva spinto gli abitanti di Roppolo a iniziare nuovamente le pratiche necessarie per erigere a parrocchia il loro oratorio della Madonna del Rosario, ma per l’opposizione dei principi della Cisterna , patroni della chiesa comune di S. Maria, non si approdò a nulla. Furono riprese nel 1777 e la nuova parrocchia venne eretta solo nel 1789.

Il cimitero fu costruito attorno all’oratorio di S. Sebastiano , sulla strada per Cavaglià , ma nella chiesa esistono ancora alcune tombe.

Il campanile venne rifatto nel sec. XIX, alquanto discosto dalla chiesa.

 

La “Pietra Fica ” e la “Maserassa”.

Lungo il margine meridionale della statale che unisce Viverone e Cavaglià , sullo spartiacque morenico tra Canavese  e Biellese, è visibile la cosiddetta “Pietra Fica : si tratta di un masso erratico emergente per ben 9 m dal terreno su cui è conficcato, che secondo la tradizione sarebbe un antico segno di confine.

Proseguendo verso Ovest si arriva alla “Maserassa ”: è un cumulo di terra ricoperta da pietrame che faceva parte del complesso di fortificazioni, note come “Chiuse longobarde ” (sec. VIII); subito oltre si può godere dello scenario del lago.

Difatti sui crinali delle colline limitrofe si trovano sparsi molti massi di varie dimensioni, facenti forse parte delle Chiuse; in particolare in direzione di Morzano , seguendo la strada che sale su di una collina a sella si trova una chiusa, detta “Sapel da Mur ”.

 

Il Lido di Anzasco.

Pittoresco angolo occidentale del Lago di Viverone, ultimo lembo di territorio canavesano-eporediese appartenente al comune di Piverone , il Lido di Anzasco  è adagiato tra la verde piana e la collina morenica della Serra  d’Ivrea .

Dispone di un centro turistico accogliente, che offre buoni servizi nel rispetto di un ambiente incontaminato, ricco di zone umide e palustri uniche nella loro tipologia e conservazione, in cui si sono sviluppate ninfee e fiori di loto.

Nelle vicinanze esistono preziose testimonianze storiche risalenti ai tempi dei Vittimuli (antico popolo stanziato nella zona di S.Secondo e della Bessa, soggiogato poi dai Salassi), dei Salassi, dei Romani e del Medioevo, documentate da opere autografe di studiosi locali; sul lato a monte del lido, sono stati trovati i resti di alcune tombe preistoriche a inumazione.

La graziosa chiesetta rimaneggiata di “Santa Maria de Ursacio” (S. Maria delle Grazie), restaurata alla fine del ’700 e funzionante, ha le origini nel tardo Medioevo, quando si trovò al centro delle rivalità tra Eporediese e Vercellese.

Nella nicchia sopra l’altare maggiore vi è una statua della Madonna col Bambino, forse del XIII secolo.

Il borgo di Anzasco fu distrutto contemporaneamente a quello di Livione dopo il XII secolo.

 

Il “Gesiun” di Piverone.                     

“Gesiun è chiamato dagli abitanti del luogo il rudere della chiesa romanica dedicata a S. Pietro, che si trova in località Sugliaco, quasi interamente nel comune di Piverone  e per una piccola parte anche in quello di Zimone.

S.Pietro di Sugliaco era la rettoria di un villaggio, Livione, nominato da un documento del 1209.

E’ in stile romanico primitivo e risale, probabilmente, al IX secolo ed è un esempio unico in tutto il Piemonte.  

Di robusta costruzione in pietrame, ha due colonnine, che reggono le arcate del piccolo presbiterio, costituite da due rozze stele di pietra (granito ?), forse una volta coperte da un rivestimento che le rendeva cilindriche; semplici sono i due capitelli cubici.

La zona del presbiterio risulta così isolata dai tre archetti, le due colonne e un basso muretto laterale: questa soluzione architettonica richiama, secondo qualche studioso, alcune chiese longobarde e bizantine.

Curioso il campanile, che tiene il posto di una cupola, collocata sopra il piccolo presbiterio: è sormontato da una copertura piramidale, forse di influsso d’oltralpe.

Notevole è la parte del presbiterio, di lati 3,80 x 1 m, coperta da una volta a vela, con apertura rettangolare nel mezzo, attraverso cui con una scala a pioli, si poteva passare per salire al campaniletto, munito di quattro finestre coronate da un piccolo cornicione ad archetti semicircolari in cotto.

Le dimensioni della navata sono piccolissime, non misura che 4,62 m in lungo e 3,80 m in largo; l’abside ha poi solo 80 cm di raggio.

Le pareti, convenientemente stuccate, conservano anche oggi qualche traccia di affreschi; copriva la navata un soffitto a travi, forse capriate, di cui si vedono gli incastri nei muri. Difatti ora è privo del tetto e di parte dei muri laterali; conserva ancora l’arco di ingresso.

L’aspetto di rudere curato e l’architettura minuta e inconsueta ne fanno un monumento pittoresco di notevole fascino e suggestione.

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Leggende del lago.

Una delle leggende più note del lago è legata al passaggio presso questo specchio d’acqua di S. Martino di Tours  (315 ca. – 397), ricordato popolarmente per aver offerto metà del proprio mantello ad un infreddolito mendicante di Amiens.

Si racconta, dunque, che S. Martino, proveniente da Aosta , passasse per Ivrea , ai cui cittadini chiese ospitalità: gli fu negata ed egli, allora, stese il suo mantello sulle acque della Dora dalle quali si fece trasportare sino nei pressi di Anzasco , dove fondò un borgo chiamato appunto S. Martino.

Sulla scomparsa nelle acque del lago del paese, la leggenda prevede due varianti.

La prima racconta che il paese fondato dal santo, divenuto vizioso e dissoluto, sarebbe stato inghiottito dalle acque del lago per castigo divino.

L’altra versione vuole che, alla vigilia della catastrofe, un angelo fu inviato sotto le sembianze di un mendicante a chiedere l’elemosina porta per porta: ma solo gli usci di poche case si aprirono per aiutare il povero. La lezione di S.Martino era stata dunque dimenticata! Allora l’angelo avvertì i buoni di fuggire perché la città sarebbe scomparsa sotto le acque; gli altri furono inghiottiti insieme al paese e, con esso, anche la chiesa di S. Martino fu sommersa nelle acque e da lì ogni tanto fa sentire la sua campana.
L’esistenza del borgo di S. Martino, di cui tracce si sarebbero trovate in località Comuna  (lato Sud-Est), risulta testimoniata da un documento del XIII secolo, in cui la chiesa di San Martino  è fatta dipendere dall’abbazia di S.Michele e S.Genuario di Vercelli; inoltre la chiesa diede per un certo periodo il nome allo stesso lago, che veniva chiamato appunto Lago di S. Martino.

 

E, come su ogni lago che si rispetti, non manca certo la leggenda romantica dell’amore finito tragicamente sulle sue sponde: così una misteriosa Dama del lago  fa sentire, nelle notti di luna piena, i suoi gemiti d’amore e il suo pianto si infrange lungo le rive del lago dove, una volta, i suoi sogni sono scomparsi per sempre.

Ma non tutti sono capaci di udire la sua voce, perché bisogna saperla ascoltare col cuore.


Leggende meno suggestive forse, ma impregnate di quel mistero che vuole sempre castelli e località antiche collegate per passaggi sotterranei ed ignoti ai luoghi più diversi, hanno tramandato che il lago di Viverone sarebbe unito per comunicazioni sotterranee con la Dora Baltea e con il Po.

Ma di questi collegamenti non n’è mai stata trovata traccia.

 

Guardando ora il Lago con uno spirito meno critico e logico, ma più fantasioso e poetico, potrete forse ascoltare, un giorno, rispettosi, il suo sussurro silente e sentire il suo potere gentile.

Così, a cuore aperto, potrete rivivere i ricordi della passione nella struggente voce della Dama e poi trovare la calma che  cercate nei quieti rintocchi della campana di San Martino .   

 

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Geografia e ambiente

Introduzione.

La tutela del lago e del suo ambiente permette di poter continuare a fruire del paesaggio e delle attrattive, significa non solo il mantenimento dei monumenti e dei resti storici ma anche la salvaguardia dell’oasi naturalistica.

 

 

Morfometria.

Il lago di Viverone o di Azeglio  è situato al confine tra le province piemontesi di Torino , Biella  e Vercelli ; dal punto di vista amministrativo la superficie del lago è suddivisa fra tre comuni: Azeglio, Piverone e Viverone.

E’ il più vasto bacino lacustre presente entro il grande anfiteatro morenico d’Ivrea , ampio territorio che nelle ultime glaciazioni quaternarie costituiva il tratto terminale del ghiacciaio Balteo , che qui si esauriva con il progressivo scioglimento (V. Geologia).

E’ un vero e proprio gioiello naturale, posto ad un’altitudine di 230 m, presenta una forma irregolarmente ellittica con una lunghezza massima di 3,5 km secondo l'asse N-S ed una larghezza massima di 2,5 Km secondo l’asse E-W; il suo perimetro è poco più di 10 km.

L’attuale superficie dello specchio lacustre risulta di circa 5,75 kmq e in passato si estendeva anche all’insenatura costituita dalla regione Loggie  e alla zona paludosa del Maresco .

La profondità massima è di 80 m in una zona molto limitata, in genere però non supera i 50 m e in media è di 20; il volume d’acqua è stimato in circa 130 milioni di metri cubi.

              

·         Area del lago: 5.75 kmq

·         Area del bacino imbrifero: 25.7 kmq

·         Altitudine del livello medio: 230 m s.l.m.

·         Altitudine massima del bacino: 501 m s.l.m.

·         Profondità massima del lago: 54 m (80 m)

·         Profondità media: 22.9 m

·         Lunghezza massima: 3.470 m

·         Larghezza massima: 2550 m

·         Lunghezza della costa: 10.4 km

·         Volume d'acqua: 131.500.000 mc

·         Indice di sinuosità del lago: 1.24

·         Rapporto area bacino imbrifero / area del lago: 4.61

·         Tempo teorico di ricambio: 7.5 anni

 

Geologia.

Il bacino imbrifero del lago è situato all’interno dell’anfiteatro morenico d’Ivrea  di cui occupa il margine Nord-Est.

L’anfiteatro, per dimensioni secondo in Italia solo a quello del Garda, è una costruzione geologica imponentissima con uno sviluppo complessivo delle morene laterali e frontale di oltre 140 Km ed una superficie racchiusa di circa 150 Kmq.

La sua origine è geologicamente recente, risale a non più di 1,5 milioni di anni fa ed è dovuta all’azione costruttiva dell’imponentissimo ghiacciaio Balteo  che, nel corso del Pleistocene (1,6 milioni-10.000 anni fa), ha attuato almeno tre espansioni glaciali, occupando a più riprese il bacino montano del fiume Dora Baltea  e il suo sbocco nella pianura: i depositi glaciali e fluviali formarono l’anfiteatro e i segni delle tre glaciazioni sono riconoscibili nei tre gruppi principali di cerchie del corpo morenico (S. Michele Borgo , Serra  d’Ivrea , Bollengo -Strambino ).

In particolare, la Serra  d’Ivrea , ai cui piedi della parte terminale si trova il lago, è un’imponente e regolare morena, larga da 1500 a 6000 m e lunga oltre 25 km, costituita da una dorsale e da una serie di lunghe creste parallele, che formano una lunga cresta digradante dalle pendici della Colma di Mombarone  fino a Cavaglià .

Difatti, il lago di Viverone, come quelli di Bertignano, Maglione  e Candia , è la conseguenza dell’escavazione effettuata dalla parte più avanzata della lingua glaciale; in particolare per la formazione del lago di Viverone rilievo ebbe il ritiro del ghiacciaio dopo la fase Rissiana (250.000-150.000 anni fa), mentre l'acqua accumulata proviene dallo scioglimento dei ghiacci nella fase Postglaciale, succeduta al Pleistocene.

 

Idrografia.

Appartenente al bacino idrografico della Dora Baltea , il lago di Viverone non dispone di immissari esterni che lo alimentano con continuità, ma l’acqua arriva da sorgive che sgorgano dal fondo lacustre; dispone di un unico emissario sulla sponda Ovest che convoglia le acque eccedenti al fiume Dora Baltea.

Partendo dal lato settentrionale del lago s’incontra la roggia di Piverone  che si immette nel lago ad Est della cappella di Anzasco .

Proseguendo lungo la sponda orientale si trovano corsi d’acqua a carattere torrentizio con portate modeste, estremamente variabili e caratterizzati da alvei brevi e poco profondi: la roggia di Toeile, di Viverone, di Moglia e di Roppolo .

Sul lato Ovest si trova la roggia Violana , che si immette nel Marviglio  di Ivrea , il cui ramo, chiamato roggia Fola , costituisce l’unico emissario del lago: viene alimentato dal lago solo e durante i periodi in cui, a seguito delle precipitazioni, il livello del lago aumenta e, probabilmente, il nome stesso fa riferimento al comportamento discontinuo, che conferisce alla roggia carattere di emissario solo in certi periodi dell'anno; alla confluenza si è sviluppata un’area paludosa e di torbiera detta zona del Maresco , in parte bonificata.

In prossimità del lago la roggia Violana  ha subito un’operazione di scavo allo scopo di drenare i terreni circostanti e permettere così la coltivazione del mais.

Da 70000 ad un massimo di 80000 metri cubi d’acqua sono prelevati annualmente dal lago per irrigare colture nei territori di Cossano , Borgo d’Ale, Maglione  e Caravino .

Una complessa rete di collettori che circonda il lago a Nord, Est e Sud è stata creata contro l’inquinamento delle acque (V. Evoluzione).

 

Evoluzione.

L’ecosistema lago è tra i vari ecosistemi uno dei più eterogenei e complessi nel suo insieme e, come ogni ambiente naturale, è soggetto ad una continua evoluzione.

Nell’arco di secoli o millenni esso si trasforma passando attraverso vari stadi, fino a diventare stagno, poi palude e infine prato umido o torbiera; il graduale interramento, nell'ipotesi che non ci siano variazioni di nutrienti all'interno del lago, è un fenomeno naturale che viene però accelerato, in modo significativo, dall’attività umane.

Il lago di Viverone si trova allo stadio cosiddetto eutrofico (o adulto): l’acqua non è più limpida, la profondità diminuisce e la vegetazione della zona litorale tende ad avanzare verso il centro; i pesci aumentano in quantità, ma le specie più esigenti diminuiscono o scompaiono; l’ossigeno presente negli strati più profondi continua a diminuire; aumenta la produttività per l’incessante apporto di sostanze nutrienti e di conseguenza aumenta la quantità di sostanza organica e detriti che si deposita sul fondo.

Per salvaguardare il lago, è stata costruita, tra il 1978 e il 1986, una rete di collettori intercettatori delle acque reflue e di scarico, che sono convogliate nel bacino della Dora Baltea  attraverso un impianto di depurazione; esso coinvolge la zona di Azeglio , Piverone , Anzasco , Viverone, Roppolo  e il lato meridionale del lago.
Inoltre è stato definito un regolamento che disciplina la navigazione nelle acque del lago, in particolare vieta la navigazione nella zona mantenuta a canneto e in quella archeologica (lato Nord).

Per il futuro l’applicazione di un modello matematico ha fornito un notevole contributo per valutare vantaggi e svantaggi delle diverse tipologie di intervento. Per diminuire la quantità di nutrienti e aumentare la concentrazione di ossigeno nelle acque profonde, le soluzioni più efficaci sono risultate essere: il pompaggio di acqua e l’ossigenazione forzata nell’ipolimnio, cioè negli strati più profondi del lago; la destratificazione, cioè il mescolamento verticale indotto degli strati d’acqua profonda e superficiale; la rimozione del sedimento compreso tra 40 e 50 metri di profondità.

Inoltre si cerca di diffondere l’uso di tecniche e prodotti ecocompatibili nell’agricoltura.

 

Fauna e Flora.

Il lago di Viverone era già famoso nel secolo scorso per l’abbondanza della fauna che ne popolava le acque. Dopo la costituzione, su tutta la superficie a partire dal 1970, di un’oasi di protezione faunistica, il lago è tornato via via ad arricchirsi in specie acquatiche interessanti sia per la diversità delle stesse che per l’entità delle popolazioni presenti.

Due sono gli elementi fondamentali che concorrono a determinare questo valore: la conservazione di ambienti umidi annessi al lago (torbiera, canali ed aree paludose), molto importanti per i peculiari tipi di vegetazione, e la presenza di una ricca avifauna sia stanziale sia migratoria che rappresenta un complesso di estremo interesse ornitologico, in cui ogni anno migliaia di uccelli acquatici o legati all’acqua, sostano sulle sue acque e nidificano sulle sue sponde.

Infatti il lago di Viverone è uno dei pochi bacini piemontesi che non gelano durante l'inverno, e per questo numerosi rari o comuni uccelli acquatici vi permangono tutto l’anno o, provenienti dal Nord Europa, vi si fermano per lo svernamento o vi sostano durante le migrazioni: tra essi il germano reale, lo svasso maggiore, la folaga , il mestolone, la moretta, l’alzavola, il cormorano ed il gabbiano comune.

L’importanza di questo ambiente lacustre non è limitata al periodo dello svernamento o dei passi migratori, perché le zone lacustri confinanti costituiscono anche luogo di nidificazione di specie di uccelli ormai molto rare nella regione come il tarabuso; oppure di specie rapaci come il nibbio bruno.

L’esame di studi passati mette in evidenza una sensibile riduzione dell’avifauna che utilizza il lago, tra le cause la crescente eutrofizzazione e la riduzione della fascia vegetale litoranea e del canneto.

 

Nell’ambiente lacustre, tra le sponde e i 5-6 metri di profondità, troviamo diversi tipi di erbe, anche di grosse dimensioni, dette macrofite acquatiche, come il millefoglio d’acqua, il ceratofillo, le brasche, le ranocchine.

Le ninfee, radicate sui fondali ma con foglie galleggianti emerse, bordano le sponde del lago dove l’acqua non è molto profonda: la ninfea bianca e quella gialla si trovano in zone circoscritte, mentre lungo le sponde è molto comune la castagna d’acqua; nella zona di Anzasco  si segnala infine la presenza del fior di loto, specie esotica coltivata, che trovando condizioni favorevoli al suo sviluppo si è naturalizzata.

La fauna ittica è costituita principalmente dalla scardola e dalla tinca e in parte dal pesce gatto e dal coregone azzurro; la presenza minima di quest’ultimo pesce più esigente è indice di condizione di eutrofizzazione.

 

L’ambiente palustre annesso al lago fa da transizione tra la superficie completamente aperta del lago e l’entroterra boschivo: si individua nelle sponde basse del settore Nord-Ovest e nella torbiera, dove l’oscillazione del livello dell’acqua può essere molto marcata durante il corso dell’anno; in particolare, si trovano zone di bosco alternate a canneti, dovute a passate variazioni del livello dell’acqua, importanti per valutare la storia del clima: costituiscono un esempio di bosco paludoso di pianura, che rivestiva un tempo gran parte della Pianura Padana, oggi purtroppo ridotto a rarissime aree.

Le piante che vivono nell’ambiente palustre sono la canna di palude che forma dense cinture al margine del lago e nelle acque leggermente più profonde la mazza sorda: si sviluppano molto rapidamente costituendo fitti intrecci con i loro rizomi (fusti sotterranei), che contribuiscono al progressivo interramento del lago. Ad esse si associano altre piante come i carici, l’iris giallo, l’erba scopina e, tra gli arbusti, il salice cinereo.

Il canneto costituisce l’habitat dove vivono varie specie di uccelli oltre a rettili e anfibi.

 

L’ambiente boschivo, che si sviluppa fino alle cime delle colline, è formato da piante d’alto fusto autoctone o naturalizzate, come il frassino, la farnia, il pioppo bianco e nero, il salice bianco e piangente, l’ontano nero, il sambuco, il nocciolo , il platano comune, l’olmo; ospita diverse specie di uccelli, come il picchio rosso, il nibbio bruno, l’allocco, la cinciallegra, la cinciarella, e piccoli e grandi mammiferi, tra cui il riccio, la volpe rossa comune, il tasso comune, il capriolo.