CRITICA A KENZO TANGE

CENTRO DELLA PACE ------------------------------MUNICIPIO DI SHIMIZU

SALA SHIZUOKA -----------------------------------MUNICIPIO DI KAGAWA

SALA EHIME---------------------------------------CENTRO ARTISTICO SOGETSU

SALA SUMI------------------------------------------------------PALAZZO DENTSU

PALAZZO DELLO SPORT--------------------CENTRO COMUNICAZIONI SOCIALI

 

Abbiamo già valutato le prime opere di portata internazionale di Kenzo Tange come ricerche valide soprattutto per la decisa rottura con la tradizione codificata e con il manierismo razionalista dell’architettura giapponese del primo dopoguerra. Indubbiamente la figura di Tange assume, nel panorama generale della cultura architettonica nipponica, un valore stimolante del tutto unico.

Si possono muovere molte critiche alla sua metodologia operativa in continuo fermento, talora troppo preoccupata di approdare a nuovi risultati espressivi tanto da trascurare il necessario approfondimento critico, si possono denunciare i limiti della sua ansia espressiva che lo obbliga ad una continua tensione, pena lo scadere in una scialba maniera di se stesso, si può lamentare il formalismo che pervade la sua ricerca; ma tutte queste critiche non intaccano l’eccezionale portata del suo insegnamento che si espone a tutti i rischi di ogni operazione di rottura.

“La realtà dell’odierno Giappone – osserva Kenzo Tange – in quanto parte di una più ampia realtà internazionale storicamente condizionata , ha assunto una sua forma individuata dalle tradizioni giapponesi. Vivendo in questa realtà, difficile ad essere inglobata in nuove prospettive di metodo, dobbiamo considerare insistentemente quelle tradizioni. D’altronde, se i problemi del presente non fossero così pressanti, noi potremmo accettare la tradizione tranquillamente senza troppe riflessioni, come un costume ereditario o qualcosa al di fuori della storia. Solo se si adotta un atteggiamento rivolto verso il futuro si realizzano le condizioni per le quali la tradizione esiste ed è viva. Perciò solo questo atteggiamento può porre termini di confronto e di superamento nei riguardi della tradizione”.

“Tali strumenti, né elaborando grandiosi schemi per il futuro, né operando passivamente, si compromettono con il passato, ma rendono consapevoli che il compito più vitale del presente è di integrare fattivamente insieme passato e futuro”.

Durante la realizzazione del Centro della Pace e del Municipio di Tokyo, Kenzo Tange aveva portato a termine altre opere di grande interesse anche se non altrettanto innovatrici. Nel 1954 aveva terminato la costruzione del Municipio di Shimizu nel quale aveva elaborato l’originale modello di edificio amministrativo che troverà la sua massima espressione nella Prefettura di Kagawa nell’isola di Shikoku. A Shimizu, infatti, troviamo già la suddivisione dell’organismo in due corpi distinti, uno più basso per gli uffici a diretto contatto con il pubblico, ed uno sviluppato in altezza con accesso riservato ai soli impiegati.

E’ evidente nel Municipio di Shimizu la fedeltà all’international style, ancora leggibile in altre opere di minore portata come la tipografia di Numazu o la biblioteca del collegio di Tsuda nei pressi di Tokyo, nelle quali tuttavia Tange trova modo di sottolineare volta per volta le possibilità espressive della struttura e della ripetizione degli elementi modulari e dell’organismo nella sua elementarietà, accentuando sempre membrature capaci di ricondurre ad una sintesi le varie parti dell’organismo architettonico.

Così, nella biblioteca per bambini, inserita in un secondo tempo nel complesso del centro della Pace ad Hiroshima, il fungo strutturale centrale intorno al quale si sviluppa l’involucro spaziale perde qualsiasi caratteristica velleitaria o esibizionistica, assumendo invece un particolare valore poetico per la nitidezza e l’immediatezza con cui è offerto.

Ma con il Municipio di Kagawa, finito nel 1955, Tange approfondisce la sua ricerca sull’integrazione di linguaggio moderno e repertorio tradizionale che abbiamo già riconosciuto negli uffici municipali di Tokyo.

“Nel progettare l’edificio della Prefettura di Kagawa – scrive Tange – noi di proposito abbiamo deciso di separare i suoi servizi dalle altre funzioni e di piazzarle in un luogo dove tutti gli impiegati agli uffici possono usarli con facilità. Così abbiamo disposto tutti i servizi al quarto piano dell’edificio alto (questo piano si apre al livello del blocco più basso, per permettere l’uso del tetto), ricreando l’unità dell’organismo in una sorta di piano di ricreazione”.

L’edificio composto di due volumi geometricamente semplici, contrapposti per forma e dimensione – quadrato ed alto il corpo degli uffici, rettangolare e basso quello contenente la sala delle assemblee – viene frantumato nella sua stereometria dall’intervento delle logge che creano, specie nel corpo alto, una continua vibrazione luminosa contrappuntata dagli elementi strutturali cementizi, usati come memorie della tradizionale struttura lignea.

Alla prepotente definizione volumetrica si oppone, dunque, un’espressività che sembra rievocare la fragilità delle strutture dell’antica architettura giapponese, e l’accostamento delle due diverse dimensioni storiche acquista una valore particolare, giacché quella rievocazione, palesemente sottolineata, non si sovrappone all’organismo ma ne è parte determinante. Nel contrappunto creato dalla definizione volumetrica e dalla vibrazione continua delle membrature cementizie, si legge tuttavia un contrasto non risolto. In effetti la memoria della struttura lignea riprodotta nelle strutture cementizie soffre di un certo grado di meccanicità che toglie forza all’immagine architettonica. Lo stesso Tange troverà poi la strada atta a superare la contraddizione: si veda ad esempio il Municipio di Kurashiki.

“La tradizione architettonica giapponese, - ha scritto Zevi – è fondata su tecniche e materiali antitetici al cemento armato. La struttura ad ossatura può essere facilmente trasferita dal legno all’acciaio e, nel passaggio, la configurazione artistica di linee e pannelli trasparenti non subisce radicali alterazioni. Ma la virtualità espressiva intrinseca al cemento armato è d’ordine plastico, curvilineo, fluente. Usare il cemento armato in pilastri e travi come se fosse acciaio, significa rinunciare a trarre da questo materiale “colato” il suo originale messaggio”.

Giudizio, questo, troppo settoriale, dato che non tiene conto del significato che a quella traduzione cementizia delle membrature lignee viene attribuito negli edifici del Centro della Pace o nel Municipio di Kagawa; a distanza di pochi anni, anche le ingenuità ancora presenti in quelle opere appaiono tappe di un processo di maturazione compiuto con stupefacente rapidità. Le durezze del Municipio di Kagawa sono se mai proprie ad un opera didascalicamente concepita, mai per noi assai importante come tappa del processo di sviluppo verso le più recenti esperienze di Tange e dell’architettura moderna giapponese.

Nelle opere sinora esaminate, l’elemento strutturale viene usato in funzione subordinata rispetto all’organismo; in altre è la struttura stessa che diviene protagonista espressiva, elemento determinante di un discorso che parte da una esaltazione delle funzioni statiche, per raggiungere più alti e complessi gradi di espressività.

Nella sala di riunione di Shizuoka estremamente indicativa a tale proposito, l’integrazione fra componente strutturale e organismo dà origine ad un’intensa drammaticità, dove scompare ogni residuo tecnicistico, assorbito e superato nell’unitarietà dell’ideazione.

Ugualmente nella sala di riunione Ehime a Matsuyama, lo spazio interno, dominato dall’ampia superficie voltata, assume un respiro di notevole valore espressivo, anche se l’esterno dell’edificio possiede una aggressività assai minore del consueto, grazie ad un troppo accentuato controllo degli elementi strutturali.

Nel centro artistico di Sogetsu a Tokyo Tange adotta un più pacato linguaggio, memore in alcune parti, del lecorbuseriano museo di Amhedabad: nel volume bloccato, nettamente individuato dalle vigorose fasce orizzontali cementizie, le bucature si inseriscono nel fronte principale come tagli o feritoie che danno vigore alla corposità della volumetria, mentre il lato posteriore si apre con fasce di finestre a nastro contrappuntate dal violento chiaroscuro generato dall’accentuata loggia del primo piano. Anche in quest’opera, può essere valutata positivamente la stretta integrazione di spazio, struttura e particolari, dove appunto l’intelaiatura strutturale, basata sui quattro massicci pilastri e le doppie travi denunciate all’esterno con decisione, preannuncia gli eccezionali risultati del Municipio di Kurashiki.

Ancora in tono minore è il complesso Sumi a Bisai, composto di uffici amministrativi dell’industria e di una sala pubblica, dove alle usuali partiture del corpo degli uffici si contrappongono le nude e suggestive superfici del memorial, dalle evidenti allusioni storicistiche.

Nel palazzo per uffici, costruito ad Osaka per la ditta di pubblicità Dentsu, Tange appare invece più rigoroso nell’asciutto trattamento del grigliato cementizio del brise-soleil che forma il tessuto della facciata, dove una serie di motivi accidentali – i due piani pieni, riservati agli studi della radio e della televisione, lo squarcio della hall di ingresso, le sovrastrutture con i macchinari e gli impianti – rompono la staticità monumentale del blocco, dominato peraltro da elementi simmetrici fortemente chiaroscurati. Una monumentalità in senso moderno – anche qui vediamo accolta la lezione lecorbuseriana – che egli non risolve però completamente nel palazzo Dentsu per una certa indecisione presente nella reticente accettazione dell’organismo come unità che costituirà invece la principale qualità delle opere migliori dell’ultimo Tange.

Con il complesso di Imabari nell’isola di Shikku, Tange inizia una nuova fase della sua attività. Progetato nel ’57 e terminato nel ’59 il complesso, composto di un blocco per uffici e di un auditorio pubblico, dimostra un uso assai più articolato e libero della sintassi già sperimentata nelle opere precedenti, ma contemporaneamente una spregiudicatezza di linguaggio che prelude alla stupefacente sintesi espressiva del Municipio di Kurashiki.

Di particolare interesse è la definizione di un’autonomia della spazialità esterna nelle facciate dell’auditorio, dove il sovrapporsi delle forme contenute nell’invaso aperto delimitato dai setti cementizi esprime una ricerca in gran parte svincolata dai modelli di riferimento lecorbuseriani.

 Nel 1960 Kenzo Tange termina il Municipio di Kurashiki, primo elemento di una più vasta sistemazione del centro amministrativo della città, inserito nel piano generale degli architetti Kishida e Takayama, che prevede la ristrutturazione di una grande zona della periferia e la conservazione del tessuto storico esistente.

L’inserimento del nuovo intervento nell’antico tessuto è risolto con strumenti espressivi di violenta brutalità, sia nella composizione dell’intero centro amministrativo, che nel trattamento dei singoli organismi, come per sottolineare l’assoluta incompatibilità di una moderna e democratica vita associata con le antiche strutture politiche sociali, di cui la minuta e fitta struttura urbana circostante, composta di piccole case unifamiliari tradizionali, costituisce una evidente testimonianza.

Così il primo violento contrasto provocato da Tange è di natura di natura dimensionale : una volta terminato il complesso, il panorama urbano creato dai due grandi volumi unitari del Municipio e dell’Auditorium, campeggianti in un grande spazio senza rapporto alcuno con la città circostante, risulterà alterato da una tensione drammatica, da un imperativo invito perché tutti considerino criticamente la propria condizione di cittadini e di giapponesi, e perché scelgano fra una moderna forma di vita e le strutture tradizionali.

La violenza espressiva è quindi conseguenza di una intenzione polemica condotta sul piano formale con una coerenza che difficilmente si trova in esperienze europee o americane, eccettuato sempre il “caso” Le Corbusier; qui intensità figurativa e partecipazione ideologica vengono talmente a coincidere da poter definire “epica” quest’architettura tesa a strappare decisioni piuttosto che consentire sentimenti. Scelta quindi la strada della violenza, Tange l’accentua fino all’estremo. Ogni suo interesse è dominato dalla tesi che egli vuol dimostrare; l’essenzialità in tal caso diviene indispensabile e Tange modella i suoi edifici come due grandi volumi nettamente individuati per la loro ostentata geometricità elementare (parallelepipeda quella del Municipio, parallelepipeda tronca quella dell’Auditorium) relaziolandoli in un rapporto mediato dalla grande piazza che li unisce e che contribuisce a dar loro il valore di due grossi objets trouvés .

L’essenzialità è così anche il principio informatore dell’organismo del Municipio: basato su di una semplice struttura concentrata in pochi punti per mezzo di grandi pilastri e modulato su di una magli omogenea di m. 1.80 di lato, esso si presenta come un blocco estremamente unitario, preciso e sintetico nella sua definizione volumetrica, nella vigorosa impostazione strutturale e nella schematica semplicità dell’impianto funzionale. Lo stesso organismo riecheggia motivi classici per la simmetricità assoluta raccolta intorno alla hall centrale a doppia altezza, che continua superiormente nella sala di riunioni e con l’Auditorium en plein air, denunciato dalla secca forma geometrica che si stacca dal tetto dell’edificio.

Ma ecco che la stessa compattezza volumerica viene violentata, come in un tentativo di frantumazione e di sminuzzamento decorativo, dal trattamento delle superfici e dall’impaginatura delle facciate che presentano una fitta ma profonda chiaroscuralità, con le feritoie aperte senza ordine apparente fra le maglie del rivestimento cementizio omogeneo e continuo su tutto l’edificio. Così le feritoie assumono un valore di smagliature nel minuto disegno delle listature di cemento, con un effetto che ricostruisce l’unità formale della parete. Si tratta di un’unita luministica basata sull’alterno vibrare della luce in una superficie dove pieni e vuoti si integrano vicendevolmente, dando luogo ad un complesso gioco figurativo che arricchisce e valorizza la poderosa volumetria del Municipio.

Nella dialettica fra tale raffinato tessuto e la corposa struttura del basamento (ripresa del trave finale che fa da parapetto alla terrazza superiore, su cui sono denunciate le travature portanti), si esprime una drammatica tensione, risolta solo nell’eccezionale unitarietà dell’organismo.

Il Municipio di Kurashiki si colloca fra le opere migliori di Tange e dell’architettura giapponese di quegli anni; è una tappa significativa di un discorso continuo che si svolge nell’approfondimento di una rigorosa tematica figurativa, volta alla ricerca di una eloquente espressività: anche qui va notato come alla violenta, decisa, brutale proposta di un nuovo ordine cittadino si integri una memoria, un richiamo ai valori della tradizione, come invito ad una sua reinterpretazione nell’ambito di una nuova visione del mondo e di mutati rapporti sociali. E’ per questo che l’elegante e complesso gioco delle facciate, col suo ricordo di tessuti lignei, non appare retorico o in dissonanza con la forza e l’ampiezza dell’organismo architettonico e della composizione urbanistica d’insieme.

“La tradizione giapponese – aveva scritto Tange – non può continuare a vivere con le sue sole forze, né può essere considerata in sé una fonte d’energia creativa. Affinché lo spirito della sua evoluzione divenga dinamico, io credo che dobbiamo anzitutto rigettare, distruggere la tradizione ...Noi cerchiamo una nuova libertà espressiva, simbolo di una società libera da regimi teocratici...Alla ricerca di una struttura logica sostituiamo quella di un equilibri plastico”.

Il recupero della storia attraverso una decisa rottura: questo che è uno dei più autentici obiettivi di Tange è perfettamente realizzato nel Municipio di Kurashiki, dove sono bruciati i residui allegorici ancora latenti nella Prefettura di Kagawa o nel palazzo Dentsu.

Ugualmente aggressivo è il progetto presentato da Tange al concorso internazionale per la nuova sede della Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra, di cui egli è stato, senza dubbio, il vincitore morale (al concorso, svolto per inviti, il primo premio fu vinto dalla svizzero Jean Tschumi): un’idea la cui figuratività enfatizzata e la cui accentuata caratterizzazione non debbono essere state fra le ultime ragioni dell’insuccesso dell’architetto giapponese, giudicato da una giuria dalle palesi preferenze razionaliste.

Anche nel progetto per Ginevra esiste una carica simbolica che informa di sé l’intero organismo. La struttura, ancora una volta, viene esagitata e piegata ad assumere un ruolo figurativo determinante : una serie di poderosi setti cementizi ricurvi forma l’ossatura dell’edificio che si presenta con una sezione trasversale triangolare di rara energia.

Meno coerente appare Tange in un altro dei suoi successivi lavori: il Golf Club Totsuko nei pressi di Tokyo. Quest’opera ci interessa in modo particolare dato che per suo tramite è facile analizzare i limiti ed i pericoli di involuzione presenti nella posizione assunta dal gruppo rinnovatore.

L’edificio del Golf Club mostra chiaramente la corda del manierismo brutalista : e non per un intrinseco esaurimento di quella poetica o della metodologia che ne è alla base, ma per l’attenuata intensità espressiva con cui è condotta l’esperienza. Questo può sembrare un giudizio di tipo formalistico, ma a ben vedere risulta pertinente al caso in esame. Infatti l’esasperazione espressive di Tange risulta valida solo quando le sue enfatizzazioni e le sue esagitazioni strutturali partono da una flagrante polemica sociale e si mantengono in ogni momento ad un elevato grado di qualificazione, dentro quella polemica. Nel Golf Club l’architetto giapponese sperimenta la possibilità di applicazione della sua poetica ad un tema socialmente non impegnativo, esaminando le modificazioni da apportare all’elaborazione sintattica, nel passaggio da opere eccezionali – er la loro funzione nel tessuto cittadino o per le loro intrinseche caratteristiche funzionali – ai tipici temi di una current architecture.

Il Golf Club di Tokyo resta a dimostrare le grandi difficoltà di tale passaggio: conservando, infatti, la sua solita organizzazione degli elementi di linguaggio, Tange ne sperimenta un’applicazione basata su una più piana strutturazione figurativa, come ad indicare le possibilità di una metodologia estensibile e non impoverita nelle sue originarie qualità espressive. Ne deriva un formalismo completamente scarico di quella forza polemica cui alcuni elementi presi in sé sembrano stancamente alludere : l’ampia copertura ricurva che domina l’edificio e l’esasperazione strutturale dei sei grandi sostegni plasticamente modellati suonano stranamente poco pertinenti con l’organismo e con la definizione degli ulteriori elementi formali, ad onta della funzione predominante del binomio struttura portante-copertura.

Appunto nello svuotamento della carica simbolica di quelle immagini si evidenzia il fallimento del tentativo di Tange, che non è giusto imputare ad un ipotetico inizio di inserimento dell’architetto in un sistema, ma denuncia tutti i pericoli di un allentamento della carica espressiva ; con ciò abbiamo già rivolto un’implicita critica alla metodologia tangiana, dato che un metodo di operazione basato in gran parte sull’intensità emotiva non può costituire una proposta estensibile. Qui appaiono anche i limiti della nuova scuola giapponese che trova, come si è già notato, un proprio motivo di validità appunto nel manierismo: un manierismo tanto più valido quanto più si fa livello comune, pur ammettendo nel suo seno punte eccezionali, ma col pericolo costante della saturazione delle immagini.

Un discorso simile può essere ripetuto per l’Albergo di Atami nelle vicinanze di Tokyo, terminato da Tange nel 1962, che mostra un freddo stemperamento della poetica tangiana in un’opera superficiale ed occasionale.

Ma nelle sue proposte urbanistiche Tange riesce a forzare, se non a superare, i limiti della sua metodologia, come avremo modo di osservare in seguito.

Si può notare, anzi, che proprio da tali esperienze Tange sta derivando un rinnovarsi della sua metodologia di progettazione, come dimostrano i suoi ultimissimi progetti: più il nuovo edificio per la società Dentsu, in cui vediamo messo in opera in piccola scala la proposta di sistema midollare elaborata nel piano per Tokyo, o il grande stadio coperto per le Olimpiadi del ’64, che la biblioteca dell’Università Rikkyo, finita nel ’61, per la quale vediamo Tange impegnato nel problema dell’esaltazione di alcuni valori figurativi propri all’antico campus in cui il suo edificio si inserisce.

Negli impianti sportivi costruiti a Tokyo in occasione delle Olimpiadi del 1964 si nota, particolarmente nel Palazzetto dello Sport, che la soluzione delle strutture porta ad una volumetria carica di tensione che ripropone le caratteristiche dominanti dell'architettura tradizionale e del paesaggio giapponese in una interpretazione risolta e aggiornata con i materiali e le tecnologie attuali.

L'ennesima opera di Tange – il centro culturale Nichinan – è senza dubbio la più violenta delle sue architetture : qui il cemento armato in vista viene lacerato e trattato come una superficie tormentata dove le casuali e esagitate bucature contrastano con alcune slabbrate escrescenze che rendono il gioco dei volumi vicino ad una espressività informale, ripresa anche all’interno dell’Auditorium, dove il sipario dipinto da Toko Shimada secondo la tecnica dell’action painting si inserisce perfettamente nell’enfatizzata spazialità tangiana.

Il Centro di Comunicazioni Sociali a Kofu completato nel 1967 e comprendente una stazione radio, la sede di un giornale, uffici e un'area commerciale presenta una novità. Il centro è costituito da una struttura tridimensionale di sostegno all'interno del quale si possono inserire dei contenitori con funzioni diverse. I sostegni verticali sono formati da sedici cilindri cavi, di cinque metri di diametro, all'interno dei quali sono disposti ascensori, scale, tubazioni, cavi degli impianti tecnologici. Gli interassi sono variabili fino ad un massimo di 17 metri. L'assenza di sostegni intermedi permette l'inserimento di contenitori di dimensioni variabili di forma parallelepipeda attrezzati per assolvere a funzioni diverse.