19/10/01 -
Roma - Il parto della montagna pubblicitaria rischia di dare alla luce,
ancora una volta un topolino. Navighiamo in questi giorni in un web che va
lentamente trasformandosi in una creatura fuori dal nostro controllo. Ad
un click è ormai difficile prevedere cosa seguirà. Qualche esempio?
Oggi navigando sul web a ciascuno di noi e in qualsiasi momento si
potrebbe aprire una finestra di pop-up enorme che propone informazioni
diversissime da quelle che stiamo cercando, oppure una piccolissima ma che
si sposta sullo schermo per impedirci di chiuderla; oppure un pop-under
della cui esistenza ci accorgeremo solo quando chiuderemo il collegamento.
In altri casi si passa inavvertitamente col mouse sopra un normale
banner grafico di normali dimensioni che, forse per l'euforia di
un nostro possibile click, si allargherà fino a coprire tutta la pagina,
oppure dovremo attendere che al caricamento del link richiesto si
frapponga un bello spot in flash o una qualsiasi fra le "new-new
things" che i pubblicitari di Internet stanno sfornando per
rendere finalmente l'advertising online efficace e utile agli investimenti
delle aziende.
Gli esperimenti di marketing online "in onda" in questi giorni
un po' ovunque sono, da un certo punto di vista, allucinanti (ma questo,
mi rendo conto, è il parere di uno fuori dal business, poco interessato
alle percentuali di click through e non costretto a preoccuparsi troppo,
per esempio, delle esigenze economiche dell'editore di questo foglio) e
dall'altro probabilmente inutili. Lascio ai maghi dei numeri l'analisi
della efficacia di questi nuovi strumenti di orientamento del consumo ma
non mi meraviglierei se, non diversamente da quanto sento dire da almeno
un triennio, qualcuno verrà domani, dati alla mano, a spiegarmi che solo
la larga banda - quando arriverà per tutti - potrà consentire una
efficacie comunicazione pubblicitaria in rete.
Ma Internet non è la televisione e forse il problema - se ne esiste uno -
è qualche anno luce più a monte.
A tale proposito mi è rimasta impressa una frase che ho letto qualche
settimana fa su una mailing list di marketing italiana della quale sono
fedele e silenzioso abbonato. Chi interveniva, lamentando la crisi degli
investimenti pubblicitari in rete e la difficoltà di ricevere una equa
remunerazione per quanto si è portato online, scriveva più o meno:
"E perché non organizziamo un bello sciopero dei fornitori di
contenuti? Perché non spegniamo Internet per un po' così che la
gente capisca cosa si sta perdendo e perché è giusto che i contenuti
siano in qualche modo pagati?". In realtà i toni della mail erano un
po' più coloriti ma il concetto era questo: rendiamo Internet una noia.
Per conto mio c'è da sobbalzare sulla sedia ad ascoltare punti di vista
simili. Ma come? Da quando in qua i gestori dei portali generalisti, gli
editori e tutti quanti sono arrivati in rete in questi anni per fare
affari, sono "Internet" o ne possono regolare anche
minimamente i flussi? Non è forse stata proprio questa visione
business-centrica una delle cause degli sfracelli finanziari della new
economy degli ultimi mesi?
Io vengo da una rete nella quale i contenuti erano resi disponibili su
base volontaria e paritaria: prima del web e delle chimere dell'e-commerce,
prima del free internet e del flop delle dotcom e sono fra quanti si
guardano bene dal dire "si stava meglio prima". Ma se
c'è una cosa che fin da allora mi pare lampante è che le informazioni
che circolano online possono "anche" essere pagate ma nella
maggioranza dei casi si propagheranno liberamente. Tanto più liberamente
quanto più saranno importanti o degne di nota. Quanti danni ha causato in
questi anni il difetto di prospettiva di chi è arrivato in rete con la
propria beata ignoranza pensando che tutto, ma proprio tutto, anche la
comunicazione elementare potesse rientrare nello schema "io vendo e
tu compri"?
Io non so se la difficoltà di ricondurre Internet ad un mero sistema
economico sia stato un errore di valutazione sufficentemente compreso: ho
come la sensazione che non siano in troppi ad averlo capito perfino
adesso, almeno a giudicare da come continuano ad andare le cose. Come scriveva
giustamente Mafe De Baggis qualche mese fa su queste pagine, non si
sono sentite troppe voci di autocritica dopo i fallimenti degli ultimi
mesi: nessuno degli amministratori di quei portali che hanno chiuso o che
hanno oggi decine di miliardi di debiti ha mai ammesso candidamente: "Non
avevamo capito nulla".
Chi non ha capito nulla è notoriamente sempre qualcun altro: la colpa è
sempre della congiuntura del mercato, della crisi mondiale, della
irrazionalità delle borse e giù fino alla colpa principe,
quella degli utenti, i consumatori, che incredibilmente, hanno deciso
tutti di comune accordo di non considerare le straordinarie offerte messe
online prima gratis e poi con il cartellino del prezzo appiccicato
frettolosamente sopra. Gli stessi utenti che - peggio ancora - hanno
rubato, duplicato e diffuso senza autorizzazione tutto quanto trovavano in
giro.
Internet diventa così - nell'ottica piagnona di chi non ha capito - uno
strano posto dove sono i polli a spennare il contadino e non viceversa. E
questa - come la storiella del padrone che morde il cane - è già di per
sé una notizia. Solo che è una notizia ahimè falsa, e parziale, e
schierata, e anche leggermente scema.
Si è fatto tardi, e questo pezzo è già fin troppo lungo, e spiegare
perchè i navigatori di Internet che si scambiano mp3 non sono dei furbi
ladri e farabutti è una faccenda lunga che - se volete - rimandiamo ad
un'altra volta. Però, per chiudere, la introduco ugualmente con un
piccole esempio.
Io potrei imporre una tassazione alla lettura di questo pezzo (e non è
detto che un giorno o l'altro l'editore di PI, schiacciato dai debiti, non
lo faccia) ma se mai ci fosse qualche valida ragione perchè questo
articolo circoli, potete star certi che le parole che lo compongono
attraverseranno Internet nonostante me, l'editore De Andreis e i paletti
che si vorranno imporre alla sua distribuzione. Per molte persone è
spiacevole sentirlo dire e continuano a fare orecchie da mercate ogni
volta, ma si tratta di un limite intrinseco al mezzo digitale. Non può
essere in alcuna maniera superato e non dipende dalla poca o molta predisposizione
al crimine di chi lo utilizza.
Chi ha investito online senza tener conto di ciò è partito - per così
dire - con il piede sbagliato. È uscito di casa convinto di andare a
caccia e vi è tornato a sera, a capo chino e leggermente impallinato. O,
in subordine e se fa un altro mestiere diverso e non meno rischioso, è
entrato a far parte di quella schiera di esperti di advertising che
attendono il broadband per mandarmi sul PC luccicanti spot con Megan Gale
in pericoloso equilibrio sui suoi pattini sopra il tetto del Guggenheim
Museum di Bilbao.
Massimo Mantellini
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