GNU/Linux non è un sistema operativo «facile»; tuttavia, dovrebbe essere possibile trovare un amico o un conoscente in grado di dare una mano, e soprattutto di preparare un'installazione di questo sistema in modo da poter cominciare a fare un po' di pratica.
Questo capitolo raccoglie alcuni esercizi pratici che dovrebbero essere svolti da chi non ha esperienze con i sistemi operativi Unix e simili. Sono pensati per essere svolti su un elaboratore isolato, nel senso che non vengono trattate le funzionalità di rete.
Chi non ha quell'amico che può dare una mano, farebbe bene ugualmente a leggere questo capitolo anche se non può fare subito delle prove pratiche. Gli esempi sono mostrati in modo da essere abbastanza vicini all'interazione che avviene effettivamente tra l'utente e il sistema operativo.
Gli esercizi proposti assumono che il sistema GNU/Linux sia stato configurato nel modo seguente:
shell Bash ( | |
disponibilità di diverse utenze (account) in modo da poter verificare l'effetto di comandi che intervengono sull'identità dell'utente (è importante che chi svolge gli esercizi possa accedere anche come utente | |
gli utenti dispongano di gruppi personali, per cui, l'utente | |
maschera dei permessi (umask) 002 per gli utenti comuni; | |
| |
console virtuali; | |
si possano gestire filesystem Second-extended ( | |
la directory |
Per utilizzare il sistema occorre accedere attraverso un processo di identificazione. Per poter essere identificati e accettati occorre essere stati registrati in un'utenza, rappresentata in pratica da un nominativo-utente e da una password. È importante rammentare che l'uso di lettere maiuscole o minuscole non è equivalente. Nell'esempio proposto si suppone di accedere utilizzando il nominativo tizio
, scritto così, con tutte le lettere minuscole, e la password tazza
.
Si comincia dall'inserimento del nominativo, volontariamente errato.
login:
tizia
[Invio]
Anche se il nominativo indicato non esiste, viene richiesto ugualmente l'inserimento della password. Si tratta di una misura di sicurezza, per non dare informazioni sull'esistenza o meno di un determinato nominativo-utente.
Password:
tazza
[Invio]
Login incorrect |
Naturalmente, l'inserimento della parola tazza
, in qualità di password, avviene alla cieca, nel senso che non appare come sembrerebbe dall'esempio. Ciò serve a evitare che un vicino indiscreto possa in seguito utilizzare tale informazione per scopi spiacevoli.
Se si sbaglia qualcosa nella fase di login, si deve ricominciare. Questa volta si suppone di eseguire l'operazione in modo corretto.
login:
tizio
[Invio]
Password:
tazza
[Invio]
Last login: Sun Nov 11 10:45:11 on tty1 |
Generalmente, dopo avere superato correttamente il login si ottiene l'informazione sull'ultima volta che quell'utente ha fatto un accesso. Ciò permette di verificare in maniera molto semplice che nessuno abbia utilizzato il sistema accedendo con il proprio nominativo.
Successivamente si ottiene il prompt della shell che sta a indicare l'invito a inserire dei comandi.
$ |
Il prompt, rappresentato in questo esempio da un simbolo dollaro, può essere più o meno raffinato, con l'indicazione di informazioni ritenute importanti dall'utente. Infatti si tratta di qualcosa che ogni utente può configurare come vuole, ma questo va oltre lo scopo di queste esercitazioni.
Spesso, per tradizione, il prompt termina con un simbolo che cambia in funzione del livello di importanza dell'utente: se si tratta di root
si usa il simbolo #
, altrimenti il dollaro, come in questo esempio.
Quando la stessa persona dispone di più di un account può essere opportuno, o necessario, agire sotto una diversa identità rispetto a quella con cui si accede attualmente. Questa è la tipica situazione in cui si trova l'amministratore di un sistema: per le operazioni diverse dall'amministrazione vera e propria dovrebbe accedere in qualità di utente comune, mentre negli altri casi deve utilizzare i privilegi riservati all'utente root
.
Ci sono due modi fondamentali: concludere la sessione di lavoro e accedere con un altro nominativo-utente oppure utilizzare il comando su
in modo da cambiare temporaneamente i propri privilegi.
$
su caio
[Invio]
Password:
ciao
[Invio]
Se la password è corretta si ottengono i privilegi e l'identità dell'utente indicato, altrimenti tutto resta come prima.
Un sistema GNU/Linux, installato in modo normale, consente l'utilizzo di diverse console virtuali (di solito sono sei) a cui si accede con la combinazione [Alt+Fn] (dove n è un numero da 1 a 6).
Quando è già stato fatto il login si può iniziare un'altra sessione di lavoro in un'altra console.
[Alt+F2]
In questo modo si passa alla seconda console virtuale e su questa si può eseguire un login differente. Le attività svolte nelle varie console virtuali sono indipendenti, come se fossero svolte attraverso terminali fisicamente distinti.
Prima di proseguire con gli esercizi si deve ritornare alla console utilizzata in precedenza.
[Alt+F1]
Quando la stessa persona può accedere utilizzando diversi nominativi utente, potrebbe essere necessario controllare con quale identità sta operando. Negli esempi che seguono si suppone che si sia riusciti a eseguire il comando su caio
mostrato in precedenza.
$
whoami
[Invio]
caio |
Il comando whoami
(«chi sono») permette di conoscere con quale identità si sta operando.
$
logname
[Invio]
tizio |
Il comando logname
permette di conoscere con quale identità si è iniziato il login.
Per terminare una sessione di lavoro è sufficiente concludere l'attività della shell, ovvero di quel programma che mostra il prompt.
Se la situazione è quella degli esempi precedenti, si stava operando come utente caio
dopo un comando su
, mentre prima di questo si stava usando l'identità dell'utente tizio
.
$
whoami
[Invio]
caio |
$
exit
[Invio]
In tal caso, il comando exit
appena eseguito fa tornare semplicemente alla situazione precedente all'esecuzione di su
$
whoami
[Invio]
tizio |
Il comando exit
che chiude l'ultima shell, termina l'accesso al sistema.
$
exit
[Invio]
login: |
Si ripresenta la richiesta di eseguire un login.
Lo spegnimento dell'elaboratore può avvenire solo dopo che il sistema è stato fermato, generalmente attraverso il comando shutdown
che però è accessibile solo all'utente root
.
login:
root
[Invio]
Password:
ameba
[Invio]
#
shutdown
[Invio]-
h now
System is going down NOW!! ... |
Inizia la procedura di spegnimento che si occupa di eliminare gradualmente tutti i servizi attivi nel sistema. Infine viene visualizzato il messaggio seguente:
System halted |
Quando questo appare è possibile spegnere o riavviare l'elaboratore.
---------
Se si vuole utilizzare shutdown
attraverso il comando su
in modo da non dovere uscire e rifare un login, è possibile agire come di seguito.
$
su
[Invio]
Quando si utilizza il comando su
senza argomenti si indica implicitamente che si vuole ottenere l'identità dell'utente root
.
Password:
ameba
[Invio]
#
shutdown
[Invio]-
h now
Il meccanismo attraverso cui si accede al sistema deve essere chiaro, prima di poter affrontare qualunque altra cosa. Prima di proseguire occorre essere certi che gli esempi visti fino a questo punto siano stati compresi, soprattutto, in seguito non verrà più mostrato il modo con cui accedere, terminare una sessione di lavoro o cambiare identità.
È fondamentale tenere bene a mente che l'elaboratore non può essere spento prima di avere completato la procedura di arresto con shutdown
.
In caso di dubbio è meglio ripetere l'esercitazione precedente.
La prima regola per una password sicura consiste nel suo aggiornamento frequente. Quando si cambia la password, viene richiesto inizialmente l'inserimento della password precedente, quindi si può inserire quella nuova, per due volte, in modo da prevenire eventuali errori di battitura. Non vengono accettate le password troppo semplici (solo l'utente root
ha la possibilità di assegnare password banali).
L'utente root
può cambiare la password di un altro utente. Questa è la situazione comune di quando si crea una nuova utenza: è l'utente root
che assegna la prima volta la password per quel nuovo utente.
#
passwd tizio
[Invio]
Trattandosi dell'utente root
che cambia la password di un altro, viene richiesto semplicemente di inserire quella nuova (l'utente root
non ha la necessità di conoscere la vecchia password di un altro utente).
New UNIX password:
123
[Invio]
La password inserita (che nella realtà non si vede) è troppo breve e anche banale. Il programma avverte di questo, ma non si oppone.
BAD PASSWORD: it's a WAY too short |
Retype new UNIX password:
123
[Invio]
passwd: all authentication tokens updated successfully |
La password è stata cambiata.
L'utente comune può cambiare la propria password, solo la propria, e a lui non è consentito di assegnarsi una chiave di accesso troppo semplice. Nell'esempio, l'utente è tizio
.
$
passwd
[Invio]
Prima di accettare una nuova password, viene richiesta quella vecchia.
Changing password for tizio |
(current) UNIX password:
123
[Invio]
Quindi viene richiesta quella nuova.
New UNIX password:
albero
[Invio]
BAD PASSWORD: it is based on a (reversed) dictionary word passwd: Authentication token manipulation error |
Come si vede, la password albero
viene considerata troppo semplice e il programma si rifiuta di procedere. Si decide allora di usare qualcosa di più complesso, o semplicemente più lungo.
$
passwd
[Invio]
Changing password for tizio |
(current) UNIX password:
123
[Invio]
New UNIX password:
fra martino campanaro
[Invio]
Si è optato per una password lunga. Occorre tenere a mente che conta la differenza tra maiuscole e minuscole e anche il numero esatto di spazi inseriti tra le parole.
Retype new UNIX password:
fra martino campanaro
[Invio]
passwd: all authentication tokens updated successfully |
A seconda della configurazione del sistema, e dell'aggiornamento delle librerie, può darsi che sia perfettamente inutile utilizzare delle password più lunghe di 8 caratteri, nel senso che ciò che eccede i primi 8 caratteri potrebbe essere semplicemente ignorato. Si può provare a verificarlo; seguendo l'esempio appena visto, potrebbe essere che la password risultante sia solo |
Il cambiamento della password in un sistema GNU/Linux, e in generale in un sistema Unix, deve essere considerato una cosa abituale, anche per gli utenti comuni. Le password troppo semplici non sono accettabili.
I dati contenuti in un filesystem sono organizzati in modo gerarchico attraverso directory e sottodirectory. Prima di iniziare questa esercitazione è conveniente rivedere la sezione 2.7.
L'utente a cui ci si riferisce negli esempi è tizio
.
Mentre si utilizza il sistema, i comandi che si eseguono risentono generalmente della posizione corrente in cui ci si trova, ovvero della directory attuale, o attiva. Tecnicamente non c'è bisogno di definire una directory corrente: tutte le posizioni nell'albero del filesystem potrebbero essere indicate in maniera precisa. In pratica, la presenza di questa directory corrente semplifica molte cose.
$
cd /usr/bin
[Invio]
Eseguendo il comando precedente, la directory attuale dovrebbe divenire /usr/bin/
. Per controllare che ciò sia avvenuto si utilizza il comando seguente:
$
pwd
[Invio]
/usr/bin |
Il comando cd
può essere utilizzato per cambiare la directory corrente, sia attraverso l'indicazione di un percorso assoluto, sia attraverso un percorso relativo. Il percorso assoluto parte dalla directory radice, mentre quello relativo parte dalla posizione corrente.
$
cd /usr/local
[Invio]
Il comando soprastante cambia la directory corrente in modo che diventi esattamente /usr/local/
. Il percorso indicato è assoluto perché inizia con una barra obliqua che rappresenta la radice.
$
pwd
[Invio]
/usr/local |
Quando si utilizza l'indicazione di un percorso che non inizia con una barra obliqua, si fa riferimento a qualcosa che inizia dalla posizione corrente.
$
cd bin
[Invio]
Con questo comando si cambia la directory corrente, passando in bin/
che discende da quella attuale.
$
pwd
[Invio]
/usr/local/bin |
Ogni directory contiene due riferimenti convenzionali a due sottodirectory speciali. Si tratta del riferimento alla directory corrente rappresentato da un punto singolo (.
) e del riferimento alla directory precedente, rappresentato da due punti in sequenza (..
). Questi simboli (il punto singolo e quello doppio) sono nomi di directory a tutti gli effetti.
$
cd ..
[Invio]
Cambia la directory corrente tornando a quella precedente. Si tratta di un percorso relativo che utilizza, come punto di inizio, la directory corrente del momento in cui si esegue il comando.
$
pwd
[Invio]
/usr/local |
Gli spostamenti relativi che fanno uso di un movimento all'indietro possono essere più elaborati.
$
cd ../bin
[Invio]
In questo caso si intende indietreggiare di una posizione e quindi entrare nella directory bin/
.
$
pwd
[Invio]
/usr/bin |
Lo spostamento a ritroso può essere anche cumulato a più livelli.
$
cd ../../var/tmp
[Invio]
In questo caso si indietreggia due volte prima di riprendere un movimento in avanti.
$
pwd
[Invio]
/var/tmp |
Gli spostamenti all'indietro si possono usare anche in modo più strano e apparentemente inutile.
$
cd /usr/bin/../local/bin/..
[Invio]
Indubbiamente si tratta di un'indicazione poco sensata, ma serve a comprendere le possibilità date dall'uso del riferimento alla directory precedente.
$
pwd
[Invio]
/usr/local |
La directory corrente può essere rappresentata da un punto singolo. In pratica, tutti i percorsi relativi potrebbero iniziare con il prefisso ./
(punto, barra obliqua). Per quanto riguarda lo spostamento all'interno delle directory, ciò serve a poco, ma ritorna utile in altre situazioni.
$
cd ./bin
[Invio]
A partire dalla directory corrente si sposta nella directory bin/
.
$
pwd
[Invio]
/usr/local/bin |
Ogni utente ha una directory personale, detta anche directory home, ed è quella destinata a contenere tutto ciò che riguarda l'utente a cui appartiene. Usando il comando cd
senza argomenti, si raggiunge la propria directory personale, senza bisogno di indicarla in modo preciso.
$
cd
[Invio]
$
pwd
[Invio]
/home/tizio |
Alcune shell sostituiscono il carattere tilde (~
), all'inizio di un percorso, con la directory personale dell'utente che lo utilizza.
$
cd ~
[Invio]
$
pwd
[Invio]
/home/tizio |
Nello stesso modo, un nome utente preceduto da un carattere tilde, viene sostituito dalla directory personale dell'utente stesso. *1*
$
cd ~caio
[Invio]
$
pwd
[Invio]
/home/caio |
Prima di proseguire si ritorna nella propria directory personale.
$
cd
[Invio]
La directory corrente è un punto di riferimento importante per i programmi, e il cambiamento di questa posizione avviene attraverso il comando cd
. Per conoscere quale sia la directory corrente si utilizza pwd
. La directory precedente a quella attuale si rappresenta con una sequenza di due punti (..
) mentre quella attuale si può indicare con un punto singolo (.
).
La navigazione all'interno delle directory, alla cieca, come visto negli esempi dell'esercitazione precedente, è una cosa possibile ma insolita: normalmente si accompagna con l'analisi dei contenuti di directory e file.
Le directory si esplorano con il comando ls
$
ls /bin
[Invio]
arch dd gzip nisdomainname tar ash df hostname ping touch awk dmesg kill ps true basename dnsdomainname ln pwd umount bash doexec login rm uname bsh domainname ls rmdir vi cat echo mail rpm view chgrp egrep mkdir sed vim chmod ex mknod sh ypdomainname chown false more sleep zcat cp fgrep mount sort cpio gawk mt stty csh grep mv su date gunzip netstat sync |
Il comando ls /bin
visualizza il contenuto della directory /bin/
. I nomi che vengono elencati rappresentano file di qualunque tipo (sottodirectory incluse).
Una visualizzazione più espressiva del contenuto delle directory può essere ottenuta utilizzando l'opzione
.
-
l
$
ls
[Invio]-
l /bin
-rwxr-xr-x 1 root root 2712 Jul 20 03:15 arch -rwxrwxrwx 1 root root 56380 Apr 16 1997 ash lrwxrwxrwx 1 root root 4 Oct 21 11:15 awk -> gawk -rwxr-xr-x 1 root root 18768 Apr 18 1997 basename -rwxrwxrwx 1 root root 412516 Jul 17 21:27 bash lrwxrwxrwx 1 root root 3 Oct 21 11:15 bsh -> ash -rwxr-xr-x 1 root root 22164 Mar 14 1997 cat -rwxr-xr-x 1 root root 23644 Feb 25 1997 chgrp -rwxr-xr-x 1 root root 23960 Feb 25 1997 chmod -rwxr-xr-x 1 root root 23252 Feb 25 1997 chown -rwxr-xr-x 1 root root 61600 Feb 25 1997 cp -rwxr-xr-x 1 root root 296728 Apr 23 1997 cpio ... |
In questo caso, si è ottenuto un elenco più dettagliato che in particolare consente di distinguere il tipo di file, i permessi e l'appartenenza all'utente e al gruppo.
In precedenza si era detto che ogni directory contiene due riferimenti convenzionali rappresentati da un punto singolo e da due punti in sequenza (.
e ..
). Negli esempi appena visti, questi non sono apparsi. Ciò accade perché i file il cui nome inizia con un punto non vengono presi in considerazione quando non si fa riferimento a loro in modo preciso.
$
cd
[Invio]
$
ls
[Invio]
La directory personale di un utente potrebbe sembrare vuota, utilizzando il comando ls
appena visto. Con l'opzione
si visualizzano anche i file che iniziano con un punto.
-
a
$
ls
[Invio]-
a
. .bash_profile .riciclaggio .. .bashrc .screenrc .Xdefaults .fvwm2rc95 .twmrc .bash_history .mc.ext .xfm .bash_logout .mc.ini .xinitrc |
Si osservi che in precedenza non apparivano i riferimenti alle voci .
e ..
.
Anche il contenuto dei file può essere analizzato, entro certi limiti, soprattutto quando si tratta di file di testo. Per visualizzare il contenuto di file di testo si utilizzano generalmente i comandi cat
e more
.
$
cat /etc/fstab
[Invio]
/dev/hda3 / ext2 defaults 1 1 /dev/hda2 none swap sw proc /proc ignore /dev/hda1 dos vfat quiet,umask=000 /dev/hdc /mnt/cdrom iso9660 ro,user,noauto /dev/fd0 /mnt/floppy vfat user,noauto,quiet |
Con il comando appena indicato si è ottenuta la visualizzazione del contenuto del file /etc/fstab
, che ovviamente cambia a seconda della configurazione del proprio sistema.
cat
, usato così, non si presta alla visualizzazione di file di grandi dimensioni. Per questo si preferisce usare more
, oppure il più raffinato less
. Questi programmi sono descritti nella sezione
10.1.1.
Il contenuto dei file può essere determinato attraverso il comando file
, senza doverne visualizzare il contenuto. Ciò è molto importante, specialmente nelle situazioni in cui visualizzare un file è inopportuno (si pensi a cosa accadrebbe tentando di visualizzare un file eseguibile binario).
Il comando file
si basa su una serie di stringhe di riconoscimento chiamate magic number (una sorta di «impronta»), definite in base alla tradizione dei sistemi Unix.
$
file /etc/*
[Invio]
/etc/DIR_COLORS: English text /etc/HOSTNAME: ASCII text /etc/X11: directory /etc/adjtime: ASCII text /etc/aliases: English text /etc/aliases.db: Berkeley DB Hash file (Version 2, Little Endian,... /etc/at.deny: ASCII text /etc/bashrc: ASCII text /etc/cron.daily: directory /etc/cron.hourly: directory /etc/cron.monthly: directory /etc/cron.weekly: directory /etc/crontab: ASCII text /etc/csh.cshrc: ASCII text /etc/dosemu.conf: English text /etc/dosemu.users: ASCII text ... |
Il comando indicato come esempio visualizza l'elenco dei file contenuti nella directory /etc/
, e a fianco di ogni file appare la definizione del tipo a cui questo appartiene.
Questo metodo di riconoscimento dei dati non è infallibile, ma è comunque di grande aiuto.
Per controllare lo spazio disponibile nel disco (o nei dischi) si utilizza il comando df
.
$
df
[Invio]
Il risultato del comando potrebbe essere qualcosa di simile a quanto segue.
Filesystem 1024-blocks Used Available Capacity Mounted on /dev/hda4 648331 521981 92860 85% / /dev/hda1 41024 38712 2312 94% /dos |
Per controllare lo spazio utilizzato in una directory si può utilizzare il comando du
.
$
du /bin
[Invio]
3168 /bin |
In questo caso, si ottiene che la directory /bin/
contiene file per un totale di 3168 Kbyte.
L'analisi del contenuto di directory e file è un'operazione elementare, ma essenziale per la determinazione delle azioni da compiere in funzione di quanto si rivela in questo modo.
La creazione, la copia, e l'eliminazione dei file sono operazioni elementari, ma importanti e delicate. Questa esercitazione deve essere fatta con cura e attenzione.
Esistono vari modi per creare un file. Il modo più semplice per creare un file vuoto è quello di usare il comando touch
. Prima di tutto ci si sposta nella propria directory personale, che è il luogo più adatto per questo genere di esercizi.
$
cd
[Invio]
$
touch pippo
[Invio]
Dopo aver usato il comando touch
per creare il file pippo
non si ottiene alcuna conferma dell'avvenuta esecuzione dell'operazione. Questo atteggiamento è tipico dei sistemi Unix i cui comandi tendono a non manifestare il successo delle operazioni eseguite. Si può comunque verificare.
$
ls
[Invio]-
l pippo
-rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 23 10:49 pippo |
Il file è stato creato.
In questa fase degli esercizi, in cui non è ancora stato descritto l'uso di un programma per creare o modificare file di testo, è possibile vedere un sistema semplice per creare un file del genere. Si utilizza il comando cat
in un modo un po' strano che verrà chiarito più avanti.
$
cat > pippo2
[Invio]
Da questo momento inizia l'inserimento del testo come nell'esempio mostrato qui di seguito.
Esiste anche un modo semplice di scrivere
[Invio]
un file di testo.
[Invio]
Purtroppo si tratta di una scrittura a senso unico.
[Invio]
[Ctrl+d]
L'inserimento del testo termina con la combinazione [Ctrl+d].
Si può verificare che il file sia stato creato e contenga il testo digitato.
$
cat pippo2
[Invio]
Esiste anche un modo semplice di scrivere un file di testo. Purtroppo si tratta di una scrittura a senso unico. |
La copia dei file può essere fatta attraverso l'uso del comando cp
.
$
cp pippo2 pippo3
[Invio]
Eseguendo il comando appena mostrato, si ottiene la copia del file pippo2
per generare il file pippo3
. Come al solito, se tutto va bene, non si ottiene alcuna segnalazione.
La copia di un gruppo di file può avvenire solo quando la destinazione (l'ultimo nome indicato nella riga di comando) è una directory già esistente.
$
cp pippo pippo2 pippo3 /tmp
[Invio]
Con il comando precedente si copiano i file creati fino a questo punto nella directory /tmp/
. La stessa cosa si può fare in modo più semplice utilizzando i caratteri jolly.
$
cp pippo* /tmp
[Invio]
L'eliminazione dei file avviene normalmente per mezzo di rm
. L'uso di questo comando deve essere fatto con molta attenzione, specialmente quando si agisce con i privilegi dell'utente root
. Infatti, la cancellazione avviene senza obbiezioni e senza richiedere conferme. Può bastare un errore banale per cancellare tutto ciò a cui si può accedere.
$
rm pippo pippo2
[Invio]
Il comando appena mostrato elimina definitivamente e senza possibilità di recupero i file indicati: pippo
e pippo2
.
La cancellazione dei file può avvenire anche indicandone un gruppo attraverso l'uso dei caratteri jolly. L'uso di questi simboli rappresenta un rischio in più. Generalmente, quando non ha ancora una buona preparazione e si può essere incerti sull'effetto di un comando di eliminazione, conviene prima controllare il risultato, per esempio attraverso ls
.
Volendo cancellare tutti i file il cui nome inizia per pippo
, si potrebbe utilizzare il modello pippo*
. Per sicurezza si verifica con ls
.
$
ls pippo*
[Invio]
pippo3 |
Risulta corrispondere al modello solo il file pippo3
. Infatti, poco prima erano stati cancellati pippo
e pippo2
. In ogni caso, si vede che il modello è corretto e si procede con la cancellazione (tuttavia si deve fare attenzione ugualmente).
$
rm pippo*
[Invio]
L'uso distratto di questo comando di eliminazione, può produrre danni, anche gravi. Si pensi a cosa può accadere se, invece di digitare rm pippo*
si inserisse accidentalmente uno spazio tra la parola pippo
e l'asterisco. Il comando sarebbe rm pippo *
e produrrebbe l'eliminazione del file pippo
(se esiste) e successivamente l'eliminazione di tutti i file contenuti nella directory corrente (questo è ciò che rappresenta l'asterisco da solo). Come è già stato spiegato, rm
non fa domande, così come accade con gli altri comandi, nel rispetto delle tradizioni Unix: quello che è cancellato è cancellato.
La creazione di file, normalmente vuoti, la copia e l'eliminazione, sono operazioni elementari ma fondamentali. Nella loro semplicità si tratta comunque di funzionalità che richiedono un po' di attenzione, soprattutto quando si interviene con i privilegi dell'utente root
: con la copia si potrebbero sovrascrivere file già esistenti, con la cancellazione si potrebbe intervenire in un ambito diverso da quello previsto o desiderato.
Le directory possono essere viste come contenitori di file e di altre directory. La copia e l'eliminazione di directory ha delle implicazioni differenti rispetto alle stesse operazioni con i file normali. Continua a valere la raccomandazione di svolgere l'esercitazione con cura.
La creazione di una directory è concettualmente simile alla creazione di un file vuoto. Quando la directory viene creata è sempre vuota: si riempirà utilizzandola. Una directory viene creata con il comando mkdir
.
Prima di procedere ci si sposta nella propria directory personale e quindi si crea la directory mia/
discendente dalla posizione corrente.
$
cd
[Invio]
$
mkdir mia
[Invio]
Si può verificare con il comando ls
.
$
ls
[Invio]-
l
... drwxr-xr-x 8 tizio tizio 1024 Dec 23 12:11 mia ... |
La lettera d
all'inizio della stringa che identifica i permessi indica chiaramente che si tratta di una directory.
La copia delle directory avviene attraverso il comando cp
con le opzioni
oppure -
r
, tra le quali c'è una differenza sottile che però qui non verrà approfondita.
-
R
$
cp
[Invio]-
r mia mia2
Con il comando appena visto, si ottiene la copia della directory mia/
in mia2/
. La copia è ricorsiva, nel senso che comprende tutti i file contenuti nella directory di origine, e anche tutte le eventuali sottodirectory (e con loro tutti i file contenuti in queste sottodirectory eventuali...).
Normalmente, le directory si possono cancellare quando sono vuote, e questo per mezzo del comando rmdir
.
Valgono le stesse raccomandazioni di prudenza fatte in precedenza in occasione degli esercizi sulla cancellazione di file.
$
rmdir mia2
[Invio]
Il comando appena mostrato elimina la directory mia2/
.
L'eliminazione delle directory fatta in questo modo, cioè attraverso il comando rmdir
, non è molto preoccupante, perché con esso è consentito eliminare solo directory vuote: se ci si accorge di avere eliminato una directory di troppo, si riesce facilmente a ricrearla con il comando mkdir
.
Tuttavia, spesso si eliminano interi rami di directory, quando con un comando si vuole eliminare una o più directory, e con esse il loro contenuto di file ed eventuali altre directory. Si dice in questo caso che si esegue una cancellazione ricorsiva.
Prima di proseguire, si prova a creare una struttura articolata di directory.
$
mkdir carbonio
[Invio]
$
mkdir carbonio/idrogeno
[Invio]
$
mkdir carbonio/ossigeno
[Invio]
$
mkdir carbonio/idrogeno/elio
[Invio]
Si dovrebbe ottenere una struttura organizzata nel modo seguente:
$
tree carbonio
[Invio]
carbonio |-- idrogeno | `-- elio `-- ossigeno 3 directories, 0 files |
Se si tenta di eliminare tutta la struttura che parte da carbonio/
con il comando rmdir
, si ottiene solo una segnalazione di errore.
$
rmdir carbonio
[Invio]
rmdir: carbonio: Directory not empty |
Per questo bisogna utilizzare il comando rm
con l'opzione
. Tuttavia, il comando -
rrm
usato in questo modo ricorsivo è particolarmente pericoloso se utilizzato in modo distratto.
$
rm
[Invio]-
r carbonio
La directory carbonio/
e tutto ciò che da essa discendeva non c'è più.
Si provi a pensare cosa può accadere quando si utilizzano i caratteri jolly: si cancellano indifferentemente file e directory che corrispondono al modello. C'è però ancora qualcosa di peggiore: l'insidia dei nomi che iniziano con un punto.
La cancellazione di directory il cui nome inizia con un punto è un'operazione estremamente delicata che merita una discussione a parte. Generalmente, quando si utilizzano i caratteri jolly per identificare un gruppo di nomi di file e directory, questi simboli non corrispondono mai ai nomi che iniziano con un punto. Questa convenzione è stata definita per evitare che con i caratteri jolly si possa intervenire involontariamente con i riferimenti standard delle directory: .
(la directory corrente) e ..
(la directory precedente).
A questo fatto si è aggiunta la convenzione di nominare in questo modo (con un punto iniziale) file e directory che rappresentano la configurazione particolare di ogni utente. In tal modo, è come se tali file e directory fossero nascosti, e l'utente non ne risulta infastidito da questi che così non possono nemmeno essere cancellati involontariamente.
Potrebbe sorgere il desiderio di eliminare tutti questi file e tutte queste directory, utilizzando il modello .*
(punto, asterisco), ma in questo modo si eliminerebbero anche i riferimenti standard: .
e ..
, eliminando così anche la directory corrente e quella precedente.
Ma se tutto questo avviene in modo ricorsivo, con l'opzione
, è come ordinare di cancellare tutto il filesystem.
-
r
Se il comando viene dato da un utente comune, questo riuscirà a eliminare solo i dati a cui può accedere, mentre se questo sbaglio viene fatto dall'utente root
, il disastro è totale.
Per concludere, il comando incriminato è rm
. Siete stati avvisati!
-
r .*
Quando si copiano e si eliminano le directory sorge spontaneo il desiderio di intervenire in modo ricorsivo su tutto il contenuto della directory di partenza. I problemi maggiori cui si va incontro sono legati alla cancellazione ricorsiva, specialmente quando si pretende di eliminare i file e le directory il cui nome inizia con un punto, in modo globale, attraverso un modello fatto di caratteri jolly.
Negli ambienti Unix, lo spostamento e il cambiamento di nome di file e directory sono la stessa cosa. Un'altra particolarità dei sistemi operativi Unix è la possibilità di gestire i collegamenti a file e directory.
Lo spostamento di file e directory avviene per mezzo di mv
. Per esercitarsi con questo comando si preparano alcuni file e directory.
$
touch alfa
[Invio]
$
touch beta
[Invio]
$
mkdir gamma
[Invio]
Come sempre è bene controllare.
$
ls
[Invio]-
l
... -rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 25 12:46 alfa -rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 25 12:46 beta drwxrwxr-x 2 tizio tizio 1024 Dec 25 12:46 gamma ... |
Si procede rinominando il file alfa
in modo che diventi omega
.
$
mv alfa omega
[Invio]
$
ls
[Invio]-
l
... -rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 25 12:46 omega ... |
Volendo spostare una serie di file e directory in gruppo, è necessario che la destinazione sia una directory. Con il comando seguente si spostano i due file creati poco prima nella directory gamma/
.
$
mv omega beta gamma
[Invio]
$
ls
[Invio]-
l gamma
-rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 25 12:46 beta -rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 25 12:46 omega |
Generalmente, lo spostamento (o il cambiamento di nome) non fa differenza tra file normali e directory.
$
mv gamma /tmp
[Invio]
Il comando precedente sposta la directory gamma/
in /tmp/
.
È importante tenere presente che il comando mv
non può cambiare una serie di nomi in modo sistematico. Per esempio, non si può cambiare *.mio
in *.tuo
.
La creazione di un collegamento è un'operazione simile alla copia, con la differenza che invece di creare un duplicato di file e directory, si genera un riferimento agli originali. Ne esistono due tipi: collegamenti simbolici e collegamenti fisici (questi ultimi conosciuti di solito come hard link). In questa esercitazione verranno mostrati solo collegamenti simbolici.
Il comando utilizzato per creare questi collegamenti è ln
; dal momento che si intendono mostrare solo quelli simbolici, si userà sempre l'opzione
.
-
s
Per esercitarsi con questo comando si preparano alcuni file e directory.
$
touch uno
[Invio]
$
touch due
[Invio]
$
mkdir tre
[Invio]
Come sempre è bene controllare.
$
ls
[Invio]-
l
... -rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 25 12:46 due drwxrwxr-x 2 tizio tizio 1024 Dec 25 12:46 tre -rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 25 12:46 uno |
Come si accennava all'inizio, la creazione di un collegamento è un'operazione simile alla copia.
$
ln
[Invio]-
s uno uno.bis
Con il comando mostrato sopra, si ottiene un collegamento simbolico, denominato uno.bis
, al file uno
.
$
ls
[Invio]-
l
... lrwxrwxrwx 1 tizio tizio 3 Dec 25 12:47 uno.bis -> uno |
Da questo momento si può fare riferimento al file uno
utilizzando il nome uno.bis
.
La creazione di un collegamento a una directory può avvenire nello stesso modo visto per i file (a patto che si tratti di collegamenti simbolici).
$
ln
[Invio]-
s /tmp miatemp
Se il comando appena visto ha successo si può raggiungere la directory /tmp/
anche attraverso il riferimento miatemp
.
La creazione di un gruppo di collegamenti con un unico comando, può avvenire solo quando la destinazione (l'ultimo nome sulla riga di comando) è una directory. In questo modo si ottiene la creazione di una serie di collegamenti al suo interno.
$
ln
[Invio]-
s /home/tizio/uno* /home/tizio/due tre
In questo caso, si generano una serie di collegamenti per tutti i file i cui nomi iniziano per uno
e anche per il file due
nella directory tre
.
Nell'esempio mostrato sopra, i file da spostare sono stati indicati con il loro percorso completo, pur immaginando che la directory |
$
ls
[Invio]-
l tre
lrwxrwxrwx 1 tizio tizio 15 Dec 25 15:21 due -> /home/tizio/due lrwxrwxrwx 1 tizio tizio 15 Dec 25 15:21 uno -> /home/tizio/uno lrwxrwxrwx 1 tizio tizio 19 Dec 25 15:21 uno.bis -> /home/tizio/uno.bis |
Si può osservare che è stato creato anche un collegamento che punta a un altro collegamento.
Lo spostamento di file e directory avviene in modo simile alla copia, solo che l'origine viene rimossa. Lo spostamento di directory attraverso unità di memorizzazione differenti non è possibile. Lo spostamento erroneo può essere dannoso: se non si fa attenzione si può sovrascrivere qualcosa che ha già lo stesso nome dei file o delle directory di destinazione. Questo è lo stesso tipo di problema che si rischia di incontrare con la copia.
I collegamenti a file e directory permettono di definire percorsi alternativi agli stessi.
La shell è il mezzo attraverso cui si interagisce con il sistema. Il modo di inserire i comandi può cambiare molto da una shell all'altra. Gli esercizi proposti in questa sezione sono fatti in particolare per la shell Bash, ma gran parte di questi possono essere validi anche per altre shell.
Il completamento automatico è un modo attraverso cui la shell aiuta l'utente a completare un comando. La richiesta di completamento viene fatta attraverso l'uso del tasto [Tab]. Si preparano alcuni file di esempio. I nomi utilizzati sono volutamente lunghi.
$
touch microinterruttore
[Invio]
$
touch microscopico
[Invio]
$
touch supersonico
[Invio]
Supponendo di voler utilizzare questi nomi all'interno di una riga di comando, si può essere un po' infastiditi dalla loro lunghezza. Utilizzando il completamento automatico si risolve il problema.
$
ls sup
[Tab]
Dopo avere scritto solo sup
, premendo il tasto [Tab] si ottiene il completamento del nome, dal momento che non esistono altri file o directory (nella posizione corrente) che inizino nello stesso modo. L'esempio seguente mostra lo stesso comando completato e terminato.
$
ls sup
[Tab]ersonico
[Invio]
Il completamento automatico dei nomi potrebbe essere impossibile. Infatti, potrebbe non esistere alcun nome che coincida con la parte iniziale già inserita, oppure potrebbero esistere più nomi composti con lo stesso prefisso. In quest'ultimo caso, il completamento si ferma al punto in cui i nomi iniziano a distinguersi.
$
ls mic
[Tab]ro
In questo caso, il completamento si spinge fino a micro
che è la parte comune dei nomi microinterruttore
e microscopico
. Per poter proseguire occorre aggiungere un'indicazione che permetta di distinguere tra i due nomi. Volendo selezionare il primo di questi nomi, basta aggiungere la lettera i
e premere nuovamente il tasto [Tab]. L'esempio seguente rappresenta il procedimento completo.
$
ls mic
[Tab]ro
i
[Tab]nterruttore
[Invio]
L'utilizzo di caratteri jolly rappresenta una forma alternativa di completamento dei nomi. Infatti è compito della shell la trasformazione dei simboli utilizzati per questo scopo.
Per questo esercizio si utilizzano i file creati nella sezione precedente: microinterruttore
, microscopico
e supersonico
. In seguito se ne aggiungeranno altri quando l'esercizio lo richiede.
L'asterisco rappresenta una sequenza indefinita di zero o più caratteri di qualunque tipo, esclusa la barra obliqua di separazione tra le directory. Per cui, l'asterisco utilizzato da solo rappresenta tutti i nomi di file disponibili nella directory corrente.
$
ls
[Invio]
Il comando ls
appena mostrato serve a elencare tutti i nomi di file e directory contenuti nella directory corrente.
$
ls *
[Invio]
Questo comando è un po' diverso, nel senso che la shell provvede a sostituire l'asterisco con tutto l'elenco di nomi di file e directory contenuti nella directory corrente. Sarebbe come se il comando fosse ls microinterruttore microscopico
...
In tal senso, anche il comportamento di ls
cambia: non si limita a elencare il contenuto della directory corrente, ma (eventualmente, se ce ne sono) anche quello di tutte le directory contenute in quella corrente.
L'asterisco può essere utilizzato anche assieme a parti fisse di testo.
$
ls micro*
[Invio]
Questo comando è composto in modo che la shell sostituisca micro*
con tutti i nomi che iniziano per micro
.
microinterruttore microscopico |
Si era detto che l'asterisco può essere sostituito anche con la stringa nulla. Per verificarlo si crea un altro file.
$
touch nanomicro
[Invio]
Con il comando seguente si vogliono elencare tutti i nomi che contengono la parola micro
.
$
ls *micro*
[Invio]
microinterruttore microscopico nanomicro |
Il punto interrogativo rappresenta esattamente un carattere qualsiasi.
Prima di proseguire si aggiungono alcuni file con nomi adatti agli esempi seguenti.
$
touch xy123j4
[Invio]
$
touch xy456j5
[Invio]
$
touch xy789j111
[Invio]
$
touch xy78j67
[Invio]
Con il comando seguente si vuole intervenire su tutti i file lunghi esattamente sette caratteri e che contengono la lettera j
nella sesta posizione.
$
ls ?????j?
[Invio]
xy123j4 xy456j5 |
Diverso sarebbe stato usando l'asterisco: non si può limitare il risultato ai file che contengono la lettera j
nella sesta posizione, e nemmeno la lunghezza del nome può essere presa in considerazione.
$
ls *j*
[Invio]
In questo modo si ottiene l'elenco di tutti i nomi che contengono la lettera j
, senza specificare altro.
xy123j4 xy456j5 xy789j111 xy78j67 |
Le parentesi quadre vengono utilizzate per delimitare un elenco o un intervallo di caratteri. Rappresentano un solo carattere tra quelli contenuti, o tra quelli appartenenti all'intervallo indicato.
$
ls xy????[4567]*
[Invio]
xy123j4 xy456j5 |
Il comando appena indicato era stato scritto in modo da fornire a ls
, come argomento, l'elenco di tutti i file i cui nomi iniziano per xy
, proseguono con quattro caratteri qualunque, quindi contengono un carattere da 4
a 7
e terminano in qualunque modo. Lo stesso risultato si poteva ottenere indicando un intervallo nelle parentesi quadre.
$
ls xy????[4
[Invio]-
7]*
Il fatto che la shell sostituisca alcuni caratteri impedisce di fatto il loro utilizzo nei nomi di file e directory. Se esiste la necessità, è possibile evitare la sostituzione di questi facendoli precedere da una barra obliqua inversa, che funge da carattere di escape (ovvero, da simbolo di protezione).
$
touch sei\*otto
[Invio]
$
ls
[Invio]
... sei*otto |
In questo modo è possibile includere nel nome di un file anche lo spazio.
$
touch sei\ bella
[Invio]
$
ls
[Invio]
... sei bella sei*otto |
È bene ricordare che esistono altri modi per evitare che la shell intervenga nell'interpretazione dei simboli usati nella riga di comando, ma questi vengono approfonditi nei capitoli dedicati alla shell.
L'uso di caratteri jolly può essere pericoloso quando non si ha un'esperienza sufficiente a determinare l'effetto esatto del comando che ci si accinge a utilizzare. Ciò soprattutto quando si utilizzano per cancellare. Il modo migliore per verificare l'effetto della sostituzione dei caratteri jolly è l'uso del comando echo
, che si occupa semplicemente di visualizzare l'elenco dei suoi argomenti.
Per esempio, per sapere quali file e directory vengono coinvolti dal modello micro*
, basta il comando seguente:
$
echo micro*
[Invio]
microinterruttore microscopico |
Anche l'uso di ls
, come comando non distruttivo, può essere di aiuto per determinare l'estensione di un modello fatto di caratteri jolly. Ma ls
mostra anche il contenuto delle directory che vengono indicate tra gli argomenti, quindi potrebbe distrarre un po' l'utilizzatore.
La shell consente di ridirigere l'output di un comando che normalmente sarebbe destinato allo schermo, oppure di inviare dati all'input di un comando, che altrimenti lo attenderebbe dalla tastiera.
La ridirezione dirotta i dati in modo di destinarli a un file o di prelevarli da un file.
$
ls
[Invio]-
l > elenco
Questo comando genera il file elenco
con il risultato dell'esecuzione di ls
. Si può controllare il contenuto di questo file con cat
.
$
cat elenco
[Invio]
Anche l'input può essere ridiretto, quando il comando al quale si vuole inviare è in grado di riceverlo. cat
è in grado di emettere ciò che riceve dallo standard input.
$
cat < elenco
[Invio]
Si ottiene in questo modo la visualizzazione del contenuto del file elenco
, esattamente nello stesso modo di prima, quando questo nome veniva indicato semplicemente come argomento di cat
. Ma adesso lo si invia attraverso lo standard input per mezzo dell'attività della shell.
La ridirezione dell'output, come è stata vista finora, genera un nuovo file ogni volta, eventualmente sovrascrivendo ciò che esiste già con lo stesso nome. Sotto questo aspetto, la ridirezione dell'output è fonte di possibili danni.
La ridirezione dell'output può essere fatta in aggiunta, creando un file se non esiste, o aggiungendovi i dati se è già esistente.
$
ls
[Invio]-
l /tmp >> elenco
In tal modo viene aggiunto al file elenco
l'elenco dettagliato del contenuto della directory /tmp/
.
$
cat elenco
[Invio]
La pipeline è una forma di ridirezione in cui la shell invia l'output di un comando come input del successivo.
$
cat elenco | sort
[Invio]
In questo modo, cat
legge il contenuto del file elenco
, ma invece di essere visualizzato sullo schermo, viene inviato dalla shell come standard input di sort
che lo riordina e poi lo emette sullo schermo.
Una pipeline può utilizzare anche la ridirezione, per cui, il comando visto precedentemente può essere trasformato nel modo seguente,
$
cat < elenco | sort
[Invio]
o semplificato ancora come indicato sotto, ma in tal caso non si tratta più di pipeline.
$
sort < elenco
[Invio]
La creazione di un alias è un metodo che permette di definire un nome alternativo per un comando preesistente.
$
alias elenca='ls -l'
[Invio]
Dopo aver definito l'alias elenca
, come indicato nel comando precedente, utilizzandolo si ottiene l'equivalente di ls
. Basta provare.
-
l
$
elenca
[Invio]
Ma l'alias permette di utilizzare argomenti, come se si trattasse di comandi normali.
$
elenca micro*
[Invio]
Quello che si ottiene corrisponde al risultato del comando ls
.
-
l micro*
-rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 26 10:19 microinterruttore -rw-rw-r-- 1 tizio tizio 0 Dec 26 10:19 microscopico |
I tipici alias che vengono creati sono i seguenti. Servono per fare in modo che le operazioni di cancellazione o sovrascrittura vengano eseguite dopo una richiesta di conferma.
$
alias rm='rm
[Invio]-
i'
$
alias cp='cp
[Invio]-
i'
$
alias mv='mv
[Invio]-
i'
Si può provare a eliminare un file per vedere cosa accade.
$
rm microinterruttore
[Invio]
rm: remove `microinterruttore'?: |
n
[Invio]
In questo modo, il file non è stato cancellato.
Il completamento dei nomi e i caratteri jolly sono gli strumenti operativi più importanti che una shell fornisce. Tuttavia, l'uso di modelli con caratteri jolly può essere fonte di errori anche gravi, e prima di utilizzarli in comandi distruttivi, conviene verificare l'effetto di questi modelli con echo
.
La ridirezione e le pipeline sono un altro strumento importante che permette di costruire comandi molto complessi a partire da comandi elementari.
In presenza di un ambiente in multiprogrammazione è importante il controllo dei processi in esecuzione. Un processo è un singolo eseguibile in funzione, ma un comando può generare diversi processi.
Il comando fondamentale per il controllo dei processi è ps
.
$
ps
[Invio]
PID TTY STAT TIME COMMAND 077 1 SW 0:01 (login) 078 2 SW 0:01 (login) 091 1 S 0:01 -bash 132 2 S 0:01 -bash 270 1 R 0:00 ps |
In questo caso ps
mostra che sono in funzione due copie di bash
(la shell Bash), ognuna su un terminale differente (la prima e la seconda console virtuale), tty1
e tty2
. L'unico programma in esecuzione è lo stesso ps
, che in questo esempio è stato avviato dal primo terminale
Attraverso l'opzione f
, si può osservare la dipendenza tra i processi.
$
ps f
[Invio]
PID TTY STAT TIME COMMAND 077 1 SW 0:01 (login) 091 1 S 0:01 \_ -bash 275 1 R 0:00 \_ ps -f 078 2 SW 0:01 (login) 132 2 S 0:01 \_ -bash |
Un modo graficamente più aggraziato di osservare la dipendenza tra i processi è dato da pstree
.
$
pstree
[Invio]
init-+-crond |-kflushd |-klogd |-kswapd |-login---bash |-login---bash---pstree |-4*[mingetty] |-4*[nfsiod] |-portmap |-rpc.mountd |-rpc.nfsd |-syslogd `-update |
Mentre prima si vedevano solo i processi connessi ai terminali, adesso vengono visualizzati tutti i processi in funzione in modo predefinito. L'elenco cambia a seconda della configurazione del proprio sistema.
I processi vengono eliminati automaticamente una volta che questi terminano regolarmente. A volte ci può essere la necessità di eliminare forzatamente un processo.
Per verificare questa situazione si può passare sulla seconda console virtuale e da lì avviare un programma inutile che verrà eliminato attraverso la prima console.
[Alt+F2]
Se fosse necessario fare il login è questo il momento di farlo.
$
yes
[Invio]
y y y y ... |
Attraverso yes
si ottiene un'emissione continua di lettere y
. Si può passare alla prima console e osservare la situazione.
[Alt+F1]
$
ps
[Invio]
PID TTY STAT TIME COMMAND 077 1 SW 0:01 (login) 078 2 SW 0:01 (login) 091 1 S 0:01 -bash 132 2 S 0:01 -bash 311 2 R 0:26 yes |
Si decide di eliminare il processo generato da yes
, e questo attraverso l'invio di un segnale di conclusione.
$
kill 311
[Invio]
Il numero 311 è il numero abbinato al processo, o PID, che si ottiene osservando le informazioni emesse da ps
. Tornando sulla console in cui era stato eseguito yes
si potrà osservare che questo ha terminato di funzionare.
[Alt+F2]
... y y Terminated |
Per mezzo della shell è possibile avviare dei comandi sullo sfondo, ovvero in background, in modo che si renda nuovamente disponibile il prompt per inserire altri comandi.
$
yes > /dev/null &
[Invio]
Questo comando avvia yes
dirottando l'output nel file /dev/null
che in realtà è un dispositivo speciale paragonabile a una pattumiera senza fondo (tutto ciò che vi viene scritto è eliminato). Il simbolo e-commerciale (&
), posto alla fine del comando, dice alla shell di eseguirlo sullo sfondo.
Naturalmente, ha senso eseguire un comando sullo sfondo quando questo non richiede input da tastiera e non emette output sul terminale.
Il controllo dei processi avviene essenzialmente attraverso ps
e kill
. La shell fornisce generalmente una forma di controllo sui comandi avviati attraverso di essa, e questi vengono definiti normalmente job di shell.
Il capitolo 17 e i successivi trattano meglio di questo argomento.
I permessi definiscono i privilegi dell'utente proprietario, del gruppo e degli altri utenti nei confronti dei file e delle directory.
La sezione 2.7.5 introduceva i problemi legati ai permessi, in particolare spiegava il modo in cui si rappresentano in forma numerica.
Sui file possono essere regolati tre tipi di permessi: lettura scrittura ed esecuzione. Mentre il significato del permesso in esecuzione è abbastanza logico (riguarda i file eseguibili e gli script), e così anche quello in lettura, quello in scrittura potrebbe fare pensare che permetta di evitarne la cancellazione. Non è così, la possibilità di cancellare un file dipende dai permessi della directory.
$
touch mio_file
[Invio]
$
chmod
[Invio]-
r mio_file
In questo modo è stato tolto il permesso in lettura a tutti gli utenti, anche al proprietario.
$
ls
[Invio]-
l mio_file
--w--w---- 1 tizio tizio 0 Dec 26 10:24 mio_file |
Si può vedere che dalla stringa dei permessi è sparita la lettera r
.
$
cat mio_file
[Invio]
cat: mio_file: Permission denied |
L'emissione sullo schermo del file è impossibile perché questo non ha il permesso in lettura (in questo caso il file è vuoto e non c'è proprio nulla da visualizzare, ma qui conta il fatto che il sistema si opponga alla lettura).
$
chmod +r mio_file
[Invio]
Prima di verificare cosa accade togliendo il permesso in scrittura conviene ripristinare il permesso in lettura, con il comando appena visto.
$
chmod
[Invio]-
w mio_file
In questo modo viene tolto il permesso in scrittura, cosa che impedisce la modifica del file, ma non la sua cancellazione.
$
ls > mio_file
[Invio]
bash: mio_file: Permission denied |
Un tentativo di sovrascrittura genera una segnalazione di errore, come nell'esempio appena visto, così come qualunque altro tentativo di modificare il suo contenuto.
$
mv mio_file tuo_file
[Invio]
Lo spostamento o il cambiamento del nome è possibile.
$
ls
[Invio]-
l tuo_file
-r--r--r-- 1 tizio tizio 0 Dec 26 10:24 tuo_file |
Anche la cancellazione è ammissibile; probabilmente si ottiene un avvertimento, ma niente di più.
$
rm tuo_file
[Invio]
rm: remove `tuo_file', overriding mode 0444? |
y
[Invio]
Il file, alla fine, viene cancellato.
Sulle directory possono essere regolati tre tipi di permessi: lettura scrittura ed esecuzione. Per chi non conosce già un sistema operativo Unix, il significato potrebbe non essere tanto intuitivo.
$
mkdir provedir
[Invio]
$
touch provedir/uno
[Invio]
$
touch provedir/due
[Invio]
Togliendo il permesso in lettura si impedisce la lettura del contenuto della directory, cioè si impedisce l'esecuzione di un comando come ls
, mentre l'accesso ai file continua a essere possibile (purché se ne conoscano i nomi).
$
chmod
[Invio]-
r provedir
$
ls provedir
[Invio]
ls: provedir: Permission denied |
Prima di proseguire si ripristinano i permessi in lettura.
$
chmod +r provedir
[Invio]
I permessi in scrittura consentono di aggiungere, eliminare e rinominare i file (e le eventuali sottodirectory).
$
chmod
[Invio]-
w provedir
Questo comando toglie il permesso di scrittura della directory provedir/
.
$
rm provedir/uno
[Invio]
rm: provedir/uno: Permission denied |
$
cp provedir/uno provedir/tre
[Invio]
cp: cannot create regular file `provedir/tre': Permission denied |
$
mv provedir/uno provedir/tre
[Invio]
mv: cannot move `provedir/uno' to `provedir/tre': Permission denied |
Prima di proseguire si ripristina il permesso in scrittura.
$
chmod +w provedir
[Invio]
Il permesso di esecuzione è il più strano. Impedisce l'accesso alla directory e a tutto il suo contenuto. Ciò significa che non è possibile accedere a file o directory discendenti di questa.
Viene creata una directory discendente da provedir/
.
$
mkdir provedir/tmp
[Invio]
Si crea un file al suo interno, per poter verificare in seguito quanto detto.
$
touch provedir/tmp/esempio
[Invio]
Si tolgono i permessi in esecuzione a provedir/
per vedere cosa accade.
$
chmod
[Invio]-
x provedir
Da questo momento, provedir/
e tutto quello che ne discende è inaccessibile.
$
cd provedir
[Invio]
bash: cd: provedir: Permission denied |
$
cat provedir/tmp/esempio
[Invio]
cat: provedir/tmp/esempio: Permission denied |
$
touch provedir/tmp/esempio2
[Invio]
touch: provedir/tmp/esempio2: Permission denied |
La maschera dei permessi, ovvero la maschera umask, determina i permessi che devono essere tolti quando si crea un file o una directory e non si definiscono esplicitamente i loro permessi. Nello stesso modo, quando si attribuiscono dei permessi senza definire a quale livello si riferiscono (all'utente, al gruppo o agli altri, come è stato fatto nelle sezioni precedenti), vengono tolti quelli della maschera dei permessi. Per conoscere il valore di questa maschera basta il comando seguente:
$
umask
[Invio]
002 |
Se il sistema è configurato come era stato suggerito all'inizio di questo capitolo, è questo il valore che viene restituito. Frequentemente, il valore della maschera dei permessi è 022.
Il numero due rappresenta un permesso in scrittura, in questo caso riferito agli utenti differenti dal proprietario e dal gruppo di appartenenza. Questo significa che questo permesso viene normalmente tolto. Se il valore fosse stato 022, anche al gruppo verrebbe tolto il permesso di scrittura.
Si può ottenere una rappresentazione della maschera dei permessi più espressiva, con l'opzione
.
-
S
$
umask
[Invio]-
S
u=rwx,g=rwx,o=rx |
In tal caso si è ottenuta la rappresentazione dei permessi che vengono concessi in modo predefinito.
Si suppone, per esercizio, di trovarsi nella situazione di volere difendere i propri dati da qualunque accesso da parte degli altri utenti (a parte l'utente root
al quale nulla può essere impedito).
$
umask 077
[Invio]
Il numero 7 rappresenta tutti i permessi (lettura, scrittura ed esecuzione), e questi verranno tolti sistematicamente al gruppo e agli altri utenti. Per verificarlo si può provare a creare un file.
$
touch segreto
[Invio]
$
ls
[Invio]-
l segreto
-rw------- 1 tizio tizio 0 Dec 27 11:10 segreto |
touch
non ha tentato di attribuire dei permessi in esecuzione, quindi questo non appare tra quelli dell'utente proprietario.
$
mkdir segreta
[Invio]
$
ls
[Invio]-
l
... drwx------ 2 tizio tizio 1024 Dec 27 11:14 segreta ... |
Come si vede dall'esempio, anche la creazione di directory risente della maschera dei permessi.
Il significato dei permessi di file e directory non è necessariamente intuitivo o evidente. Un po' di allenamento è necessario per comprenderne il senso.
La maschera dei permessi, o umask, è un mezzo con cui filtrare i permessi indesiderati nelle operazioni normali, quelle in cui questi non vengono espressi in modo preciso.
In tutti i corsi di Unix si mostra l'uso di un applicativo storico, e per questo anche piuttosto spartano, per la creazione e la modifica di file di testo: VI. Questo poi si concretizza in pratica nell'eseguibile vi
. La necessità di imparare a usare questo programma, almeno in modo elementare, sta nel fatto che utilizza poche risorse di memoria e spesso fa parte dell'insieme di programmi di utilità che compongono i dischetti di emergenza.
L'uso di VI è difficile perché si distinguono diverse modalità di funzionamento. In pratica si separa la fase di inserimento del testo da quella in cui si inseriscono i comandi.
Per poter inserire un comando occorre sospendere l'inserimento con la pressione di [Esc]. Per poter ritornare alla modalità di inserimento occorre dare un comando apposito.
Il tasto [Esc] può essere usato anche per annullare un comando che non sia stato completato. Se premuto più del necessario non produce alcun effetto collaterale.
Si crea un nuovo file semplicemente avviando il programma senza argomenti.
$
vi
[Invio]
Appena avviato, VI impegna tutto lo schermo.
_ ~ ~ ~ ~ ~ Empty buffer |
I simboli tilde (~
) rappresentano righe nulle (inesistenti).
In questo momento il programma si trova in modalità di comando e accetta comandi espressi attraverso lettere o simboli della tastiera.
Con il tasto [i], che rappresenta il comando insert, si passa alla modalità di inserimento attraverso la quale si può digitare del testo normalmente.
[i]
Linux è un sistema operativo completo
[Invio]
il cui kernel è stato scritto da
[Invio]
Linus Torvalds e altri collaboratori.
Quello che si vede sullo schermo dovrebbe apparire come l'esempio che segue, con il cursore alla fine dell'ultima frase digitata.
Linux è un sistema operativo completo il cui kernel è stato scritto da Linus Torvalds e altri collaboratori._ ~ ~ ~ -- INSERT -- |
Si termina la modalità di inserimento e si torna a quella di comando attraverso la pressione del tasto [Esc].
[Esc]
Lo spostamento del cursore attraverso il testo avviene in modalità di comando, con i tasti [h], [j], [k] e [l] che corrispondono rispettivamente allo spostamento a sinistra, in basso, in alto e a destra. Nella maggior parte delle situazioni possono essere utilizzati i tasti freccia, anche durante la fase di inserimento.
Si decide di spostare il cursore davanti alla parola «completo» della prima riga.
[h][h][h][h][h][h][h][h][h]
[k][k]
In pratica si sposta il cursore a sinistra di 9 posizione e in alto di due.
Linux è un sistema operativo_completo il cui kernel è stato scritto da Linus Torvalds e altri collaboratori. ~ ~ ~ |
La cancellazione di testo in modalità di comando avviene attraverso l'uso del tasto [x]. Si ottiene la cancellazione del carattere che si trova in corrispondenza del cursore, avvicinando il testo rimanente dalla destra.
Nella maggior parte dei casi può essere usato anche il tasto [Canc] con questo scopo, e quest'ultimo, in particolare, dovrebbe funzionare sia in modalità di comando che di inserimento.
Si decide di cancellare la parola «completo».
[x][x][x][x][x][x][x][x][x]
Linux è un sistema operativo_ |
La cancellazione di una riga intera si ottiene con il comando dd
ovvero con la pressione del tasto [d] per due volte di seguito.
Si decide di cancellare l'ultima riga. Per prima cosa si sposta il cursore sopra con il tasto [j], premuto per due volte, quindi si procede con la cancellazione.
[j][j]
[d][d]
Linux è un sistema operativo il cui kernel è stato scritto da ~ ~ ~ ~ |
Il salvataggio del testo in un file si ottiene attraverso un comando più complesso di quelli visti finora. Dalla modalità di comando si preme il tasto [:] che inizia un comando speciale, detto colon o ultima riga, perché appare sull'ultima riga dello schermo.
[:]
Linux è un sistema operativo il cui kernel è stato scritto da ~ ~ ~ ~ :_ |
Il comando per salvare è
:w <nome-file> |
e si decide di salvare con il nome miotesto
.
w miotesto
Sullo schermo dovrebbe apparire come si vede di seguito.
Linux è un sistema operativo il cui kernel è stato scritto da ~ ~ ~ ~ :w miotesto_ |
Si conclude con la pressione del tasto [Invio].
[Invio]
La conclusione del funzionamento di VI si ottiene con il comando :q
. Se si pretende di terminare senza salvare occorre imporre il comando con l'aggiunta di un punto esclamativo (:q!
).
:q
[Invio]
Per avviare l'eseguibile vi
in modo che questo apra immediatamente un file già esistente per permetterne la modifica, basta indicare il nome di questo file nella riga di comando.
$
vi miotesto
[Invio]
Linux è un sistema operativo il cui kernel è stato scritto da ~ ~ ~ ~ ``miotesto'' 1 line, 62 characters |
In alternativa si può utilizzare il comando :e
con la sintassi seguente:
:e <nome-file> |
Il risultato è lo stesso.
VI è un applicativo per la creazione e la modifica di file di testo, molto poco elaborato esteticamente e piuttosto complicato da utilizzare. Tuttavia è necessario saperlo usare nelle occasioni in cui non è disponibile un programma migliore, o non è possibile usare altro a causa delle ristrettezze del sistema.
Questo esercizio sull'uso di VI è solo un minimo assaggio del funzionamento di questo programma, che, al contrario di quanto possa sembrare, offre molti accorgimenti e potenzialità che alla lunga possono rivelarsi veramente utili. Il capitolo 53 mostra un po' meglio le possibilità di questo e di altri programmi del genere.
Le ricerche di file e directory sono molto importanti in presenza di un filesystem articolato come quello di GNU/Linux, o di Unix in generale.
Le ricerche di file e directory in base al nome e altre caratteristiche esterne, vengono effettuate attraverso il comando find
.
$
find /
[Invio]-
name bash -
print
Questo comando esegue una ricerca per i file e le directory denominati bash
all'interno di tutte le directory che si articolano a partire dalla radice.
/bin/bash ... find: /var/run/sudo: Permission denied find: /var/spool/at: Permission denied find: /var/spool/cron: Permission denied ... |
Il file viene trovato, ma tutte le volte che find
tenta di attraversare directory per cui non si ha il permesso, si ottiene una segnalazione di errore.
Le ricerche basate sul nome possono impiegare anche caratteri jolly, ma in tal caso deve essere find
a gestirli, e non la shell, di conseguenza si deve fare in modo che quest'ultima non intervenga.
$
find /
[Invio]-
name \*sh -
print
L'uso della barra obliqua inversa prima dell'asterisco permette di evitare che la shell tenti di interpretarlo come carattere jolly. Alla fine, find
riceve l'argomento corretto, senza barra davanti all'asterisco.
/bin/bash /bin/ash /bin/sh ... |
Per le ricerche all'interno dei file si utilizza grep
.
$
grep tizio /etc/*
[Invio]
/etc/group:tizio::500:tizio /etc/passwd:tizio:Ide2ncPYY1234:500:500:Tizio Tizi:/home/tizio:/bin/bash grep: /etc/skel: Is a directory grep: /etc/sudoers: Permission denied ... |
Il risultato che si ottiene dal comando di esempio, sono i nomi dei file contenenti la parola «tizio» e la riga in cui questo appare. Anche in questo caso si possono incontrare file per i quali non si hanno i permessi, o directory, per le quali l'uso di grep
non ha alcun significato.
I comandi find
e grep
sono la base su cui si fondano le ricerche di file con il sistema GNU/Linux. Questi due possono essere anche combinati insieme in modo da definire una ricerca in base a caratteristiche esterne e interne ai file. L'argomento viene trattato nel capitolo
48.
La gestione dei dischi nei sistemi Unix appare piuttosto laboriosa per chi si avvicina la prima volta alla sua filosofia. La sezione 2.4.3 introduceva l'argomento.
I dischetti che si utilizzeranno in questo esercizio non devono essere protetti contro la scrittura.
L'inizializzazione o formattazione di un disco ha due fasi: la predisposizione delle tracce e dei settori e la preparazione di un filesystem. La prima fase è detta anche formattazione a basso livello e normalmente viene eseguita solo sui dischetti.
Prima di procedere occorre ottenere i privilegi dell'utente root
.
$
su
[Invio]
Password:
ameba
[Invio]
Prima di iniziare con la formattazione a basso livello si deve verificare il nome del dispositivo utilizzato nel proprio sistema, infatti ci possono essere differenze sotto questo aspetto da un'installazione all'altra. Si presume di potere utilizzare dischetti da 3,5 pollici con un formato di 1440 Kbyte.
#
ls /dev/fd0?1440
[Invio]
Si potrebbero ottenere i nomi /dev/fd0u1440
e /dev/fd0h1440
, oppure /dev/fd0H1440
e il solito /dev/fd0h1440
. Quello che serve è /dev/fd0u1440
oppure /dev/fd0H1440
.
Si procede con la formattazione a basso livello del dischetto (qui si mostra il caso in cui si debba utilizzare il dispositivo /dev/fd0u1440
).
#
fdformat /dev/fd0u1440
[Invio]
Double-sided, 80 tracks, 18 sec/track. Total capacity 1440 kB. Formatting ... done Verifying ... done |
Se questo è l'esito che si ottiene, il dischetto è stato formattato con successo. Prima di procedere oltre è necessario formattare altri due dischetti.
I dischetti formattati a basso livello non sono ancora adatti a contenere dati in forma di directory e file. Occorre creare un filesystem.
#
mkfs.msdos /dev/fd0
[Invio]
mkfs.msdos 0.3b (Yggdrasil), 5th May 1995 for MS-DOS FS |
In questo modo si è creato un filesystem di tipo Dos-FAT nel dischetto formattato precedentemente a basso livello. Il messaggio che si ottiene può variare da un'installazione di GNU/Linux a un'altra, ma questo non è molto importante.
Dopo avere sostituito il dischetto si esegue il comando seguente allo scopo di creare un filesystem Minix.
#
mkfs.minix /dev/fd0
[Invio]
480 inodes 1440 blocks Firstdatazone=19 (19) Zonesize=1024 Maxsize=268966912 |
Dopo avere sostituito il dischetto si esegue il comando seguente allo scopo di creare un filesystem Second-extended (definizione abbreviata generalmente con la sigla Ext2).
#
mkfs.ext2 /dev/fd0
[Invio]
mke2fs 1.10, 24-Apr-97 for EXT2 FS 0.5b, 95/08/09 Linux ext2 filesystem format Filesystem label= 360 inodes, 1440 blocks 72 blocks (5.00%) reserved for the super user First data block=1 Block size=1024 (log=0) Fragment size=1024 (log=0) 1 block group 8192 blocks per group, 8192 fragments per group 360 inodes per group Writing inode tables: done Writing superblocks and filesystem accounting information: done |
Per proseguire l'esercizio si devono distinguere i tre dischetti appena preparati, in modo da sapere riconoscere quale utilizza il filesystem Dos, quale quello Minix e quale quello Ext2.
Nei sistemi Unix e derivati, per poter accedere a un'unità di memorizzazione occorre che il filesystem di questa sia montato in quello globale. Non si può indicare semplicemente una directory o un file di un certo dispositivo. Il montaggio è l'operazione con cui si innesta il filesystem di un'unità di memorizzazione in corrispondenza di una directory del filesystem già attivo. La directory che si utilizza generalmente per montare provvisoriamente le unità esterne è /mnt/
.
Si procede inserendo il dischetto formattato con il formato Ext2 (quello nativo per il kernel Linux) e montandolo nella directory /mnt/
.
#
mount
[Invio]-
t ext2 /dev/fd0 /mnt
Da questo momento, la directory /mnt/
è l'inizio del dischetto.
#
touch /mnt/super.ultra.mega.macro
[Invio]
Con il comando appena visto, si vuole creare un file vuoto con un nome piuttosto lungo. Volendo si possono copiare dei file nel dischetto.
#
cp /bin/bash /mnt
[Invio]
Solitamente, il prompt della shell torna a disposizione prima che le operazioni di scrittura siano state completate, e questo a causa della presenza di una «memoria di transito», o più precisamente di una memoria cache. Anche per questo motivo, il dischetto non può essere estratto semplicemente alla fine delle operazioni che con questo si vogliono svolgere.
Finché il dischetto risulta montato, si può trattare come parte del filesystem globale.
#
ls
[Invio]-
l /mnt
total 418 -rwxr-xr-x 1 root root 412516 Dec 28 13:10 bash* drwxr-xr-x 2 root root 12288 Dec 28 12:37 lost+found/ -rw-r--r-- 1 root root 0 Dec 28 13:05 super.ultra.mega.macro |
Si può osservare che il dischetto contiene il file creato all'inizio, l'eseguibile bash
copiato in precedenza, e una directory particolare: lost+found/
. Questa viene creata automaticamente assieme al filesystem Ext2. Generalmente può essere cancellata se la sua presenza infastidisce. In un certo senso, la presenza di questa directory è utile per scorgere l'inizio di un filesystem montato in quel punto particolare.
Si procede sostituendo il dischetto con quello contenente un filesystem Minix. Per fare questo occorre prima smontare il dischetto inserito attualmente, e quindi montare il secondo.
#
umount /mnt
[Invio]
A questo punto, al ritorno del prompt, si possono sostituire i dischetti.
#
mount
[Invio]-
t minix /dev/fd0 /mnt
Per esercizio, si fanno le stesse operazioni di prima.
#
touch /mnt/super.ultra.mega.macro
[Invio]
#
cp /bin/bash /mnt
[Invio]
#
ls
[Invio]-
l /mnt
total 404 -rwxr-xr-x 1 root root 412516 Dec 28 13:31 bash* -rw-r--r-- 1 root root 0 Dec 28 13:31 super.ultra.mega.macro |
Come si può osservare, il filesystem Minix non prevede la presenza della directory lost+found/
. Un'altra cosa da notare è che il file con quel nome lungo è stato memorizzato nel modo corretto, ma in ogni caso, in un filesystem Minix i nomi non possono superare i 30 caratteri.
#
umount /mnt
[Invio]
A questo punto si ripetono le stesse cose con il dischetto Dos-FAT.
#
mount
[Invio]-
t msdos /dev/fd0 /mnt
#
touch /mnt/super.ultra.mega.macro
[Invio]
#
cp /bin/bash /mnt
[Invio]
#
ls
[Invio]-
l /mnt
total 403 -rwxr-xr-x 1 root root 412516 Dec 28 14:02 bash* -rwxr-xr-x 1 root root 0 Dec 28 14:01 super.ult* |
Trattandosi di un dischetto con un filesystem Dos-FAT, le cose non sono andate come in precedenza. Prima di tutto, i permessi dei file non corrispondono agli esempi già visti: in pratica, tutti i file hanno gli stessi permessi. L'utente proprietario di tutti i file è root
essendo stato lui a montare il dischetto. I nomi dei file vengono troncati.
Volendo utilizzare un dischetto Dos-FAT per memorizzare nomi lunghi, nello stesso modo in cui fa MS-Windows 95/98, si poteva montare facendo riferimento al tipo di filesystem vfat
, mentre la formattazione del dischetto avviene sempre nello stesso modo.
Prima di concludere l'esercizio, si smonta il dischetto.
#
umount
[Invio]-
t msdos /dev/fd0 /mnt
È il caso di ricordare che non è possibile smontare un disco se prima non è terminata l'attività con questo. Per cui, se la directory corrente è posizionata su una directory appartenente al filesystem del disco che si vuole smontare, non si riesce a eseguire l'operazione di distacco. |
La gestione delle unità di memorizzazione può sembrare complicata fino a che non se ne comprende la logica. La cosa più importante da capire è che non si può accedere al contenuto di un disco se prima questo non viene montato, e che non si può estrarre un disco se prima non è stato smontato.
A partire dal capitolo 40 vengono trattati questi argomenti.
È il caso di ricordare che l'esercizio è stato svolto operando come utente root
, per cui, prima di proseguire, è meglio ritornare allo stato normale.
#
exit
[Invio]
Nei sistemi Unix, i dispositivi sono manifestati da file speciali collocati nella directory /dev/
. L'utilizzo diretto dei dispositivi è spesso un'operazione delicata, che può essere eseguita solo dall'utente root
. Alcuni esercizi di questa sezione vanno svolti come utente root
, e in tal caso si noterà il prompt degli esempi rappresentato dal simbolo #
.
Il dispositivo /dev/null
corrisponde in lettura a un file vuoto, e in scrittura a una sorta di buco senza fondo: tutto ciò che vi viene scritto è perduto. Questa particolarità è molto utile negli script in cui si vuole evitare che i comandi contenuti emettano segnalazioni all'utente.
$
ls /bin > /dev/null
[Invio]
Il comando appena mostrato non emette nulla sullo schermo perché tutto viene ridiretto verso /dev/null
. Si può verificare che in questo file non ci sia più alcuna traccia con il comando seguente:
$
cat /dev/null
[Invio]
Non si ottiene alcun output.
La gestione diretta dei dispositivi di memorizzazione è un'operazione delicata e richiede i privilegi dell'utente root
.
$
su
[Invio]
Password:
ameba
[Invio]
I dispositivi di memorizzazione possono essere gestiti come se fossero dei file. In pratica, un dischetto da 1440 Kbyte può essere trattato come se si trattasse di un file della stessa dimensione.
Nell'esercizio sulle unità di memorizzazione sono stati formattati alcuni dischetti, e vi è stato copiato dentro qualcosa.
Si procede in modo da generare un file-immagine di un dischetto di quelli preparati in precedenza. Si inserisce uno di quei dischi.
#
cp /dev/fd0 disco.img
[Invio]
Il dischetto di cui è stata fatta la copia in un file-immagine non è stato montato in precedenza, e tuttora non risulta montato.
#
ls
[Invio]-
l disco.img
-rw-r----- 1 root root 1474560 Dec 28 14:59 disco.img |
Volendo eseguire la copia del dischetto a cui appartiene questa immagine, basta sostituirlo con un altro che sia già stato formattato a basso livello (con fdformat
per esempio, o con un altro sistema operativo con gli strumenti che questo mette a disposizione), e quindi copiare sul dispositivo del dischetto il file-immagine.
Si sostituisce il dischetto e si procede.
#
cp disco.img /dev/fd0
[Invio]
Il dischetto conterrà la copia identica di quello di partenza.
L'accesso diretto ai dispositivi è un metodo utilizzato particolarmente per la riproduzione di dischi (prevalentemente dischetti) in modo da conservare tutte le informazioni in essi contenuti. Questa tecnica viene usata specialmente per la trasmissione e la riproduzione di dischetti di sistemi operativi differenti, ed è normalmente ciò che si fa quando, a partire dal Dos, si devono preparare i primi dischetti di installazione di GNU/Linux.
Matt Chapman, Frankie Blaskovic, The Guide -- A Beginners Guide to UNIX | |
Christopher C. Taylor, Unix is a Four Letter Word... and Vi is a Two Letter Abbreviation |
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Appunti Linux 1999.07.12 --- Copyright © 1997-1999 Daniele Giacomini -- daniele @ evo.it
1.) Negli esempi che si vedono si presume di poter entrare nella directory personale di un altro utente. Tuttavia, questo dipende dai permessi che questo gli attribuisce.
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