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Arretrati - Numero 4 - 8 Settembre 1999


Visti per voi


      LA DONNA LUPO: ultimo lavoro -solo in senso temporale- di A. Grimaldi, vede la superba interpretazione femminile della bella non men che brava Lucia Cannata.
      La storia, uno stream of consciouness joicesiano ricco di spunti riflessivi degni del miglior Steinberg, si dipana tra situazioni solo apparentemente slegate tra loro, in un susseguirsi cronologico in cui l’obiettività del tempo va perdendosi a favore di una dimensione onirica ove il tempo stesso diventa durata soggettiva che si dilata e contrae in sincrono con gli stati d’animo della protagonista. La musica regola, con continui ritorni di tema, il flusso spirale di pensieri che si rincorrono, ritrovandosi sempre uguali e sempre mutati. Anche la dimensione spaziale è soggetta alle stesse regole e il film, girato chiaramente a Roma, si pretende ambientato a Milano, con scorci di una spiaggia scogliosa tipicamente sarda e scene di una stazione di un fantomatico paesello (Cerda) del più profondo sud.
      Un’ambientazione multicentrica per una storia vera in tutti i luoghi e, per questo, plausibile in nessuno.
I lunghi piani-sequenza colgono la nullità degli stessi attori andando a soffermarsi su cose inanimate piuttosto che su esseri in movimento: la negazione di corpi fintamente vivi fa vivere oggetti che acquistano simbolica vitalità (vedi il piano sequenza: lui si masturba violentemente - il letto che si muove - le scarpe finalmente immobili).
I dialoghi sono serrati, le parole fluiscono in discorsi ove il significante domina un significato che è preteso per accenti e toni (“Che fai?”-“Niente”-“Perché?”, o ancora “E’ una donna?”-“No!”-“Allora è un uomo!?”- “Che cazzo dici, è una donna!”).
Mago di dizione è il Paglia, voce atona che vive di pause e ritmi, un percussionista verbale che percuote le corde più sottili dell’anima. Una menzione particolare merita l’attore senza nome, il giovane fratello del protagonista il cui volto appare una sola volta dietro un uscio appena aperto e subito scompare ricacciato da un “E tu che cazzo vuoi?!!”, metafora di un mondo che annulla e cancella con violenza l’innocenza dei giovani.
Un film, quindi, che i critici hanno sottovalutato intenti più ad analizzare le loro immancabili erezioni (ma il sesso è qui solo pretesto) che le intenzioni di un’anima nobile come quella del Grimaldi che crea, in un bordello malfamato, finalmente un film vergine.
Leyla Dassempre