LE FORME DEL TERRITORIO HANNO UN NOME                                        

di Antonio Sena

Ai lettori de "La Sorgente", ma soprattutto ai Caposelesi residenti da lungo tempo in terre lontane, viene in questo numero proposta una mappatura, seppur limitata e puramente esemplificativa, di alcuni luoghi singolari della zona montana del nostro paese scelti per la loro riconoscibilità e per la loro appartenenza ad un universo di descrizione paesaggistica a cui tutti possono accedere percorrendo sentieri e guadagnando cime, andando per selvaggina o per legnatico, andando per colture o per pastorizia, andando per funghi o per erbe, andando semplicemente per visioni. Le forme del territorio che hanno un nome a volte presentano una facile e lineare decodificazione, a volte traducono segni propriamente antro-pogeografici, a volte si disperdono in percorsi concettuali e linguistici di lontana provenienza.

Sempre esse contengono una precisa ponderazione dei valori ambientali, la consapevolezza del contesto ed il quotidiano rapporto dell’uomo (e dei suoi artifici) con la natura. In questo spazio, limitato ma complesso, vissuto come vicino e rassicurante o come proiettato nella vastità e nel mistero, in questo spazio regolato da leggi naturali e organizzato da altri uomini a noi simili per lingua, costumi e tradizioni, ognuno riceve impressioni e conoscenze indelebili, sentimenti ed idee di orizzonti più aperti. Ma sono proprio questi orizzonti più vasti ed aperti che fanno avvertire lo spessore storico del paesaggio e la freccia del tempo che ne caratterizza la forma come una scultura in continuo ed inarrestabile divenire.

E’ sotto gli occhi di tutti come il paesaggio è un organismo vivente che muta continuamente ed ineludibilmente, e non solo per l’alternarsi del giorno e della notte, per il variare delle stagioni o per il semplice passaggio di una nuvola. Il paesaggio, anche quello montano, cambia, più o meno rapidamente, nelle sue fattezze fisiche: nelle sue componenti di ordine naturale (profili dei rilievi, forme delle cavità, corpi d’acqua, manti di vegetazione) come pure in quelle di ordine umano (strade, case, colture e tutto il surplus tecnologico ad esse connesso).

Nella attualità il forte richiamo dei nostri territori montani per il "consumo" del cosiddetto tempo libero, esteso a larghi strati di popolazione anche in un ambito extracomunale, ha provocato una risposta legislativa di tipo vincolistico (ancora una volta) mediante norme affatto generalizzanti, chiamate eufemisticamente "parco", che si sovrappongono alle "forme del territorio che hanno un nome" senza minimamente cogliere le specificità dei luoghi nè il suo particolare ed evolutivo rapporto uomo/natura.

Ma non sarebbe sufficiente nemmeno un "parco" ritagliato su misura, se non accompagnato da una costruzione "dal basso" di una coscienza collettiva attenta a rimuovere i fattori di degrado ambientale.

E’ abbastanza semplice mobilitare le coscienze sui "detrattori visivi", sulle "onde elettromagnetiche", sui "prodotti riciclabili", non lo è altrettanto su scelte più strategiche: accessibilità o inaccessibilità, conservazione o trasformazione, regolazione o deregolazione, massificazione o demassificazione.

Infatti può essere preservata l’inaccessibilità come carattere di pura "wildness" e di percezione primitiva del territorio montano, rendendo praticabili solo pochi e selezionati percorsi, riservati ai mezzi di sorveglianza e di soccorso, nonchè periodicamente ai mezzi addetti al taglio ed al trasporto di alberi; la salvaguardia e l’integrità del paesaggio è garantita in questo caso da una pratica molto selettiva del tempo libero, nel senso che porta sui territori montani più inaccessibili un ridottissimo numero di appassionati "camminatori", che, se pure riescono a portare a casa funghi, origano o fragole, vuol dire che se le sono veramente meritati.

In alternativa può essere programmata un’accessibilità "sostenibile", introducendo un sistema di procedure, di regole, di sanzioni e di interventi atti a mitigare una fruizione più massificata dello stesso territorio montano, nel senso che bisogna imparare a difendere la vulnerabilità dei nostri territori montani dall’aggressività di quelli che non hanno alcun interesse specifico, dal disinteresse di quelli che invocano la natura solo per espiare un senso di colpa, dall’ignoranza di quelli che pensano che bisogna ancora difendersi dalla natura, magari con un surplus tecnologico, dal vandalismo di quelli che non hanno alcun rispetto dei propri simili e nè tampoco dell’ambiente in cui vivono. Entrambe queste soluzioni possono essere accettabili, compatibili ed anche integrabili nello spazio e nel tempo, se solo potessero prendere corpo da un corale e maturo confronto in seno principalmente a coloro che, nella storia, hanno dato un nome alle forme del territorio.

Ma prima che il confronto possa effettivamente essere maturo c’è da sciogliere una contraddizione principale perchè non mancano coloro che non hanno affatto metabolizzato la problematica sul degrado ambientale o, al massimo pretendono che siano gli altri (le Istituzioni) ad occuparsene, ed intanto pretendono, sempre, comunque, dovunque e al di fuori di ogni buon senso, facile ed esclusiva accessibilità nei territori montani.

Altra contraddizione da sciogliere è quella della promozione turistica, perchè, è bene saperlo prima, estendere in un ambito extracomunale l’interesse per i territori montani a strati di popolazione sempre più larghi comporta forzatamente una serie di misure che, pur di rendere anche i luoghi più inaccessibili alla portata di tutti, introducono elementi di trasformazione che accelerano ed, a volte, distorcono quel processo di mutazione, più o meno naturale, del paesaggio.

Sono questi argomenti e temi, che pur nei limiti delle normative vigenti, cominciano ad essere protagonisti in alcune più avanzate strategie di pianificazione paesistica, che, si spera, possano trovare terreno fertile anche nel nostro Comune e Comunità Montana.

Queste stesse Istituzioni possono disporre ed usare, si spera ancora una volta, strumenti, tecnologie, panni e fuorbici atti a tenere sotto controllo gli indicatori ambientali ed a prefigurare gli scenari più plausibili e sostenibili con la partecipazione di coloro che si identificano negli spazi dei territori montani e nelle sue mutevoli forme.

Dal nostro versante, puramente divulgativo e localistico, con "le forme del territorio che hanno un nome" abbiamo solo voluto costruire un metodo per il confronto delle idee più diverse, ancorare il nostro Comune ad un dibattito culturale di interesse più ampio, riflettere su come la natura sia già colma di pensiero e su come le sue forme siano già sature di progetto.

Antonio Sena