PIANO PRIMO




Il pittore Carlo Socrate (1889-1967) fu collaboratore romano nel 1917 di Picasso per il sipario dell’opera Parade di Eric Satie, rappresentata a Roma. Socrate è presente con un nutrito nucleo di opere fra le quali il “tedesco” Ritratto di signora del 1926 e la grande tela dal titolo Vestizione della Sposa del 1934, tematica cara agli artisti di quegli anni come Emanuele Cavalli (1904-1981), pittore “tonale” rappresentato nel museo da Ragazza seduta con cappellino. Firmatario del gusto déco in architettura nella Roma di Marcello Piacentini è lo scultore-ceramista Alfredo Biagini (1886-1952), presente con due opere. Antonietta Raphael (1900-1975), compagna di Mafai, è l’autrice della scultura in bronzo Testa di contadina. Il toscano Ardengo Soffici (1879-1964), anch’egli aderente al movimento futurista del 1909, figura con due opere che risentono del nuovo realismo che dagli anni Venti si sviluppa in Italia e sfocia nel “ritorno all’ordine” di matrice sociale. Due gruppi di opere, altrettanti “nuclei di approfondimento”, sorta di sintetiche mostre monografiche, sviluppano e raccontano le ricerche di alcuni autori: quelli più amati dal collezionista Ingrao. Il primo del percorso al piano primo è dedicato al pittore Filippo De Pisis (1896-1956), con opere significative eseguite nello stile sintetico per il quale è noto, come il Marinaio del 1944. L’altro è interamente dedicato all’opera di Giorgio Morandi (1890-1964) e si compone di tre Nature morte – la prima è del 1929 –, tele ad olio la cui ricerca improntata alla metafora intellettuale lo celebra come uno degli artisti più moderni dello scenario internazionale; e ancora un’acquaforte, nove disegni a china o matita e ben 241 lettere, delle quali l’esposizione presenta una scelta. L’opera di Ottone Rosai (1895-1957), artista anch’egli presente con un folto nucleo di lavori, introduce al vasto ambiente dell’ampio salone quadrato che assomma le Sale IX e X. Il suo costante tema dei “giocatori di carte” è qui rappresentato in due tele di epoca differente; curioso è l’Autoritratto giovanile con cappello, serena rappresentazione opposta al grottesco e potente Ritratto senile. Sono di questi anni a cavallo fra il ’30 e il ’40 il Ritratto d’uomo di Carlo Carrà (1881-1966); il cristallino Case alpestri in grigio di Fortunato Depero (1892-1960); una “picchiata aerea” del futurista di seconda ondata Tullio Crali (1910). Una grande tempera Le sette virtù, grigia secondo il registro cromatico più noto, è opera di Gino Severini (1883-1966). Di Luigi Colombo, in arte Fillia (1904-1936), la Galleria possiede un dipinto su compensato intitolato La città di Dio, databile 1931-32. L’astrattismo geometrico di Atanasio Soldati (1896-1953) è, con la tempera Composizione, testimone solitario delle difficili ricerche in tale direzione nel nostro Paese; così come risulta isolata la satira del geniale fondatore dei periodici L’Italiano e Omnibus, Leo Longanesi (1905-1957), qui con un’opera del 1931 dal titolo Il sogno del vecchio capitano. Unica nello scenario italiano di allora è anche la ricerca espressiva di Massimo Campigli (1895-1971), documentata dal dipinto datato 1931 Sole e Ombra. Sotto il profilo plastico tiene alto il vessillo della scultura Adolfo Wildt (1868-1931), con il bronzo che ritrae Nicola Bonservizi, realizzato nel 1925. Di Francesco Messina (1900-1995) figurano una testa colossale in bronzo dorato del Duce e uno studio per una Minerva forse destinata ad essere tradotta in dimensioni monumentali. Un capolavoro del dopoguerra caratterizza la Sala XI: la notissima e raffinata natura morta Vaso di fiori di Antonio Donghi (1897-1963), uno dei due dipinti di questo ricercato autore, affiancato da un nucleo di tele realizzate da Mario Mafai (1902-1965), caposcuola del gruppo romano di via Cavour; fra questi spicca il Suonatore di fisarmonica, soffuso di sommessi toni grigio-celesti e dal rosso dello strumento. Significativo di questa sezione è il nucleo di 20 opere su tavola firmate Pio Semeghini (1878-1964), chiarista fragile e delicato. Il più aristocratico dei pittori italiani, Felice Casorati (1886-1963), è rappresentato da due opere di particolare forza come Natura morta con maschera rossa e Le uova sul tappeto. Si contraddistinguono per la consueta e riconoscibile eleganza cromatica i tre paesaggi di Amedeo Bocchi (1883-1976) – sono cinque in totale quelli posseduti –, artista del nucleo romano identificato come gruppo di villa Strohl-Fern. L’ultima sala è dominata dalle accese ed espressioniste cromie che vivono in 34 opere realizzate in un ventennio dal pittore e giornalista Mino Maccari (1898-1989). Il nucleo presenta rari lavori come la Zingara, esposti in una nota mostra del 1947 le cui opere andarono in maggioranza disperse. Molti dipinti sono stati concepiti dall’artista sulle due facciate dello stesso supporto secondo modalità a lui tipiche. Chiudono il percorso di visita alla Galleria le opere più recenti della collezione, tra gli altri un’astratta composizione a tempera del genovese Enrico Paulucci (1901-1999), artista del Gruppo dei Sei; un olio astratto anch’esso di grandi dimensioni di Piero Dorazio (1927), esponente del gruppo Forma Uno, ed un dipinto del goriziano Antonio Zoran Music (1909).

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