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     «Questa e' per l’angioletto » diceva sempre la nonna, staccando un pezzo dall’impasto del pane perche' lo portassi in giardino. «Mettila in un posto dove riesca a vederla.» A volte lasciavo la striscia sul muretto verso la strada. A volte la stendevo sul filo del bucato. Altre volte la mettevo sul davanzale della finestra e mi nascondevo dietro la tenda di perline della cucina, per cercare di vedere quell’angioletto in cortile.

     La nonna diceva che non l’avrei mai pescato a mangiare l’impasto. «Quelli sono solo uccellini affamati» spiegava. «L’angioletto viene solo a baciarlo, altrimenti il pane non lievita.» E in effetti vedevo spesso gli uccellini venire a beccare la nostra striscia di pasta. E in effetti, il pane di mia nonna lievitava quasi ogni volta. Se non lievitava bene la nonna diceva che gli uccellini avevano beccato la striscia di pasta prima che l’angioletto avesse avuto il tempo di farla fermentare coi suoi baci.

    Eppure non ho mai visto angeli sul davanzale. Nemmeno una volta.  Il pensiero degli angeli in giardino spaventava le mie figlie, perciò quando facevamo il pane (nella stessa casa ma trent’anni dopo, quando la nonna da tempo se n’era andata a baciare lei gli angeli) dicevo: «Per far bene il pane ho bisogno di un angioletto in cucina. Chi vuol fare l’angioletto, oggi, e dare un bacio all’impasto?» Le bambine facevano a gara. Non dimentichero' quelle bocche sporche di farina. Ne' dimentichero' il modo in cui, quando estraevo dal forno le forme di pane crepate e traboccanti dalle teglie, mi chiedevano un pezzo di crosta calda da infilare nel barattolo del miele o con cui ripulire gli angoli della terrina di pate'. Era il salario degli angeli. Era la ricompensa per il bacio.

    Adesso non ci sono piu' angeli in cucina. La nonna sono io, e le mie figlie vivono troppo lontano per farmi visita piu' di una volta o due all’anno. Io sono troppo rigida e stanca per andare a trovarle se non mi accompagnano in macchina, e non mi piace chiederglielo. Mi faccio sentire per telefono. Mi tengo occupata quanto posso. Faccio le pulizie, anche se la casa e' troppo grande per me. Quando e' bel tempo e non piove vado a piedi fino al porto e ai negozi, poi prendo un taxi per tornare a casa. Tengo delle piante in vaso, in giardino e sul davanzale. Mangio piu' che altro cibo in scatola, surgelati o zuppe pronte.

     Questo pomeriggio ho pensato di fare il pane, per passare il tempo. I miei vecchi polsi sono indolenziti dopo aver impastato quella che sara', credo, la mia ultima forma di pane. Ne ho staccato una striscia perche' mi porti fortuna, l’ho baciata, l’ho posata sul davanzale. Ho scaldato il forno, unto le teglie, messo il pane a cuocere sul ripiano piu' alto. Adesso aspetto alla finestra, con uno sbaffo di farina sulle labbra e il profumo del pane che si spande per la casa, aspetto che il giardino si riempia e si oscuri, di ombre e di ali. 

(Jim Crace)
 



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